ART IS PRESENT
  • Home
  • Perchè?
  • Hic et Nunc
    • Arte Dionisiaca
    • Sidi Larbi Cherkaoui 99 | 19
    • #Pensierobimbo | Incanti 18
    • EgriBianco | Showcase 18
    • TST | Il Cielo su Torino 18
    • Perunteatrocontemporaneo16
  • Editoriali
    • 09 - 19 | 10 anni del Direttore
    • Editoriale | Corpo
    • Editolriale | Relazione (?)
    • Editoriale | Strada
  • Numeri
    • V. Queer >
      • Arte
      • Danza
      • Teatro
      • Queer | Teorie
    • IV. Tecnologia >
      • Arte e Téchne
      • Danza e Téchne
      • Teatro e Téchne
    • III. Corpo >
      • Corpo e Arte
      • Corpo e Danza
      • Corpo e Teatro
    • II. Relazione >
      • Arte Relazionale
      • Danza di Comunità
      • Teatro sociale
    • I. Strada >
      • Street Art
      • Street Dance
      • Teatro di strada
    • O. Start >
      • Speciale | La sottise
      • Speciale | Nicola Galli
      • Speciale | Vucciria Teatro
  • Queer
  • Rec | Int
  • Libri
  • Contatti

Il punto di vista. Elisa de Luca ci racconta la sua "Altissima Povertà". Esperienze umane per la danza di Virgilio Sieni

7/8/2016

 
Lei è una dei 75 performers che hanno partecipato ad Altissima Povertà. Partitura coreografica ideata da Virgilio Sieni per la città di Torino. Il progetto, curato da La Piattaforma, si ispira al racconto biblico quale indagine sull'umano: un’archeologia del gesto che indaga la natura e l’origine del movimento. Una comunità del gesto con l'intento di creare un luogo dove il corpo si apre a sguardi, vicinanze e sostegni.
Scopriamo adesso, attraverso le parole e le sensazioni di una non professionista, scopo ed esperienze della danza di Virgilio Sieni.
Foto
Virgilio Sieni. La Città Nuova
Elementi, documenti e riflessioni per una pratica artistica sul corpo e il territorio. Prefazione di Alessandro Pontremoli, Maschietto Editore.

Foto
D. Nome | Cognome | Professione 
R. Elisa De Luca. Insegnante

D. Come hai saputo dell'evento?

R. Ho saputo dell'evento grazie ad un amico che lavora nel settore.
D. La tua idea prima dello spettacolo?
R. Non avevo un'idea ben chiara del progetto e questo, per certi versi mi impauriva e, per altri, mi incuriosiva. Lavorare col corpo è stato sempre un mio "limite".

Foto
D. Le prove. Persone, sacrificio, condivisione. Ognuno "dipendeva" dall'altro. Cosa hai imparato umanamente?
​

R. Le prove sono state faticose ma ad ogni incontro costruttive. La coreografia prevedeva un'intimità umana fra i corpi, una solidarietà del movimento che si è raggiunta in modo graduale nel corso degli incontri. Ed è proprio questa solidarietà, questo sostenersi l'un l'altro, che mi hanno colpito profondamente. Oltre ad aver imparato a sentire il mio corpo.​

Foto
D. Andare in scena. Quale differenza hai percepito fra il lavoro in sala e l incontro con il pubblico?

R. Chiaramente la percezione dello spettacolo si è amplificata. Intanto siamo passati dal nostro microcosmo di 8 persone ad un macrocosmo formato da 75 performers. La location già suggestiva di suo, nonché la partecipazione di Roberto Cecchetto che con la sua chitarra ha fatto vibrare le fibre di ognuno di noi, hanno fatto il resto. Il pubblico si è piacevolmente lasciato coinvolgere da questa "inusuale" mostra di quadri umani in movimento. E a fine spettacolo mi è sembrato di scorgere più di qualche paio di occhi lucidi..

Foto
D. Che idea avevi della danza e cosa hai scoperto sulla danza di comunità dopo questa esperienza?

R. A dire il vero la danza non è mai stata una mia grande passione, almeno finora. Grazie a questo progetto ho scoperto che dovevo solo imparare a conoscerla, a sentirla. La danza di comunità è una sorta di terapia contro il cinico individualismo di tutti i giorni. È stato molto toccante constatare come persone fino a quel momento sconosciute, iniziassero ad interagire tra loro come se fosse la cosa più naturale del mondo. Il grande senso di umanità creatosi lo porterò sempre dentro di me.
​
Foto dello spettacolo dal sito di La Piattaforma

giovanni bertuccio

Se si vince o si perde, il Teatro non deve morire! Conseguenze e considerazioni dopo il No del TAR

7/1/2016

 
Foto
Un plauso al Teatro Elfo Puccini, scrive sul suo profilo Facebook CRISTINA CAPPELLINI - Assessore alle Culture, Identità e Autonomie di Regione Lombardia, Lega Nord - che ha deciso di intraprendere la strada del ricorso non solo con motivazioni mosse da spirito di salvaguardia della propria realtà, ma andando direttamente alla radice del decreto e smontandone l’impianto generale. Se tutti i teatri (milanesi, lombardi e non) avessero fatto squadra fin dall’inizio contro l’impianto generale del decreto, anziché pensare ognuno al proprio orticello, com’è avvenuto in linea generale, non avrebbero perso tre anni in rimostranze varie e si sarebbe potuto fare un lavoro comune, più organico e lungimirante.Comunque sia il TAR del Lazio alla fine ci ha dato ragione e ha suonato la sveglia al Governo con una sonora bocciatura!”
E ancora, la Commissione Cultura del 
MOVIMENTO 5STELLE, scrive, “Come volevasi dimostrare: il Tar del Lazio ha bocciato il meccanismo previsto nel decreto ministeriale per la distribuzione dei finanziamenti statali del Fus. Un decreto calato dall’alto, che porta la firma dell’ex direttore generale per lo spettacolo dal vivo Salvatore Nastasi, e che introduce un sistema basato su un algoritmo per stabilire quali associazioni possono beneficiare dei fondi pubblici e quali no, un sistema inconcepibile che di fatto ha portato alla chiusura di numerose realtà culturali, soprattutto quelle più piccole e periferiche, ma innovative. Il M5S da subito ha denunciato con forza il decreto, dando voce alle proteste del mondo della cultura, della danza e del teatro contro l’ennesima riforma ispirata al principio dei grandi numeri, che penalizza e svilisce la qualità, concepita in totale assenza, o meglio spregio, del necessario confronto e coinvolgimento con gli operatori del mondo della cultura”.​
​
La sentenza del TAR del Lazio sul ricorso del Teatro dell’Elfo.
La sentenza del TAR del Lazio sul ricorso del Teatro Due.

Foto
Tutti contenti insomma, tutti felici per una bocciatura, forse doverosa; per la vittoria, presunta, di teatri e teatranti. Ma la verità è che l'annullamento del Decreto conduce dritto al Blocco dei finanziamenti, quindi niente soldi, programmazioni paralizzate, stipendi in stand by. E' DARIO FRANCESCHINI - Ministro del Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, PD - che spiega: "il direttore generale bloccherà i finanziamenti perché il decreto è già annullato da una sentenza esecutiva quindi se non c’è un cambiamento in Consiglio di Stato vengono purtroppo bloccati i finanziamenti, anche quelli in corso di pagamento. Quando ci sono 120 ricorsi si può anche immaginare che se un ricorso viene accolto produce degli effetti, non è che i ricorsi sono delle dichiarazioni di principio. Ma sono fiducioso, perché ci sono ottime ragioni che l’Avvocatura sosterrà in Consiglio di Stato”.

Foto
Il decreto. Pro
Dal decreto emergevano alcune note positive, ovvero la progettazione triennale, l'apertura agli under 35, il principio della multidisciplinarietà. Non è inoltre da sottovalutare che il 75% dei richiedenti ha avuto nel 2015 contributi più alti che nel 2014. Bisogna ammettere che senza la Commissione Consultiva – l'insieme delle Commissioni Prosa e poi danza e circhi – non si sarebbe capito bene, come stavano funzionando i meccanismi. E pareva, tutto sommato, che i gli algoritmi attuali non sono peggio del decreto del 2007 – in vigore fino al 2014 – che attribuiva alla qualità un valore del 300%.

Foto
Il decreto. Contro
Era diventato un caso su Facebook, l'indignazione del mondo del Teatro e dei lavoratori: artisti, registi, attori. Ricordiamo, uno per tutti, la battaglia mediatica che Juri Ferrini, insieme ai commentatori, aveva intrapreso sempre nella sua pagina Facebook. Insomma, tutti concordi nell'affermare che le falle risiedono:
​nella sopravvalutazione della quantità sulla qualità, sull'arbitrio/carattere discutibile nella ripartizione delle risorse fra i cluster, sull'ambiguità della qualità indicizzata che è quantità mascherata. E, infine, la questione delle competenze Stato/Regione e della probabile natura regolamentare di questi decreti (che regolamenti non dovrebbero essere).


Corsi e Ri-corsi. Il déjà-vu italiano
Dieci anni fa, il panico era analogo a quello attuale. Il Governo aveva emanato il decreto legge 18 febbraio 2003, n. 24 (Disposizioni urgenti in materia di contributi in favore delle attività dello spettacolo, regolamento convertito con legge n. 82/2003, che disciplinerà l’assegnazione dei contributi fino al 2007). La Regione Toscana, ritenendo che una tale regolamentazione non fosse di competenza dello Stato, presentò un ricorso di legittimità presso la Corte Costituzionale. Le sentenze della Corte Costituzionale (n. 255 e 256 del 21 luglio 2004, interessanti anche per altri aspetti), non diedero torno alla Regione, ma rigettarono il ricorso perché annullare il regolamento avrebbe comportato il sacrificio dei valori protetti dagli art. 9 e 33 della Costituzione; in altri termini l’annullamento del regolamento avrebbe compromesso l’intervento contributivo pubblico a favore del teatro, che è la conseguenza di un principio costituzionale, quindi più forte delle ragioni del ricorrente.

Foto
Le responsabilità
Il 
Ministero:  per tenere tutto al centro ha fatto molto in fretta, senza tener conto degli impatti e della crisi, senza meditare sulle funzioni delle (nuove) organizzazioni e sulle competenze dello Stato e delle Regioni.
Il 
MiBACT: inseguendo l'Europa si è infatuato della valutazione comparativa.
Le Regioni, che hanno avallato i dettami alti ma purtroppo, ad oggi, scavalcate ancora una volta, nelle loro competenze, che forse sempre meno desiderano e che in ogni caso vengono ridisegnate dalla riforma costituzionale in corso.
I ricorrenti (teatri e compagnie, dall’Elfo in giù, che hanno le loro ragioni, ma conoscevano le regole del gioco prima di giocarlo, e forse non avevano capito che l’”algoritmo” (questo sconosciuto) poteva danneggiare anche loro. 
Le organizzazioni di categoria, l’AGIS ma anche CRESCO, che hanno condotto patteggiamenti invece di chiedere di meditare sui principi, sulle competenze, e magari chiedere di sperimentare qualche novità sul multidisciplinare, sulla promozione, sui giovani.

L'alternativa?

Il MiBACT potrebbe aver pensato ad una possibile soluzione. Se l’annullamento del Decreto 2014 fa rientrare in vigore quello del 2007, non dovrebbe essere troppo complesso riassegnare i contributi, considerando che “l’entità del contributo è determinata con provvedimento del direttore generale, sentita la Commissione” (e ci si può giocare la carta qualità fino al 300%).

giovanni bertuccio

Arte dionisiaca | Caos e Tragedia

6/8/2016

 

In origine era il Caos

Immagine
Apollo non era il contrario di Dionisio nella Grecia arcaica, bensì l'altro aspetto, e questi due dei, insieme, davano espressione alla realtà esistenziale percepita dai greci. Le pulsioni incontrollate, personificate dal dio caprino, non rappresentavano un polo morale, o meglio, come si direbbe oggi, immorale, bensì erano accettate per quello che sono: una parte del proprio sé. Similarmente Freud arriverà alle medesime conclusioni quando affermerà:

"chiamiamo Es la più antica di queste province o istanze psichiche: suo contenuto è tutto ciò che ereditato, presente fin dalla nascita, stabilito per costrizione, innanzi tutto dunque le pulsioni che traggono origine dall'organizzazione corporea e che trovano qui in forme che non conosciamo una prima espressione psichica. Sotto l'influsso del mondo esterno reale che ci circonda una parte dell'Es ha subito un'evoluzione particolare. Da quello che era in origine lo strato corticale munito degli organi per la ricezione degli stimoli, nonché dei dispositivi che fungono da scudo protettivo contro gli stimoli, si è sviluppata una particolare organizzazione che media da allora in poi fra Es e mondo esterno. Questa regione della nostra psichica l'abbiamo chiamata Io."

Originariamente, dunque, nella storia evolutiva della persona, tutto era Es e l'Io si è sviluppato, come ci dice Freud, dall'Es per influsso persistente del mondo esterno (l'educazione, la civilizzazione). Il mondo esterno, che qui possiamo soprannominare “l'educazione di Apollo”, media e filtra le pulsioni e le trasforma in sublimazione, in arte. Le energie filtrate e sublimate conservano, arrivando alla meta della rappresentazione, una carica sufficiente per produrre l'ebbrezza di Apollo, quella di cui Nietzsche parla e concede anche al dio delfico. Questa non è la stessa ebrezza della scarica nella sua epifania dionisiaca, quella bestiale che si traduce nel grido orgiastico dell'organismo, bensì quella della contemplazione, uno stato di godimento celestiale, paradisiaco, che può essere molto intenso ma da un punto di vista topico si trova all'altro polo. Il concetto di una sublimazione che canalizza le energie dionisiache distillate e depurandole fino al raggiungimento della loro meta.
. Freud, all'intuizione folgorante di Nietzsche, contrapponeva un lungo lavoro empirico ma le conclusioni furono le stesse:

"come da tempo abbiamo appreso, l'arte offre soddisfacimenti sostitutivi per le più antiche rinunce imposte alla civiltà e contribuisce perciò come null'altro a riconciliare l'uomo con i sacrifici da lui sostenuti in nome della civiltà stessa. Le creazioni dell'arte promuovono d'altronde i sentimenti d'identificazione, di cui ogni ambito civile ha tanto bisogno, consentendo sensazioni universalmente condivise e apprezzate: esse giovano però anche al soddisfacimento narcisistico allorché raffigurano le realizzazioni di una certa civiltà alludendo in modo efficace ai suoi ideali.

Muore Dioniso. Muore la Tragedia

Immagine
Certo è, da quanto emerge fin qui, che l'alternarsi dei due elementi, apollineo e dionisiaco, è all'origine non solo della vita, essi sono un binomio inscindibile che caratterizza anche l'interiorità dell'uomo. L'uno è necessario all'altro. L'arte, in quanto diretta espressione della vita, ne riproduce il conflitto tragico. Le diverse forme artistiche si sono generate a seconda del prevalere dell'uno o dell'altro elemento, ma il culmine dell'espressività si è raggiunto nella tragedia greca, in quanto al suo interno si riproduce infatti il conflitto in atto nella vita.

"L’eccitazione dionisiaca è in grado di comunicare a tutta una massa questo talento artistico, di vedersi attorniata da una tale schiera di spiriti, con la quale essa sa di essere intimamente una. Questo processo del coro della tragedia è il fenomeno drammatico originario: vedere se stessi trasformati davanti a sé e agire poi come se si fosse davvero entrati in un altro corpo, in un altro carattere […] C’è qui qualcosa di diverso dal rapsodo, che non si fonde con le sue immagini, ma che, simile al pittore, le vede fuori di sé con occhio contemplante; qui c’è già un annullamento dell’individuo per il l’ingresso in una natura estranea […] Il coro ditirambico è un coro di trasformati, in cui il passato civile e la posizione sociale sono completamente dimenticati: essi sono diventati i servitori senza tempo del loro dio, viventi al di fuori di ogni sfera sociale. Tutto il resto della lirica corale dei Greci è soltanto un’enorme estensione del singolo cantore apollineo, mentre il ditirambo ci sta innanzi una comunità di attori inconsci, che si considerano tra loro come trasformati […] In questo incantesimo chi è esaltato da Dionisio vede se stesso come Satiro, e come satiro guarda a sua volta il dio, cioè nella sua trasformazione egli vede fuori di sé una nuova visione, come compimento apollineo del proprio stato."

Privo dell’elemento dionisiaco la commedia nuova non prese le sembianze, come si potrebbe credere, di un’opera devota ad Apollo, bensì seguace di quello che Nietzsche chiamava un socratismo estetico, e quindi di un arte devota e che serve un nuovo demone: Socrate. Sarà questo il nuovo contrasto, non più fra apollineo e dionisiaco, ma fra dionisiaco e socratismo. “tutto deve essere razionale per essere bello”. Questa proposizione che si sposa perfettamente con il principio socratico: “solo chi sa è virtuoso” fu il canone con cui Euripide si misurava per la creazione delle sue opere; tutto divenne razionale, chiaro perché spiegato. E tale tendenza, denuncia il filosofo, è chiara ed evidente all’interno del prologo: 

"che un singolo personaggio si presenti all’inizio del dramma e racconti chi è, che cosa procede l’azione, che cosa è accaduto fin ora, e anche che cosa accadrà nel corso del dramma […] si sa già tutto quello che accadrà; chi vorrà attendere che questo realmente accada, dato che qui in nessun modo si presenta lo stimolante rapporto fra sogno profetico e una realtà che si verificherà più tardi?"

Con il cambiare della struttura e della funzione che il teatro rivestiva, alla tragedia si sostituì la “commedia attica nuova”. In essa sopravvisse, tuttavia, la forma, degenerata, della tragedia, ma ciò che la caratterizzò fu il portare lo spettatore sulla scena: "lo specchio in cui prima venivano riflessi solo i tratti grandi e arditi mostrò ora quella meticolosa fedeltà che riproduce coscienziosamente anche le linee non riuscite della natura". Ora lo spettatore vedeva e sentiva sulla scena il suo sosia, lo prendeva ad esempio, imparava il suo linguaggio: imparava a discutere con le più furbe sofisticazioni, traeva delle conclusioni. È con questo capovolgimento del linguaggio che fu possibile al suo ideatore, Euripide, creare la commedia nuova. Se fino a quel momento il linguaggio era stato determinato dal semi-dio nella tragedia, prendeva ora a parlare la mediocrità cittadina su cui Euripide fondava le sue speranze: ora tutta la massa filosofava, ora conduceva i suoi processi. Euripide portò lo spettatore sulla scena, e così facendo lo mise, per la prima volta, in condizione di poter giudicare il dramma, creando un rapporto di corrispondenza tra opera d’arte e pubblico.

giovanni bertuccio

Arte dionisiaca | Il Sublime. Da Burke a Nietzsche

5/25/2016

 
Immagine
Uno dei temi che sono maggiormente in grado di mostrare la molteplicità delle fonti e dei problemi relativi all'inizio di un discorso estetico è probabilmente quello del sublime, in cui argomenti poetici, filosofici, etici e artistici in esso si fondono, o si scontrano, in direzioni spesso ambigue e confuse. Il sublime rischia anzi di presentarsi, sul piano storico, proprio come la storia di un equivoco, in cui vi è sempre timore dell'arbitrarietà critica quando, sotto un solo nome, si racchiude l'incrocio di più discipline. Non potendo soffermarci su un percorso lineare ed esaustivo sulle teorie nate attorno al sublime, ci limiteremo a prendere in considerazione le idee di alcuni autori che, attraverso i secoli e le correnti, hanno guardato da diversi punti di vista la questione prima del Novecento.
Certo è che soltanto a partire dal Settecento il sublime diviene una vera e propria categoria estetica, contrapponendosi alla centralità del bello oppure rafforzandone le potenzialità estetiche. Il godimento estetico nelle belle forme, nella grazia e nella proporzione lasciava, nel Settecento, anche se in fase germinale, il posto alla predilezione verso un nuovo sentimento, quello del sublime, in grado di aprire, al nostro interno, un orizzonte oscuro, lo stesso che lega la natura alle passioni dell'uomo. Ed è seguendo questa direzione che Edmund Burke con la sua Indagine filosofica sull'origine delle nostre idee di Sublime e Bello, rappresenta un fondamentale passaggio storico-teorico del concetto. Nella ricerca di Burke il sublime è definito come <<ciò che produce la più forte emozione che l'animo sia in grado di sentire>>; emozione che tuttavia non deriva da una “reale” esperienza negativa ma da una situazione in cui, pur avendo una ben precisa idea del dolore e del pericolo, non né siamo a diretto contatto. Di fronte a sentimenti quali paura, dolore o orrore, lo stupore che invade e paralizza non deve condurre alla distruzione del soggetto, bensì deve indurre la consapevolezza di un dolore “mancato”, che si guarda a distanza. Il piacere generato da questa situazione, sublime perché ambigua, non è per Burke un vero e proprio piacere “positivo” vista la sua relazione con il dolore. Il sublime si pone dunque come istinto di auto-preservazione in tutte quelle situazioni in cui il soggetto è in uno stato di “privazione”, ad esempio di fronte all'infinito, al vuoto, all'oscurità, alla solitudine o al silenzio. È chiaro come questo tipo di sensazione, o meglio sensazioni al plurale, si contrappongano nettamente al concetto di bello, sia nei risvolti estetici che artistici. Il bello non è più forma, proporzione con Burke. Il bello non deve soddisfare più il piacere degli occhi attraverso giochi cromatici o trovate prospettiche. Più che condizioni esterne il bello deve soddisfare necessità interne. Dalla messa in pratica di regole che ne decretavano la bellezza, l'arte più che essere vista, da qui in poi, e molto lentamente, andava sentita financo vissuta.
Ovviamente le riflessioni estetiche sul sublime andarono alimentandosi, il secolo di Burke si chiuse con le osservazioni kantiane e le opere di Schiller e Schelling; l'Ottocento caricò di nuova enfasi le definizioni, dando vita alle opere di Hegel e Schopenhauer, con le quali il divario arte vita andava rimpicciolendosi. Consideriamo sinteticamente le opere dei due. Nella sua Estetica, Hegel pone il sublime, concordando con i suoi predecessori, come la manifestazione estetica di un contrasto fra finito e infinito.

Immagine
Il sublime diviene il tentativo di esprimere l'infinito, senza che tuttavia si riesca a trovare nel mondo delle apparenze un oggetto che offra per tale infinità un'adeguata rappresentazione. Nel sublime hegeliano, più che il dolore interiore e il tormento etico introdotti in Kant, è presente una tensione inappagata, che spinge verso il superamento delle situazioni sublimi attraverso il divenire dello spirito artistico, in quanto l'arte è in grado di restaurare l'assoluto. Ne Il mondo come volontà e rappresentazione Schopenhauer, invece vede il sublime come vicino a quegli oggetti che invitano con la loro forma alla pura contemplazione ma che, al tempo stesso, per la loro grandezza e “forza superiore”, hanno un atteggiamento ostile e minaccioso nei confronti della volontà umana. È dunque proprio con Schopenhauer che il termine sublime tende ad allontanarsi dal contesto estetico in cui si era inserito da più di un secolo, per presentarsi come una grande metafora della condizione umana, come una sorta di stato esistenziale al tempo stesso eccelso e minaccioso.1
Con i pensatori romantici l'attenzione della riflessione filosofica si sposta dalla natura, come oggetto di indagine, all'arte. Originale, nel periodo romantico, è soprattutto il legame tra le diverse forme, dettato non dalla ragione, ma dal sentimento e dalla ragione, legame che non mira a escludere le contraddizioni o a risolvere le antitesi (finito/infinito, intero/frammento, vita/morte, mente/corpo), ma ad accoglierle in un insieme unitario. La bellezza cessa di essere forma e diventa bello l'informe, il caotico. Non interessa più l'appagamento degli occhi, ma si è più inclini alla fascinazione di ciò che viene suscitato nell'animo dello spettatore.
Con il progredire della società e il suo, conseguente, complicarsi, cambia inevitabilmente, anche il singolo che vive in questa società. L'uomo moderno non è più, come si credeva, il frutto di un'evoluzione ma, comincia a insinuarsi l'idea che l'uomo sia il prodotto di una degenerazione della purezza originaria, e poste cosi le cose, la battaglia contro la civiltà andava combattuta con armi nuove, non più trattate dall'arsenale della ragione (che è prodotta dalla medesima degenerazione), ma far prevalere le armi del sentimento, della natura. La natura stessa, contrapposta all'artificio della storia appariva oscura, informe, misteriosa: non si lascia catturare da forme precise e nette, ma travolge lo spettatore con visioni grandiose e sublimi. Per questo non si descrive la bellezza della natura, ma la si sperimenta direttamente, la si intuisce lanciandovisi dentro.
I significati classici di bellezza, dunque, sono definitivamente ridiscussi e si giunge a ipotizzare, come accadrà in Victor Hugo, che siano la molteplicità delle cose brutte, e non l'armonia della bellezza, le sole capaci di dire la complessità dell'arte. Anche Baudelaire, esaltando il senso simbolico del bello, ne afferra anche la contingenza e di conseguenza la pluralità di modi e categorie attraverso le quali la sua forza può esplicarsi. La bellezza apollinea è ormai attraversata, come dimostra la Nascita della tragedia di Nietzsche, da un impulso dionisiaco, spirito di ebrezza e di trasgressione eccedente. Con quest'opera si chiude il secolo dei romantici e si saluta da vicino il Novecento portando in eredità la distruzione dell'idea classica del bello e della sua autonoma pienezza simbolica. Elementi che avranno pieno compimento nel corso di tutto XXI sec., ma che già, all'epifania del nuovo secolo, trovarono nuova linfa nei movimenti d'avanguardia: Dadaismo, Surrealismo, Espressionismo, Futurismo contestarono fermamente la possibilità di una forma assoluta per il bello e ancor più radicalmente negarono che l'arte possa trovare nella bellezza un principio di sintesi o di definizione.

giovanni bertuccio

Venus. La quiete apparente

5/10/2016

Commenti

 
Secondo episodio della ricerca coreografica di Nicola Galli dedicata al sistema planetario, VENUS presenta una serie di esercizi - distanti dall'immaginario contemporaneo ma allo stesso tempo rigorosissimi - tratti dal repertorio ballettistico e ginnico, che tracciano nello spazio, attraverso i danzatori, vettori e morbide linee. Un alfabeto di gesti attraverso cui si tesse un disegno sinuoso e curviforme, alla ricerca di una possibile quiete. Sarà la leggerezza di un flusso d'acqua a rompere l’apparente armonia, concedendo ai corpi una sorta di sinuosità nostalgica. E nella nostalgia del pianeta Terra, ricordi di spensieratezza.. 
Immagine
​Come si col-legano sfere che cadono, acqua e la danza rituale con Venere?


VENUS è una creazione ermetica, fredda, che esplora senza contrasti la figura geometrica del cerchio attraverso l'esercizio. All'interno di questo sistema alcuni elementi sfuggono in questa linearità, come la sfera che rotola sulla scena o il deflusso d'acqua che cadendo sulla superficie bianca si sparge intorno. Questa intrusione senza controllo nel disegno formale termina nel movimento che perde armonia e nitidezza: si innesca così un vortice ellittico alimentato dal suono dei tamburi dove il corpo coglie una vibrazione primordiale, una rivolta vertebrale.

Immagine
Il Corpo significante. Ovviamente mezzo ma non solo corpo, Che posto occupa l'uomo all'interno delle tue creazioni?

​

Percepisco la scena come un luogo paritario, dove la luce e il suono hanno la stessa materialità di un corpo umano. L'amore per le proporzioni e la geometria creano una scena a misura d'uomo dove lo spazio diventa abitabile e fluido, plasmato dagli elementi che vi accedono. L'uomo è ospite di questo sistema, pioniere e preda; i danzatori stessi sono chiamati a scoprire questo territorio sconosciuto. Salvarsi da questa selva significa svestirsi della centralità soggettiva per incoronarsi porzione, a volte margine, di qualcosa di più grande.

Immagine
I capelli. fare, in Jupiter, dis-fare, in Venus, la treccia è metafora di..?


Il simbolo dell'intreccio, presente in JUPITER AND BEYOND e in VENUS, implica un'abilità manuale, una duttilità che l'uomo ha appreso. Questo elemento nasce da un passaggio del romanzo "La sentinella" di Arthur C. Clarke (testo ispiratore per il film "2001: Odissea nello spazio" di S. Kubrick) che ho letto durante la fase iniziale di ricerca: una scimmia, di fronte alla vibrazione del monolite di cristallo lucente, raccolse un sottile filo d'erba e con dita goffe creò un nodo, il primo nodo creato nella storia dell'uomo. Quest'immagine mi colpì profondamente e unita alla lunga chioma di Alessandra Fabbri, danzatrice in entrambe le creazioni, ha dato vita a questi elementi scenici: la treccia di capelli, il filo di canapa ludicamente intrecciato, la manipolazione del solido bianco irregolare.

www.nicolagalli.it

giovanni bertuccio

Commenti

    Autore

    Giovanni Bertuccio

    Archivi

    Gennaio 2020
    Settembre 2019
    Marzo 2019
    Ottobre 2018
    Giugno 2018
    Maggio 2018
    Aprile 2018
    Gennaio 2018
    Dicembre 2017
    Novembre 2017
    Ottobre 2017
    Settembre 2017
    Luglio 2017
    Dicembre 2016
    Novembre 2016
    Ottobre 2016
    Settembre 2016
    Luglio 2016
    Giugno 2016
    Maggio 2016

    Categorie

    Tutto
    Annibale Ruccello
    Arte
    Coreografi
    Cromosomi
    Cubo Teatro
    Danza
    Dario Fo
    Decentramento
    Dennis Altman
    Drag
    Dragking
    Dragqueen
    Eterosessismo
    Eterosessualità
    Femminismo Bianco
    Femminismo Lesbico
    Femminismo Radicale
    Gender
    Gender Study
    Genere
    Genetica
    Graphic Novel
    Gruppi Di Base
    Guy Hocquenghem
    Interviste
    La Nuova Drammaturgia Napoletana
    Lesbismo
    Mario Mieli
    Mary Daly
    Monique Witting
    Movimento Omosessuale Italia
    Nuova Scena
    Omosessualità
    Potere
    Registi
    Ru Paul
    Sesso
    Sessualità
    Storia Dell'eterossesualità
    Storia Dell'omosessualità
    Teatro
    Teatro Di Narrazione
    Teatro Politico
    Teatro Popolare
    Travestitismo

    Feed RSS


Foto

Art is Present | la Voce dell'Arte
Magazine d'Arte e Cultura. Teatro e Danza. Queer

​
Testata giornalistica registrata al Tribunale di Torino n. 439 del 07 novembre 2016
Direttore Giovanni Bertuccio



   email:

   info@artispresent.it
  • Home
  • Perchè?
  • Hic et Nunc
    • Arte Dionisiaca
    • Sidi Larbi Cherkaoui 99 | 19
    • #Pensierobimbo | Incanti 18
    • EgriBianco | Showcase 18
    • TST | Il Cielo su Torino 18
    • Perunteatrocontemporaneo16
  • Editoriali
    • 09 - 19 | 10 anni del Direttore
    • Editoriale | Corpo
    • Editolriale | Relazione (?)
    • Editoriale | Strada
  • Numeri
    • V. Queer >
      • Arte
      • Danza
      • Teatro
      • Queer | Teorie
    • IV. Tecnologia >
      • Arte e Téchne
      • Danza e Téchne
      • Teatro e Téchne
    • III. Corpo >
      • Corpo e Arte
      • Corpo e Danza
      • Corpo e Teatro
    • II. Relazione >
      • Arte Relazionale
      • Danza di Comunità
      • Teatro sociale
    • I. Strada >
      • Street Art
      • Street Dance
      • Teatro di strada
    • O. Start >
      • Speciale | La sottise
      • Speciale | Nicola Galli
      • Speciale | Vucciria Teatro
  • Queer
  • Rec | Int
  • Libri
  • Contatti