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Klaus Obermaier
Digital Amplified Video Engine
La tecnologia interviene sugli organi: strati di immagini video vanno a depositarsi direttamente sul corpo del danzatore - quasi come un “innesto” - proiettando membra, occhi e bocche che deformano il corpo ma non lo intaccano. Il corpo diventa così, figura mitologica: metà uomo e metà animale, metà donna e metà uomo, metà uomo e metà macchina. Mutazione come seconda natura, “felice” alienazione dell’uomo nella sfera tecnologica, passaggio indolore ad una nuova realtà, a una nuova artificialità naturale. Il video fa parte del corpo, o meglio, il danzatore fa parte del video.
La difficoltà nell’affrontare spettacoli come D.A.V.E., in cui l’intenzione è quella di riuscire a coniugare la danza performativa con le nuove tecnologie, sta proprio nel riuscire ad ottenere una perfetta integrazione tra le diverse componenti: proiezioni video, danzatore, musica, spettatore. In D.A.V.E i performer sono costretti a reagire in relazione al video, essendo le parti programmate in stretta relazione con la forma dei loro corpi. Per questo la progettazione del software deve seguire dei parametri molto precisi.
La transizione tra i due status, tra immagine e corpo, è fondamentale: una segue l’altra armonicamente, anche se il limite è dato dall’impossibilità di improvvisazione da parte del danzatore. Il movimento del corpo reale diventa un attimo dopo una proiezione video, interrogandosi sull'essere di fronte ad un corpo reale o ad un corpo virtuale.
Vivisector
Il sistema digitale diventa, così, il terzo elemento della performance e ha gli stessi limiti e le stesse potenzialità di una drammaturgia teatrale o di una coreografia.
Le Sacre du Printemps
Grazie a 32 microfoni, l’intera orchestra è integrata nel processo interattivo perché sia i motivi musicali sia le voci individuali e gli strumenti influenzano la forma, il movimento e la complessità sia delle proiezioni 3D dello spazio virtuale sia quelle della danzatrice. La musica non è più solo un punto di partenza ma anche un completamento stesso della coreografia.
Apparition
Lo scopo è di creare un sistema interattivo che fosse qualcosa di più di una semplice estensione del performer, addirittura un suo partner. Tre sono i parametri fondamentali nell’interazione dei danzatori: la vicinanza, la velocità e l’ampiezza del movimento.
www.exile.at
Avventure in Elicottero Prodotti
La sperimentazione fra corpo e macchina, intrapresa da AiEP, si è sviluppata e perfezionata nel corso degli anni. All’inizio si è manifestata con la semplice presenza di video nello spazio dei corpi danzanti.
Exp
Nel 1996, con Exp per la prima volta si sperimenta la danza interattiva, con l’uso del mandala system - realtà virtuale 2D che utilizza la telecamera come dispositivo di input. Affinato in seguito con l’utilizzo della motion capture, modalità che permette mediante sensori applicati al corpo e l’uso di un campo magnetico, la clonazione dei gesti del danzatore.
Dall’uso della motion capture e di altre tecnologie interattive, come la computer-grafica, sono nati spettacoli di grande suggestione, pensiamo a MOV e Cromosonics - che vedevano il corpo, non più nella sua accezione materica, ma in un'accezione amplificata, dilatata.
www.aiep.org
Claire Bardainne e Adrien Mondot
Il loro approccio pone l'umano al centro delle sfide tecnologiche e il corpo al centro delle immagini, con la specificità dello sviluppo su misura dei suoi strumenti informatici, alla ricerca di una vita digitale, mobile, artigianale, effimera e sensibile.
Sette anni sono passati dal loro Cinématique, 2010, un'esplorazione disseminata di insidie immaginarie e poetiche, piccoli piaceri irrisori e esplosioni dell'infanzia, condotta attraverso una partitura digitale suonata dal vivo, mettendo in movimento corpo e oggetti digitali. Il viaggio è un incrocio di materiali virtuali: linee, punti, lettere, oggetti digitali proiettati su superfici piane, tessono spazi che sposano il corpo e il gesto e giungono a rivelare la parte dell'infanzia. E gli strumenti tecnologici consentono la presenza dell'errore, la fragilità la poesia dell'infanzia.
Dopo il grande successo di Cinématique è la volta di Hakanaï nel 2013, e de Le mouvement de l’air nel 2015. Presentate in Italia grazie al RomaEuropa Festival, anche in queste due opere, la magia della performance nasce dall’incontro del corpo con le entità virtuali prodotte dal computer. Un botta e risposta continuo tra materia e luce, peso e leggerezza, sogno e realtà.
Un susseguirsi di paesaggi virtuali composti da elementi naturali, numeri, linee, punti, lettere e figure astratte interagiscono in tempo reale con i corpi di una danzatrice e un giocoliere, grazie ai sofisticati software sviluppati dagli stessi autori. La colonna sonora, anch’essa molto suggestiva, è firmata da Christophe Sartori e Laurent Buisson.
www.am-cb.net
Mourad Merzouki
Il corpo umano, dunque, ancora una volta è posto al centro delle sfide tecnologiche e artistiche, e la tecnologia è utilizzata per creare una poesia senza tempo, attraverso un linguaggio visivo basato sull'interazione e la creatività generata dall’immaginazione.
All’interno di un mondo digitale, fatto di pixel sensibili ai movimenti, i corpi dei danzatori scorrono sulle superfici creando effetti visivi, alternando alle proiezioni astratte, le illusioni ottiche, facendo dello spettacolo il limen tra realtà fisica e virtuale.
Pixel
Proposto per la prima volta in Italia ad inizio del 2015 - progettato dal programmatore informatico Adrien Mondot, dall’artista multidisciplinare, scenografa e designer Claire Bardainne, e le coreografie di Merzouki - Pixel presenta effetti speciali realizzati grazie all’uso di eMotion, un software creato appositamente, in grado di realizzare animazioni grafiche composte da oggetti e di specificare come farli muovere in combinazione con i movimenti fisici dei danzatori.
Basato su un sistema di animazione fisico, eMotion indaga il movimento in rapporto alle emozioni. Si tratta di un editor che consente di definire un universo grafico composto di oggetti a forma di punti, linee, immagini, video, e di stabilire il modo in cui si interagisce con loro attraverso il suono, la parola, un Kinect, un Wiimote.
Tutte le immagini vengono quindi generate, calcolate e proiettate dal vivo, al fine di creare una sintesi sensoriale, una realtà tangibile sul palcoscenico.
www.ccncreteil.com
BILLY COWIE
A Milano, per gli spazi della Fondazione Prada ha ideato un lavoro site-specific che include musiche, proiezioni video e coreografie dal vivo. Intitolato Attraverso i muri di bruma, le installazioni coreografiche coinvolgono undici danzatori neo-diplomati del Corso di Teatrodanza, diretto da Marinella Guatterini, advisor del progetto. Si tratta di sette interventi in totale, all’interno degli spazi della Fondazione - Noche de Quatro Lunas, Retrospettiva, Casa di Nebbia 1, Danza di Paura, BEH!, Herz, Casa di Nebbia 2 - che attraverso l'uso delle tecnologie producono una drammaturgia condivisa con lo spettatore, continuamente partecipe, alla ricerca del proprio senso.
Nel suo libro Anarchic Dance (2006), Cowie scrive: la convenzione dello spazio buio del palcoscenico non è avvertita come piatta solo in termini visivi, ma anche in termini fisici. Una risposta quasi scontata all’onnipresente black box è un lavoro di danza site-specific in cui il coreografo può usare la dimensione verticale – scale, terrazze, salite – e dove una ricchezza di contesti visualmente interessanti può contraddistinguere il suo progetto.
E in effetti, gli spettatori “al posto di essere degli ostaggi passivi, diventano degli esploratori alla ricerca del migliore punto di vista, in perenne movimento con i danzatori, liberi di andarsene quando sono stanchi o di ritornare quando lo desiderano, di essere accompagnati dai propri amici, di conversare con loro”.
www.billycowie.com
wayne mcgregor
Il coreografo si é spesso focalizzato sul rapporto tra tecnologia e movimento: già dal 1998 con uno dei suoi primi spettacoli, Sulphur 16, comincia ad utilizzare figure digitali che si intrecciano ai danzatori sul palcoscenico, mentre in Aeon (2000) inserisce paesaggi computerizzati, suggestionando lo spettatore e conducendolo all’interno della creazione stessa in una sorta di realtà parallela.
Ataxia
Dal 2004, con lo spettacolo Ataxia, McGregor inizia a sviluppare un linguaggio personalissimo e originale caratterizzato dalla fluidità del movimento di un corpo apparentemente privo di ossa e articolazioni, con un ritmo scandito da musica elettronica, passando da Ben Frost, Olafur Arnalds ai Radiohead.
Entity
Sempre dal 2004 il coreografo diventa ricercatore all’Università di Cambridge, nel dipartimento di psicologia sperimentale, focalizzandosi sul rapporto corpo-cervello. Rapporto che viene indagato sempre più tramite lo studio sulla percezione, ripreso da McGregor anche nel 2008 per lo spettacolo Entity, avvalendosi di algoritmi di Intelligenza Artificiale per sviluppare sequenze coreografiche autonome, creando così una connessione tra funzionamento del cervello e schema di ogni passo.
Dyad
Lo studio della cognizione creativa risulta centrale nei lavori di McGregor: per Dyad 1909 (2009), l’intero processo viene mappato da un team di scienziati cognitivi dell’Università di San Diego. Una struttura coreografica senza limiti apparenti, analisi minuziose, ricerche complesse, il corpo come strumento che indaga e viene indagato, traiettorie di movimento, precisione e velocità, tutti elementi che si fondono alla tecnologia e alle nuove avanguardie.
Atomos
In ATOMOS – parola greca per indivisibile (vedi video sopra) – McGregor, a partire dal suo interesse verso la cellula – elemento strutturale, primordiale e vitale di tutti gli esseri viventi – crea un’opera coreografica che indaga la complessità delle strutture, “atomizzando” corpi, movimento, immagini video, audio e luci. L’intenzione è quella di partire dall’unità indivisibile di una coreografia per arrivare al suo sviluppo, considerandola come una struttura vivente, dando vita ad un flusso continuo di energia e tecnica che cattura lo sguardo, la mente, l’udito.
waynemcgregor.com
gb
APPROFONDIMENTI
TECNOLOGIA E DANZA
LOL, 2011
Internet ci da infatti l'illusione di quanto sia facile socializzare, conoscere partner a suon di click, cambiare identità modificando le nostre foto su facebook o cercandone le angolazioni più propizie alla stimolazione del desiderio della nostra preda.
Soliloquy Abaout Wonderland, 2011
Uno schermo gigante che all'occorrenza diventa quinta e volte soglia limite in cui è l'immagine di un automa a parlare con la voce del Grande dittatore di Chaplin, o a creare dei contrasti di luci che simulano dei limen in cui entrare e sperimentare. Le tecnologie montion capture accentuano la carica fiabesca di una storia che si percepisce per metà, ma che si carica di pathos.
Spettacolo che sorprende letteralmente, tanto poco abituati siamo in Italia a messe in scena semplicemente elaborate. Qui l'estro creativo si unisce alle competenze tecniche e il teatro non smette di essere teatrale.
Re-mapping the Body, 2012
L'insieme delle competenze ha dato vita ad un sistema interattivo che crea il suono dal movimento dei ballerini, dotati di piccoli sensori. Un mondo di suoni amplificato dalla complicità del compositore Christophe Calpini.
Make the switch from me, 2014
Un lavoro che trova la sua fonte d'ispirazione nel sistema MOTUS - un potenziatore del movimento creativo. Un sistema wireless di controllo delle prestazioni, che raccoglie i dati sui movimenti del ballerino e li trasforma in gesti e parametri di controllo per sintetizzatori audio ed effetti audio.
Lo spazio intorno al danzatore diventa una superficie senza contatto, una tela con cui il danzatore può interagire e poi ascoltare il feedback sonoro immediatamente.
Temporaeno Tempobeat, 2016
Una performance condivisa, creata ed elaborata in tempo reale, in cui il corpo e la voce sono elementi imprescindibili attraverso cui esprimere una condizione, uno stato intellettivo oltre che fisico. Una scrittura di danza che si barcamena fra il coreutico e il visuale e in cui forte è l'elemento ludico..
gb
APPROFONDIMENTI
TECNOLOGIA E DANZA
HYPERDRAMA
Pubblico che si ritrova oggi, non solo ad attivare i sensi in un eccesso percettivo fra corpi in scena e sullo schermo, suoni dal vivo e campionati, ma anche ad agire direttamente sullo spettacolo, riportando il teatro, con nuovi mezzi e nuovi modi, alla sua irriducibile qualità relazionale.
Andare a teatro o partecipare ad un evento teatrale, rappresenta ancora un appuntamento, anche se a distanza, fra attori e spettatori. Emblematico, il già citato The CIVIL warS: a tree is best measured when it is down di Robert Wilson, kolossal multimediale ideato per le Olimpiadi di Los Angeles del 1984 in cui l’utopia di opera totale si traduceva in una composizione seriale di lirica, danza, cinema, pittura da dilatare in cinque paesi diversi in sintonia temporale, attraverso la diretta televisiva via satellite. Progetto realizzato solo parzialmente, ma decisamente avveniristico per i tempi.
SIMULTANEITA' INTERATTIVA
WEB PERFORMANCE
Il debutto di Hamnet ad esempio è stato bloccato da un temporale che ha interrotto l'accesso online dei produttori. La seconda esibizione, invece, è stata animata da un "bot" che ha ucciso accidentalmente Hamlet a metà della produzione. La tecnica, con cui le opere degli Hamlet Players vengono realizzate, si basa sull'uso del software Internet Relay Chat (irc) e dei link mondiali. Ogni riga dello script completo è numerata in sequenza.Dopo il casting, gli attori ricevono le loro battute via e-mail e non è consentita alcuna prova. Quindi, nessuno, a parte il team di produzione, conosce la sceneggiatura completa finché non si sviluppa sulla rete.
Gli artisti che distribuivano le loro linee tramite tastiera, hanno trovato il modo non solo di suggerire emozioni teatrali, ma di adattare (anche migliorare) le loro linee.
DIGITAL PUPPET THEATRE
Icone grafiche rappresentano non solo Didi e Gogo - Estragone e Vladimiro - ma anche personaggi improbabili come Mister Muscle, che appaiono ogni qual volta entra in chat un nuovo utente. Il pubblico, oltre gli spettatori on line, si formava dagli spettatori reali del festival grazie alle video-proiezioni.
WEBCAM THEATRE | PER UN USO POLITICO
Le oper’azioni di Verde, come scrive Anna Monteverdi in Il Tecnoteatro di Giacomo Verde, sono da sempre variazioni in low tech sul tema della necessità di un uso politico dei mezzi tecnologici. “Nelle opere interattive, afferma Verde, il vero soggetto è il comportamento dei fruitori, e la grafica è solo l’interfaccia necessaria a suggerire i possibili diversi comportamenti di creazione, esplorazione o comunicazione, che sono il vero cuore dell’opera”.
Tematiche sviluppate anche, in Cercando utopie: contagio del 2005. La performance nasce dalla condivisione dell'Etica Hacker per cui l'informazione deve essere a disposizione di tutti e i saperi devono essere condivisi. Ogni replica quindi, era preceduta da momenti di laboratorio in modo da "preparare" alcuni spettatori a diventare i performer. Ognuno di loro diventava così un "replicatore contagiante" della performance, a cui si affidavano le informazioni e i software necessari al contagio.
HACKTIVISM
Punti di riferimento della comunità artistica digitale mondiale, si ispirano per le loro oper’azioni performative al Living theatre e al movimento situazionista. Le loro azioni - sit in virtuali, scioperi della rete - rientrano nell’ambito del cosiddetto hacktivism, etichetta usata per definire pratiche di attivismo, sabotaggio e controinformazione attraverso le nuove tecnologie.
gb
APPROFONDIMENTI
TECNOLOGIA E TEATRO
VERSO GLI 80
Ad esempio Gabriele Lavia e Giorgio Albertazzi hanno l'idea del Teatro come luogo dove nulla è necessario se non l’attore, il testo e gli spettatori, ripudiando qualsiasi uso tecnologico.
L'uso delle tecnologie però, fa parte della storia del teatro e soprattutto della nuova drammaturgia novecentesca, quando al testo teatrale si integrava il linguaggio filmico nella prima metà del secolo, per poi svilupparsi dagli anni Ottanta, con l’uso del video in teatro e poi con la nascita del teatro tecnologico.
Prendendo in esame quest’ultimo, che negli ultimi anni ha avuto un notevole sviluppo, bisogna capire come il multimediale interagisca con il teatro
IBRIDAZIONE
Le varie forme di ibridazione si collocano all’incrocio di due strade diverse: da un lato si può sviluppare la possibilità che lo spettacolo vada a costituirsi come un evento di massa, secondo un percorso già iniziato dal teatro in televisione, in questo modo la divulgazione sarà fatta ad un pubblico vasto ed indistinto.
Dall’altra parte, alcuni esperimenti ricercano la qualità e individuano un limitato gruppo di spettatori con i quali relazionarsi.
Nel primo caso si corre il rischio che l’opera teatrale trasferita in altro contesto, inevitabilmente modifichi il proprio linguaggio.
Esiste già un teatro per il video che ha costruito nel tempo un proprio stile, per esempio le produzioni RAI delle commedie di Edoardo De Filippo e guardandole sappiamo di trovarci di fronte ad un rifacimento per il nuovo mezzo, ma tutto ciò appartiene all’ambito della traduzione e della trasposizione (anche multimediale), riguarda la possibilità di documentare, riprodurre, commercializzare un evento.
gb
APPROFONDIMENTI
TECNOLOGIA E TEATRO
Riferimento per gli scenografi virtuali contemporanei, le sue opere rivelano più la funzione interpretativa che decorativa della scenografia. In Svoboda, il senso narrativo coincide con il senso della percezione spaziale, anticipando il significato che dovrebbe avere oggi il real time (modalità di realizzazione di un prodotto in diretta senza la necessità di post-produzione o finalizzazione).
Il set di Svoboda evolve in sequenze di configurazioni che seguono il ritmo delle emozioni utilizzando mezzi flessibili per la creazione di prospettive multiple. In sostanza, il teatro all’italiana (set live costituito da pavimento, soffitto, portale, palcoscenico e platea), che determina lo spazio drammatico e ne definisce i limiti, viene integrato con il set virtuale, definibile con punto di vista, prospettiva, spazio dell’immagine e dell’immaginario. Alla struttura architettonica teatrale, Svoboda, unisce l’immagine virtuale che esplora con materiali che esprimono “il dentro dello spazio”: superfici speculari, proiezioni e televisioni a circuito chiuso, uso creativo della pellicola e della luce.
COMPLETEZZA
Svoboda, attraverso le sue opere anticipa molte delle cose ancora visibili nei teatri contemporanei, affermando che non rinnovarsi, e non mettersi in discussione, fa si che la scena sia statica e senza alcun valore aggiunto anche se farcita di immagini, videoproiezioni e filmati in movimento.
TRIDIMENSIONALITA'
Non solo fondale e proiezioni su schermo che rievocano un passato di scenografie dipinte, ma l’inserimento dell’immagine virtuale in Svoboda, segue una progettazione di strutture sceniche concepite tridimensionalmente per ricevere l’immagine e superare la proiezione bidimensionale. Una nuova concezione scenografica di realtà virtuale (VR) che fonde spazio reale (set live), pixel (proiezione), attore fisico per la creazione dell’ambiente virtuale (set virtuale).
POLYéCRAN
Il pubblico percepisce le immagini globalmente in una sorta di pre-realtà virtuale con immagini filmiche fisse e mobili inviate da sette proiettori cinematografici e otto per diapositive, gestite da un sistema tecnico di circuito memorizzante che comanda tutte le funzioni dello spettacolo in sincronia con il suono.
MULTIVISIONE
“Lo scopo, afferma Svoboda ne I segreti dello spazio teatrale, era di creare immagini intere, ma nello stesso tempo di disintegrare la superficie di proiezione ricomponendola poi in un modo diverso e rendendo evidente anche il rilievo”.
gb
APPROFONDIMENTI
TECNOLOGIA E TEATRO
VIDEO PROMO
Caratterizzato da elementi musicali e visionarietà post-moderna, la fortuna del videoclip è stata possibile grazie al progresso della computer grafhic. Negli anni Ottanta non è difficile sorprendere intrecci fra queste forme videoartistiche, soprattutto quando alcuni coreografi vengono coinvolti nella realizzazione di videomusicali e di spot pubblicitari.
Si tratta, come scrive Elisa Vaccarino, in La Musa dello schermo freddo, di “un cortocircuito di creatività, che passa agilmente da un settore all'altro.” E la genesi di questo coinvolgimento, può essere rintracciata nel recupero, da parte delle generazioni degli anni Settanta e Ottanta, della dimensione del corpo in movimento.
Fenomeno ben testimoniato dall'ondata di musical o film incentrati sul tema della danza di quegl'anni, pensiamo a Saturday night fever, a Grease, ancora Footloose, Due vite, una svolta, e All that jazz.
COREOGRAFARE LE STELLE
O a coreografi come Daniel Ezralow, che ha creato coreografie per video musicali di U2, Pat Metheny, Andrea Bocelli, Ricky Martin, Josh Groban e Faith Hill. Ha curato, inoltre, le coreografie del The Glass Spider Tour di David Bowie, e le azioni danzate di They dance alone di Sting.
Ancora, Prilippe Decouflé che ha collaborato con i New Order in True Faith del 1987, o alle sue produzioni video, short format, che in quegli anni gettavano le basi per il un gusto che oggi caratterizza le sue creazioni. Caramba del 1986, ad esempio, o Codex del 1987, e il capolavoro Le p'tit bal del 1994.
E per l'accuratezza e la grande qualità dei video, bisogna ricordare, un'altra autrice francese, Régine Chopinot, e i suoi “corti”, fra i più importanti, Le defilé 1986 e Kok del 1988.
IN ITALIA
Vale la pena ricordare alcuni gruppi di artisti, come Magazzini Tiezzi e Lombardi, Falso movimento di Mario Martone, il collettivo Studio Azzurro nel periodo di collaborazione con Giorgio Barbiero Corsetti, che in quel decennio cominciano a lavorare sul concetto di enviroment producendo ibridazioni artistico-comunicative che trasmigrano da un linguaggio all'altro e si basano sull'interazione fra performer e scena tecnologica, tra corpo reale e tecnologie del suono e dell'immagine.
gb
Approfondimenti
TECNOLOGIA E DANZA
R. Per me Il patto col diavolo di oggi non si discosta da quello di sempre: fermare il corso degli eventi, il naturale divenire delle cose. Ma sono manovre che rimangono in superficie da qualche parte nel profondo la vita continua, il corpo si trasforma. Forse oggi più che mai si è tentati dall'apparenza, da essere ciò che non si può o non si riesce ad essere. L’istantaneità del web stuzzica il desiderio di onnipotenza e onnipresenza.
D. Marina Abramovich (The artist is present, Impoderabilia). Cosa condividi con la grande artista e perché citi proprio quelle performance?
R. Marina Abramovich nella semplicità di uno sguardo mette a nudo ogni individuo o meglio lo sollecita a confrontarsi con uno specchio. Credo che questo sia il punto comune. nella visione di Matteo Stocco e del sottoscritto. Faust è il pubblico, confrontato con differenti livelli di conoscenza nel multiforme abisso del web. Nella mia personale interpretazione il mistero più oscuro che nasconde anche verità scomode, è l’animo umano. Se di conoscenza si
parla nel Faust, questo è il livello più profondo e scomodo. Ecco perché il confronto con gli artisti della performance è cosi ravvicinato e a volte estremo e per certi aspetti rimanda all’intensa, poetica e feroce performance della Abramovich, anche se gli intenti e la struttura sono distanti..
R. Credo che la quotidianità, nasconda un universo di stimoli per la creazione coreografica, e questa non è una novità, però in questo caso si è partiti dalla stilizzazione di certi comportamenti per poi deformare, trasfigurare il gesto quotidiano stilizzato in altro, per vederne aspetti indicibili, per mostrare sfaccettature diverse di una stessa condizione psicofisica. Abbiamo cominciato con delle improvvisazioni sui diversi capitoli del progetto da cui sono scaturiti una serie di temi di movimento assemblati con il materiale raccolto. Su quei temi i danzatori hanno poi sviluppato diverse frasi, modulando e adattando la gestualità secondo le esigenze e lo spirito del momento. Faust è uno spettacolo che si rigenera di volta in volta a seconda del pubblico che si ha di fronte e non è mai uguale a se stesso. Ho lasciato molto più libera la struttura coreografica perché il pubblico è il protagonista e cambia sempre. La scelta ha privilegiato movimenti o atteggiamenti che potessero essere evocativi e allo stesso tempo facilmente trasformabili in altro.
R. Il pianto appartiene all’unica figura positiva della perfomance: una sorta di Margherita. anche se non abbiamo voluto definire propriamente i personaggi. Margherita riesce a provare com–passione, a commuoversi, è pura cosi come la danzatrice che piange scrutando volti da cui traspare comunque una verità di cui forse non sono a conoscenza nemmeno loro. La donna in bianco è un personaggio salvifico che accompagna Faust pur nel dolore e nella privazione, e ne è la salvatrice.
D. L'uomo nudo scaraventato per terra. Quale senso profondo nasconde questa provocazione?
R. In realtà più che una provocazione è il modo di sottolineare l’ultima verità nel percorso della conoscenza proibita: Dopo l’illusione di onnipotenza, la menzogna dell’apparenza, il corpo nudo e crudo trova il suo spazio e ci riporta alla verità della sua corruttibilità. Nulla si può contro il tempo e, la macchina, che sembrerebbe lo strumento infallibile per conoscere e perpetuarsi all’infinito, si ritorce contro l’uomo implodendo. Lascia una verità amara quella del corpo inerte che non può mentire a se stesso ma che può trovare una sorta di speranza accanto alla positività di “Margherita” anima che eleva oltre ogni apparenza.
D. L'installazione di Matteo Stocco, fra i mille volti e la spersonalizzazione dell'essere umano, amplifica il senso che l'uomo è, o sta diventando, una merce da consumare?
R. Diciamo che attraverso il web, che per altro permette straordinarie possibilità di conoscenza, comunicazione e contatti, dilaga la voracità del voyerismo, la ricerca, spasmodica a volte, di osservare e scrutare sempre nuovi casi umani, e dilaga anche la produzione di storie e casi umani ideati per essere cannibalizzati e soddisfare il desiderio di cui sopra. Forse questa è la merce da consumare di cui l’uomo è il protagonista e che nascosto dietro l’anonimato può cannibalizzare senza giudizio, senza colpa. Rimane solo un’apparente normalità che rende tutto più facile nel modo dei like e ci solleva da qualsiasi responsabilità morale o meno.
gb
approfondimenti
TECNOLOGIA E DANZA
2WICE
Con le loro strategie digitali negli ultimi anni la 2wice Arts Foundation ed Editions 2wice hanno ampliato il numero di lettori, i follower e gli utenti online, mettendo a loro disposizione delle App: la prima, intitola Event è un tributo al lavoro del coreografo statunitense Merce Cunningham, scomparso nel 2009.
La seconda, dal nome Fifth Wall è nata dal confronto con il designer Abbott Miller, considerando tutte le possibilità di incorniciare una coreografia offerte dall'iPad. Scaricandola, si acquisteranno i video di quattro coreografie di due minuti ciascuna, appositamente eseguite all'interno di una cornice rettangolare nera che riproduce, in scala, i 4:3 del frame del tablet Apple.
Le coreografie possono vedersi in contemporanea o singolarmente, e gli utenti possono zoommare o restringere la scena, cambiare l'orientamento dello schermo facendo ruotare anche il ballerino, diventando loro stessi coreografi. Infatti Fifth Wall lascia ampia scelta allo spettatore che può toccare, scrollare in basso o ruotare lo schermo per influenzare la sequenza della danza.
FIFTH WALL
Attraverso questa App il pubblico poteva votare per decidere di cambiare le luci usate nel corso delle esibizioni. Nel caso di Fifth Wall, Jonah Bokaer ha dovuto danzare all'interno di un simulacro dell'iPad realizzato da Abbott Miller e Bob Guest: una scatola realizzata ad hoc vedendo ne le proporzioni in 4:3 della cornice dell'iPad quelle del proscenio a teatro.
E le riprese, per le quattro coreografie, sono state effettuate ruotando sia la scatola, sia la telecamera, con rotazioni fisse della cinepresa di 90°, in modo da poter permettere al pubblico, poi, ampia libertà di manipolazione delle sequenze coreografiche.
gb
APPROFONDIMENTI
TECONOLOGIA E DANZA
Jan Fabre ad esempio, in opere come What a Pleasent Madness del 1988; Tivoli del 1993, Questa pazzia è fantastica; paysages fabriens, del 1993, fa della ripetizione, dell'attenzione al particolare e dell'osservazione della realtà come qualunque altro organismo, la sua cifra stilistica.
Anne Teresa de Keesmaeker, fondatrice del gruppo Rosas, che rielabora spesso, per la telecamera i suoi lavori teatrali, in video come Achterland del 1994 - da un balletto del 1990 -, in Rosas danst Rosas, con Thierry De Mey, del 1997, in Fase, sempre con Thierry De Mey, del 2002, mette in video la sua danza minimale, ripetitiva e strettamente legata alle suggestioni musicali che tanto caratterizzano la sua produzione.
Meno astratte e più emotivamente oniriche le produzioni anche fictional dei belgi di lingua francese. La coreografa Nicole Mossoux, In Scelsi suites, del 1990, mette in scena la storia di una coppia come tante, che danza e vive nello stesso spazio, affrontando, tuttavia, l'esperienza della solitudine e l'impossibilità dell'incontro. Face à Face del 1988 di Michèle Anne De May, racconta, una volta di più, storie di coppia attraverso la ricerca analitica dei movimenti del corpo, unita ad un uso espressivo delle tecnologie della ripresa.
WIM VANDEKEYBUS
Il film Roseland del 1990, con la regia tripartita fra Walter Verdin, Octavio Iturbe e Wim Vandekeybus, è tratto dal materiale delle prime tre coreografie di Vandekeybus: What The Body Does Not Remember (1987), Les porteuses de mauvaises nouvelles (1989) e The Weight of a man (1990). E per "aver trasformato l'energia teatrale della coreografia in un'esperienza di schermo dinamica, utilizzando una gamma completa di tecniche cinematografiche", Roseland si aggiudica, nello stesso anno, il Dance Screen Award.
Video di danza basato sull'omonimo spettacolo del 1999, In Spite of Wishing and Wanting è girato nel suggestivo ambiente di un'ippodromo di Bruxelles,ne la bellissima sala da ballo-sala da concerto del Vooruit Arts Centre di Gand (BE), ne le strade di Ferrara (IT) e a Singapore. Con i ritmi del co-fondatore di Talking Heads, David Byrne e con l'eclettismo scenografico di Wim Vandekeybus, In Spite of Wishing and Wanting si trovano sequenze teatrali umoristiche, danza energica e potente e una varietà di corpi all'interno di un cast tutto maschile. Lo stesso Wim Vandekeybus in persona trotta come un cavallo selvaggio tra i dieci ballerini-attori, devastati dai loro desideri appassionati. Perché è nelle sequenze danzate di attrazione, confronto e repulsione, che i danzatori assumono sembianze animali.
Nel 2005 Wim Vandekeybus gira Blush, trasposizione video della performance teatrale dell'anno prima. Con le musiche di David Eugene Edwards e Woven Hand e con testi dell'autore fiammingo Peter Verhelst, Blush è un viaggio onirico che oscilla tra i paesaggi paradisiaci della Corsica e le profondità più slanciate di Bruxelles. Un'esplorazione del selvaggio subconscio, delle foreste mitiche, degli istinti conflittuali, dell'immaginazione, dove il corpo ha ragioni che la mente s-conosce.
ITALIA
A Napoli, nel 1991,l’Associazione Culturale Napolidanza promuove la prima edizione del festival di videodanza Il Coreografo Elettronico, ideato da Marilena Riccio, chiuso dopo qualche hanno di pausa, riaperto nel 2016 con la presidenza di Laura Valente.
Con l’avvio del festival si cominciarono a raccogliere opere provenienti da tutto il mondo e attraverso le varie edizioni, il festival ha premiato, monitorato e catalogato il variegato mondo della videodanza internazionale e l’ultima edizione – firmata Riccio – nel 2011, contava ben centotrenta video in concorso, e l'edizione nel 2016, più di centocinquanta.
Vale la pena ricordare la prima vincitrice della rassegna, Cinzia Romiti, autrice delle coreografie insieme a Laura Balis Giambracono, di Tuffo nell'acqua e tonfi del cuore, un video di 10’ nato come promovideo per presentare l’omonimo spettacolo teatrale.
A Milano, nel 1990, nasce IN VIDEO con lo scopo di creare uno spazio che permetta di conoscere quanto di meglio si produce in ambito di ricerca e sperimentazione video. Un ambito la cui dimensione, poetica, antitelevisiva - benché comune sia la radice tecnologico/elettronica - svolge, proprio per questo, anche il ruolo di coscienza critica.
Questa realtà, interessata alle nuove direzioni della danza legata al video, non ha avuto un riscontro effettivo e potente, rispetto la realtà europea degli stessi anni, nella produzione di videodanza.
Infatti se guardiamo le manifestazioni internazionali del decennio novanta sono pochissime le opere italiane. Ad esempio nel 1994 a Dance Screen presenziavano solo tre video italiani fra i quali Guardiano di coccodrilli di Corte Sconta, diretto da Kiko Stella; al Gran Prix Video Danse solamente quattro.
FESTIVAL & CONTEST
Espressioni. I volti della video-danza, organizzato da Perypezie Urbane nasce nel 2006 e vede la collaborazione di diverse realtà italiane ed europee attive nel mondo della videodanza, che portano a Milano materiali provenienti dall'Europa centro-orientale e occidentale. Inoltre, la collaborazione a partire dal 2011 con Coreografo Elettronico di Napoli fa di Espressioni un luogo di distribuzione di alcuni dei video più interessanti proiettati nell’ultima edizione del festival napoletano.
Nato nel 2010 Digitalife in questi ultimi anni si è configurato come il vero e proprio cuore tecnologico del Romaeuropa Festival. I linguaggi della creatività digitale, le sue fertili connessioni con le tecnologie più avanzate, le relazioni fra spazio, tecnologia ed arte sono i grandi temi di riflessione di questo progetto aperto e visionario in cui arte visiva, arte digitale, performing arts e fotografia, superano i rispettivi confini per fondersi nella quarta dimensione della creazione.
Negli ultimi anni invece la diversa modalità di fruizione in rete ha sollecitato la nascita di nuovi formati, come il concorso One minute dance film, ideato da Cinedans e importato in Italia, a partire dal 2010, dalla rete COORPI - COORdinamento danza Piemonte.
Il contest La danza in 1 minuto è il primo esperimento di Social Contest on line di videodanza. Un’esplorazione su come il digitale intervenga in termini di low production e fruibilità delle opere video, intercettando le tecniche e i linguaggi dei giovani artisti. Coorpi, inoltre, fa parte di R.I.Si.Co – Rete Interattiva per Sistemi Coreografici, all'interno della quale, a Scenario Pubblico di Roberto Zappalà a Catania, ha organizzato The Risico Screening – Rassegna multischermo della danza in video, in collaborazione con l'associazione Cro.Me.
Live Arts Cultures nasce nel gennaio 2014 come associazione culturale curatrice di C32 performing art work space, spazio di produzione e formazione per artisti nell'ambito delle arti dal vivo. Live Arts Cultures si occupa di accogliere produzioni locali e internazionali, di proporre un calendario di appuntamenti formativi, dell'organizzazione di un festival nonché dell'organizzazione di altri eventi dedicati alla formazione del pubblico, proponendosi anche in altri spazi della città.
Giovanissimo, nato nel 2016 il T*DANSE festival, organizzato da TiDA Théâtre Danse si propone di portare in Valle d'Aosta uno sguardo sulla scena contemporanea con una programmazione di artisti legati ai nuovi linguaggi, alle nuove tecnologie, con un'attenzione speciale per le nuove generazioni di artisti.
gb
Approfondimenti
TECNOLOGIA E DANZA
ANNI 70
La sostituzione più recente della tecnologia analogica con quella digitale, sia del suono che dell'immagine, ha allargato enormemente le possibilità di intervento artistico sulla ripresa video e sulla post-produzione, spesso integrate con la computer graphic e con le tecniche avanzate di animazione e simulazione.
Maja Deren & Alwin Nikolais
La prima, può essere annoverata fra i primi videoartisti per la scelta ante litteram di creare, in pellicola, danza per lo schermo. I suoi film, ai quali collaborò anche John Cage - pensiamo a Ritual in Transfigured Time del 1945-46 con coreografie di Frank WestBrook, e a The Very eye Of Night del 1959 - sono il prodotto di una profetica composizione dell'immagine, all'interno della quale fluiscono forme, figure plastiche e danzatori.
Il secondo, Alwin Nikolais, nel 1964 realizza su pellicola Totem, The World Of Alwin Nikolais, vero e proprio film di danza, in cui i danzatori, su sfondo monocolore, sembrano fluttuare in uno spazio illusorio privo gravità. Nel 1968 in Limbo, Nikolais, va oltre e alle figure dei danzatori vengono sovrapposte immagini di pesci colorati.
Relay del 1970, è già un'opera di videodanza a tutti gli effetti. Realizzata con tecnologie più avanzate, Nikolais, in Relay, sintetizza in immagini a metà fra fantasia e sogno, tutto il suo visionario universo. In questo lavoro di grande importanza storica, il corpo danzante si smaterializza progressivamente divenendo una particella infinentesimale della vastità infinità dell'universo.
CHASE & CUNNINGHAM
L'opera simbolo che può essere considerata il manifesto della videodanza, è Merce by Merce by Paik di Nam June Paik e Merce Cunningham del 1978, nella quale vengono composti artisticamente elementi di una coreografia espressamente creata per la telecamera insieme ad altri materiali video preesistenti. L'uso di espedienti videografici - l'incrostazione, lo sdoppiamento, la moltiplicazione dei corpi sullo schermo, la loro decentralizzazione, procedimenti analoghi a quelli che Cunningham sfrutta sulla scena - creano le basi per una composizione in cui la danza investe l'arte nella sua totalità, facendone un prodotto particolare di videoarte, appunto uno dei primi e più significativi esemplari di videodanza.
80 | POST MODERN DANCE
Artisti sensibili ai fermenti di cambiamento della loro epoca e disponibili al dialogo con le nuove tecnologiche. Loro sono gli esponenti della post-modern dance, fra i quali alcuni si sono cimentati con il film e la videodanza.
Ad esempio, la poliedica Meredith Monk con Quarry nel 1978 che rievoca la tragedia dell'Olocausto, Trisha Brown in Set and Reset del 1985, che realizza una composizione di materiali artistici autonomi e differenti, con le musiche di Laurie Anderson, le scene, i costumi e le visioni filmiche di Robert Rauschemberg.
O Anna Halprin che esplora il rapporto fra corpo e natura nel suggestivo Embracing Earth: Dances with Nature del 1995.
gb
Approfondimenti
TECNOLOGIA E DANZA
Con l'abolizione del punto di vista unico e l’apertura ad una temporalità plurima, lo spettatore partecipa, così, ad un evento reale, fisico. E il suo mondo emotivo e percettivo, che si confronta o interagisce con l'opera, diventa necessario per lo svolgersi della narrazione. Infatti le opere interattive hanno la capacità di modificarsi grazie alla presenza e all’azione degli spettatori, diventati veri coautori dell’opera. Da un’opera chiusa e strutturata, grazie alla navigazione ipertestuale, agli ambienti virtuali 3D, alle immagini di sintesi e alle installazioni interattive, si passa ad un’opera-sorgente che contiene nella sua attualizzazione ed esecuzione infinite variabili.
A partire dal 1987, lo scenografo M.Reaney inizia ad utilizzare la computer grafica per l’allestimento scenografico, fino a giungere alla programmazione di ambienti virtuali per la fase illustrativa con il regista e nel 1993 arriva ad un primo esperimento di simulazione proiettando il modello scenografico digitale direttamente all'interno della cornice del boccascena e immaginando poi una scenografia virtuale tridimensionale direttamente sul palcoscenico.
Paolo Aztori, invece, rigoroso nell'articolazione di scenografie elettroniche e nelle concezione di uno spazio scenico integrato nel processo creativo della messa in scena, intende la scenografia come dotata di infrastrutture proprie, adatte al nuovo linguaggio della rappresentazione, attraverso cui l’orizzonte percettivo sfonda la prospettiva ordinaria oltre il boccascena, per affermare la simultaneità delle diverse percezioni, tra reale e virtuale.
Marcel•lí Antúnez Roca
Il performer incarna l’utopia post-umana della tecno-mutazione, dell’ampliamento della struttura biologica verso nuove sensibilità extratattili diventando, attraverso innesti temporanei di dispositivi elettronici ed elettromagnetici, cybermarionetta e robot cibernetico, potente metafora della liberazione del corpo verso nuovi e inesplorati spazi di sensorialità. Pensiamo a Epizoo del 1994 - dove il corpo-macchina del performer si fa appendice digitale sottoposto alle "molestie" telematiche da parte degli spettatori attraverso un touch screen - o a Requiem del 2000 in cui dei robot pneumatici reagiscono alla presenza del pubblico.
In Transpermia. Panspermia inversa (2003) Antùnez, come già in Afasia nel 1998, sostituisce il keyboard con il dressskeletron o esoscheletro, una protesi elettromeccanica, vero prolungamento protesico della sua corporeità recuperando grazie al programma Midi Reactor, funzioni organiche non più limitate alla vista e al tatto. Suona con il corpo e modula la voce, anima immagini e disegni che mostrano ipotesi di interfacce e robot da usare nel quotidiano per identità sempre mutanti. Il performer riesce così controllare tutto lo svolgersi della performance, dal momento che il suo esoscheletro è diventato la piattaforma che gli permette di connettere e gestire una molteplicità di programmi, facendo di sé stesso, un’interfaccia delle interfacce.
MOTUS
CATRAME
In Catrame, 1996, il suono e la musica sono fra gli elementi più importanti. Assieme alla luce, sembra siano loro a scolpire il corpo, a deformarlo, inseguirlo. Il corpo trasgredito rimane oltre il plexiglas e lo spettatore è coinvolto in quello spazio chiuso proprio attraverso il dilatarsi dei suoni e delle luci, guardando un corpo nudo che, disgregandosi, viene completamente rimodellato.
Immagini psichedeliche, luci forti e cromie acide fanno emerge l’ambiente in cui si svolgono le azioni. Scatola-gabbia costruita da tubi metallici e chiusa dal plexiglas trasparente in cui il corpo in movimento diventa sfocato, sofferente, seguendo le suggestioni delle opere di Bacon.
L'Orlando Furioso diviene oggetto d’analisi in O.F. ovvero Orlando Furioso, 1998/99. Presentato in vari modi: spettacolo teatrale, video e performance - tanto da formare una vera e propria opera multimediale, l'opera passata al bisturi dei Motus, viene sventrata e rivista, non in termini di rappresentazione ma di esecuzione.
L’ossessione di ricostruire continuamente le scene, i “quadri” del poema, diviene l’unica vera messa in scena e l'apparato tecno-scenografico si fa elemento drammaturgico. Una grande, vorticosa piattaforma rotante: circo, giostra d’esposizione atroce degli eroi/eroine del poema. Luogo di vertiginose battaglie e patetiche relazioni amorose, enorme lanterna magica posta al centro di una Croce di passerelle sopra elevate, complessa “meccanica del desiderio” del poema.
ROOMS
Rooms, confluito nella versione definitiva dal titolo Twin Rooms (2000-2003) si ispira al romanzo Rumore bianco di De Lillo. Attraverso un particolare dispositivo visivo e sonoro, l’azione teatrale, che procede per riquadri e close up, ricostruisce un vero e proprio set cinematografico.
La regia teatrale diventa regia di montaggio. La camera d’albergo, la struttura scenica si raddoppia generando una “digital room” con due retroproiezioni affiancate da immagini pre-registrate o provenienti da telecamere a circuito chiuso e mixate live con quelle girate in diretta dagli stessi attori in scena. La cornice scenografica di questo expanded live cinema invade tutto lo spazio del palco e le immagini riempiono ogni interstizio possibile, generando un sovraccarico di immagini.
Presenza inquietante, il video, in un eccesso di visibilità e una morbosità dell’occhio della telecamera che sorveglia e si sofferma sui corpi, drammatizza il totalitarismo consumistico narrato cinicamente da De Lillo: lo shock dell’immediatezza, il senso di alienazione e di perdita di identità nel flusso della rappresentazione del sé.
ROMEO CASTELLUCCI
L’idea, che alimenta Tragedia Endogonidia è quella di un'opera in continuo cambiamento. Un sistema di rappresentazione che, come un organismo, si trasforma nel tempo e nella geografia dei propri spostamenti. Lo spettacolo che ne emerge non è un’opera chiusa, in quanto gli episodi si auto generano e i filmati non sono da considerarsi “documentazione” di un fatto accaduto ma come parte integrante di ciò che, è accaduto e, continua ad accadere ogni volta che qualcuno guarda il video.
Ci si trova, così, di fronte a quadri inediti, che stuzzicano la nostra immaginazione senza fornirci chiavi di lettura sicure. Indubbiamente la storia e il passato di chi guarda plasma la ricezione dell'opera, ma si tratta di connessioni nuove, in cui ci si trova in un nuovo inizio, dove ancora tutto deve essere inventato coerentemente.
gb
Approfondimenti
TECNOLOGIA E TEATRO
ARNOLD GEHLEN
Nel suo L’uomo nell’era della tecnica, Gehlen afferma, in maniera non poco ottimista, che la tecnica, nei confronti dell'arte, ha solo la funzione di "supplenza". L’oggetto tecnico, scrive, sostituisce organi che l’uomo non possiede, potenzia ed amplifica facoltà esistenti. La tecnica è dunque un’integrazione dell’inorganico nell’organico, un’integrazione subordinata, però, alla progettualità dell’uomo. E per quanto possa essere il movente di trasformazioni decisive nel mondo, la tecnica è comunque riconducibile a un fondamento antropologico, in quanto è tratto distintivo dell’Uomo la volontà di farsi surrogare o supplire da qualcos’altro.
HORKHEIMER E ADORNO
Adorno e Horkheimer in Dialettica dell’Illuminismo intendono per industria culturale quegli strumenti con i quali il sistema inganna l’individuo inondandolo di futili valori e modelli di comportamento prestabiliti. Tali strumenti sono essenzialmente i mass media, tra i quali il mezzo televisivo è quello più capillare ed invasivo. La riproduzione meccanica dell’esistente, la ripetizione sempre più standardizzata delle proprie creazioni, l’esaltazione del sempre più perfezionato efficientismo tecnico sono elementi costitutivi dei mass media, strutture che, secondo Adorno, esercitano una potente e nefasta influenza sull’individuo. L’industria culturale abitua l’individuo ad una ricezione passiva, introiettando un’immagine univoca e asettica della realtà, lo persuadono ad adottare costumi e comportamenti stereotipati inibendo le funzioni immaginative e critico riflessive.
INDUSTRIA CULTURALE
L’industria culturale, strettamente intrecciata con l’industria produttiva, nutre la pubblicità che, nella visione adorniana, è probabilmente l’aspetto più inquietante della comunicazione di massa: l’individuo crede di poter scegliere liberamente e di riflettere su prodotti reali, ma non si accorge di essere davanti a meri simulacri. L’immaginario acquista nel simulacro una dimensione sociale, non perché i suoi contenuti ricevano l’adesione, l’approvazione, il consenso dei soggetti, ma perché la società stessa si è de-realizzata, ha acquistato, cioè, una dimensione immaginaria.
“Nel simulacro, spiega Mario Perniola in La società dei simulacri, la dimensione immaginaria non sta dalla parte dei soggetti, ma al contrario dalla parte della società: il simulacro è una effettività sociale, il cui statuto è quello di un’immagine priva di originale. L’immagine sociale non è il prodotto dell’iniziativa dell’individuo, ma qualcosa che è già data in partenza e a cui è impossibile sottrarsi, se non ricadendo nella marginalità, nel periferico, nel resto”.
La televisione, insomma, non ha voluto scoprire la “dinamite” per riutilizzare l’espressione usata da Benjamin a proposito del cinema. Tutt’oggi i contributi diretti e creativi degli artisti al mezzo televisivo vengono esclusi perché considerati incapaci di sostenere la larga udienza televisiva.
gb
APPROFONDIMENTI
TECNOLOGIA E ARTE
Per Net art si intende la pratica contemporanea volta a creare opere d'arte con, per e nella rete Internet. In questo modo, la Net Art ha aggirato il tradizionale dominio del circuito di Gallerie e Musei, demandando il ruolo principale dell'esperienza della fruizione estetica ad internet o ad altre reti telematiche. Esistono però diverse tipologie di lavori digitali che seppur creati per la rete non possono essere definiti opere di net art.
Per questo motivo bisogna sottolinearne le ideosincrasie
creati con linguaggio di programmazione e software
l'intenzione artistica/estetica e di connessione fra più contenuti multimediali
l'interattività come elemento essenziale ma non sempre necessario
la fruibilità globale. L'accesso ad un'opera di Net.Art deve essere possibile da qualsiasi connessione ad Internet
l'essere open source. Modificabile da chiunque (in alcuni casi)
IL TEORICO
Oggi possiamo affermare che il movimento artistico della net.art come movimento e non come forma artistica, si va raffreddando. Negli anni che vanno dal 94 al 2004 circa - anni in cui il Web entrava per la prima volta nell'uso comune di milioni di persone che iniziavano a sperimentare il nuovo medium - si è avuto un gran fermento, interesse che ha prodotto quella che è divenuta. oggi, una delle forma di arte.
NET ART | ITALIA
Nel 1986 alla Biennale di Venezia sono esposti diversi lavori di artisti internazionali che fanno uso delle reti telematiche.
Nel 1989 l'artista fiorentino Tommaso Tozzi realizza come opera d'arte il virus informatico subliminale "Rebel! Virus". Un anno dopo, realizza la banca dati telematica Hacker Art BBS e la espone nel 1991 alla mostra Anni 90 alla Galleria d'Arte Moderna di Bologna.
A gennaio del 1995 il gruppo Strano Network organizza al Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato il primo grande evento internazionale "Diritto alla comunicazione nello scenario di fine millennio".
Nel 1995 il poeta e teorico dell'arte Francesco Saverio Dòdaro fonda e dirige, la collana "Internet Poetry", prima esperienza italiana di net poetry.
Nel maggio 1996 a Trieste ha luogo il primo evento internazionale dedicato all'arte in rete: Net Art Per Se organizzata dallo sloveno Vuk Cosic.
Nel 1997, nasce netOper@: prima opera italiana multimediale aperta alla partecipazione online di designer, artisti e musicisti nel ruolo di autori ed esecutori.
Nel 1997, il critico d'arte e giornalista Fortunato Orazio Signorello promuove nella sede dell'Accademia Federiciana (Catania) la mostra "Originalità autonome", con 25 netartisti.
Nel 1999 nasce il gruppo 80/81 con il progetto Island.8081.
Nel settembre del 2000 si svolge a Bologna il D.I.N.A digital_is_not_analog, un meeting che vuole far conoscere i principali esponenti della net art.
Nel 2001 nasce il gruppo EpidemiC che alla Biennale di Venezia insieme agli 1100101110101101.ORG espongono il virus informatico: Biennale.py
Nel settembre del 2002 ad Ancona viene organizzato BananaRAM a cui partecipano Maciej Wisniewski, Epidemic, 1100101110101101, Limiteazero, Nicola Tosic e Joey Krebs.
gb
APPROFONDIMENTI
TECNOLOGIA E ARTE
VIDEO MONoCAnaLE
La maggior parte dei videoartisti fra gli anni Sessanta e Settanta - Nam June Paik, Bill Viola, i Vasulka, Zbigniew Rybczynski, Robert Cahen, Gary Hill, per citare solo alcuni nomi storici - interrompe la produzione “su schermo singolo” a favore della videoinstallazione, ed il semplice passaggio di formato del quadro da 4:3 a 16:9 per alcuni videoartisti rappresenta uno scarto di linguaggio notevole da affrontare: per il video monocanale, bisogna ripensare la modalità di ripresa, mentre per le videoinstallazioni, riprogettare l’intero allestimento, immaginando monitor rettangolari e non più quadrati.
Inoltre l’avvento dell’alta definizione digitale (o HD) provoca una piccola scossa in tutto il comparto audiovisivo, e determina un decisivo ritorno a un’esigenza di pulizia, netidezza e precisione dell’immagine. Una tensione a una forma visiva molto definita, simile a quella fotografica o cinematografica.
La qualità dell’immagine suggerita da questo formato digitale determina uno standard estetico: il ritorno all’idea dell’immagine fotograficamente pulita, quando non addirittura patinata. Da MTV alle mostre di videoarte, la parola d’ordine sembra essere: definizione.
Proprio nel momento in cui le produzioni cinematografiche stanno progressivamente abbandonando la pellicola a favore dell’HD, nel settore videomusicale e in varie esperienze videoartistiche ritorna la pellicola, oltre all’HD, come uno dei supporti possibili da usare. Insomma, nel settore dell’arte contemporanea la videoarte riparte da zero, ovvero dal cinema.
RIPARTIRE DAL CINEMA
Ritornano il set, la troupe e anche alcuni generi trattati, dal punto di vista linguistico, in modo molto classico, come il documentario, spesso intriso di autobiografia, come per esempio nelle produzioni di Shirin Neshat, o nelle videoinstallazioni di Eija-Liisa Ahtila, veri e propri docu-fiction frazionati in vari schermi, come If 6 Was 9, del 1999, o infine in alcune produzioni di Doug Aitken, dove la rappresentazione documentaristica del paesaggio, naturale o industriale, diventa un tema ossessivo.
Il riferimento, spesso nostalgico, alla memoria del cinema e dei suoi divi diffonde una vera e propria cinefilia di ritorno, come in 24 Hours Psycho di Douglas Gordon (1993), dove il film di Alfred Hitchcock viene rallentato fino a diventare, appunto, lungo 24 ore. Mentre in Telephones (1995) e The Clock (2010) di Christian Marclay si ripresenta l’estetica del found footage rimontato.
Ritorna il feticismo nei confronti della pellicola come materiale, per esempio nell’opera di Tacita Dean, che lavora rigorosamente in 16mm ed espone una videoinstallazione dal titolo più che paradigmatico, Film (2011), proiettando immagini su un’enorme struttura verticale a forma, appunto, di pellicola.
Oppure si recupera l’immagine della sala cinematografica in The Muriel Lake Incident (1999) di Janet Cardiff, dove l’installazione consiste nell’inserimento di un piccolo modello di cinematografo dentro una struttura di legno con un’apertura che l’osservatore può usare per guardare all’interno.
FILM
Al contrario, altri artisti creano un’estetica che manda in corto circuito la formula video monocanale con quella più tradizionalmente cinematografica. È il caso di Matthew Barney che fra il 1999 e il 2002 realizza un mastodontico progetto The Cremaster Cycle, formato da cinque episodi.
Il modello linguistico sul quale Barney lavora è una sorta di cinema liquido, ipnotico, dove tutto accade lentamente senza che vengano applicati effetti di rallentamento. Le riprese, girate con una cura maniacale della fotografia fino a risultare patinate, non subiscono nessun tipo di trattamento se non di correzione del colore.
I video di Barney sono la rappresentazione quasi estatica di alcune situazioni visive che lavorano sulla ricchezza di elementi delle scenografie, sulle azioni dei performer, sulle loro mutazioni e sui loro costumi. Con lo stesso approccio è realizzato uno degli ultimi video, Drawing Restraints 9 (2005), ritratto rituale dell’incontro con la musicista islandese Björk.
FILM DA CAMERA
Il video monocanale diventa così una videoinstallazione a schermo singolo, che entra nelle case di chi la acquista come un flusso audiovisivo su un monitor piatto, che può essere usato come un quadro. Che poi il formato finale sia ovviamente digitale, non importa, perché viene percepito e definito anche dagli addetti ai lavori come un “film”, o una foto in movimento.
Nasce un genere che potremmo chiamare film da camera, piuttosto lontano dalle istanze linguisticamente rivoluzionarie e sperimentali della videoarte.
gb
APPROFONDIMENTI
TECNOLOGIA E ARTE
DIRETTA
Si trasmette simultaneamente allo svolgersi dell’evento, grazie ad un rapidissimo processo di trasformazione elettronica. La diretta, quindi, apparenta tecnicamente la televisione alla famiglia dei media della simultaneità e della distanza come il telefono e la radio.
SPAZIALISMO
Cosi Lo Spazialismo di Lucio Fontana rappresenta uno squarcio di consapevolezza scientifico-tecnologica all’interno di una congiuntura artistica motivata da spinte irrazionalistiche e da un’aperta sfiducia nei confronti delle nuove tecnologie.
MEZZO VS SUPPORTO
Non a caso le prime sperimentazioni artistiche sono caratterizzate da un’attitudine critica ai modelli culturali che presiedono all’uso massificante della televisione. La televisione diventa così per l’artista un elemento scultoreo, destinato a denunciarsi all’interno di installazioni che sono manifestazioni di una critica sociale più ampia.
Nel 1958, ad esempio, Wolf Vostell inserisce il televisore fra i suoi dé-coll/ages con l’intento, esplicito, di denunciare l’ottusità ipocrita e condizionante dell’uso omologante del mezzo televisivo da parte della struttura sociale contemporanea.
gb
APPROFONDIMENTI
TECNOLOGIA E ARTE
Ma anche se, a livello teorico, la realtà virtuale potrebbe essere costituita attraverso un sistema totalmente immersivo, in cui tutti i sensi possono essere stimolati - realtà virtuale immersiva o RVI - attualmente il termine è applicato a qualsiasi tipo di simulazione virtuale creata attraverso l'uso del computer. Dai videogiochi che vengono visualizzati su un normale schermo, alle applicazioni che richiedono l'uso degli appositi guanti muniti di sensori - wired gloves - fino al cosidetto World Wide Web.
SENSORAMA
LA SPADA DI DAMOCLE
ASPEN MOVIE MAP
VIRTUAL REALITY
Oggi, con le tecnologie attuali, la percezione di un mondo virtuale è ancora distinguibile da quella del mondo reale. Il fotorealismo delle immagini rende completa o quasi l'esperienza visiva, mentre altri sensi come olfatto e tatto, vengono poco stimolati. Ed infatti, tra le varie tipologie di ambiente proposte attraverso la realtà virtuale, sono quelli 3D che godono di maggior successo. Probabilmente perchè nell'uomo è la vista il senso dominante, motivo per cui gli ambienti virtuali devono essere caratterizzati da immagini ad altissima qualità e definizione, capaci quindi di presentarsi anche come sostituti della realtà, a discapito degli altri sensi. Su questa scia, e sempre più rilevante, la realtà aumentata - augmented reality. Basata sull'ampliamento o l'integrazione della realtà circostante con immagini generate al computer, la realtà aumentata permette, alle immagini, di modificare l'ambiente originario senza influire sulle possibilità di interazione.
VIRTUAL SET
Il risultato più innovativo nell’applicazione della progettazione digitale della scenografia è il virtual set: scenografia sintetica progettata al computer mediante la tecnologia della realtà virtuale, che sostituisce il tradizionale spazio scenico costruito, al meno per quanto riguarda la cinematografia, ma non solo.
gb
APPROFONDIMENTI
TECNOLOGIA E TEATRO
Da sempre gli artisti si sono basati sulle conoscenze tecnologiche per trovare i materiali e gli strumenti adatti per esprimere al meglio i propri sogni, pensieri, visioni o credenze. E ogni opera d’arte si determinata, in primo luogo, dai materiali a disposizione dell’artista e dall’abilità di questi nel manipolarli.
La tecnologia non solo influenza la creazione artistica stabilendo le possibilità di espressione degli artisti, ma determina il passaggio a funzioni diverse dell’arte, cambiandone anche le modalità di fruizione. La parola tecnologia deriva dal greco “techne”, arte intesa come il saper fare, e “logia”, discorso, trattato.
Già 30.000 anni fa i cacciatori del Paleolitico superiore erano in grado di lavorare la pietra così da renderla affilata o di utilizzare i pigmenti naturali per decorare le pareti delle caverne o per scolpire statuette femminili simboleggianti la fecondità. Scoperte per la prima volta, sulle pareti delle grotte in Spagna e nella Francia meridionale, figure di bisonte, mammut o cervo hanno confermato che gli uomini preistorici credevano già nel potere dell’influenza delle rappresentazioni: una volta fissata l’immagine, l’animale avrebbe ceduto al potere del cacciatore, come scrive Gombrich in La storia dell’arte.
Rinascimento
Brunelleschi e Leonardo
L’artista era un po’ tecnico, scienziato, filosofo naturale e inventore. All’inizio del Quattrocento Filippo Brunelleschi, architetto fiorentino, aveva dipinto, nel corso di un esperimento, due tavolette che hanno segnato la nascita della prospettiva intesa come insieme di procedure e proposizioni di carattere geometrico-matematico dei passaggi che consentono di costruire l’immagine di una figura nello spazio su un piano, proiettando questa figura da un centro di proiezione posto a una certa distanza ben definita.
Brunelleschi è l’artista-scienziato che ha segnato il passaggio dal Medioevo al Rinascimento ed è con lui che il progetto inizia ad avere il primato sulla realizzazione. Tutta la sua opera artistica, architettonica, teorica può essere letta come una ricerca matematica, una ricerca delle relazioni geometriche, delle leggi fisiche e meccaniche. Con la prospettiva è stato inaugurato un nuovo atteggiamento nell’osservazione della natura e si andava preparando il terreno per la rivoluzione scientifica del diciassettesimo secolo.
Dopo Brunelleschi è la volta di Leonardo, la cui intera opera è un fitto intreccio di arte, scienza e tecnologia al servizio della conoscenza e della rappresentazione. Leonardo è stato il primo a ipotizzare l’esistenza di due prospettive: quella lineare di Brunelleschi e quella aerea con la quale intendeva il meccanismo della messa a fuoco: se si guardano nitidamente le figure in primo piano, l’occhio non può contemporaneamente mettere a fuoco anche le figure sullo sfondo.
Quindi, se il pittore sfoca le immagini in lontananza, riesce a creare un effetto di tridimensionalità che non fa ricorso alle linee geometriche dell’architettura. Inoltre, a Leonardo si devono i primi studi in Europa sulla possibilità di proiettare immagini dal vero su un foglio dove potevano essere facilmente ricopiate, con la cosiddetta camera oscura leonardiana.
Con la camera oscura l’inventore intendeva dimostrare che le immagini hanno una natura puntiforme e si propagano in modo rettilineo venendo poi invertite da un foro strettissimo che fungeva da obiettivo, arrivando persino a ipotizzare che anche all’interno dell’occhio umano avvenisse un capovolgimento analogo.
La camera ottica risultava ancora utilizzata nel XVIII secolo da pittori come Canaletto e Bellotto che, grazie a quella, hanno acquisito precisione fotografica nel dipingere i paesaggi veneziani per i quali continuano ancora oggi a essere celebri.
OTTOCENTO
Grazie alla fotografia, cui spetta il compito di imprigionare e documentare la realtà, il pittore può permettersi di andare oltre quello che l’occhio vede, esplorando il territorio della percezione, abolendo le regole prospettiche. Gli impressionisti infatti, accogliendo le teorie ondulatorie e corpuscolari sulla luce, ne studiano il movimento, le vibrazioni e i cambiamenti di colore.
Inoltre, la rivoluzionaria invenzione industriale dei colori in tubetto consente al pittore di abbandonare l’atelier per riprendere en plein air i caffè parigini, i cabaret e la vita dell’epoca, cogliendo l’impressione del momento come Renoir con il Ballo al Moulin de la Galette o Monet ne La stazione di Saint-Lazare, dove ciò che interessa al pittore, come dice Gombrich ne La storia dell’arte, non è la stazione in quanto soggetto ma l’effetto della luce che entra dalla tettoia di vetro per investire le nuvole di vapore e la forma delle locomotive e dei vagoni che emergono dalla confusione.
NOVECENTO
Il futurismo è manifestazione del dinamismo del mondo moderno, vuole cantare la civiltà della macchina e della tecnica anche attraverso l’esaltazione della guerra che, come scriveva Marinetti nel Manifesto per la Guerra Coloniale in Etiopia, “grazie alle maschere antigas, ai terrificanti megafoni, ai lanciafiamme e ai piccoli carri armati fonda il dominio dell’uomo sulla macchina soggiogata”. Dall’altro lato, alcuni artisti rifiutano sdegnosamente la tecnologia e la modernità scegliendo la strada dell’idealismo o dell’irrazionalismo.
Baudelaire afferma: “se alla fotografia si permetterà di integrare l’arte in alcune sue funzioni, quest’ultima verrà ben presto soppiantata e rovinata da essa, grazie alla sua naturale alleanza con la moltitudine”. Per il poeta, il fare artistico è un’attività creativa, opera di un individuo eccezionale e l’opera è un oggetto unico e irripetibile. Nel momento in cui la macchina fotografica si sostituirà alla mano dell’artista nella produzione di immagini, questa unicità e irripetibilità verrà meno.
gb
Approfondimenti
TECNOLOGIA E ARTE
“Poiché la produzione serve soprattutto allo sviluppo dell’uomo, noi dobbiamo cercare di estendere a scopi produttivi quegli apparati finora usati solo a fini riproduttivi”.
Produzione qui intesa come creatività produttiva atta allo sviluppo dell’uomo. Un invito ad usare i mezzi finora adoperati a fini riproduttivi per la creazione di cose e mondi nuovi, la poiesis insomma.
E Moholy Nagy, per spiegarsi meglio ricorre all'esempio del grammofono. Questo, dice, “ha avuto sinora il compito di riprodurre effetti acustici preesistenti […].Un’estensione dell’apparecchio a scopi produttivi potrebbe avvenire in questo modo, che le scalfitture vengano praticate nel disco di cera dall’uomo stesso, senza l’intervento di una azione meccanica esterna, e producano, all’atto della riproduzione, un effetto sonoro, così da rendere possibile, senza nuovi strumenti e senza orchestra, un rinnovamento nella produzione sonora e con ciò contribuire alla trasformazione delle concezioni musicali e delle possibilità compositive”.
Ma per rovesciare l’impiego degli “apparati tecnici”, portarli cioè dal semplice utilizzo ri-produttivo a quello produttivo, bisogna piegare il medium verso l’elaborazione di “nuovi esperimenti creativi”, di nuovi linguaggi, lontani da ogni orizzonte mimetico o rappresentativo. In questo contesto, fondamentale risulta l’apporto tecnologico.
Non è un caso che la videocamera è messa in commercio proprio nel momento in cui andavano affermandosi happening e performances.
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Approfondimenti
tecnologia e arte
Nato in Italia nei primi anni Ottanta dall’interazione tra la ricerca teatrale e le prime forme di videocreazione, il videoteatro è soprattutto performances tecnologiche o spettacoli teatrali che utilizzano l’elettronica in scena. Le prime produzioni si ebbero nell’ambito della postavanguardia teatrale, coniugando la performance con le pratiche video, misurandosi più con la sensibilità dei videoclip musicali che con quella della videoart.
Il termine viene coniato alla realizzazione, nel 1982, di Tango Glaciale di Falso Movimento, per la regia di Mario Martone, un’opera che traduce nella nuova tecnologia elettronica una scrittura scenica che già contemplava in sé una spiccata composizione multimediale. Quella produzione rappresenta un unicum per quel decennio, un’eccezione rispetto tutta un’area di produzione indipendente al di fuori delle logiche del broadcast.
PROGETTO OPERA VIDEO VIDEOTEATRO
Il concept video prodotto, nel 1988, dal festival POW - Progetto Opera Video Videoteatro - di Narni, definito poi Scenari dell’Immateriale, ha permesso d’individuare i cambiamenti di linguaggio apportati dal videoteatro, tracciandone una prima topografia.
Un'importante documentazione video, una mappa iper-mediale ante litteram, al cui interno si rilevano opere in cui si traspone la scena in video, attraverso la traduzione elettronica della messinscena, secondo una regia conforme - spesso dello stesso autore teatrale - o si ricostruisce, con un’elaborazione audiovisiva una alterità video - o, ancora, opere disancorate dalla messinscena, quindi autonome ed originali, o opere video definite “presagi”, anticipando lo spettacolo in clip di carattere promozionale o evocativo.
Tra i protagonisti della prima ondata del videoteatro: Krypton, Riccardo Caporossi, Falso Movimento-Mario Martone, Societas Raffaello Sanzio, Magazzini Criminali, La Gaia Scienza, Teatro della Valdoca, Michele Sambin_Tam TeatroMusica, Giacomo Verde, Studio Azzurro, Koinè.
gb
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Autore
Giovanni Bertuccio
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