D. 2006. Entri a far parte del Balletto di Toscana. Quali differenze nella formazione del danzatore fra un sud - “Centro Danza Degas di Cannole”- e un nord quotatissimo? R. Il mio percorso come danzatore inizia a 15 anni. Un'età già avanzata per chi ambisce alla carriera del ballerino professionista. Una piccola scuola di paese quella in cui ho mosso i miei primi passi, ma che vantava validi maestri in diverse discipline. Un luogo in cui la danza si praticava in modo professionale e dove la tecnica veniva messa in primo piano, sia nel classico che nel modern-jazz. Una scuola che si prendeva cura dei propri allievi, non solo dal lato artistico ma anche da quello psicologico, che li accompagnava attraverso un percorso di preparazione volto ad affrontare il mondo delle audizioni. Cercando di trasmettere il messaggio che la danza è un'arte viaggiatrice, infatti, furono proprio i miei maestri a spingermi verso una formazione ancor più professionale lontana dal mio paese d'origine, consigliandomi la scuola del Balletto di Toscana. Ringrazio il mio primo maestro che, dopo 4 anni di formazione, mi accompagnò personalmente per sostenere l'audizione a Firenze. Entrai così a far parte di una delle migliori scuole di alta formazione nel panorama della danza italiana, nella quale si alternavano lezioni di vario stile. Questa grande varietà permetteva di sperimentare vari generi di danza e di capire quale fosse lo stile più affine alle proprie capacità e al proprio talento. Si contavano centinaia di allievi e si formavano classi che, se nel piccolo centro di formazione del Sud arrivavano ad un numero di circa 15 danzatori, qui contavano numeri nettamente maggiori. Ogni ragazzo ambiva a realizzare il proprio sogno. Tante ore di allenamento, tanta competizione e tanto giudizio. L'insegnamento era decisamente ad un livello più avanzato e, in una classe dove il livello degli allievi era differente e non omogeneo, spettava al danzatore con delle carenze tecniche mettersi in pari con il resto della classe. Scuola dal forte impatto psicologico dove, molti rinunciano alle proprie ambizioni perché non si sentono all'altezza degli standard richiesti, altri perché realizzano che non è la vita che si aspettavano di fare, mentre coloro che riescono a sostenere la pressione imposta dal duro lavoro di formazione, riescono a diventare dei danzatori qualificati in grado di affrontare il mondo del lavoro. Una scuola dove ti insegnano a lottare quotidianamente per ottenere sempre il massimo e che forgia nel profondo il carattere. Quindi, se da un lato abbiamo un Sud che si prende cura del singolo allievo, dall'altro abbiamo un Nord quotatissimo che mostra il lato più competitivo, più duro e, per certi versi, più vero della danza, lasciando spesso l'allievo in balia del proprio destino. D. Roberto Zappalà e il Corpo. Di cosa si è arricchito il tuo bagaglio personale? R. Un occasione persa quella con Zappalà. Purtroppo, causa motivi di lavoro che mi legavano a Firenze, ho dovuto rinunciare ad un corso di formazione che credo sia molto qualificante per un danzatore che oggigiorno affronta il panorama della danza contemporanea europea. D. 2011 | Entri a far parte della Compagnia EgriBianco. Quanto della tua personale esperienza trova spazio all'interno del gruppo? R. L'anno 2011 è stato un anno importante per me poiché vedevo realizzarsi un sogno e vedevo ripagati tutti i sacrifici fatti fino a quel momento. E' stato l'anno in cui sono entrato a far parte della compagnia Egribiancodanza, tappa importante per la mia carriera da danzatore. Quello che fin da subito ho cercato di offrire alla compagnia era esattamente quello che io ero e che rappresentavo, non solo come danzatore ma anche come artista attraverso le mie esperienze. Ero l'ultimo arrivato in un gruppo che si stava consolidando, che aveva trovato un proprio spazio, ma che allo stesso tempo lasciava aperte le porte a nuovi elementi che potessero condividere non solo le proprie competenze tecniche come nelle fasi di creazione di un nuovo lavoro, ma anche il lato più umano del danzatore in quanto persona, con un vissuto da raccontare e con qualcosa da trasmettere. Tutto questo grazie all'impronta artistica della compagnia delineata dalla figura del Direttore e Coreografo Raphael Bianco, una persona capace di cogliere da ogni danzatore, nella sua diversità, gli aspetti tecnici e umani che è in grado di offrire, e farne componenti di lavori sempre differenti. Questo ha permesso che tutto di me, negli anni, abbia trovato spazio all'interno della compagnia. D. 2014 | Inizi il percorso di formazione coreografica e vinci il premio Solocoreografico. Come si arricchisce il punto di vista di un danzatore nel momento in cui ha a disposizione anche la trasmissione di un messaggio e non solo la sua esecuzione? R. Spesso i ballerini vengono visti come macchine e spesso vengono educati proprio a questo: alla pura esecuzione. Immaginiamo invece la magia di un danzatore che riesce a prendere coscienza di sé e gestire con consapevolezza le proprie emozioni, incanalandole nel corpo e, attraverso il movimento, condividerle con un pubblico pronto ad emozionarsi guardandolo. L’uomo, di per sé, non è un essere asettico, non è una macchina. Di conseguenza anche nell’immobilità o in una semplice posizione neutra l’uomo esprime un emozione, suscita un pensiero e, in qualità di danzatore, ho sempre cercato di fare della trasmissione di un messaggio il mio credo. Forse proprio questo mi ha spinto a cimentarmi nell’arte della coreografia. Indubbiamente un ballerino che si applica non solo nella danza ma anche nella coreografia, diventerà uno strumento ancora più malleabile e ricettivo nelle mani di un coreografo. Un danzatore che riesce a cogliere il senso profondo del gesto immedesimandosi nei diversi ruoli, che si interroga su ogni gesto provando a dargli un significato, che analizza con occhio critico il lavoro cui è sottoposto e trova il modo di renderlo proprio pur mantenendo un rigore tecnico e drammaturgico, credo possa vivere e far vivere un'esperienza della danza più completa e più matura attraverso una serie d'insegnamenti e regole acquisite durante un percorso formativo che cerca di approfondire la conoscenza della gestualità e della trasmissione di un messaggio tramite diversi punti di vista. Queste credo siano alcune delle ricchezze che un danzatore acquisisce nel seguire un buon percorso di formazione coreografica. D. Io Sono. Ricordi? Dis-ordine. Le tue opere nascondo un'esigenza comunicativa forte e personale. Si piange a volte danzando le proprie emozioni? R. La danza è un mezzo di comunicazione molto potente. Si piangono spesso le proprie emozioni danzando. A volte accade nel vero e proprio senso della parola, ma non sempre con un'accezione negativa. Poter vivere l’emozione di toccare la propria anima danzando smuove i pensieri più profondi, pensieri reconditi spesso soppressi. Può far scendere lacrime così come generare grandi sorrisi. Questo, più di tutti, è ciò mi ha portato a fare della danza la mia vita ed è quello che, come coreografo, mi auguro di poter fare e tramandare con le mie opere. Esprimere un pensiero, aprire la mia mente e condividerla con un pubblico bisognoso e voglioso di vivere un esperienza, bella o brutta che sia. Ho combattuto molto nella mia vita per ottenere dei risultati e raggiungere degli obiettivi e non sempre è stato facile. Quindi, quale migliore mezzo, se non la danza, per raccontare se stessi e porre o porsi delle domande permettendo ad un mondo sempre più frenetico di fermasi ed emozionarsi insieme. D. Wind e Connessioni imprevedibili. Forma ed energia. Quale la ricerca del movimento contestualizzata ai titoli? R. Due lavori differenti, due differenti approcci alla creazione. “Wind” è un vento che genera movimento, dà vita al corpo e crea relazioni. Tutto il lavoro è basato sulla non staticità dettata da correnti d'aria (di un ventilatore in questo caso) che muovono i corpi in modo aleatorio, che genera gesti e dinamiche astratte che, rielaborate e assemblate, hanno dato vita a “Wind”. Quindi è proprio il vento il protagonista di questa creazione, soprattutto nella ricerca gestuale e nell'utilizzo dello spazio. “Connessioni imprevedibili”, invece, ha seguito un percorso inverso. Mentre per “Wind” sono partito da quello che il titolo mi ispirava per creare l'intera coreografia, al contrario per “Connessioni imprevedibili” sono giunto al titolo solo alla fine del percorso di creazione, lasciandomi ispirare dal lavoro compiuto. Partendo da un idea di rapporti, di relazioni, di incontri tra persone sconosciute e ricercando insieme ai ballerini, attraverso delle improvvisazioni, una gestualità del quotidiano che potesse incontrarsi e fondersi con l'idea stessa di relazione. Da questa ricerca è venuto fuori che tra questi individui si creavano delle connessioni sempre diverse, imprevedibili, dalla natura incerta, accomunate quasi sempre dal bisogno di contatto e di sostegno reciproco. Come anticipato prima, quindi, è proprio il lavoro che ha ispirato e suggerito il titolo. gb |
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Giovanni Bertuccio
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