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QUEER E ARTE                                                        2000                                                                  ARTE E PRIVATO

1/3/2022

 
Foto
Tracey Emin alla sua personale "Tracey Emin ‘My Bed’/JMW Turner" al Turner Contemporary, 2017 ph Stephen White
​Il ​secolo scorso, come si è visto, si è concluso con un’esaltazione degli aspetti noir, terrifici e violenti di un’espressività che sembrava compiacersi della cinica negatività di cui è impregnato il mondo. Sembra che il rischio, che confina con la morte, o quanto meno con il danno, la menomazione, la consapevolezza e l’esibizione dell’orrido, siano l’unico fattore di attrazione per una umanità collassata, sopraffatta dalla tecnologia, incapace di opporvi la barriera di ragione e sentimenti.

Oggi l’Arte mostra altri segnali e quelli funerei degli anni Novanta si modificano in nuove modalità di comunicazione. L’Arte, come le vicende umane, trascolora di continuo, cogliendo i passaggi, le sfumature o le contraddizioni dei nuovi scenari socio-politici che si configurano nel pianeta.


​MY BED

Un'opera che può essere presa a simbolo di questo nuovo millennio è My bed di Tracey Emin. Creato per la prima volta nel 1998, è stato esposto alla Tate Gallery nel 1999 come una delle opere selezionate per il Turner Prize.

Nonostante non abbia vinto, My bed ha generato un notevole clamore fra media e critica, dal momento che le lenzuola erano macchiate di secrezioni corporee e il pavimento conteneva oggetti della stanza dell'artista, come bottiglie di vodka, preservativi usati, biancheria intima con macchie di sangue mestruale, test di gravidanza e oggetti di uso quotidiano. Presentato al pubblico esattamente nello stato in cui l'artista lo aveva lasciato dopo diversi giorni di profonda depressione:

“Nel 1998 mi lasciai con il mio compagno e trascorsi quattro giorni a letto, a dormire, in uno stato di semi incoscienza. Quando mi svegliai, mi alzai e vidi tutto il caos che si era ammassato dentro e fuori dalle lenzuola.”


​la sfera pubblica del privato

L'opera, ci dice Jean Clair, è stata acclamata per la sua “valenza realistica”. Ma la domanda, legittima, che insieme ad Angela Vettese ci si pone è, perché dovremmo interessarci dell'intimità e privacy altrui?

Certo, in una società votata all'immagine e ad un voyerismo patologico, le risposte possono essere tante, ma se l'Arte, come nel caso della Emin, deve avere un fine sociale è necessario che entri nel personale, e che questa dimensione privata, gestita ad arte, diventi pubblica. Diventi, cioè, simbolo di qualcos'altro. 


La provocazione, la trasgressione, lo scandalo, non sono espedienti d’avanguardia, sono necessità per ribaltare l’ovvietà del senso comune, per insinuare in un pubblico sempre più appiattito dalla colonizzazione televisiva, riletture non convenzionali delle cose del mondo. É il dolore, più dell'amore nell'evo contemporaneo, ad unire gli esseri umani. E il dolore fa regredire.

Molti degli artisti emersi negli anni Zero ruotano attorno al tema pulsante del corpo, del sesso e delle trasgressioni ad esso connesse, penetrando in quel privato che la cultura convenzionale impedisce di affrontare con naturalezza.1 L’impulso psicanalitico da cui discendono queste operazioni comporta l’appropriazione del lato negativo dell'esistenza per liberarsene.

È il nuovo “urlo” dell’artista-uomo contemporaneo, che nello smarrimento generale, vuol far sentire la sua voce, al di sopra delle regole prestabilite. Come Munch, sullo scorcio del XIX secolo ha urlato la propria solitudine all’indifferenza del mondo.



Fonti

M. Campitelli, in Il corpo, il sesso, l'anomalia, presentazione della mostra Shock & Show, 2002
M. Campitelli, in Gotico, avanguardia, l'urlo, presentazione alla mostra Shock & Show, Trieste 2002
J.Claire, La responsabilità dell’artista, le avanguardie tra terrore e ragione, Allemandi 1998

Gb 
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