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ACCOGLIERE LA VITA
In effetti dopo il Romanticismo - a cavallo fra Ottocento e Novecento – l'arte non può più venire equiparata all'inestetico o all'extra estetico (vedi Il brutto e le avanguardie). Come ricorda Dessoir “nella violenta rottura delle norme di ogni grandevolezza e di ogni superficiale appagamento formale si svela “un regno che non è di questo mondo”. Il brutto prende il significato di “espressivo”, come positivo valore estetico, contro un bello che nell'armonia delle sue forme e nell'equilibrio dell'apparenza, si fa superficiale conciliazione e non permette di guardare in faccia alle cose”.
Il brutto diventa, per usare un'espressione di Feldman, “una vera struttura del mondo” e l'arte che non fa consistere la propria dignità nella cesura o nella neutralizzazione del brutto o del negativo in generale, recupera la propria vitalità proprio attraverso un confronto costante e proficuo con le tematiche del deforme, del mostruoso e della caricatura.
IL BRUTTO ESTETICO
Per questo, concettualmente, all'interno dell'Art Brut rientrano un variegato gruppo di opere, espressioni di propri, autonomi, criteri estetici, e non è possibile paragonare l'Art Brut a un movimento o a una corrente artistica. Il creatore d'Art Brut, per definizione marginale e autodidatta, elabora una sintassi tematica, iconografica, stilistica e tecnica, che testimonia una peculiare inventiva e uno spirito indipendente.
ESTETIZZARE L'OSCURITà
Proprio questa assenza di informazioni permette loro di sperimentare tutte le potenzialità espressive del proprio processo creativo. La creazione, nell'Art Brut, raggiunge la sua massima intensità generando un'“esteriorizzazione dei moti d'umore più intimi e più profondi dell'artista”. L'indagine rivolta all'essenza “degli strati più nascosti” della personalità, impegna Wolfli o Jeanne Tripier a confrontarsi con le sfere più oscure dello stato selvaggio e della violenza.
DEVIANZA E ROTTURA
I principali protagonisti dell'Art Brut saranno Adolf Wolfli, Heinrich Anton Muller e Aloise e le loro opere costituiranno il nucleo fondamentale delle collezioni di Dubuffet. L'eclettismo che caratterizza tali collezioni dimostra quanto le “direttive” dell'Art Brut non fossero ancora definite. Inizialmente le sue scelte riflettono ancora i gusti e gli interessi degli intellettuali dell'avanguardia europea. Tuttavia è già possibile scorgervi una chiara predilezione per le creazioni di carattere deviante ed estranee alle norme dettate dalla tradizione estetica occidentale.
L'Art Brut precedeva, dunque, il concetto stesso e la sua definizione e la nascita della nozione fu postuma all'esistenza delle opere. Questo duplice paradosso era intrinsecamente legato al particolare concetto dell'Art Brut e, in sostanza, costituì il primo segno di una rottura nell'ambito culturale occidentale.
ART BRUT OGGI
Per questo, continua Peyri a proposito della Art Brut di oggi: “La crociata che aveva condannato tutta l'arte moderna e contemporanea a favore dell'Art Brut non avrebbe più senso oggi. La tendenza dualistica e ieratica, che considerava la prima come espressione di una creazione intellettuale e sofisticata e la seconda come espressione della purezza emozionale e primitività naturale, non si rivela soltanto non pertinente, ma totalmente sbagliata. Le produzioni dell'Art Brut sono certamente cariche di emozione ma scaturiscono anche da una elaborato sistema espressivo.”
L'autore di Art Brut, oggi, si situa dunque a mille miglia dall'innocenza e dall'inesperienza che si ricercavano alle origini del movimento. Il suo impegno personale – spesso le opere vengono realizzate nel corso di molti anni – così come il suo spirito contestatario, umoristico, che sfocia nella parodia, ne sono una prova evidente. Infatti le opere di Hofer, Mets o Santoro si rivolgono allo sguardo dello spettatore stimolandolo tanto sul piano emozionale quanto su quello intellettuale.
1 Cfr. E. Franzini, M. Mazzacoult-Mis, in Brutto. Un valore estetico positivo, 2010
2 M. Dessoir, Estetica e scienza dell'arte, L. Pennecchi, G. Scaramuzza, Unicopli, Milano 1986
3 V. Feldman, Estetica francese contemporanea, a c. e trad. it. di D.Formaggio, Minuziano, Milano 1945
4 K. Rosenkraz, Estetica del brutto, Aesthetica, Palermo 2004, p. 36; si veda anche T.W. Adorno, Teoria estetica, a cura di G. Adorno e R. Tiedemann, trd. it. di E. De Angeli, Einaudi, Torino 1981
5 L. Peiry, in L'art brut, in Arte, genio Follia. Il giorno e la notte dell'artista, catalogo della mostra (31 gennaio-25 maggio), Mazzota, Siena, 2009
6 J. Dubuffet, Honneur aux valeurs sauvants, in Prospectus et tous écrits suivants, 1967
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ApprofondiMENTI
QUEER E ARTE
REAGIRE AL MONDO
L'arte ha avuto a lungo per emblema l'occhio e il suo potere, dopo le guerre non è più la vista, il più intellettuale dei sensi, e appagarla non è nelle preoccupazioni degli artisti. Sarebbe la nausea a renderli lucidi e nella loro arte importante sarà il disapprendimento di quel disgusto pazientemente inculcato.
Se la lontananza dalla società era la caratteristica principale dell'Art brut, l'arte del corpo si proietta totalmente verso l'esterno. Il suo bersaglio diviene la società con i suoi finti valori, falsi profeti e infiniti tabù, facendo dell'arte il mezzo privilegiato per un ritorno all'ordine.
ARTE COME FETICCIO
Nel corso degli anni Sessanta le posizioni degli Aktionisten presentano strutture simili. Nei primi anni gli artisti si liberano di un concetto di arte tradizionale sentito come vuoto, e in una fase intermedia sperimentano la costruzione di un vocabolario performativo. Alla superficie figurativa gli Aktionisten muovevano la critica di essere un feticcio artistico a fondamento di una cultura della rappresentazione rigorosamente canonizzata.
SPERIMENTAZIONE
Analogamente al gruppo giapponese Gutai, anche ai Wiener Aktionisten riesce di ampliare, in modi espressivo-strutturali e rapportati al corpo, l'astrazione gestuale di Pollock (che già andava al di là della superficie figurativa), inserendola in uno spazio performativo, modificando il concetto di arte.
Questo mutamento di paradigma, dall'immagine all'azione corporea, tra il 1963 e il 1967 osserva una fase sperimentale di sviluppo di testi-immagine e forme d'azione individuale. Soprattutto in questo periodo, lo “sguardo chirurgico” dell'obbiettivo fotografico - come osservò Walter Benjamin - fu impiegato come mezzo di controllo nello sviluppo delle strutture dei differenti linguaggi artistici. La cosiddetta “fotografia inscenata del Wiener Aktionismus” condusse ad affascinanti invenzioni figurative che ancora oggi influenzano le icone del dialogo tra arte figurativa, performance e fotografia.
AGITAZIONE
Muovendo da questa rivolta, al principio degli anni Settanta gli Aktionisten danno forma definitiva a posizioni del tutto originali. In questa fase, conclusiva e di integrazione, attorno al 1970, gli artisti raggiungono posizioni pienamente mature e un concetto di arte intensamente ampliato con fondamento performativo.
A partire da Fuoco Fatuo, Gunter Brus si muove in uno spazio soggettivo le cui forme dinamiche sono improntate al dialogo testo-immagine. Nelle cosiddette Bilddichtungen (Poesie-immagini), progetta ambientazioni drammatiche all'interno di un fantasmagorico spazio concettuale individuale, in cui la sua fantasia si effonde nel linguaggio e nell'immagine con illimitata libertà. Hermann Nitsch amplia in passi concentrici la sua opera d'arte totale costituita dal Teatro di Orge e Misteri in una, come egli la definisce, Festa esistenziale della durata di sei giorni. E Otto Muehl, il “mago della risata tragica”, inizia con un'opera figurativa, edonisticamente straripante, la cui involontaria libertà formale può essere rieseguita soprattutto sullo sfondo della già citata società alternativa della Aktions-Analystische Kommune (Comunità di analisi dell'azione) da lui elaborata.
Fonti
1 H. Klocker, Wiener Aktionismus, Wien, 1960-1971, in Genio e follia, 2009
2 Cfr. D. Riout, in Ai confini con il teatro, 2002
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Approfondimenti
QUEER E ARTE
CREAZIONI MARGINALI E CLANDESTINE
Rientrato dalla Svizzera, Dubuffet abbozza un primo testo teorico: “Disegni, dipinti, opere d'arte di ogni tipo, create da tenebrose personalità, da maniaci, scaturite da impulsi spontanei, animate dalla fantasia o dal delirio, ed estranee alle regole dell'arte ufficiale”. Dubuffet descrive dettagliatamente questa specifica tematica: “Opere d'arte come dipinti, disegni, statue e statuette, oggetti di natura diversi e in nessun modo legate (o il meno possibile) all'imitazione delle opere d'arte che si possono incontrare nei musei, nei saloons e nelle gallerie. Opere che, al contrario, si appellano a una originaria materia umana e a un'invenzione il più possibile spontanea e personale”.
Il suo compito sarà quello di nominare, raccogliere, esporre e descrivere la specificità di questo tipo di creazione marginale e clandestina.
SOTTRAZIONE E RICERCA
All'inizio del XX secolo l'internamento si configura come una sorta di sequestro. L'isolamento, la promiscuità, l'inoperosità e l'esclusione, accentuati dall'oppressione e dalla disperazione, provocano in alcuni pazienti una condizione favorevole allo sviluppo dell'immaginario.
Dubuffet resta stupito difronte alle straordinarie creazioni di Aloise e Wolfli accorgendosi di come collimassero perfettamente con le sue ricerche. Tuttavia, Dubuffet non limita il suo campo di indagine agli ambienti psichiatrici e non considera la malattia mentale come unico criterio. Oltre alle opere nate negli ospedali psichiatrici, Dubuffet inizia a raccogliere anche opere appartenenti alla sfera dell'arte popolare, reperti etnici provenienti dall'Oceania, dipinti creati da autodidatti, disegni di bambini e tatuaggi.
FOYER DELL'ART BRUT
Un anno più tardi, 1948, venne fondata a Parigi la compagnia dell'Art Brut. Essa riuniva sei membri, tra i quali André Breton e Jean Paulhan. Dopo dieci mesi negli scantinati della Galerie Drouin, il Foyer venne trasferito in un piccolo padiglione situato nel cuore di Parigi e messo gentilmente a disposizione dall'editore Gaston Gallimard.
Le prime manifestazioni si svolgono in un clima di riservatezza e clandestinità, regola che viene infranta dalla Compagnia già nel 1949, quando una grande mostra di Art Brut, viene organizzata in place Vendome, nel centro di Parigi, presso la Galerie René Drouin, mettendo in evidenza le prime contraddizioni. L'esposizione incontra un notevole successo, attirando artisti, scrittori, editori, etnologi e critici come Jean Cocteau, Claude Lévi-Strauss, Johannes Itten, Pierre Matisse, Tristan Tzara, Joan Mirò e Francis Ponge. Dubuffet, scriverà per il catalogo della mostra un testo che ne diventerà il manifesto: L'art brut préféré aux arts culturels e ne assumerà la direzione.
ESILIO E RITORNO
Alfonso Ossorio, un pittore amico di Dubuffet, gli propone di trasferire la collezione nella sua residenza, The Creeks, nei pressi di New York. Dubuffet accetta e l'Art Brut andrà dieci anni in esilio.
Nel 1962, undici anni dopo il suo scioglimento, la Compagnia dell'Art brut rinasce a Parigi, ancora una volta per opera di Dubuffet che acquista un Grand Hotel a Parigi per trasformarlo nella nuova sede dell'Art Brut.
Come nel periodo della prima Compagnia decide di porre le produzioni sotto l'egida della riservatezza, al fine di preservarle da ogni sorta di corruzione. Le opere vengono create in stato selvaggio o di rivolta, in carcere, in una mansarda di periferia o in un fienile, e i creatori hanno in comune un'origine spesso modesta o un'istruzione assai rudimentale. Si tratta perlopiù di manovali, postini, fioristi, parrucchieri, conducenti di tram o minatori.
Ognuno di loro patisce una cesura nel proprio percorso esistenziale. Carlo Zinelli per l'esperienza della guerra, Aloise e Laure Pigeon per fine di una relazione amorosa, Magde Gill per morte di un figlio, Eugenio Santoro e Giovanni Battista Podestà per un'emigrazione imposta. Un destino troppo pesante che li ha trasformati in persone intimamente esiliate.
LOSANNA | MUSEALIZZAZIONE
La nozione di “art brut” si fonda dunque sullo statuto personale del creatore e non sui criteri stilistici delle sue opere – come accade per l'arte naïve, ad esempio. Viene applicata alle arti plastiche ma, comportando spesso la mescolanza dei generi, coinvolge anche altri settori, in particolare quello della scrittura. E non sono mancate altre denominazioni per qualificare meglio questo subcontinente della creazione. Michel Thévoz, direttore del museo, vedeva nell'Art brut, e potremmo dire potenzialmente in tutta l'arte contemporanea, la possibilità di una liberazione che abolirebbe i modelli di pensiero consolidatisi in Occidente. A tal proposito cosi si esprimeva:
E' possibile che, sulle macerie della cultura, rinasca una creatività artistica nuova, orfana, popolare, estranea a ogni circuito istituzionale e a ogni definizione sociale, deliberatamente anarchica, intensa, effimera, affrancata da qualsiasi presunzione di genio personale, prestigio, specializzazione, appartenenza o esclusione, distinzione tra produzione e consumo. Sarebbe il crollo di modelli, radicalmente irrispettoso e di conseguenza creativo, capace di realizzare l'utopia del “Prospectus aux amateurs de tout genere”.
1 J. Dubuffet, Lettera a Charles Ladame, Parigi, 9 agosto 1945
2 J. Dubuffet, Prospectus et tous écrits suivant, Gallimard, Paris, 1967
3 L. Peiry, L'avventura dell'art brut: dalla clandestinità alla consacrazione, 2009
4 J. Dubuffet, L'art brut préféré aux arts culturels, 1970
5 M. Thévoz, L'art brut, Skira-Flammarion, Ginévre 1980
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ApprofondiMENTI
QUEER E ARTE
Autore
Giovanni Bertuccio
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