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QUEER E ARTE                                                        SECONDO NOVECENTO                                      KITSCH | JEFF KOONS

1/3/2022

 
Foto
Jeff Koons 2021 | ph Cindy Ord/Getty Images for Qatar Museums
Jeffrey Koons, conosciuto come Jeff Koons, è l'artista statunitense noto per le sue opere di gusto kitsch, che illustrano ironicamente l'american way of life e la sua tendenza al consumismo[2]. Considerato un'icona dello stile neo-pop e riconosciuto fra gli artisti più ricchi del mondo, Koons oltre all'arte coltiva il culto della propria immagine. Il suo volto, il suo corpo, sono diventati, nello stesso tempo, parte delle sue opere e un brand riconoscibile.

Nato nel 1955 a York, Pennsylvania, si forma al Maryland Institute College of Art di Baltimora e alla School of the Art Institute di Chicago. Dalla prima mostra personale nel 1980, le sue opere sono state esposte nelle principali gallerie e istituzioni di tutto il mondo. Nel 2014 il Whitney Museum of American Art lo ha celebrato con Jeff Koons: A Retrospective, ospitata poi dal Centre Pompidou di Parigi e dal Guggenheim Museum di Bilbao. A cavallo fra il il 2021 e il 2022 la Fondazione Palazzo Strozzi ospita Shine con opere dagli anni Settanta fino alle produzioni più recenti.


​vANITY fAIR


Le serie Statuary o Luxury & Degradation, in cui oggetti banali come un mobile bar da viaggio o un comunissimo gadget da pochi soldi venivano fusi in acciaio inossidabile, il gioco era più raffinato e perverso: un tipo di lavorazione comunemente usata nella produzione di massa diventa ultracostosa se limitata a pochi esemplari. Dopo l’età dell’acciaio, nel 1988 venne quella delle porcellane lavorate con le stesse tecniche utilizzate dagli artigiani settecenteschi e dei legni scolpiti e dipinti da maestranze bavaresi della serie Banality, un mondo di pantere rosa, orsetti natalizi, santi e porcellini che da soprammobili di pessimo gusto diventavano monumentali totem del kitsch sotto lo sguardo assente del più famoso di loro, Michael Jackson ritratto con il suo amatissimo scimpanzé Bubbles.

Ma in Koons c’è ancora, in quei primi anni Ottanta, il desiderio di stupire lo spettatore anche ricorrendo alla magia della scienza, della fisica, della chimica. Per la serie One Ball Total Equilibrium Tank l’artista consulta il fisico Richard P. Feynman per mantenere in sospensione nel suo «liquido amniotico» un pallone da basket racchiuso in un acquario. Koons ha dichiarato che i palloni da basket gli evocano «qualcosa di molto, molto puro, proprio come sarebbe un embrione e l’acqua nell’utero».

La chimica gli sarebbe tornata molto utile più tardi, nella definizione della densità e delle cromie delle patine delle sue sculture gonfiabili e dei dipinti prodotti conpulsalmente nel suo studio. La serie Made in Heaven ad sempio, i poster, le sculture e i dipinti nei quali l’artista mette in scena un tenero kamasutra con Ilona Staller, la pornostar che di lì a poco sarebbe diventata sua moglie, non gli procurò l'accoglienza sperata alla Biennale di Venezia del 1990 e il successo agognato sul mercato dell'arte.


​ARTE O MERCATO?

Ispirata al consumismo e alla banalità della vita moderna, ma anche a considerazioni filosofiche, l'arte di Jeff Koons asseconda la tendenza della cultura e della società occidentale, tra Ventesimo e Ventunesimo secolo, di tentare di superare il divario fra le classi e, dunque, il superamento dell'ingiustizia sociale. A tal fine, è necessario che il confine tra la cosiddetta cultura alta - patrimonio della upper class - e la cosiddetta cultura bassa, popolare, che comprende anche la categoria del kitsch - patrimonio della middle class - venga infranto. Questo è l'obiettivo che Koons, sull'esempio della recente tradizione della pop art, si era proposto di raggiungere centrando l'obbiettivo. In Contemporanea: arte dal 1950 a oggi si legge:


«...(Jeff Koons) mette a nudo il lato kitsch del nostro attaccamento all'oggetto. Egli afferma che la sua opera aspira a comunicare con le masse attraverso un vocabolario visivo estrapolato dalla pubblicità commerciale e dall'industria dell'intrattenimento, portando al limite estremo il confine tra linguaggio artistico e cultura popolare.»

​
Portare l'arte verso il popolo è propedeutico, per Koons, a produrre una condizione di totale sicurezza. Chiunque, a qualsiasi ceto appartenga, visitando ad una sua mostra, dovrebbe trovarsi in uno stato di non conflittualità e di appagamento. L'esperienza artistica, così concepita, fa pensare ad una società utopica e totalmente pacificata in cui tutti, singoli e gruppo, potranno trovarsi in una condizione che Koons definisce entropica:

«L'individuo all'interno di questa società vivrà in uno stato di entropia, di riposo, e abiterà un ambiente decorato con arte oggettuale al di là di qualsiasi dialogo critico.»




​
Fonti
traduzioni di Davide Monetto

Franco Fanelli, Jeff Koons, il mormone pornografo, Il giornale dell'arte, 23 dicembre 2021
Judy Collischan, Made in the U S A: Modern/Contemporary Art in America, iUniverse, 2010
Schjeldahl, Peter. "Funhouse – A Jeff Koons retrospective", The New Yorker, June 9, 2008
Francesco Poli, Contemporanea. Arte dal 1950 a oggi, Mondadori, 2008
Eric Shanes, Pop Art, Gribaudo, 2007
Sarah Cosulich Canarutto, Jeff Koons, Mondadori Electa, 2006
New York, New York, su repubblica.it, La Repubblica, 5 agosto 2006
Barbara Bolt, Art Beyond Representation: The Performative Power of the Image, I.B.Tauris, 2004
​Lara Vinca Masini, Dizionario del fare arte contemporaneo, Universale Sansoni, 1992
Giancarlo Politi, Jeff Koons, in Flash Art, volume 141

Gb 
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