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RELAZIONE E DANZA                                                DANZA DI COMUNITA'                                          LUCA SILVESTRINI

9/19/2016

 
Foto
Food | Protein Dance Company, 2018

​Tra le voci più rappresentative dell’avanguardia britannica, Protein è nota per il suo desiderio di fusione tra teatro e vita reale, dentro e fuori i palcoscenici. Fondata nel 1997 dall’italiano Luca Silvestrini e dalla svizzera Bettina Strickler a Londra, la Protein spazia tra le arti e le generazioni. Il suo è un teatro di danza umano e divertente che esplora le istanze contemporanee con un mix di storie, musica e movimento. Premiata Best Independent Dance Company al National Dance Awards 2011, il carnet coreografico della Protein comprende lavori site specific come gli hit Publife e (In)visible Dancing, e spettacoli per il palcoscenico come Big Sale, The Banquet, Dear Body, il pluripremiato LOL (Lots of Love) e il più recente Border Tales. 
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Border Tales, 2013
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​Progetto del 2013, è un workshop svoltosi con gli utenti del Islington Centre for Refugees and Migrants, per creare una performance condivisa con gli ospiti e gli invitati, la famiglia e gli amici. Descritta in un articolo su Open Democracy e British Guida Theatre, il progetto ha sviluppato un rapporto di reciproco sostegno tanto che i vantaggi sono stati immediati fra i partecipanti che, insieme a Protein hanno sperimentato la danza come un modo per esprimere se stessi, migliorando il benessere personale e della comunità.


​(In)visible Dancing, 201O
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Progetto singolare e probabilmente l'ultimo progetto portato a termine in Italia. Per l'Oriente Occidente Festival 2014, (In)visible Dancing abbatte le barriere dell’età, del ceto sociale in nome della danza che emerge spontanea davanti agli occhi dei passanti trasformando, giorno dopo giorno, non solo il luogo che la ospita, ma anche tutti coloro che la praticheranno e osserveranno.

​In Piazza Erbe a Rovereto, per quasi tutta la durata del festival (In)visible Dancing, per accumulazione si rende ‘visibile’ portando a sé, passo dopo passo, un numero sempre crescente di persone: scuole di danza locali, la gente comune, abitanti, passanti. Tutti insieme uniti, nel flash mob finale. Una vera e propria esplosione collettiva che, con più di cento protagonisti, rende onore alla danza e le concede il potere del rito e della rigenerazione.

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​Real Life real Dance, 2006

​Il programma in cui Protein utilizza la danza per fare una reale differenza nella vita delle persone. Lavorare con la gente e con le proprie idee e di propri movimenti in RLRD vuol dire fornire uno sbocco creativo per persone provenienti da ceti sociali diversi sfollati o senza impiego. Precedenti progetti RLRD hanno incluso residenze con i giovani esclusi dal sistema scolastico ordinario, per dare fiducia e una nuova prospettiva a tutti i coinvolti: studenti, insegnanti e genitori.

Un esempio, questo, di come la pratica artistica può promuovere il ri-impegno e un vero e proprio cambiamento di atteggiamento. A questo proposito Protein ha anche intrapreso residenze innovative in ospedali per bambini insieme a fisioterapisti, il personale ospedaliero e ballerini, per aiutare i giovani a recuperare e riguadagnare il movimento. Questo lavoro si è ampliato, includendo le persone svantaggiate di ogni età e provenienza, concentrandosi sui rifugiati, con collaborazioni intraprese durante la ricerca per Borde Tales.


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www.proteindance.co.uk

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Approfondimenti
pROTEIN | DANZA DI COMUNITA'


LUCA SILVESTIRNI | DIMORE
LUCA SILVESTRINI | LOL (lots of love)
DANZA DI COMUNITA' | ORIGINI
DANZA DI COMUNITA' | ITALIA

RELAZIONE E DANZA                                              DANZA DI COMUNITA'                                                ANNA HALPRIN

9/19/2016

 
Foto
Anna Halprin | fotogramma di Breath Made Visible | Ruedi Gerber, 2009


​curare mente e corpo

Considerata "Uno dei pensatori più importanti e originali in termini di prestazioni" da Richard Schechner, direttore del The Drama Review, Anna Halprin fin dal 1930 è stata rivoluzionaria per il mondo della danza, ispirando artisti in tutti i campi. Attraverso i suoi allievi Trisha Brown, Yvonne Rainer e Simone Forti, Anna ha fortemente influenzato lo Judson Dance Theater di New York, una delle case danza postmoderna. Sfidando le nozioni tradizionali di danza, Anna ha esteso i suoi confini per affrontare questioni sociali, costruire una comunità, favorire sia la guarigione fisica ed emotiva, riunire le persone alla natura.


​ARTCORPS

In risposta ai disordini razziali del 1960, Anna Halprin ha riunito un gruppo di ballerini neri e un gruppo di ballerini bianchi nella performance Ceremony of Us. Ha poi costituito la prima compagnia di danza multirazziale e sempre più focalizzata su temi di giustizia sociale. Quando le fu diagnosticato un cancro nei primi anni '70, ha usato la danza come parte del suo processo di guarigione e, successivamente, ha creato programmi di danza innovativi per i malati di AIDS e di cancro, divenendo una pioniera nell'utilizzo delle arti espressive per la guarigione, fondando il Tamalpa Institute con la figlia Daria nel 1978. Ancora oggi, il programma ArtCorps del Tamalpa continua ad utilizzare la danza come mezzo pacifico e di guarigione.


​consapevolezza

​Con il marito, l'architetto paesaggista Lawrence Halprin, Anna ha sviluppato metodi per sviluppare la creatività collettiva. Nel corso del 1960 e lungo i '70, insieme hanno condotto una serie di workshop chiamati Experiments in the Environment, "esperimenti per l'ambiente," portando danzatori, architetti e altri artisti insieme ed esplorare la creatività di gruppo in relazione alla consapevolezza dell'ambiente, sia in ambienti rurali che urbani. Nel 1995 più di 400 partecipanti si unirono a lei in una Planetary Dance a Berlino per commemorare il cinquantesimo anniversario della firma degli accordi di Potsdam, alla fine della seconda guerra mondiale. Più di recente, ha portato la sua Planetary Dance a Israele, per riunire israeliani e palestinesi, nonché altre nazionalità.


​DANZA SENIOR

​Nel corso della sua lunga carriera Anna ha creato più di 150 opere di teatro danza e scritto tre libri, attingendo sempre dalle sue esperienze personali. Dopo che il marito ha dovuto affrontare una crisi pericolosa per la vita, per esempio, ha sviluppato la terapia Intensive Care: Reflections on Death and Dying (2000).

​Di fronte il proprio invecchiamento, ha lavorato con le persone anziane nella sua comunità creando
Seniors Rocking (2005), eseguito da oltre 50 anziani all'aperto su sedie a dondolo. Per onorare la memoria del marito, ha creato una trilogia, che comprende Spirit of Place, un lavoro site-specific in uno spazio teatrale all'aperto che aveva progettato (eseguita nel 2009, poco prima della sua morte). Nel 2013 ha rivisitato il suo innovativo Parades and Changes (1965), conservando la sua essenza, ma con l'aggiunta di nuove sezioni per renderlo attuale.
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​EREDITA'

Diversi film celebrano il lavoro di Anna, tra cui pluripremiato Returning Home,  di Andy Abrahams Wilson, e Breath Made Visible di Ruedi Gerber.  Nel 2006 le è stata dedicata una mostra personale al Lyon’s Museum of Contemporary Art, poi trasferita  al San Francisco’s Yerba Buena Center for the Arts, e il museo d'arte della University of California, Santa Barbara, sta progettando di mostrare il suo lavoro nel 2017.

Il suo lavoro è stato descritto in istituzioni quali il MoMA PS1, il Centre Pompidou e il Museo ZKM. Il Museo di Performance & Design di San Francisco ospita la 
Anna Halprin Digital Archive. Altro materiale è disponibile Anna Halprin Papers 
presso la Divisione danza di Jerome Robbins presso la New York Public Library for the Performing Arts.
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Link ad un suo articolo del 1943, Prime esplorazion​i su danza e movimento.
www.annahalprin.org

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Approfondimenti
danza di comunita'
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DANZA DI COMUNITA' | ORIGINI
DANZA DI COMUNITA' | FRANCA ZAGATTI
DANZA DI COMUNITA' | ELISA DE LUCA
DANZA DI COMUNITA' | LUCA SILVESTRINI

RELAZIONE E DANZA                                                DANZA DI COMUNITA'                                                FRANCA ZAGATTI

9/19/2016

 
Foto
Franca Zagatti | direttrice DES Danza Educazione Società


​PERSONALIZZARE IL MOVIMENTO

Danzare, lei dice, “in fondo non è altro che un processo di personalizzazione del movimento nello spazio e nel tempo. In questo processo, che è primariamente individuale, il movimento incontra altre persone e nel farlo ridefinisce i luoghi e i modi del vivere quotidiano. Le parole che ognuno, danzando, dovrebbe poter sentire risuonare sono: piacere, ascolto, stupore, presenza”. 
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La danza di comunità si colloca all’interno di questa prospettiva artistica plurale ed inclusiva e afferma, prima di ogni altro principio, il diritto di tutti alla danza, indipendentemente dall’età, dalle possibilità, dalle diverse abilità e conoscenze. Ciò che viene offerto a qualsiasi persona voglia danzare è perciò un percorso di crescita e di scoperta, di ascolto e di stupore, di benessere e di presenza. 
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​DANZA EDUCAZIONE SOCIETA'

​Studiosa, insegnante, artista di danza, Franca Zagatti nelle sue ricerche ha sempre affermato il valore formativo della danza e promuove una visione etico-estetica della corporeità in contesti sociali ed educativi a gruppi intergenerazionali, nuclei familiari, anziani, persone con diversa abilità. Svolge inoltre una diffusa attività d’insegnamento della danza a bambini e ragazzi e di formazione a educatori, insegnanti di danza, danzatori. Direttrice artistica a Bologna di Mousikè, presso la stessa struttura insegna danza creativa e composizione ed è responsabile del Corso per Danzeducatore® finalizzato alla formazione di operatori di danza per il contesto scolastico e di comunità. È vicepresidente della DES - Associazione Nazionale Danza Educazione Società.


​PUBBLICAZIONI

​Fra le sue principali pubblicazioni si ricordano: La danza educativa. Principi metodologici e itinerari operativi, MPE, Bologna, 2004; Parlare all’altra metà del mondo, MPE, Bologna, 2009; “A partire dai corpi. Tracce linguistiche e messaggi di cura in educazione” in, Paola Manuzzi (a cura di) I corpi e la cura, Pisa, ETS, 2009; e il più recente: Persone che danzano. Spazi, tempi, modi per una condivisione danzata del movimento, (MPE, Bologna, 2012).

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​APPROFONDIMENTI

​DANZA DI COMUNITA'
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DANZA DI COMUNITA' | ANNA HALPRIN
DANZA DI COMUNITA' | ITALIA
DANZA DI COMUNITA' | STORIA
DANZA DI COMUNITA' | LUCA SILVESTRINI

RELAZIONE E TEATRO                                              TEATRO SOCIALE                                                    TIPOLOGIE

9/19/2016

 
Foto
POLVERE | Barbara Altissimo, 2012


​DECONTESTUALIZZARE

Il teatro sociale può avvenire in diversi luoghi: dai penitenziari ai campi profughi, dagli ospedali alle scuole, dagli orfanotrofi agli ospizi. I partecipanti sono gli utenti locali, disabili, detenuti e molti altri, spesso provenienti da categorie vulnerabili, svantaggiate e marginalizzate. E svolgendosi in luoghi e situazioni non tipici per il teatro, trasforma in performer chi, in realtà, non lo è. Invece i professionisti, oltre ad essere performer ma non necessariamente artisti, svolgono anche il ruolo di “facilitatori”, ovvero aiutare gli altri nella costruzione della performance.

Usare il teatro nei diversi contesti di cui sopra, non deve intendersi come una mera decontestualizzazione del teatro, piuttosto come un processo di incontro e competizione performativo. Insomma, il teatro sociale deve tendere a svelare il performativo già esistente in quell'ambiente, rendendosi complementare, mettendolo a repentaglio, sfidandolo o elevandolo. 


QUATTRO TIPOLOGIE

​E per fare questo, il teatro sociale attinge alle teorie e ai saperi e alle consuetudini che si riferiscono ai luoghi che ospitano il progetto. Così, ad esempio, il teatro nelle scuole ha usato le teorie educative per riflettere sul proprio operato; il teatro per lo sviluppo e l’integrazione culturale ha usato le teorie dello sviluppo sociale per guidare le proprie analisi; il teatro nelle carceri ha usato differenti modelli criminologici o della teoria della riabilitazione per spiegare le proprie pratiche.

Questi tipi di teatro sociale – teatri in spazi/tempi di crisi – possono essere raggruppati in quattro categorie che hanno una relazione logica e sequenziale tra di loro: 
Teatro per la cura, Teatro per l’azione civile, Teatro per la comunità, Teatro per trasformare l’esperienza in arte.


​RIABILITARE

Ad esempio, creare un progetto teatrale in carcere vuol dire lavorare con persone già caratterizzate come “criminali” che sono obbligate ad indossare costumi e a vivere seguendo dei copioni molto rigidi. Vuol dire lavorare con gruppi che vedono le proprie storie drammatizzate per loro dai media e altri che abusano del termine “tragedia” per descrivere esperienze quotidiane. Relazionarsi con persone che sono state partecipi volontari o involontari di violenze. E questo background deve, necessariamente, essere considerato e nel progetto e nel processo di teatralizzazione. E questo approccio d'insieme deve riguardare qualsiasi luogo in cui il teatro sociale avviene.  Insomma macro e micro storia si uniscono e le scienze umane si fanno ancelle dell'arte per ridare senso e consapevolezza all'individuo.
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TEATRO SOCIALE CARATTERISTICHE
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RELAZIONE E TEATRO                                              TEATRO SOCIALE                                              TECNICHE

9/19/2016

 


PRIMO NOVECENTO

​L’incontro con il pubblico presuppone da sempre il lavoro preparatorio dei creatori dello spettacolo. Nel corso dell’itinerario creativo di avvicinamento allo spettacolo - e anche prima, soprattutto nell’educazione, preparazione e training degli attori, e nel processo della scrittura drammaturgica vera e propria - vengono utilizzate diverse tecniche. Queste tecniche, attoriali e di scrittura, si sono moltiplicate, affinate, approfondite, in quello che è stato anche un tentativo di dare scientificità al lavoro teatrale.

Il percorso è iniziato ai primi del Novecento, con il padre della regia contemporanea Konstantin Stanislavskij. Poi è proseguito con le ricerche di Vsevolod Mejerchol’d (la biomeccanica), Etienne Decroux (il mimo), Ingmar Lindth (l'improvvisazione), Jerzy Grotowski (il training del Teatr Laboratorium e il parateatro), gli esercizi del Living Theatre, dell’Odin Teatret o di Tadashi Suzuki, solo per citare le esperienze più note. 
Ciascun creatore ha messo a punto una gamma di esercizi, giochi, metodi, training, pratiche, discipline, percorsi, situazioni (ma anche sperimentazioni e ricerche). Queste tecniche (cui è difficile dare definizioni precise, visto che ciascun creatore affina le proprie, facendole evolvere nel corso della propria carriera teatrale) operano a diversi livelli. 


​TECNICHE DELL'IO

In primo luogo, si sono sviluppate quelle che potremmo definire «Tecniche dell’Io», che lavorano tra l’altro su: 
 
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 il corpo (il gesto, la danza); 
 la voce (la dizione, il canto); 
 l’attenzione e l’energia (la «presenza scenica»); 
 il rapporto con gli oggetti; 
 la percezione del tempo e dello spazio; 
 la memoria e l’identità personale
​ (le emozioni e i ricordi, il personaggio, la maschera).


IL RAPPORTO IO - TU
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Un secondo gruppo di tecniche riguarda l’incontro e la relazione interpersonale, il rapporto Io-Tu, con pratiche che per esempio lavorano su: 

l’incontro e la scoperta dell’Altro 
le varie forme di dialogo e di interazione tra più individui, sia a livello fisico-corporeo - come la Contact Improvisation - sia a livello spaziale e prossemico, sia a livello verbale. 


​LA CREAZIONE DEL 'NOI'

Un terzo gruppo di tecniche lavora sulle dinamiche del gruppo e sui meccanismi di aggregazione, fino a costruire una comunità (il rapporto Io-Molti e la creazione di un Noi), per esempio con il lavoro su: 

 il ruolo (ovvero l’insieme dello norme e delle aspettative che un sistema sociale tende a prescrivere all’individuo); 
 l’identità collettiva (il coro; il rito); 
 la creazione di un gruppo-compagnia
​
con la propria identità e il proprio linguaggio (la comunità). 


Molte di queste tecniche ed esercizi lavorano in parallelo sul rapporto realtà-finzione, anche nella accezione del rapporto tra persona (reale) e personaggio (fittizio). ​

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RELAZIONE E TEATRO                                              TEATRO SOCIALE                                                    STORIA

9/19/2016

 
Foto
POLVERE_Mundi | Baraba Altissimo, 2012


​attivare il pubblico

​Dopo l’esplosione del teatro politico degli anni Venti e Trenta - i cosiddetti «agit prop» - anche i movimenti di liberazione degli anni Sessanta hanno utilizzato il teatro come strumento di consapevolezza, espressione e propaganda: pensiamo alla compagnia Teatro Campesino, che ha dato voce e corpo alle rivendicazioni degli immigrati messicani in California; al Bread & Puppet, con gli spettacoli-sfilata contro la guerra del Vietnam; al Playhouse of the Ridiculous e a tutti i gruppi che hanno dato visibilità ai movimenti di liberazione sessuale, soprattutto omosessuale, degli anni Sessanta. In questo contesto, all'inizio degli anni Settanta il brasiliano Augusto Boal, rilanciando la Pedagogia degli Oppressi (1970) di Paulo Freire, ha sviluppato e teorizzato il Teatro dell’Oppresso. Un metodo che usa il teatro come linguaggio, come mezzo di conoscenza e di trasformazione della realtà interiore, relazionale e sociale, rendendo attivo il pubblico.


​pedagogia e teatro

​Affine a questa è l’animazione teatrale, che si sviluppa tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, in particolare nel lavoro con bambini e ragazzi, con funzione pedagogica e di socializzazione, sulla scia del Programma per un teatro proletario dei bambini scritto tra il 1924 e il 1928 da Walter Benjamin e della "scuola attiva" teorizzata da Célestin Freinet. Grazie a personalità come Remo Rostagno, Mafra Gagliardi, Franco Passatore, si passa in quel periodo da un «teatro per ragazzi» a un «teatro con i ragazzi», o meglio «dei ragazzi». Il teatro diventa strumento pedagogico, anticipando il cosiddetto edutainment, l'"educare divertendo", sviluppandosi notevolmente, soprattutto negli ultimi anni.


​COMPRENDERE L'ESISTENZA

La tradizione teatrale si fonda su una serie di concetti chiave che hanno accompagnato l’intera storia della cultura: personaggio, parti e ruoli, maschere, attore-spettatore, tragedia-commedia, coro. Concetti questi che, ricorrendo spesso anche fuori dal contesto teatrale, possono diventare metafore utili a comprendere altri fenomeni dell’esistenza. Il Teatro e le sue metodologie, quindi, possono essere utilizzate come strumento d’analisi, per meglio comprendere le relazioni tra esseri umani e il loro rapporto con la realtà. «Tutto il mondo è un teatro e tutti gli uomini e le donne non sono che attori: essi hanno le loro uscite e le loro entrate; e una stessa persona, nella sua vita, rappresenta diverse parti», scriveva Shakespeare in Come vi piace.


TEATRO ESTETICO

Preso nel suo insieme, il teatro sociale si affianca, o talvolta sostituisce, il “teatro estetico” che include i teatri d’arte, sperimentali, accademici e commerciali. Fino agli anni Settanta del secolo scorso, era il teatro estetico ad essere dominante. In questi teatri, venivano speso presentate e dibattute questioni di rilevanza sociale; venivano sperimentati nuove modalità di approccio a realtà sociali ed individuali; venivano proposte al pubblico nuove forme espressive. Inoltre, quel pubblico era eterogeneo, formato da persone provenienti da diverse classi sociali, con diverse religioni, usi e ideali. Persino dopo l’avvento del cinema e nei primi decenni della televisione (ma prima di internet), il teatro continuava ad essere uno dei maggiori forum del dibattito pubblico.  


​TEATRO SOCIALE

​Tuttavia, durante gli anni Sessanta, il teatro estetico cominciò perdere il suo predominio. Questo effetto non era solo riscontrabile nel teatro commerciale, che mirava ad un pubblico ristretto, benestante e alla ricerca di intrattenimento. Ma anche l’avanguardia cominciò a perdere il suo potere attrattivo e al loro posto, varie tecniche e approcci furono elaborati, approfonditi e portati ad alti livelli di efficacia. E il fallimento della rivoluzione proposta dagli anni Sessanta fu seguita dalla comparsa delle “politiche identitarie”, una frantumazione radicale del “pubblico” come entità singola in numerosi gruppi che raccolgono individui di simile ideologia, religione, genere, orientamento sessuale, razza, nazionalità, etnia, etc. Il teatro smise, così, di esistere come singola entità e al suo posto emersero molti tipi differenti di teatro, tra cui il teatro sociale.


​LAVORARE SU Sè STESSI

​Ma non è solo prerogativa della seconda metà del Novecento lo sviluppo di azioni para teatrali potremmo dire. Infatti, a partire dagli inizi del secolo, gli scambi tra il teatro e le psicoterapie - soprattutto le terapie di gruppo - sono stati costanti e fecondi. Fondamentale l'invenzione della psicoanalisi di Sigmund Freud - che per altro fonda  la sua teoria sul mito teatrale di Edipo - e, la contemporanea, ricerca di Stanislavskij, che puntava al «lavoro dell’attore su sé stesso».

L'uomo si fa complesso, si da importanza ai “moti dell'animo” e le affinità tra il concetto psicoanalitico di «ritorno del rimosso» e quello stanislavskiano di «riviviscenza» sono evidenti. E non deve sorprendere che la psicoterapia -  in particolare la terapia di gruppo  -  si sia rapidamente appropriata di terminologie e tecniche teatrali, per poi adattarle ai propri ambiti di studio. Tanto che all’inizio degli anni Venti, Jacob Levi Moreno, fondatore a Vienna nel 1921 dello Stegreiftheater, teatro di improvvisazione, delinea la tecnica dello psicodramma, con l’obiettivo di favorire la spontaneità degli individui che partecipavano ai suoi laboratori.

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TEATRO SOCIALE

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RELAZIONE E ARTE                                                  ARTE RELAZIONALE                                              NICOLAS BOURRIAUD

9/19/2016

 
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Nicolas Bourriaud | Bienniale di Instanbul , 2019 | Ph Muhsin Akgun


​teoria e curatela 

Nato a Niort nel 1965, fin dagli inizi della sua attività, Bourriaud si è distinto per avere portato avanti con coerenza l’attività teorica e quella curatoriale. Oltre ad aver fondato e diretto, dal 1992, la rivista di arte contemporanea Documents sur l’art, Bourriaud è uno dei critici d’arte europei più popolari grazie al successo e dei suoi tre libri: Estetica relazionale (1998), Postproduction (2002) The Radicant (2009).

In veste di curatore ha organizzato numerose mostre: Traffic, CAPC Bordeaux, 1996; Contacts, Fribourg, 2000; Négociations, CRAC Sète, 2000; Biennale de Lyon, 2005. Ma fondamentale è l’attività svolta per sei anni al Palais de Tokyo, non solo per la qualità delle mostre organizzate, ma per aver sperimentato nuovi modelli di gestione dei musei contemporanei. Dal 2007 è gulbenkian curator per l’arte contemporanea alla Tate Britain di Londra.


​“l’umano è l’interumano”

​Nicolas Bourriaud è il teorico di un'arte che verte sull'universo delle interelazioni umane e del contesto sociale in cui si svolgono, un'arte che, nell'interezza della sua realizzazione, implica la partecipazione del pubblico a cui è destinata, secondo il motto per il quale “l’umano è l’interumano”. 

Un'arte che per queste sue caratteristiche, viene definita arte relazionale, obbediente ad una estetica relazionale, che assume valenza anche sociale e politica.

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approfondimenti
arte relazionale

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ARTE RELAZIONALE | ITALIA
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RELAZIONE E DANZA                                                DANZA DI COMUNITA'                                              ELISA DE LUCA

9/19/2016

 
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Elisa de Luca, insegnante con la passione per il teatro

​Lei è una dei 75 performers che hanno partecipato ad Altissima Povertà. Partitura coreografica ideata da Virgilio Sieni per la città di Torino. Il progetto, curato da La Piattaforma, si ispira al racconto biblico quale indagine sull'umano: un’archeologia del gesto che indaga la natura e l’origine del movimento. Una comunità del gesto con l'intento di creare un luogo dove il corpo si apre a sguardi, vicinanze e sostegni.

Scopriamo adesso, attraverso le parole e le sensazioni di una non professionista, scopo ed esperienze della danza di Virgilio Sieni.

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​intervista


D. Nome | Cognome | Professione 

R. Elisa De Luca. Insegnante

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D. Come hai saputo dell'evento?

R. Ho saputo dell'evento grazie ad un amico che lavora nel settore.


D. La tua idea prima dello spettacolo?


R. Non avevo un'idea ben chiara del progetto e questo, per certi versi mi impauriva e, per altri, mi incuriosiva. Lavorare col corpo è stato sempre un mio "limite".

D. Le prove. Persone, sacrificio, condivisione. Ognuno "dipendeva" dall'altro. Cosa hai imparato umanamente?
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R​. Le prove sono state faticose ma ad ogni incontro costruttive. La coreografia prevedeva un'intimità umana fra i corpi, una solidarietà del movimento che si è raggiunta in modo graduale nel corso degli incontri. Ed è proprio questa solidarietà, questo sostenersi l'un l'altro, che mi hanno colpito profondamente. Oltre ad aver imparato a sentire il mio corpo.
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D. Andare in scena. Quale differenza hai percepito fra il lavoro in sala e l incontro con il pubblico?

R. Chiaramente la percezione dello spettacolo si è amplificata. Intanto siamo passati dal nostro microcosmo di 8 persone ad un macrocosmo formato da 75 performers. La location già suggestiva di suo, nonché la partecipazione di Roberto Cecchetto che con la sua chitarra ha fatto vibrare le fibre di ognuno di noi, hanno fatto il resto. Il pubblico si è piacevolmente lasciato coinvolgere da questa "inusuale" mostra di quadri umani in movimento. E a fine spettacolo mi è sembrato di scorgere più di qualche paio di occhi lucidi..
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D. Che idea avevi della danza e cosa hai scoperto sulla danza di comunità dopo questa esperienza?

R. A dire il vero la danza non è mai stata una mia grande passione, almeno finora. Grazie a questo progetto ho scoperto che dovevo solo imparare a conoscerla, a sentirla. La danza di comunità è una sorta di terapia contro il cinico individualismo di tutti i giorni. È stato molto toccante constatare come persone fino a quel momento sconosciute, iniziassero ad interagire tra loro come se fosse la cosa più naturale del mondo. Il grande senso di umanità creatosi lo porterò sempre dentro di me.

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approfondimenti
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DANZA DI COMUNITA' | ANNA HALPRIN
DANZA DI COMUNITA' | ITALIA
DANZA DI COMUNITA' | FRANCA ZAGATTI

RELAZIONE E ARTE                                                  ARTE RELAZIONALE                                              STORIA

9/19/2016

 


​anni 90

Tema fondamentale della ricerca dell'Arte Relazionale, che si sviluppa nella seconda metà degli anni Novanta, è il rapporto tra arte e vita, sulla base di una analisi di carattere filosofico-esistenziale dell'individuo moderno. L'artista relazionale, abbandonando l'idea della produzione di un qualsiasi oggetto artistico, si concentra sulle possibilità di intervento sulla persona, la propria e quella del fruitore, in un rapporto di reciproche influenze ed interelazioni. L'arte diviene così luogo di incontro, dialogo e confronto in cui l'artista gestisce con metodologie proprie il compiersi della finalità dell'opera. Non è difficile individuare gli avi di questo tipo di arte in correnti quale ad esempio Fluxus, il GRAV o il Gruppo T -  che scriveva accanto alle sue opere in mostra "Si prega di toccare", invitando esplicitamente il visitatore ad un intervento diretto - o in linguaggi espressivi come la Body Art, l'Happening, la Performance ed in genere in tutti i movimenti concettuali dagli anni '60 in poi, come conferma Angela Vettese nel suo Fuga dal quadro,  nei quali lo spettatore viene chiamato alla collaborazione, divenendo esso stesso parte dell'opera attraverso la sua partecipazione attiva.
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L'Arte Relazionale, che ripensa in modo nuovo le figure dell'artista, dell'opera e del pubblico, va alla ricerca dell'origine di una sorta di creatività collettiva che si esprime attraverso pratiche artistiche nuove nei modi, nelle tecniche e nelle finalità, per la quale non è importante l'opera, ma la sua motivazione, la processualità attraverso la quale si compie, in una "zona di confine indistinta tra io e noi" come la definisce Carolyn Christov-Bakargiev, dove la "relazionalità" introduce la "necessità" della collaborazione artista-fruitore.

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Ripensare il rapporto fra artista e spettatore

Il critico e curatore francese Nicolas Bourriaud ha contribuito alla codificazione di questo tipo di arte. Negli ultimi anni il suo testo Estetica Relazionale (1998) è stato oggetto di grande interesse da parte di importanti riviste del settore come October o Third Text e di un pubblico sia appassionato che generico. Grazie alla diretta collaborazione con vari artisti, Bourriaud è stato in grado di riconoscere ed evidenziare i caratteri peculiari che accomunano le loro opere senza definirne uno stile univoco ma piuttosto un orizzonte teorico nuovo rispetto al passato.
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Alle pratiche di numerosi artisti contemporanei  - tra i quali Félix González-Torres, Rirkrit Tiravanija, Philippe Parreno, Liam Gillick, Carsten Höller, Oreste - che definisce operatori di segni o semionauti, il critico dedica l'ultimo capitolo del suo saggio leggendoli alla luce della riflessione filosofica del francese Félix Guattari sull'estetica e sull'arte. Guattari, parla dell'arte in relazione alla vita nella sua totalità, partendo dalla sua pratica professionale di psicoanalista, riconoscendo, nella sua esperienza, il ruolo dell'arte come elemento terapeutico, utile a stimolare positivamente la soggettività per liberarla dall'alienazione e omologazione tipiche della realtà capitalistica. Nel mondo contemporaneo, caratterizzato dalla comunicazione di massa e dalla progressiva omologazione della tipologia dei rapporti interpersonali ed economici, l'opera relazionale svolge la funzione di interstizio, uno spazio in cui si creano alternative di vita possibili.

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approfondimenti
arte relazionale

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ARTE RELAZIONALE | NICOLAS BOURRIAUD
ARTE RELAZIONELE | ITALIA
ARTE RELAZIONALE CARATTERISTICHE
ARTE RELAZIONALE | TORINO

RELAZIONE E DANZA                                                DANZA DI COMUNITA'                                              ITALIA

9/19/2016

 
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ALTISSIMA POVERTA' | Virgilio Sieni, 2016


​democratizzare la danza

Oggi sono molti i professionisti e i centri che lavorano nell'ambito della danza di Comunità, portando avanti un’idea di danza come arte intrecciata alla vita, vicino alla gente, alla società. Modello operativo di matrice anglosassone, in questi anni si sta espandendo anche in Italia. 

Nel Novecento, la danza di comunità, afferma Franca Zagatti nel suo libro Persone che Danzano, si impone come un’arte strettamente intrecciata al quotidiano, ponendo così le basi per una “visione plurale ed inclusiva della danza intesa come strumento di condivisione e integrazione sociale connotato da un agire creativo alla portata di tutti indipendentemente dall’età, dalle possibilità, dalle diverse abilità e conoscenze”.

Sta a noi oggi, continua, portare avanti un progetto di democratizzazione della danza, arte che è e deve essere “per tutti e per ognuno”, rispondendo concretamente alle esigenze e ai bisogni della società contemporanea. 
Coloro che partecipano a questi eventi, laboratori o performance, ci dice Alessandro Pontremoli, magari non danzeranno mai più, ma diventeranno sicuramente un pubblico per la danza, perché aver fatto esperienza diretta aiuta a capire dall’interno ciò che si vedrà successivamente.
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anni 10

Nella costellazione della danza italiana, e specificatamente nella Danza di Comunità sono tre i centri in cui la dance community si è istituzionalizzata. Rovereto, con Luca Silvestrini al Centro Internazionale per la Danza di Rovereto. Bologna, grazie al lavoro e alle ricerche della già citata Franca Zagatti, con i laboratori della sua Danza Educazione e Società. Firenze, con la fondazione da parte del coreografo Virgilio Sieni de L’Accademia sull’Arte del gesto.
​Aldilà dei centri maggiori, negli ultimi anni si è assistito ad una proliferazione che coinvolge tanto il nord quanto il sud della nostra penisola.

Nel giugno del 2013, ad esempio, alla Biennale College di Venezia, all'Arsenale, un gruppo di madri danzava con i propri figli. Al teatro La fenice, invece, quattro merlettaie di Burano mettevano in danza il proprio lavoro. In chiusura della Biennale College,  coordinata dal direttore Virgilio Sieni, tutti i partecipanti ai numerosi eventi si esibivano in un rito collettivo. Al Festival Bolzano Danza, nell’estate del 2013, il pubblico ballava il Sacre du Printemps di Stravinsky ascoltando in cuffia la musica e le indicazioni del coreografo Olivier Dubois.

Nel 2014, alla Biennale di Venezia, Virgilio Sieni metteva in scena il suo Vangelo secondo Matteo, articolato in 27 quadri, composto da gruppi amatoriali provenienti da tutta Italia, e il  quadro delle Beatitudini vedeva protagoniste quattro anziane raccoglitrici di pomodori in un tripudio di rosso. Nel Dicembre 2014, prima a Vienna e poi a Catania, nello spettacolo Oratorio per Eva, il coreografo Roberto Zappalà metteva in movimento “dieci corpi in transito” rigorosamente non professionisti.
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Nel 2015, al Bolzano Festival il coreografo Olivier Dubois per il suo Les mémoires d’un seigneur, coinvolgeva quaranta amatori per la messa in scena.

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APPROFONDIMENTI
DANZA DI COMUNITA'

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DANZA DI COMUNITA' | ORIGINI
DANZA DI COMNITA' | ANNA HALPRIN
DANZA DI COMUNITA' | LUCA SILVESTRINI
DANZA DI COMUNITA' | FRANZA ZAGATTI

RELAZIONE E TEATRO                                              TEATRO SOCIALE                                                  CARATTERISTICHE

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​OSSERVARE


​Il teatro è sempre stato un’arte sociale, a differenza, per esempio, della pittura e della scultura. Un quadro o una scultura esistono indipendentemente da chi li guarda in quanto oggetti e opere. Al contrario, uno spettacolo senza pubblico non può esistere, perdendo di senso. A questo proposito è Claudio Meldolesi - in Il lavoro del dramaturg. Nel teatro dei testi con le ruote - che conferma che «l’azione teatrale proviene dalla mente […] ma con modalità collettive anziché individualizzatrici, controllabili anziché dominatrici, coinvolgenti anziché introverse, portatrici di arricchimento affettivo e artistico». 
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​«Potremmo avanzare l’ipotesi, continua Marco De Marinis, ne Il teatro dell’altro. Interculturalismo e transculturalismo nella scena contemporanea che, all’origine tanto dell’antropologia quanto del teatro moderno, ci siano un Io e un Altro e la relazione degli sguardi che li lega. A teatro (…) lo spettatore rappresenta l’osservante primario, pur essendo nello stesso tempo l’osservato: anche l’attore infatti guarda lo spettatore, e lo guarda con quello stesso miscuglio di curiosità, diffidenza e sorpresa che è intrinsecamente alla base di ogni relazione con l’altro e della fascinazione che la sostanzia.»
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​azioni

Il teatro sociale mette in azione e in rel-azione tre comunità:
 
quella di chi crea e realizza lo spettacolo (che coinvolge una pluralità di soggetti «creatori»); 
quella di chi assiste allo spettacolo (il pubblico), che si fonde in una comunità più ampia con gli operaratori; 
quella della società che ospita lo spettacolo, il territorio nel suo complesso.


Non trovando il suo punto di forza nell’intrattenimento, nel divertimento o nell’evasione, e non esaurendosi nell’evento spettacolare, il Teatro sociale si rivolge prima di tutto a chi lo pratica.  Ed il Gruppo che si verrà a creare avrà come obbiettivi:

il superamento della rigidità e delle inibizioni; 
la sensibilizzazione alla consapevolezza di sé stessi e della propria capacità di azione; 
la semplificazione delle relazioni interpersonali e di gruppo; 
lo sviluppo delle capacità espressive nonché della creatività individuale e collettiva (fisico-gestuale o sonoro-verbale); 

l’integrazione del singolo nel gruppo, e del gruppo nel corpo sociale.
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APPROFONDIMENTI

TEATRO SOCIALE

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TEATRO SOCIALE | TECNICHE
TEATRO SOCIALE | OPERATORE
TEATRO SOCIALE | TIPOLOGIE
PSICODRAMMA | PLAYBACK THEATRE | GESTALT THERAPY

RELAZIONE E ARTE                                                    ARTE RELAZIONALE                                              ITALIA

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Progetto Oreste (1997-2001) | Copertine dei libri pubblicati


​FRA 80 E 90

​Il primo esempio italiano di arte relazionale si incontra alla fine degli anni Ottanta con le ricerche e le azioni di Cesare Pietroiusti. Con la mostra Forme di relazione a cura del critico Roberto Pinto, il concetto di relazione entra a far parte di innumerevoli ricerche successive che si addensano e si sperimentano intorno al Progetto Oreste. 

Nell'ottobre 1993, a Orzinuovi, in provincia di Brescia, Roberto Pinto invitò alla mostra: Piero Almeoni, Maurizio Donzelli, Emilio Fantin, Eva Marisaldi, Premiata Ditta (Vincenzo Chiarandà e Anna Stuart Tovini), Luca Quartana e Tommaso Tozzi. Per l'occasione fu pubblicato un piccolo catalogo con il titolo Forme di relazione edito a Milano dalle Edizioni Millelire.

Sul finire degli anni novanta, altri due artisti, Massimo Silvano Galli e Michele Stasi, inaugurano, con l'agenzia Oficina - Making Reality, un'intensa stagione di riflessioni, progetti e opere d'arte relazionale direttamente immersi nel tessuto dell'intervento socio-culturale. Tra le tante, citiamo Cento Anni di Adolescenza, un articolato progetto finanziato dal Comune di Milano che, dal 2001 al 2005, in collaborazione con l'Università degli studi di Milano-Bicocca, che ha cinvolto oltre 2500 adolescenti nella creazione del proprio autoritratto.


​ORESTE

​Il Progetto collettivo Oreste riunisce un numero variabile di artisti visivi, critici, letterati, intellettuali e operatori, in prevalenza sparsi sul territorio italiano, che scelsero di incontrarsi periodicamente non per produrre manufatti artistici collettivi o per promuovere carriere artistiche individuali, ma per lavorare, insieme, alla creazione di spazi per lo scambio di idee, progetti, conferenze, proiezioni, tavole rotonde, incontri informali. Programmi di residenza, riviste culturali, eventi artistici non erano limitati solo all'ambito delle arti visive. Oreste Zero, Oreste Uno e via enumerando, sono state le denominazioni dei principali incontri e convivi, svoltisi in vari luoghi, attraverso cui il progetto prese forma.
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​Oreste mette in pratica la volontà condivisa da alcuni artisti di provare a mettere da parte le proprie individuali creazioni artistiche per concentrarsi sull'organizzazione e promozione di eventi dedicati all'interscambio di idee tra i vari settori della cultura contemporanea. Per questo tipo di attitudine venne coniato il termine di "arte relazionale", anche in risposta a una situazione di mercato artistico stagnante diffusasi a livello nazionale nel corso degli anni '90. 

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​L'arco cronologico in cui Oreste si sviluppa va dal 1997 al 2001; successivamente, esaurendosi la sua funzione aggregante in un momento di crisi del mercato, il Progetto si dissolve spontaneamente in una serie di iniziative artistiche e culturali sul territorio italiano, sotto differenti denominazioni. L'eredità di Oreste – le idee e le amicizie nate dai suoi incontri e interscambi – dura ancora oggi, fino a diventare un esempio di nuova progettualità. Un caso emblematico si può considerare quello del progetto denominato Lu Cafausu e della conseguente "Festa dei vivi (che riflettono sulla morte)", che vede come artisti ideatori proprio alcuni dei più attivi e fondanti della esperienza di
Oreste.
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​Curiosità

​Il nome "Oreste" venne scelto a caso da un gallerista nel 1997 durante una delle prime riunioni dei fondatori del Progetto; "Oreste" non rappresenta nient'altro che un nominativo qualsiasi e la decisione di adottarlo si può paragonare alla scelta di un nome per un bambino che stia per nascere. Nel 1999 il critico svizzero Harald Szeemann, nominato direttore della 48. Biennale di Venezia, sezione Arti Visive, invitò Oreste a prendere parte alla mostra intitolata dAPERTutto all'interno del Padiglione Italia ai Giardini di Castello, con una sala intera dedicata all'organizzazione di eventi e incontri a rotazione.

In quella occasione (10 giugno - 7 novembre 1999) Oreste diede vita a circa un centinaio di eventi artistici per un pubblico di migliaia di persone (alcuni tra gli eventi: New Spaces for Contemporary Art; Multimedia Communication of Contemporary Art; Human Tunnel; Connection with 
Oreste Due; OresteCinema; Urban Stickers; Connection with the conference Piacere, Picasso! ecc.) e più di 500 persone da tutto il mondo presero parte attiva allo svolgimento del Progetto. Lo stesso Harald Szeemann, a cui venne confermato l'incarico di dirigere anche la successiva edizione della Biennale di Venezia - la 49. Biennale Internazionale d'Arte 2001​ - scelse di focalizzare la mostra in modo specifico sull'arte relazionale, ritenendo questa tendenza ormai diffusa, affermata e rappresentativa sul piano internazionale. 

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APPROFONDIMENTI
ARTE RELAZIONALE

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ARTE RELAZIONALE | STORIA
ARTE RELAZIONALE | ITALIA
ARTE RELAZIONALE NICOLAS BOURRIAUD
ARTE RELAZIONALE CARATTERISTICHE

RELAZIONE E TEATRO                                              TEATRO SOCIALE                                                  PSICODRAMMA | PLAYBACK | GESTALT THERAPY

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​PSICODRAMMA

Lo Psicodramma è un metodo psicoterapeutico che appartiene all'ambito delle terapie di gruppo, ideato da Jacob Levi Moreno nel 1921. Nello psicodramma, il soggetto si trova a ripetere in forma teatrale (e dunque a rivivere) un avvenimento del passato particolarmente traumatico, interpretando (attraverso l’improvvisazione) possibili varianti, per prepararsi ad affrontare situazioni analoghe in futuro. Un uditorio fa da eco al protagonista, manifestando le proprie emozioni di fronte alle vicende rappresentate. Moreno riprende, insomma, il concetto di acting out di Freud, Proponendo un'azione che inconsciamente diminuisce le tensioni interne, scaricando impulsi tenuti a freno e contenuti rimossi. 


In Europa lo psicodramma si è evoluto grazie ad un gruppo di psicoanalisti francesi (D. Anzieu e successivamente P.e G. Lemoine e altri), che lo hanno arricchito della teoria e delle tecniche psicoanalitiche, influenzate da Lacan, e delle elaborazioni, alla versione classica, di Gretel Leutz e Anne Ancelin Schutzenberger. Lo psicodramma psicoanalitico in Francia è utilizzato sia in setting individuale (G.Bayle, I.Salem, Ph Jeammet, J.J.Baranes e altri), sia in modalità di gruppo (i già citati D.Anzieu, Lemoine, e S.Lebovici, R.Kaes e altri).

​ Psicodramma Psicoanalitico

​In Italia, attualmente esistono vari tipi di Psicodramma, con differenti regole e modalità esecutive-interpretative. Nello Psicodramma Psicoanalitico o Analitico (Luisa Mele, Elena Benedetta Croce e altri) prevale la dimensione verbale e interpretativa e l'azione scenica o corporea è limitata rispetto alla parola. Anche psicoanalisti come Musatti e Fornari si sono cimentati in un setting di psicodramma formato da un gruppo di psicologi al servizio di un solo paziente. Lo psicodramma classico, o "moreniano" è stato introdotto a Milano e nel nord Italia da Giovanni Boria e a Torino dal suo allievo Marco Greco. A Roma, Ottavio Rosati, oltre a curare la traduzione italiana dei tre volumi dell'opera base di Moreno "Psychodrama" e di testi di Leutz, Anzieu, Yablonsky, ha introdotto la tecnica di Moreno nel mondo del teatro realizzando col Teatro Stabile di Roma e di Torino il primo psicodramma e il primo sociodramma tenuti su un palcoscenico italiano.

Nello psicodramma a orientamento dinamico l'acting out teatrale e l'interazione scenica e fisica nel gruppo mantengono l'importanza stabilita da J. L. Moreno anche se basati su una attenta lettura analitica e dinamica dei fenomeni di gruppo. Un primato storico italiano nella storia dello psicodramma è la realizzazione del programma televisivo di O. Rosati Da Storia nasce Storia che mette in pratica l'invito moreniano che negli anni Cinquanta spingeva per far dialogare le tecniche attive di gruppo con i mass media di radio, cinema e televisione.

Per Psicodramma Analitico 
si può intendere quello di derivazione Junghiana ma anche quello psicoanalitico, Freudiano, chiamato analitico per brevità e per uso corrente.
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Playback Theatre E Gestalt Therapy
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​Il Playback Theatre è una forma di improvvisazione teatrale nata intorno alla metà degli anni Settanta negli USA e poi diffusa anche in Europa, in cui il soggetto narra un momento della propria storia personale, sceglie nel gruppo gli attori destinati a impersonare i vari personaggi e vede la sua storia ricreata in forma teatrale. 
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La Gestalt Therapy, messa a punto da Fritz Perls (che in gioventù, a Berlino, era stato anche attore in spettacoli diretti da Max Reinhardt), utilizza diverse tecniche teatrali, con particolare attenzione alla comunicazione non verbale. Una delle tecniche utilizzate per esplorare i rapporto dell’individuo con sé stesso e con gli altri è quella della sedia vuota. Il soggetto si rivolge a una sedia vuota, come se vi fosse seduta una persona e può anche ricreare conversazioni tra due o più persone per lui significative.  

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RELAZIONE E TEATRO                                              TEATRO SOCIALE                                            OPERATORE

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RIATTIVARE
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Le pratiche di teatro sociale e di comunità hanno l’obiettivo di "animare" - o meglio di riattivare, parafrasando Claudio Meldolesi - in situazioni di difficoltà e disagio, e in generale di intervenire in una condizione di rigidità e chiusura individuale e/o collettiva. Tali chiusure che possono provenire dalla difficoltà nel rapporto con sé stessi, con gli altri o l'ambiente esterno, contribuiscono, secondo il paradigma di C. R. Rogers, a irrigidire la struttura psichica e le relazioni interpersonali. Se l’adattamento del sé all'ambiente non simbolizza in maniera corretta l’esperienza (soprattutto le esperienze stressanti e dolorose), l’individuo si sente minacciato e tende a irrigidirsi caratterialmente. Un fenomeno analogo accade con i gruppi e le collettività che si sentono minacciate. E l'obiettivo delle «animazioni» consiste, proprio, nell'ammorbidire queste rigidità, cercando di appianare il più possibile la distanza tra attore e spettatore, tra persona e personaggio. 
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Il compito di «riattivare» viene assunto dalla figura dell’operatore che recupera molte delle funzioni del regista e del drammaturgo, ampliandole. Ed il riconoscimento del ruolo degli operatori è un passaggio cruciale: obbliga tutte le parti coinvolte a «mettersi alla prova» nel rapporto reciproco, ridefinendo costantemente aspettative, obiettivi e atteggiamento. Alle competenze teatrali, l’operatore può (o dovrebbe) accostare quelle dello psicoterapeuta, del fisioterapista, del sociologo e dell’antropologo, oltre che quelle dell’educatore. A seconda dei casi, l’operatore lavora da solo, in coppia, o fa parte di un gruppo più articolato (che può coincidere con una compagnia o gruppo teatrale).


​GRUPPO E OPERATORE

​Il percorso di lavoro coinvolge inizialmente due poli, e in genere due gruppi: i destinatari dell’intervento (e dunque in genere persone che vivono una situazione di disagio) e gli operatori che hanno il compito di riattivarli. Il percorso comune degli operatori e del gruppo è l’incontro tra due differenze: l’alterità degli operatori, ovvero dei teatranti professionisti; l’alterità dei componenti del gruppo in cui intervengono i mediatori. 
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​Il punto fondamentale di queste esperienze non è la specificità del gruppo con cui si lavora, come afferma Marc Klein, ne I teatri dell’altro, ma l’incontro di due fragilità, la nostra e quella delle persone con cui si entra in contatto.

Il teatro sociale comprende l’apprendimento delle convenzioni e dei comportamenti degli spazi e delle comunità in cui un progetto si sviluppa. Ad esempio, gli operatori teatrali svolgono una ricerca sulle politiche criminologiche e di riabilitazione dei detenuti prima di lavorare in un penitenziario. L’artista approfondisce i bisogni dei giovani disabili prima di cominciare un progetto. Lo scrittore indaga sull’AIDS/HIV per creare la piéce educativa per i suoi studenti partecipanti. Condurre laboratori per studenti con disabilità fisiche necessita una comprensione complessa dei bisogni del gruppo e chiarezza riguardo alle condizioni necessarie dei progetti teatrali. E questo processo deve sfociare in una performance, considerata come l’interazione tra due distinti campi e ottenerla non palesa un facile equilibrio, ma è il prodotto di un flusso continuamente rinegoziato tra i differenti campi.

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​UNA SOCIALITà DIVERSA

All'interno dell'arte relazionale rientrano tutte quelle espressioni artistiche che, a partire dagli anni Novanta del Novecento, si manifestano attraverso le nozioni di interattività, convivialità e che favoriscono le relazioni tra individui. Lo scopo di quest'arte è quello di sostenere modelli d'esistenza aggreganti e di creare nuovi luoghi di socialità. Rispetto all'opera d'arte tradizionale che è osservabile in qualsiasi momento da un pubblico generale e universale, l'opera d'arte relazionale deve essere fruita in un momento preciso e da un pubblico chiamato per l'occasione.
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L'artista relazionale pertanto abbandona la produzione di oggetti tipicamente estetici, si adopera per creare dispositivi in grado di attivare la creatività dei partecipanti trasformando l'oggetto d'arte in un luogo di dialogo, confronto e, appunto, di relazione in cui perde importanza l'opera finale e assume centralità il processo, la scoperta dell'altro, l'incontro.

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IMPROVVISAZIONE
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​Altre caratteristiche sono l'improvvisazione e la messa in scena in tempo reale: nella mostra Traffic (Bordeaux, 1995) gli artisti potevano intervenire per tutta la durata dell'esibizione per modificare l'opera, cambiarne la disposizione trasformando nel frattempo la mostra stessa.

​Questi processi collaborativi hanno coinvolto, in quella che P. Parreno definisce "l'estetica dell'alleanza", artisti come P. Huyghe, Liam Gillick, Dominique Gonzalez-Foerster, Angela Bulloch, Carsten Höller, Rirkrit Tiravanija, Douglas Gordon.

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RELAZIONE E DANZA                                                DANZA DI COMUNITA'                                              ORIGINI E SCOPI

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DIMORE | Luca Silvestrini, 2012


​unire interno ed esterno

Le origini della danza di comunità si barcamenano fra Europa e Stati Uniti. In Europa, all’inizio del Novecento, importantissimo è stato Rudolf Laban. Padre della danza contemporanea con i suoi seguaci di Monte Verità fra professionisti e non, Laban intendeva mettere in relazione la dimensione interiore con quella esteriore dell'individuo attraverso esperienze di tipo rituale. Convinto che ogni uomo è un danzatore, Laban era certo che tutti possono fare esperienza della danza. Il filone americano è, invece, legato al post modern degli Anni ‘60. La californiana Anna Halprin, una pioniera, lavorava con malati di cancro e di Aids e i suoi laboratori coinvolgevano gruppi di neri, femministe, omosessuali: le minoranze.


​fra etica ed estetica

Tanto tempo è passato e negli ultimi vent'anni, la Danza di Comunità è uscita dalla dimensione laboratoriale assecondando l'insistente domanda di teatro all’interno della nostra società. Sintomo, come afferma Alessandro Pontremoli - docente di Storia della Danza al Dams di Torino e autore nel libro Elementi di teatro educativo, sociale e di comunità - di un’istanza radicale di comunicazione e di relazione.

Insomma, i riti di passaggio, i momenti che sancivano il cambio di status e la progressiva introduzione nella realtà presenti nelle società antiche, venendo a mancare nelle comunità odierne, producono nell'uomo di oggi un intenso desiderio di rappresentazione di sé. Un’esigenza legittima, che spesso non trova luoghi adeguati e protetti sfociando in un enorme disagio che conduce alla contrapposizione, al conflitto, al dramma sociale.

​E la rimozione del dis
-agio e del mal-essere, fin dalla radice, presuppone un paradigma non solo etico, ma anche e soprattutto estetico. E riattivare la comunicazione teatrale, sia come premessa per la creazione di una reale comunità che come conseguenza della vita di una comunità in atto, risponde a questa profonda esigenza di relazione.
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​migliorare le relazioni

Per questo alla base della Danza di Comunità, c’è il coinvolgimento di non professionisti e l’individuazione di una gestualità che sia ‘naturale’, spontanea, conosciuta e non costruita. Il lavoro del coreografo è, quindi, di tipo maieutico e costruttivo, atto a scoprire, o far emergere, gesti, movimenti, passi già presenti nell'individuo.

Attraverso il movimento creativo, la danza di comunità, si propone di trovare nel corpo uno strumento immediato per migliorare le relazioni interpersonali, assicurando il riconoscimento del sé, del gruppo e la valorizzazione culturale della comunità agendo nei contesti di emergenza, disagio, educazione ed interculturalità. 

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​approfondimenti
danza di comunita'


DANZA DI COMUNITA' | ITALIA
DANZA DI COMUNITA' | FRANCA ZAGATTI
DANZA DI COMUNITA' | LUCA SILVESTRINI
DANZA DI COMUNITA' | ELISA DE LUCA

RELAZIONE E TEATRO                                              TEATRO SOCIALE                                                  ITALIA

9/19/2016

 


FRA ARTE E SOCIALE


Le esperienze di alcuni artisti italiani che operano nell’ambito della ricerca teatrale e che hanno scelto di lavorare con cittadini o con persone in particolari condizioni di disagio, affrontando le differenze - termine essenziale per il teatro in generale, ma ancor più per quello sociale - hanno creato contagi e sinergie, sfociati in felici osmosi tra teatro d’arte e teatro sociale. Dando vita, così, ad un orizzonte ricco di incontri tra arte, teatro e socialità.
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Vicino al teatro di ricerca, sia nello sviluppo sia nelle diversificazioni metodologico/creative, il teatro sociale partecipa ai processi di rinnovamento dei linguaggi e delle tecniche. E negli ultimi anni, la pubblicazione di saggi di metodologia teatrale, la nascita di numerose compagnie sul territorio nazionale, la complementarietà diffusa del fare/insegnare teatro, accanto a un significativo movimento delle scienze sociali, hanno contribuito all'espansione dell’esperienza teatrale fuori dai teatri.

​Questo ha favorito il progressivo affermarsi non solo di nuovi ambiti di intervento – quali la cooperazione internazionale, la promozione della salute e dell’ambiente, lo sviluppo di comunità territoriali, il benessere organizzativo, interventi con anziani e donne - ma di nuove forme organizzative e giuridiche, di nuove metodologie di intervento. Pianificando – per la prima volta in Europa – percorsi riconosciuti anche a livello universitario di formazione degli operatori di teatro sociale. Quest'ultimo ha ottenuto un prestigioso riconoscimento internazionale dall’Unione Europea con l’assegnazione del primo premio del bando Cultura 2011, assegnato ad un progetto italiano. 


​RI_MAPPARE IL TEATRO

Per quanto riguarda la situazione italiana, l'ultima mappatura del teatro sociale risale a circa dieci anni fa. Il primo Censimento - realizzato da ETI (Ente Teatrale Italiano), dalla rivista Catarsi-Teatri delle diversità, dall'Università di Urbino, da ENEA, e dalla Cooperativa teatrale Diverse abilità - non può essere esaustivO dei cambiamenti che si sono susseguiti proprio in questa decade. 
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Risulta urgente una nuova indagine - come si augura l'Associazione Ateatro - non solo per la conoscenza in sé del fenomeno e per porre a confronto realtà anche distanti (geograficamente, e per poetiche e percorsi formativi), ma anche per agevolare la nascita di reti tra operatori (come si è verificato di recente per il Coordinamento Nazionale Teatro in Carcere) o Protocolli d’Intesa (come già accaduto per il Teatro in Carcere con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e l’Istituto Superiore di Studi Penitenziari), sinergie tra professionisti, gruppi ed esperienze.


Una nuova mappatura dovrebbe, infine, servire a informare e coinvolgere enti pubblici nazionali e locali, promuovere una maggiore attenzione nei confronti delle esigenze degli operatori, dei cittadini e delle comunità coinvolte poiché la questione della trasversalità della cultura nel costruire innovazione sociale è una delle linee guida più urgenti per i prossimi anni in Italia, e come appare anche dalle stesse nuove indicazioni della progettazione europea. 

gb 
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APPROFONDIMENTI
TEATRO SOCIALE

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TEATRO SOCIALE | STORIA
TEATRO SOCIALE | TIPOLOGIE
TEATRO SOCIALE CARATTERISTICHE
TEATRO SOCIALE | TECNICHE

Editoriale | RelAzione (?)

9/19/2016

 
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Le relazioni sono affare spinoso e doloroso e ci riguardano tutti da vicino. Non è un caso che dopo la strada, istintivamente, si sia pensato alla relazione come comun denominatore di questo secondo numero. Se nella strada si respira aria di libertà creativa, quest'atmosfera non può prescindere dalle relazioni che vi si intrecciano. E se la strada è il luogo di un'arte genuina, le relazioni che vi si creano non sono passate al vaglio dell'utilità, bensì dell'aggregazione spontanea, della com-prensione e dell'empatia. Ovviamente quando non ci lasciamo sopraffare da pregiudizi, diffidenza e paure, il meglio che possiamo regalare a noi stessi e agli altri è un comportamento assertivo, direbbero i sociologi. 

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​Però in tutto questo parlare, nel marasma di slogan progettuali, nell'accozzaglia di ideali che si promuovono, nelle cartine di reti che si millantano, sembra che i valori che vogliono promuoversi restino soltanto parole. Le si rendono vuote quando diventano di moda o una semplice prassi. Tutti sanno che molte programmazioni seguono e devono seguire le direttive europee, e pur di avere i finanziamenti, non sembra brutale pensarlo, i progetti si imbevono delle parole che la Comunità vuole leggere. Questo, che è un dato di fatto, non presuppone l'assimilazione dei valori propugnati. In sostanza non è una necessità istintiva quella relazionale oggi, ma piuttosto indotta. Bisogna lavorare certo, e questo porta, chi vuol vivere d'arte, di danza o di teatro, a fare dei compromessi enormi con la propria vocazione, demandandola a questa o quella voce. Tanto, e di questo la quotidianità c'è ne dà testimonianza, che si perde il valore dell'arte e si da importanza al mercato. Il fare artistico si fa prassi, come qualsiasi altra occupazione. Non ultimo gli occhi dei critici e degli studiosi, che possono ingigantire e abbellire e dotare di (più senso) alcune pratiche.

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Quindi quanto incidono gli ideali di un progetto, che è sempre un sogno negli occhi dell'artista, nelle persone coinvolte, per esempio dopo un mese? E quanti degli artisti relazionali, fra arte, danza e teatro si lasciano trasformare, veramente e in profondità, dai loro stessi ideali? Perché pensare che "ci vorrebbe la pace nel mondo" è una cosa, dirlo per lavoro, un'altra. Comprenderne il vero significato, comporterebbe una modifica nel comportamento individuale, del soggetto e del promotore. Insomma gli ideali non durano il tempo di uno spettacolo e non si esauriscono nel periodo di messa d'insieme. Infine gli artisti, gli operatori, i direttori e tutti coloro che lavorano nel mondo dell'arte e della cultura in generale, nella loro vita di tutti i giorni come tratterebbero uno sconosciuto, o meglio un membro della loro comunità, come dicono i relazionali?

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Ricordo che tanti anni fa, nell'intervistare degli artisti che operavano all'interno delle carceri milanesi, il giorno che ci siamo accordati per entrare insieme in carcere, al bar, mentre si erano chiamati in rassegna tutti i partecipanti, questi avevano dato sfogo ad un egocentrismo di gruppo, che pensai spropositato, per me che all'epoca iniziavo le prime collaborazioni. Bene, ricordo ancora adesso, quando la promotrice, sempre al bar e dopo che io assecondavo non con molta voglia i loro titoli e i loro successi - aspettando di entrare e rendermi conto sul campo del lavoro svolto con le detenute, per trarre le mie conclusioni - scuotendo la testa mi disse: "Noi entriamo, tu non entri"! Alla faccia dell'inclusione, della comprensione e dell'empatia, pensai (io avevo all'incirca 26 anni, loro superavano i 40). Questo è solo uno degli esempi che si possono fare quando abbiamo a che fare con grandi parole quali inclusione, relazione, amore per l'altro, comunità. Parole che spesso, non corrispondono ai fatti!

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Questo sproloquio, oltre ad annoiare, tradisce una consapevolezza di base, triste e dolorosissima, ovvero l'incapacità odierna di avere delle relazioni sane, non filtrate da interesse, personale o professionale. Nella perdita dell'uso del linguaggio, il vettore principale attraverso cui il soggetto esprime sé stesso, vi è la mancanza totale del saper relazionarsi. E l'arte ha sempre avuto il potere di esternare le mancanze e le perdite. E' stata sempre in grado di ridare valore all'umano, di esaltarlo. Per questo si è scelto l'arte relazionale, per poter comprendere meglio cosa, attraverso il fare artistico, manca a noi uomini d'oggi, stipati nei nostri buncker con le reti wi-fi, ingabbiati in sentimenti elettrificati, tenuti in vita da cuori freddi come schede madri. Non resta che auguraci di migliorare concedendo all'arte quel potere salvifico di cui è intrisa e che troppo spesso dimentichiamo. 

gb

STRADA E DANZA                                                      STREET DANCE                                                    TORINO

9/5/2016

 


​DANZA URBANA

A Torino lo spazio dedicato alla street dance comunemente intesa, riguarda soprattutto il periodo estivo con suoi festival dedicati e eventi sparsi sul territorio, e il luogo di socializzazione urbana che nell'ex capitale italiana si posiziona al lato destro del Teatro Regio. Ma Torino ha una cultura di danza storica, ed è proprio questo amore per la danza e il suo significato, che Istituzioni ed operatori, negli ultimi decenni, in linea con le innovazioni contemporanee, hanno portato l'arte di Tersicore fuori dai teatri.

​Giardini, palazzi storici, residenze sabaude, case private, piazze, musei sono i nuovi "contenitori" con cui affiliare pubblico, sensibilizzare lo spettatore, aprire alla conoscenza della danza contemporanea. Eccone alcune.


​INTERPLAY FESTIVAL

Da sedici anni il festival Iterplay (fine maggio), per la direzione di Natalia Casorati, Mosaicodanza, si focalizza sulla danza contemporanea, soprattutto quella emergente, e ogni anno offre un spazio alla danza urbana I Blitz Metropolitani, a cui si dedica un'intera giornata, si svolgono solitamente nel centro cittadino, particolarmente nella zona di Piazza Vittorio o, a seconda degli anni, ai Murazzi del Po, con qualche incursione anche al MEF - Museo Ettore Fico.
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​  EDIZIONE 2014

ASSAF | FRIDMAN
SERUSSI | DAAE
NARDIN | PEREGO | MK
ALBANESE | FONG | BRONSARD

​  EDIZIONE 2013

FOSCARINI | NARDIN | D'AGOSTIN
CUENCA\LAURO | SCIARRONI
BLITZ METROPOLITANI
GALLI | TORTA | D'ANNA


​TEATRO A CORTE

Promosso dalla Fondazione TPE, direzione Beppe Navello, il festival Teatro a Corte ogni estate (luglio) raccoglie il meglio dell’innovazione teatrale europea nei campi della danza, del nouveau cirque, dell’acrobatica, della clownerie.

​Nato nel 2007 con l’obiettivo primario di far incontrare la creatività contemporanea dello spettacolo dal vivo con il patrimonio storico - architettonico rappresentato dal circuito delle Residenze Sabaude del Piemonte, offre una finestra privilegiata sulla danza contemporanea dislocandola in spazi non tipicamente "consueti".
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  EDIZIONE 2013

STEUR | MOHOVICH | ZEROGRAMMI
TRAFELI\VARGA | FRISCH | STETS
BROEDER | 1927 | LEVI

​  EDIZIONE 2012

JEANNE MORDOJ
LUCA SILVESTRINI
CLAIRE CUNNINGHAM
CIRCO CENTRIQUE


​​NATURA IN MOVIMENTO
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​Natura in Movimento è un festival di teatro, danza e performance, giunto alla quinta edizione, che mette a confronto diverse modalità di valorizzazione di un luogo pubblico e di interazione tra lo spazio e i partecipanti, in un ambiente suggestivo e particolare come i Giardini della Reggia di Venaria. 

​Installazioni, performance, danza contemporanea e teatro irrompono in uno spazio fisico ma anche mentale, creando nuovi immaginari per il pubblico e suscitando nuove sensibilità in una fusione armoniosa tra la bellezza della natura e dell’arte, dell’antico con il contemporaneo e dell’uomo con l’universo.
EDIZIONE 2014
EDIZIONE 2015


​COMPAGNIA eGRIBIANCO

Non si limita a portarla fuori dai teatri, la Compagnia Egri|Bianco porta la danza sotto. Nei bunker della seconda guerra mondiale. A Roma e Torino. Sono due i percorsi/spettacolo che il coreografo Raphael Bianco ha ideato per queste particolarissime location.

Una è L'ultimo rifugio ambientato nel Bunker Soratte  a Roma, l'altra a Torino, pensata per il Bunker di Piazza Risorgimento dal titolo Itinerario per una possibile salvezza.
L'ULTIMO RIFUGIO
ITINERARIO PER UNA POSSIBILE SALVEZZA

gb 
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approfondimenti
street dance

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STREET DANCE | STILI
STREET DANCE | TECNICHE

STRADA E TEATRO                                                    TEATRO DI STRADA                                              TORINO

9/5/2016

 


​VIA ROMA E LAGRANGE


​A differenza di Milano e Roma, Torino non gode della stessa frequenza degli artisti di strada. In via Roma e Lagrange spesso si vedono degli artisti, ancora in Piazza Castello, ma purtroppo e spesso sono artisti "turisti" o legati al mondo del circo.

In effetti Teatro di strada e circo sono due forme diverse della stessa espressione artistica e contengono saperi e consuetudini artigianali di grande valore. Gli spettacoli di strada, oltre allo stile ed alla ricerca più contemporanei, percorrono anche l’altra anima del circo, quella più popolare, clownesca, in cui le tecniche e l’interpretazione dell’attore vanno di pari passo verso una rappresentazione curata, raffinata ed elegante, ma che non richiede lo studio di un programma di sala per essere fruita dal pubblico.

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​circo vertigo


​Nel 2003 in Piemonte Chiara Bergaglio e Paolo Stratta dell’Associazione Quanat creano la Scuola di Cirko “Vertigo” che fa parte della Fedec (Federazione Europea delle Scuole Professionali di Circo). La Scuola che si trova a Grugliasco, nasce con l’obiettivo di formare professionisti e artisti dello spettacolo e di riavvicinare il mondo circense al grande pubblico.
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​flic teatro

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​Per chi volesse entrare nella grande famiglia del circo a Torino c’è anche un’altra Scuola importante, quella di formazione Arti Circensi Flic diventata un punto di riferimento in ambito italiano ed europeo: un centro formativo capace di offrire ad allievi provenienti da tutto il mondo una formazione internazionale.
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C.IT.A
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La COOPERATIVA ITALIANA ARTISTI, ovvero C.IT.A SOC. COOP. nasce nel 2009 a Torino per essere un valido strumento di lavoro per gli artisti di strada e i professionisti dello spettacolo in generale. Il numero fa la forza: centralizzando il lavoro burocratico e dividendo tra i soci le spese di commercialista, consulente del lavoro et cetera (invece di moltiplicarle in una miriade di associazioni culturali e partite IVA singole), CITA riesce ad abbattere i costi nascosti nell'attività di spettacolo. 

gb 
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Magazine d'Arte e Cultura
​Teatro e Danza. Queer

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