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arte senza valore
L'arte attuale, così come la storia artistica degli anni Novanta, mette in scena il disagio dell'uomo contemporaneo, che si trova perso entro i mille ruoli che la società impone, perdendo di vista, così, la sua vera identità. Perde il contatto non solo, banalmente, con sé stesso, ma viene meno quella consapevolezza che l'uomo è un animale, evoluto certo, ma pur sempre tale.
Come Renato Barilli, il critico francese, per interpretare quest'arte, interroga, sbagliando, il corso lineare della storicizzazione artistica. Se il primo pone Duchamp come avo lontano di tale arte, il secondo fa riferimento a Salvador Dalì. Tutti e due, questa volta in accordo, pongono come esponente centrale di questa corrente visiva, Jeff Koons. Se Barilli, in Uomini e oggetti dopo Duchamp “catturava” lo spirito del tempo, constatando la capacità dell'uomo contemporaneo di abituarsi a tutto, Jean Clair, nel suo Jeff Koons e i suoi fratelli quell'arte senza valore (sociale) va oltre e addirittura si chiede:
Che senso ha? E soprattutto perché i poteri pubblici ormai sono felicissimi di mostrare e sovvenzionare queste imprese cosiddette "artistiche"? Perché il 'socius' ha bisogno di ricorrere a questo espediente (cosiddetto) estetico quando il suo ordine non è più accettato consapevolmente, né nell'ambito religioso né nell'ambito politico? È forse l'ordine scatologico che può garantirci questa coesione mancante? Sarei tentato di fare riferimento a Giorgio Agamben, e in particolare al suo Homo sacer (l'uomo sacro, la nozione di sacer nell' antichità romana, lo status particolare dell'homo sacer) e di tornare alla vecchia distinzione aristotelica tra zoè e bios: bios la vita intelligente, la vita degli esseri logici, e zoè la vita primitiva, la vita animale, la vita bestiale.
Nonostante tali intuizioni Clair non sembra apprezzare queste espressioni artistiche. In primo luogo mettendo come sottotitolo al sul articolo “quell'arte senza valore (sociale)”, forse a sottolinearne la fortuna nel mercato dell'arte, e non riconoscendo in questa creatività, nessuna tematica intrinseca. In secondo luogo, Clair, ironizza su queste “imprese cosiddette artistiche” che usano “espedienti estetici”, sottolineando, ancora una volta, come il gusto d'oggi, sia plasmato dalla presenza imperante dell'ideale di un'arte che deve essere, bella, o nei migliori dei casi, appagare solo il senso della vista.
arte e politica
Nel corso del postmoderno maturo l'arte contemporanea diviene sempre più un veicolo di commercializzazione proprio come fosse un «logotipo», un enorme spot testimoniale di una identità politico-sociale proiettata in ambito internazionale. Attraverso l'arte si manifestano apertamente nuove tendenze politiche, nuove identità.
Se questo implica una necessaria rivalutazione del soggetto «arte» nel novero delle attività fondamentali, dall'altra parte questo ha significato anche un diretto asservimento di quest'arte «prescelta» ai motivi ed alle dinamiche utilizzabili dal sistema di potere in atto. Non si tratta di questioni da poco conto.
Quale credibilità di denuncia può avere infatti quest'arte programmaticamente sostenuta - a partire proprio dalla fine del decennio - dal sistema sociale che essa stessa dovrebbe in qualche modo criticare?
gb
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Giovanni Bertuccio
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