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VUCCIRIA TEATRO                                          BATTUAGE                                                      INTERVISTA AL REGISTA JOELE ANASTASI

5/10/2016

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BATTUAGE | Vucciria Teatro, 2014
Battuage è un non luogo dell'immaginazione, un confine - urinatoi, toilett pubbliche, autogrill, parcheggi, parchi, autostrade, cruising - in cui le differenze si dissolvono. Valgono ancora, secondo te, le categorie lgbt in questi luoghi? Nel senso il padre di famiglia che va a trans e svolge il ruolo passivo, e tornato a casa consuma un rapporto con la moglie, è gay o no? Forse che la dipendenza da sesso e sé stessi, insieme alla necessità di evadere dalle gabbie sociali, va al disopra dei generi e delle categorie?
​


Assolutamente si. BATTUAGE racconta di come la ricerca spasmodica del sesso può tramutarsi in una tendenza del tutto anti-erotica che rivela la morte stessa del sesso, o meglio dell’eros. La nostra società è sempre più virtuale e più solitaria e l’individuo finisce per instaurare un rapporto erotico con la propria immagine, reiterando diverse declinazioni di autoerotismo . Anche quando si parla di un rapporto con un altro corpo, un altro spirito, un’altra persona. C’è sempre meno voglia di esporsi e di condividere.
​

​Il Maschio. Quello che racconti, sia nel primo che nel secondo spettacolo, è un mondo non solo omosessuale, ma prettamente maschile. Dove maschile è da intendersi come il genere della razza uomo. Dunque l'uomo istintivo ed animale. Libero e cacciatore? Incapace, forse denunci in Battuage, di rapporti sani e puri, “fin che morte non ci separi”?
​


Nei nostri spettacoli c’è sicuramente il risultato di un interrogativo aperto su che cosa sia oggi maschile e femminile. Io credo che maschile nella nostra società voglia dire solo in apparenza maggiore libertà. Piuttosto coincide spesso con maggiore (auto)-imposizione. Credo che questa società sia strettamente fondata solo su un aspetto particolare del maschile legato più al POTERE e all’imposizione del potere sugli altri. Ma machile è davvero solo questo? La società capitalista e consumista sembra valorizzarne solo questo aspetto. E noi uomini finiamo per perdere di vista il resto. Il potere si trasforma troppo presto in affanno distruttivo.
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​
La donna. A volte appare come Medea, genitrice e divoratrice al contempo della propria prole. Indifferente in "Io mai ninete con nessuno avevo fatto", “magnaccio” in "Battuage". Mentre la si crede, apparentemente, vittima della società dei maschi, la moglie, in Battuage, pone fine allo squallore del marito, uccidendolo. E' la donna che deve prendere posizione, nella speranza di un futuro meno ipocrita?

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Io credo tantissimo nelle donne e credo di amarle molto. Al di la dei risvolti legati alla storia raccontata da Battuage credo che la donna debba prendere posizione (ma bisogna anche che gli sia concesso!). La società è maschio. Le donne hanno bisogno di scrollarsi di dosso l’etichetta che storicamente le dipingono come sesso debole, inferiore rispetto all’uomo. Ma questa è la donna dipinta da una società maschilista. Io auspico ad una società maggiormente concentrata sull’universo femminile in quanto portatore dei veri valori fondanti dell’umanità. Auspicherei ad una società fondata più sull’empatia che sul potere. Ma non bisogna dare per scontato che anche per le donne “il femminile” coincida sempre e automaticamente con il genere femminile. Molto spesso la donna finisce (per non rimanere schiacciata) per aderire perfettamente al modello maschile, a reiterarlo e a svilire anche la sua figura di donna.
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BATTUAGE | Vucciria Teatro, 2014
Dio. Con lui hai un rapporto ambivalente. Sembri deriderlo quando lo associ ai dogmi della religione (sicurmanete d'impatto la preghiera in un gloryhole e le promesse degli sposi simulando l'amplesso ondeggiando il bacino), inseguirlo, invece, quando non resta altro che cercare dentro sé stessi un sentimento spirituale. Forse il Dio che ci ha fatto a sua immagine?

​
Il rapporto con la spiritualità, con il divino è indubbiamente qualcosa per me di aperto e non ancora del tutto definito. Mi definisco ateo o ancora meglio non credo nella religione, ma questo non significa che la società (e io stesso) non abbia bisogno di coltivare la propria spiritualità, anzi. Personalmente non riesco ad aderire a qualcosa di dogmatico e precostituito cosi forse dentro il nostro percorso artistico c’è tanta conflittualità con questo dio. Tanto desiderio di sentirlo e anche di rimpianto di non averlo al nostro fianco. Così spesso dio è un urlo propagato nel vuoto.
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​

La società. Il protagonista è un perfetto prodotto della società odierna. E' Ruby e Fabrizio Corona. E' l'universitaria/o che si vende per un cellulare. E' il ragazzo/a che si esibisce in cam nella sua camera. Salvatore è espressione di una generazione miope e sorda, che non chiede e non domanda. Che usa il suo libero arbitrio solo per scegliere, individualmente, brand imposti da altri e sognare di arricchirsi diventando famoso in preda la lobotomizzazione televisiva?


Purtroppo tutti questi sono i modelli proposti di ‘nuova classe media’ che si sta sempre più imponendo e delineando non tanto da un punto di vista culturale come è stata storicamente nel ‘900 ma a partire da una sua reiterata e consapevole degenerazione. Siamo ben al di là sotto del concetto di cultura di massa. Una volta la tv assolveva a compiti ben più nobili. L’intrattenimento era anche culturale. Oggi invece c’è la precisa volontà di proporre modelli beceri e a cui spesso si finisce per aderire perché non se ne hanno degli altri così forti. Ma perché? È la domanda che non trova risposta. Prima per ‘agire’ quasi sempre bisognava unirsi e farlo nel contesto della collettività. Oggi si ‘agisce’ in una dimensione pubblica fintamente collettiva (la piazza pubblica dei social network) ma che rivela solo la nostra solitudine e il nostro isolamento. E tutto questo non è affatto inconsapevole. Manchiamo sempre più l’appuntamento con una dimensione carnale delle cose. Con una dimensione creativa e di confronto con l’altro. E finiamo per sprofondare dentro noi stessi arrivando a deformare la nostra stessa percezione della realtà. Siamo tutti delle star. Ci affanniamo ad essere “speciali”. E che cosa resta di noi?

gb 
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