D. Associarsi oggi, con internet e le global community, quale significato assume? R. Sottoscrivere la tessera di una associazione porta con se alcune responsabilità: da una parte, si sposano le lotte e le rivendicazioni mosse dalla realtà associativa, che possono andare in varie direzioni; dall’altra, si sostiene un progetto di cittadinanza attiva che produce i suoi frutti attraverso i servizi, gratuiti, messi a disposizione della cittadinanza. Nello specifico, con la tessera di Arcigay si sostengono servizi curati da volontarie e volontari che mettono a disposizione la loro professionalità nell’ascolto empatico per fornire sostegno a chi chiede aiuto per affrontare questioni legate all’orientamento sessuale, alle identità di genere, alla consulenza psicologica e legale, al sostegno di fasce di popolazione migrante che chiedono asilo politico, a giovani che cercano un luogo frequentato da pari per confrontarsi e crescere. Inoltre, quel ritaglio di plastica colorata, che a prima vista può essere privo di significato, porta con sé il lavoro di decine di volontarie e volontari che si spendono quotidianamente nell’ideazione di momenti aggregativi, formativi e culturali, nella rivendicazione della visibilità, dei diritti che ci spettano per essere tutte e tutti uguali davanti alla legge, con l’ònere di consegnare un bagaglio di conoscenze ed esperienze nell’incontro con l’altra persona. Quindi, nonostante una buona parte della comunicazione finalizzata alla conoscenza reciproca sia passata su canali informatici, l’incontro vis-à-vis detiene ancora l’energia che genera movimento e, quindi, socializzazione e creazione di senso di gruppo. D. Che tipo di utenza ha CasArcobaleno? R. CasArcobaleno è un polo integrato di servizi di interesse pubblico rivolti alla popolazione LGBTQI* e di servizi diretti alla popolazione cittadina tutta. Nasce in un quartiere di costanti conflitti e dialoghi, di incontri e necessità, Porta Palazzo, e cerca di rispondere ad alcune esigenze della città e della sua popolazione LGBTQI*. Si tratta di un luogo di sovrapposizioni e contaminazioni, dove hanno sede molte associazioni e gruppi della variegata galassia LGBTQI* e non; è un luogo di cittadinanza attiva che vive l’incontro come apertura a nuove dinamiche e punti di vista, in modo che le battaglie per i diritti siano davvero di tutte e tutti, fuori dai confini ristretti e ghettizzanti dei limiti costruiti dalle proprie mission. CasArcobaleno è, dunque, una crisi cercata, positiva; è, soprattutto, una casa, un luogo pubblico e privato abitato da molte associazioni in base al momento scelto per visitarlo. Al momento aderiscono al progetto 18 associazioni, quindi il tipo di utenza varia in base al contesto associativo: troviamo genitori, amici e parenti di persone LGBTQI*, giovani, sportivi, gruppi di forze dell’ordine LGBTQI*, genitori omosessuali, comunicatori multimediali, atei, agnostici, di tutte le fedi. D. Su cosa si basa la sensibilizzazione degli associati? R. Le socie e i soci che si avvicinano alle realtà che abitano CasArcobaleno entrano in contatto con contesti che propongono una visione differente da quella prevalente della società che ci circonda. Fornire un’alternativa, che può avvicinarsi alle peculiarità di ogni persona, tende a creare un ambiente il più variegato possibile, dove nell’incontro con l’altr* si genera conoscenza e si abbattono quei muri di paura e ostilità. CasArcobaleno, frequentata dalle socie e dai soci delle 18 associazioni che la abitano, basa la sensibilizzazione sulle tematiche della salute e del benessere, sull’approfondimento cinematografico e culturale, sulla mobilità internazionale e sui diritti europei, sull’accoglienza delle persone migranti, l’ascolto dei famigliari e amici delle persone LGBTQI*, su ragionamenti sul concetto di famiglia allargata, ricomposta e formata da persone dello stesso sesso, sul potenziale delle e dei giovani, sull’abbattimento di stereotipi e pregiudizi attraverso lo sport, su credi religiosi non maggioritari, o su ateismo e agnosticismo, su turismo LGBT, giornalismo e comunicazione innovativa, e molto altro. D. Cosa muove, secondo te, l’esigenza di sottocategorizzare l’essere umano? R. Parto dal presupposto che le categorie, in base alle modalità con cui vengono utilizzate, possono essere un’arma a doppio taglio. Per fare un esempio, che reputo negativo, utilizzare l’etichetta gay per giustificare la presunta incapacità di una persona omosessuale di poter crescere un/a figlio/a, o di non aver accesso al matrimonio, è sicuramente un uso scorretto e stigmatizzante, visto che dovremmo essere tutt* uguali davanti alla legge; al contrario, per usare un esempio che reputo positivo, utilizzare l’etichetta gay per autodeterminarsi e comunicare ciò che piace, ciò da cui siamo attratti, ma anche i soprusi che una categoria ha subito nella storia o la letteratura ad essa dedicata, è un modo interessante per non dimenticare quanto sia fondamentale decantare le differenze, senza oscurarle. La letteratura omosessuale ci ha regalato autori e autrici interessanti, basti pensare ad Allen Ginzberg con il fenomeno della Beat generation e l’esplorazione delle sessualità, il libertinaggio eversivo descritto da Pier Vittorio Tondelli, ma non solo letteratura, anche l’attivismo scritto e manifesto di Judith Butler, le canzoni di Alfredo Cohen, i testi e le azioni queer-rompenti di Mario Mieli: pensare di inserire tutte e tutti loro in un unico calderone potrebbe significare non restituirne dignità. Per tentare di rispondere con più precisione alla domanda, l’essere umano è abituato, forse per comodità, a classificare tutto in confini ben definiti, sicuri e rassicuranti. Tentare di rompere quei confini è uno dei compiti più complessi che conosca, ed è uno sforzo che richiede molto lavoro su se stess*. Quindi, sapere che a un certo tipo di caratteristiche e comportamenti corrisponde la definizione gay ne facilita la comprensione, riducendo al tempo stesso la possibilità di “uscire dagli schemi” e di autodeterminarsi, liberandosi dalle imposizioni della società. D. Com’è il contesto queer a Torino? R. A Torino esiste un contesto queer interessante e stimolante, che rivede in chiave contemporanea il significato del termine. Tra assemblee e luoghi di incontro e confronto, festival cinematografici indipendenti e intersezionali, eventi ricreativi stimolanti e liberi, i temi trattati sono molti, dal contrasto alla schiavitù all’assistenza sessuale per disabili, dal tema del consenso all’etica negli allevamenti, dalla fluidità di genere all’antispecismo, generando dibattito, attualità e stimolando coscienze politiche. Anche in CasArcobaleno, nel nostro piccolo, insieme ad alcune attiviste, si sta portando avanti un discorso queer attraverso serate di approfondimento quali Bed Time Stories, un contenitore ideato da me e da Francesca Puopolo, Presidente di Arcigay Torino, progetto di ricerca accurata di raccolta della memoria orale, attraverso la narrazione delle persone LGBTQI* che non hanno mai avuto occasione di raccontare particolari emotivamente significativi della loro storia: in passato abbiamo avuto ospite un marchettaro di Torino, che ha portato all’attenzione delle molte persone presenti la vita spesso celata di un ragazzo che si prostituiva negli alloggi del centro città, ma anche autrici, autori e attivist* di lunga data. E poi serate di approfondimento su Mario Mieli, su bisessualità e bifobia, proiezioni di film d’essai, mostre fotografiche a tematica trans*, poliamore e molto altro. D. Il disagio, che può lamentare un individuo queer, è sociale o individuale oggi come oggi? R. Ammetto di essere in una fase di conoscenza e studio della realtà queer, quindi quanto dirò resterà una mia opinione personale. Credo che il disagio che una persona può provare in un contesto sociale venga ribaltato, in chiave queer, trasformandolo in rivendicazione. Per definizione, queer significa eccentrico, sia sessualmente, sia socialmente, sia etnicamente, ovvero distaccato dalla normalità della cultura egemone: nell’eccentricità troviamo la ribellione a un comportamento imposto e non condiviso, l’allontanamento da precisi dettami che non tengono conto delle particolarità di ogni individuo, che respingono le differenze e le etichettano come negative. La favolosità quale strumento di rivendicazione del diritto a far uscire allo scoperto checche, frocie, travestite, trans* e chiunque non si senta a proprio agio nel binarismo di genere uomo-donna, che porta con sé l’imposizione di un comportamento preciso che vuole maschi e femmine cisgender calati nello stereotipo machista e sessista, e con modalità personalizzabili che tendono a liberarsi da ideologie maschiliste, ecclesiastiche, politicamente corrette, autocratiche e legate a una culture intolleranti. Il disagio, dunque, non viene assorbito passivamente e lamentato, ma viene trasformato, o trans-formato, così da diventare movimento, in direzioni ostinate e contrarie. gb |
Autore
Giovanni Bertuccio
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