Gli anni Ottanta, a giudicare con il metro della storia, sono stati fortemente contraddittori. Il decennio può essere ricordato come un periodo di esaltazione dell'arrivismo, del profitto, della competizione e del decadimento, non del tutto avvenuto, del sistema dei valori borghesi. Gli anni Ottanta sono anche il decennio in cui crollano il modello e il sistema comunista, dando avvio ad un cambiamento strutturale nei rapporti tra i paesi e le culture. È, infatti, in questo periodo di compiacimento dell'Occidente che si coniano idee come quella della “fine della storia” inaugurando un nuovo modo di interpretare il mondo. |
post moderno
E spesso la discriminante non è economica bensì culturale: è esperienza consueta rilevare la rozzezza del nuovo ricco che, per ostentare la sua ricchezza, va oltre i limiti che la sensibilità estetica dominante assegna al “buon gusto”.
E' per altro imbarazzante definire la sensibilità estetica dominante: non è necessariamente quella di chi detiene il potere politico o economico. E' piuttosto quella fissata dagli artisti, dalle persone colte, da chi viene ritenuto esperto di “cose belle”. Ma si tratta di un concetto molto volatile, soprattutto oggi che ogni “comunità” detiene la sua concezione di bello. Jean-François Lyotard, quando spiegava il post moderno metteva in guardia proprio dal caos che regna intorno l'arte kitsch:
Facendo kitsch, l'arte asseconda il disordine che regna nel 'gusto' dell'amatore. L'artista, il gallerista, il critico e il pubblico trovano, tutti insieme, soddisfazione in qualsiasi cosa, e il rilassamento è in agguato.
Ovviamente non tutta l'arte post moderna è di cattivo gusto, e tanto meno comica. Ma era indispensabile che le istanze formali, filosofiche o etiche del modernismo si affievolissero perché il kitsch, nella sua versione critica, acquistasse diritto di cittadinanza.
citazione e sarcasmo
Ma se il kitsch innesta una critica ai valori, spesso questa è ben dissimulata. Jeff Koons, ad esempio, senza dubbio uno dei più noti esponenti del kitsch, fa costruire un'enorme struttura a forma di cane accucciato, interamente ricoperta di piante fiorite (Puppy, 1992) e la pone all'ingresso di un castello. E Martin Honert con i suoi sketch ricostruiti tridimensionalmente e dipinti a colori vivaci lascia le stesse perplessità.
Rientrano invece in un registro più dichiaratamente sarcastico le navette spaziali, rivestite di pelle sintetica – un materiale particolarmente kitsch – da Silvy Fleury (First Space-Ship on Venus, 1996) e opere di Wim Delvoye come la betoniera in legno scolpita come un buffet lavorato o Peau de porc tatouée (1995) che inalbera una croce ornata di rose, motivi floreali e la scritta: One life. One love. One God.
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approfondimenti
queer e arte
Arte della felicità o cattivo gusto?
Con il Kitsch, invece, la questione è diversa. Perché non si tratta di una cultura alternativa o di una controcultura, bensì della negazione di determinate esigenze culturali a vantaggio di un appagamento immediato dei gusti, giudicati grossolani della maggioranza. Stando almeno a quanto affermano i suoi detrattori1.
I sottotitoli di due testi dedicati al Kitsch indicano chiaramente come questo tipo di arte catturi un certo pubblico e ne allontani, invece, un altro. Il Kitsch è al tempo stesso un'arte della felicità (secondo A. Moles) e un'espressione del cattivo gusto2 (secondo G. Dorfles).
Arte per tutti?
La cultura “alta” definisce kitsch i nanetti da giardino, le immaginette devozionali, i falsi canali veneziani dei casino di Las vegas, il falso grottesco del celebre Madonna Inn californiano, che regala ai fortunatissimi avventori un'esperienza “estetica” ineguagliabile. E Kitsch senza remissione è stata definita l'arte celebrativa (che si voleva popolare) delle dittature staliniana, hitleriana o mussoliniana, che definivano l'arte contemporanea come “degenerata”.1
Chi si compiace del kitsch ritiene, invece, di stare godendo di una esperienza qualitativamente alta. Ma mentre i cultori di un'arte “colta” trovano kitsch il kitsch, i cultori del kitsch non trovano disprezzabile la grande arte dei musei (i quali peraltro, espongono spesso opere che la sensibilità colta giudica kitsch). Anzi, ritengono le opere kitsch “simili” a quelle della grande arte.
Trasporto vs citazione
Clement Greenberg studiando quest'arte ha affermato che, mentre l'avanguardia (intendendola in generale come l'arte nella sua funzione di scoperta e invenzione) imita l'atto dell'imitare, il kitsch imita l'effetto dell'imitazione. L'avanguardia nel fare arte pone in evidenza i procedimenti che portano all'opera, mentre il kitsch pone in evidenza le reazioni che l'opera deve provocare, e l'emotività del fruitore.1
Hermann Broch, uno dei primi studiosi del kitsch, vi scopre invece, una forma di male radicale. Distruttivo del sistema dei valori, fondato com'è sulla confusione della categoria etica e della categoria estetica. Alla ricerca del bell'effetto, l'arte kitsch non mira assolutamente al lavoro ben fatto bensì alla bella fattura. Per riuscirvi, il kitsch usa mezzi sperimentati che volgono le spalle all'inventiva e alla creatività. Da Il Male nel sistema dell'arte cosi si può leggere:
L'essenza del kitsch consiste nello scambio della categoria etica con la categoria estetica: esso impone all'artista non un “buon “lavoro ma un “bel “ lavoro; ciò che gli importa è il bell'effetto. Malgrado si atteggi spesso in senso naturalistico, e cioè malgrado il suo abbondante impiego di vocaboli della realtà, il romanzo Kitsch illustra il mondo non “come è” ma “come lo desidera o lo teme” e analoga tendenza rivela il Kitsch nelle arti figurative (…) Come non concludere che nessuna arte può fare a meno di una goccia di effetto, di una goccia di Kitsch? (…) E' assai significativo e caratterizzante il fatto che, data la mancanza di una fantasia propria, il Kitsch debba costantemente richiamarsi ai metodi più primitivi.
saccheggiare la tradizione
Da questa riserva di esperienze accumulate. Carl Greenberg in Avanguardia e Kitch, conferma che solo quando è trascorso abbastanza tempo, il nuovo viene saccheggiato per delle nuove bevande miste, dei “cocktails” che vengono poi annacquati e serviti come kitsch.
Di solito non si sa bene se il kitsch è soltanto un brillante artificio o deve essere considerato, al di là del lato buffo, uno stimolo critico. A meno che non resti, più semplicemente, un'operazione velleitaria.
Fonti
C. Greenberg, Avanguardia e Kitsch, in Arte e cultura, Allemandi 1991
H. Broch, Il male nel sistema di valori dell'arte, in Il Kitsch, Einaudi, Torino 1990
J.-F. Lyotard, Le postmoderne expliqué aux enfants, Galilée, Paris 1986
A. Moles, Il Kitsch. L'arte della felicità, Officina, Roma 1978
G. Dorfles, Il Kitsch. Un catalogo ragionato del cattivo gusto, Mazzotta, Milano 1968
A. Kohn, Introduction a H.Broch, Création littéraire et connaissance (1955), Gallimard, Paris 1966
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APPROFONDIMENTI
QUEER E ARTE
DANDYSMO DI MASSA
Il gusto camp nasce come segno di riconoscimento tra i membri di una élite intellettuale, così sicuri del loro gusto raffinato così da poter decidere la redenzione del cattivo gusto di ieri, sulla base di un amore per l'innaturale e l'eccessivo – e il richiamo è al dandismo di Oscar Wilde per cui “essere naturali è un atteggiamento così difficile da mantenere”, come scriveva in Un marito ideale.
In tal senso è manifestazione di gusto aristocratico e comunque snobistico: come il dandy era nell'Ottocento il surrogato dell'aristocratico nelle faccende della cultura, così camp è il dandy della cultura di massa. Però mentre il dandy cercava sensazioni rare, non ancora profanate dal gradimento delle masse, l'intenditore di camp si realizza nei piaceri più rozzi e più comuni.
ECCENTRICITA' | AMBIGUITA' | CANDORE
Ma non solo, il gusto camp è attratto dall'ambiguità sessuale:
L'androgino è certo una delle grandi immagini della sensibilità Camp (…) Su questo punto il gusto camp tocca una delle verità più misconosciute del gusto: la forma più raffinata dell'attrazione sessuale (nonché del piacere sessuale) consiste nell'andar contro l'inclinazione del proprio sesso. Ciò che c'è di più bello negli uomini virili è qualcosa di femminile; ciò che c'è di più bello nelle donne femminili è qualcosa di maschile (…) Accanto al gusto per l'androgino, c'è in Camp qualcosa che sembra molto diverso ma non lo è: una predilezione per l'esagerazione delle caratteristiche sessuali e delle affettazioni della personalità (…) Camp è il trionfo dello stile ermafrodita, la convertibilità tra uomo e donna, tra persona e cosa.1
Va detto, comunque, che non tutto il brutto può essere visto come camp. Lo è solo quando l'eccesso è innocente e non calcolato. Gli esempi puri di camp non sono intenzionali, sono estremamente seri: “l'artigiano Art Nuveau che fabbrica una lampada con un serpente avvolto intorno non lo fa per scherzo, e neanche cerca di affascinarci. Dice soltanto, con tutta serietà: ecco l'oriente! Non si può decidere di fare una cosa camp. Il camp non può essere intenzionale, poggia sul candore con cui si mette in opera l'artificio.
SUSAN SONTAG
In tal senso il camp trasforma il brutto di ieri attraverso un'operazione ambigua in cui non è chiaro se il brutto venga redento come bello o il bello si declassi a brutto. Ma non è importante perché il camp, dice Sontag “rifiuta la distinzione tra bello e brutto tipica del normale giudizio estetico (…) non sostiene che il bello sia brutto o viceversa. Si limita a offrire all'arte un insieme di criteri di giudizio diversi, e complementari”.
“Valutiamo un'opera d'arte sulla base della serietà e della dignità che riesce a raggiungere”, e nell'apprezzarla, ci dice l'autrice, identifichiamo un giusto rapporto tra l'intenzione e l'esecuzione, anche se esistono altre forme di sensibilità artistica i cui caratteri distintivi sono l'angoscia e la crudeltà, per cui “accettiamo una disparità tra intenzioni e risultati”. A questo proposito Sontag cita Bosch, Sade, Rimbaud, Jarry, Kafka, Artaud e molte altre persone dell'arte del XX secolo, il cui fine non era di creare armonia bensì di affrontare temi sempre più violenti e insolubili.
C'è nel camp, insomma, qualcosa di smisurato nelle intenzioni, per cui “gli sgargianti e magnifici edifici di Gaudì a Barcellona”, e in particolare la Sagrada Familia rivelano, secondo Sontag, “l'ambizione di un uomo di fare da solo ciò che per essere realizzato richiederebbe gli sforzi di tutta una generazione”. Se il kitsch era una menzogna pronunciata in riferimento all'arte “alta”, il neo brutto internazionale sarà una menzogna pronunciata nei confronti di un “orribile” che il gusto camp aveva tentato di redimere.1
Fonti
Umberto Eco, Storia della Bellezza, Bompiani, 2007
Sontag, Note sul Camp (1964), in Contro l'interpretazione, Mondadori, Milano 1967
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approfondimenti
queer e arte
L'INTERESSE DEI MEDICI
Marcel Réja, ad esempio, pubblicò L'art chez les fous. L'intento del libro, come è chiaramente indicato nell'introduzione, è quello di studiare un'“arte” specifica, o, più precisamente, un'infanzia dell'arte, per riuscire a illuminare i meccanismi del genio. A tale scopo l'autore esamina anche i “disegni dei bambini e dei primitivi”, ne rileva le differenze e constata che hanno in comune un certo “disprezzo” della realtà: non mirano a “evocare le forme in sé, ma solamente la loro idea”.
HANS PRINZHON
E' assai proficuo rilevare i tratti comuni alla sensibilità artistica contemporanea. Constatiamo infatti che l'avversione a un'idea semplicistica del mondo, un disconoscimento sistematico delle apparenze esteriori alle quali l'arte occidentale era rimasta da sempre fedele, in definitiva un deciso ritorno all'Io, sono i tratti fondamentali della nuova ricerca artistica. Ebbene, tali termini ci sono stati resi familiari grazie agli sforzi dello schizofrenico per descrivere il suo sentimento del mondo.
ARTE E FOLLIA
Artisti e poeti hanno sempre manifestato, dunque, interesse per le opere prodotte da una creatività sregolata, ma nessuno è mai sembrato preoccuparsi della loro conservazione. Possiamo vedere ancora oggi i disegni spiritici di Victor Hugo o le figure scolpite nel granito dall'abate Adolphe-Julien Fourè sulla scogliera di Rothéneuf perché molto resistenti, ma la maggior parte delle opere marginali è scomparsa. Le collezioni psichiatriche, in questo senso, hanno avuto un ruolo determinante.
DUBUFFET E L'ART BRUT
Noi intendiamo con ciò opere eseguite da persone prive di cultura artistica, nelle quali il mimetismo, contrariamente a quanto accade negli intellettuali, ha dunque scarsa o nessuna importanza, dal momento che i loro autori attingono tutto quanto (soggetti, scelta dei materiali adoperati, mezzi di trasposizione, ritmi, modelli di scrittura, ecc.) dal fondo di se stessi e non dagli stereotipi dell'arte classica o dell'arte alla moda. Noi assistiamo qui all'atto artistico assolutamente puro, bruto, reinventato dall'autore nella totalità delle sue fasi, muovendo unicamente dai propri impulsi. Arte, dunque, dove si manifesta la sola funzione dell'invenzione e non quella, costante nell'arte colta, del camaleonte e della scimmia.
L'arte accademica, in quanto tecnica, veniva messa al bando. Si favorivano al contrario, quei gesti artistici scaturiti da nessuna mediazione, dove erano gli impulsi ad essere il motore scatenante, divenendone cosi sia il punto da cui si originava certa arte, sia il significante dell'arte stessa. Si parte dagli istinti per spiegarli e conoscerli.
1 M. Réja, L'art chez les fous (1907), Z' éditions, Nice 1994
2 H. Prinzhorn, Expressions de la folie (1922), Gallimard, Paris 1984
3 Cfr. D. Riout, in Riferimenti e modelli, in L'arte del Ventesimo secolo. Protagonisti, temi, correnti, Einaudi, Torino 2002
4 J. Dubuffet, L'art brut préféré aux arts culturels (1949), in L'homme du commun, Museum of Fine Arts, Montreal, 1970
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ApprofondiMENTI
QUEER E ARTE
ACCOGLIERE LA VITA
In effetti dopo il Romanticismo - a cavallo fra Ottocento e Novecento – l'arte non può più venire equiparata all'inestetico o all'extra estetico (vedi Il brutto e le avanguardie). Come ricorda Dessoir “nella violenta rottura delle norme di ogni grandevolezza e di ogni superficiale appagamento formale si svela “un regno che non è di questo mondo”. Il brutto prende il significato di “espressivo”, come positivo valore estetico, contro un bello che nell'armonia delle sue forme e nell'equilibrio dell'apparenza, si fa superficiale conciliazione e non permette di guardare in faccia alle cose”.
Il brutto diventa, per usare un'espressione di Feldman, “una vera struttura del mondo” e l'arte che non fa consistere la propria dignità nella cesura o nella neutralizzazione del brutto o del negativo in generale, recupera la propria vitalità proprio attraverso un confronto costante e proficuo con le tematiche del deforme, del mostruoso e della caricatura.
IL BRUTTO ESTETICO
Per questo, concettualmente, all'interno dell'Art Brut rientrano un variegato gruppo di opere, espressioni di propri, autonomi, criteri estetici, e non è possibile paragonare l'Art Brut a un movimento o a una corrente artistica. Il creatore d'Art Brut, per definizione marginale e autodidatta, elabora una sintassi tematica, iconografica, stilistica e tecnica, che testimonia una peculiare inventiva e uno spirito indipendente.
ESTETIZZARE L'OSCURITà
Proprio questa assenza di informazioni permette loro di sperimentare tutte le potenzialità espressive del proprio processo creativo. La creazione, nell'Art Brut, raggiunge la sua massima intensità generando un'“esteriorizzazione dei moti d'umore più intimi e più profondi dell'artista”. L'indagine rivolta all'essenza “degli strati più nascosti” della personalità, impegna Wolfli o Jeanne Tripier a confrontarsi con le sfere più oscure dello stato selvaggio e della violenza.
DEVIANZA E ROTTURA
I principali protagonisti dell'Art Brut saranno Adolf Wolfli, Heinrich Anton Muller e Aloise e le loro opere costituiranno il nucleo fondamentale delle collezioni di Dubuffet. L'eclettismo che caratterizza tali collezioni dimostra quanto le “direttive” dell'Art Brut non fossero ancora definite. Inizialmente le sue scelte riflettono ancora i gusti e gli interessi degli intellettuali dell'avanguardia europea. Tuttavia è già possibile scorgervi una chiara predilezione per le creazioni di carattere deviante ed estranee alle norme dettate dalla tradizione estetica occidentale.
L'Art Brut precedeva, dunque, il concetto stesso e la sua definizione e la nascita della nozione fu postuma all'esistenza delle opere. Questo duplice paradosso era intrinsecamente legato al particolare concetto dell'Art Brut e, in sostanza, costituì il primo segno di una rottura nell'ambito culturale occidentale.
ART BRUT OGGI
Per questo, continua Peyri a proposito della Art Brut di oggi: “La crociata che aveva condannato tutta l'arte moderna e contemporanea a favore dell'Art Brut non avrebbe più senso oggi. La tendenza dualistica e ieratica, che considerava la prima come espressione di una creazione intellettuale e sofisticata e la seconda come espressione della purezza emozionale e primitività naturale, non si rivela soltanto non pertinente, ma totalmente sbagliata. Le produzioni dell'Art Brut sono certamente cariche di emozione ma scaturiscono anche da una elaborato sistema espressivo.”
L'autore di Art Brut, oggi, si situa dunque a mille miglia dall'innocenza e dall'inesperienza che si ricercavano alle origini del movimento. Il suo impegno personale – spesso le opere vengono realizzate nel corso di molti anni – così come il suo spirito contestatario, umoristico, che sfocia nella parodia, ne sono una prova evidente. Infatti le opere di Hofer, Mets o Santoro si rivolgono allo sguardo dello spettatore stimolandolo tanto sul piano emozionale quanto su quello intellettuale.
1 Cfr. E. Franzini, M. Mazzacoult-Mis, in Brutto. Un valore estetico positivo, 2010
2 M. Dessoir, Estetica e scienza dell'arte, L. Pennecchi, G. Scaramuzza, Unicopli, Milano 1986
3 V. Feldman, Estetica francese contemporanea, a c. e trad. it. di D.Formaggio, Minuziano, Milano 1945
4 K. Rosenkraz, Estetica del brutto, Aesthetica, Palermo 2004, p. 36; si veda anche T.W. Adorno, Teoria estetica, a cura di G. Adorno e R. Tiedemann, trd. it. di E. De Angeli, Einaudi, Torino 1981
5 L. Peiry, in L'art brut, in Arte, genio Follia. Il giorno e la notte dell'artista, catalogo della mostra (31 gennaio-25 maggio), Mazzota, Siena, 2009
6 J. Dubuffet, Honneur aux valeurs sauvants, in Prospectus et tous écrits suivants, 1967
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ApprofondiMENTI
QUEER E ARTE
Oggi l’Arte mostra altri segnali e quelli funerei degli anni Novanta si modificano in nuove modalità di comunicazione. L’Arte, come le vicende umane, trascolora di continuo, cogliendo i passaggi, le sfumature o le contraddizioni dei nuovi scenari socio-politici che si configurano nel pianeta.
MY BED
Nonostante non abbia vinto, My bed ha generato un notevole clamore fra media e critica, dal momento che le lenzuola erano macchiate di secrezioni corporee e il pavimento conteneva oggetti della stanza dell'artista, come bottiglie di vodka, preservativi usati, biancheria intima con macchie di sangue mestruale, test di gravidanza e oggetti di uso quotidiano. Presentato al pubblico esattamente nello stato in cui l'artista lo aveva lasciato dopo diversi giorni di profonda depressione:
“Nel 1998 mi lasciai con il mio compagno e trascorsi quattro giorni a letto, a dormire, in uno stato di semi incoscienza. Quando mi svegliai, mi alzai e vidi tutto il caos che si era ammassato dentro e fuori dalle lenzuola.”
la sfera pubblica del privato
Certo, in una società votata all'immagine e ad un voyerismo patologico, le risposte possono essere tante, ma se l'Arte, come nel caso della Emin, deve avere un fine sociale è necessario che entri nel personale, e che questa dimensione privata, gestita ad arte, diventi pubblica. Diventi, cioè, simbolo di qualcos'altro.
La provocazione, la trasgressione, lo scandalo, non sono espedienti d’avanguardia, sono necessità per ribaltare l’ovvietà del senso comune, per insinuare in un pubblico sempre più appiattito dalla colonizzazione televisiva, riletture non convenzionali delle cose del mondo. É il dolore, più dell'amore nell'evo contemporaneo, ad unire gli esseri umani. E il dolore fa regredire.
Molti degli artisti emersi negli anni Zero ruotano attorno al tema pulsante del corpo, del sesso e delle trasgressioni ad esso connesse, penetrando in quel privato che la cultura convenzionale impedisce di affrontare con naturalezza.1 L’impulso psicanalitico da cui discendono queste operazioni comporta l’appropriazione del lato negativo dell'esistenza per liberarsene.
È il nuovo “urlo” dell’artista-uomo contemporaneo, che nello smarrimento generale, vuol far sentire la sua voce, al di sopra delle regole prestabilite. Come Munch, sullo scorcio del XIX secolo ha urlato la propria solitudine all’indifferenza del mondo.
Fonti
M. Campitelli, in Il corpo, il sesso, l'anomalia, presentazione della mostra Shock & Show, 2002
M. Campitelli, in Gotico, avanguardia, l'urlo, presentazione alla mostra Shock & Show, Trieste 2002
J.Claire, La responsabilità dell’artista, le avanguardie tra terrore e ragione, Allemandi 1998
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approfondimenti
queer e arte
VIENNA
I quadri, le poesie, le idee, i discorsi sono solo la schiuma, la fermentazione, il cascame, la cenere, il tentativo assurdo di ritrovare questo contatto con l'estasi del vissuto (…) Sono solo tentativi impossibili di provocare qualcosa, una maniera deviata per la nostra razza peccatrice di realizzazioni in parole e non nel silenzio. Sono solo concessioni al nostro mondo corrotto di cui proviamo vergogna.
PROVOCARE SENSAZIONI INTENSE
Nel 1965, come un tableau vivant, cammina per le strade di Vienna con il corpo coperto di biacca e diviso in due da una linea nera irregolare. Il giorno dopo, in occasione del vernissage della sua mostra Malerei-Selbstbemalung-Selbstverstumme-lung (pittura, autopittura, automutilazione), dà vita alla prima azione alla presenza del pubblico. Da questo momento definirà il suo lavoro arte diretta, riferendosi alle dinamiche che subentrano ed che esasperano le azioni, che ora si svolgono anche e per lo più davanti ad un pubblico, provocando sensazioni sempre più intense, fino all'auspicato shock.
URINE AUTOMUTILAZIONI ONANISMO
Nel 1968, invitato a Aix-la-Chapelle, Gunter Brus, realizza Der helle Wahsinn. Con La follia pura, l'artista urina e defeca davanti al pubblico, incidendosi la pelle con un rasoio. L'analisi corporea, dirà Brus, non ha bisogno della simbolica, è ormai il corpo stesso, con le sue funzioni, reazioni ed escrementi, a costruire il medium. Con Follia pura comincia a usare il corpo in maniera ancor più radicale, con allusioni a scenari di automutilazioni e sofferenza, inscenando funzioni corporee sessualmente connotate e tabù. Di fronte a questa drammatica evoluzione si potrebbe ampliare l'equazione posta da Brus “autopittura = automutilazione superata” con l'analogia “analisi corporea = autodistruzione superata”.
ANALIZZARE IL CORPO
Qui, nel 1969, Brus realizza, Analisi corporea 1. Si tratta di un processo di ritrovamento che viene fissato con la macchina fotografica e questa volta anche su cinepresa. Diversamente dal gesto pittorico di Autopittura 1 e dalla simbologia allora ancora presente nel linguaggio materiale, ora Brus impiega segnali riferiti direttamente al corpo e alle sue funzioni. Arte diretta, in questo caso, significa superare ciò che nell'arte ha il ruolo di rappresentare, di fare le funzioni di qualcosa.
Con l'azione Prova di lacerazione (Zerreißprobe) Brus, nel 1970, conclude la fase dimostrativa della propria autoanalisi, ponendo fine all'azione corporea e preferendo forme espressive che maturano nella discrezione dell'atelier, come la letteratura e il disegno, compiendo, con Fuoco Fatuo, un passo in avanti nella sua ricerca.
Fonti
J.Claire, De Immundo, trad. it. di P. Pagliano, Abscondita, Milano 2005
A. Rainer, La peinture pour quitter la peinture (1952), in Arnulf Rainer, catalogo della mostra, Centre Pompidou, Paris 1984
T.Binkley, <<Pièce>>. Contre l'esthétique, in Esthétique et poétique, Seuil, Paris 1992
H. Klocker, Wiener Aktionismus, Wien, 1960-1971, in Genio e follia, 2009
G. Brus, citato in Gunter Brus. Limite du visible, catalogo della mostra, Centre Georges Pompidou, Le Centre, Paris 1993
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ApprofondiMENTI
QUEER E ARTE
arte senza valore
L'arte attuale, così come la storia artistica degli anni Novanta, mette in scena il disagio dell'uomo contemporaneo, che si trova perso entro i mille ruoli che la società impone, perdendo di vista, così, la sua vera identità. Perde il contatto non solo, banalmente, con sé stesso, ma viene meno quella consapevolezza che l'uomo è un animale, evoluto certo, ma pur sempre tale.
Come Renato Barilli, il critico francese, per interpretare quest'arte, interroga, sbagliando, il corso lineare della storicizzazione artistica. Se il primo pone Duchamp come avo lontano di tale arte, il secondo fa riferimento a Salvador Dalì. Tutti e due, questa volta in accordo, pongono come esponente centrale di questa corrente visiva, Jeff Koons. Se Barilli, in Uomini e oggetti dopo Duchamp “catturava” lo spirito del tempo, constatando la capacità dell'uomo contemporaneo di abituarsi a tutto, Jean Clair, nel suo Jeff Koons e i suoi fratelli quell'arte senza valore (sociale) va oltre e addirittura si chiede:
Che senso ha? E soprattutto perché i poteri pubblici ormai sono felicissimi di mostrare e sovvenzionare queste imprese cosiddette "artistiche"? Perché il 'socius' ha bisogno di ricorrere a questo espediente (cosiddetto) estetico quando il suo ordine non è più accettato consapevolmente, né nell'ambito religioso né nell'ambito politico? È forse l'ordine scatologico che può garantirci questa coesione mancante? Sarei tentato di fare riferimento a Giorgio Agamben, e in particolare al suo Homo sacer (l'uomo sacro, la nozione di sacer nell' antichità romana, lo status particolare dell'homo sacer) e di tornare alla vecchia distinzione aristotelica tra zoè e bios: bios la vita intelligente, la vita degli esseri logici, e zoè la vita primitiva, la vita animale, la vita bestiale.
Nonostante tali intuizioni Clair non sembra apprezzare queste espressioni artistiche. In primo luogo mettendo come sottotitolo al sul articolo “quell'arte senza valore (sociale)”, forse a sottolinearne la fortuna nel mercato dell'arte, e non riconoscendo in questa creatività, nessuna tematica intrinseca. In secondo luogo, Clair, ironizza su queste “imprese cosiddette artistiche” che usano “espedienti estetici”, sottolineando, ancora una volta, come il gusto d'oggi, sia plasmato dalla presenza imperante dell'ideale di un'arte che deve essere, bella, o nei migliori dei casi, appagare solo il senso della vista.
arte e politica
Nel corso del postmoderno maturo l'arte contemporanea diviene sempre più un veicolo di commercializzazione proprio come fosse un «logotipo», un enorme spot testimoniale di una identità politico-sociale proiettata in ambito internazionale. Attraverso l'arte si manifestano apertamente nuove tendenze politiche, nuove identità.
Se questo implica una necessaria rivalutazione del soggetto «arte» nel novero delle attività fondamentali, dall'altra parte questo ha significato anche un diretto asservimento di quest'arte «prescelta» ai motivi ed alle dinamiche utilizzabili dal sistema di potere in atto. Non si tratta di questioni da poco conto.
Quale credibilità di denuncia può avere infatti quest'arte programmaticamente sostenuta - a partire proprio dalla fine del decennio - dal sistema sociale che essa stessa dovrebbe in qualche modo criticare?
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approfondimenti
queer e arte
Nato nel 1955 a York, Pennsylvania, si forma al Maryland Institute College of Art di Baltimora e alla School of the Art Institute di Chicago. Dalla prima mostra personale nel 1980, le sue opere sono state esposte nelle principali gallerie e istituzioni di tutto il mondo. Nel 2014 il Whitney Museum of American Art lo ha celebrato con Jeff Koons: A Retrospective, ospitata poi dal Centre Pompidou di Parigi e dal Guggenheim Museum di Bilbao. A cavallo fra il il 2021 e il 2022 la Fondazione Palazzo Strozzi ospita Shine con opere dagli anni Settanta fino alle produzioni più recenti.
vANITY fAIR
Ma in Koons c’è ancora, in quei primi anni Ottanta, il desiderio di stupire lo spettatore anche ricorrendo alla magia della scienza, della fisica, della chimica. Per la serie One Ball Total Equilibrium Tank l’artista consulta il fisico Richard P. Feynman per mantenere in sospensione nel suo «liquido amniotico» un pallone da basket racchiuso in un acquario. Koons ha dichiarato che i palloni da basket gli evocano «qualcosa di molto, molto puro, proprio come sarebbe un embrione e l’acqua nell’utero».
La chimica gli sarebbe tornata molto utile più tardi, nella definizione della densità e delle cromie delle patine delle sue sculture gonfiabili e dei dipinti prodotti conpulsalmente nel suo studio. La serie Made in Heaven ad sempio, i poster, le sculture e i dipinti nei quali l’artista mette in scena un tenero kamasutra con Ilona Staller, la pornostar che di lì a poco sarebbe diventata sua moglie, non gli procurò l'accoglienza sperata alla Biennale di Venezia del 1990 e il successo agognato sul mercato dell'arte.
ARTE O MERCATO?
«...(Jeff Koons) mette a nudo il lato kitsch del nostro attaccamento all'oggetto. Egli afferma che la sua opera aspira a comunicare con le masse attraverso un vocabolario visivo estrapolato dalla pubblicità commerciale e dall'industria dell'intrattenimento, portando al limite estremo il confine tra linguaggio artistico e cultura popolare.»
Portare l'arte verso il popolo è propedeutico, per Koons, a produrre una condizione di totale sicurezza. Chiunque, a qualsiasi ceto appartenga, visitando ad una sua mostra, dovrebbe trovarsi in uno stato di non conflittualità e di appagamento. L'esperienza artistica, così concepita, fa pensare ad una società utopica e totalmente pacificata in cui tutti, singoli e gruppo, potranno trovarsi in una condizione che Koons definisce entropica:
«L'individuo all'interno di questa società vivrà in uno stato di entropia, di riposo, e abiterà un ambiente decorato con arte oggettuale al di là di qualsiasi dialogo critico.»
Fonti
traduzioni di Davide Monetto
Franco Fanelli, Jeff Koons, il mormone pornografo, Il giornale dell'arte, 23 dicembre 2021
Judy Collischan, Made in the U S A: Modern/Contemporary Art in America, iUniverse, 2010
Schjeldahl, Peter. "Funhouse – A Jeff Koons retrospective", The New Yorker, June 9, 2008
Francesco Poli, Contemporanea. Arte dal 1950 a oggi, Mondadori, 2008
Eric Shanes, Pop Art, Gribaudo, 2007
Sarah Cosulich Canarutto, Jeff Koons, Mondadori Electa, 2006
New York, New York, su repubblica.it, La Repubblica, 5 agosto 2006
Barbara Bolt, Art Beyond Representation: The Performative Power of the Image, I.B.Tauris, 2004
Lara Vinca Masini, Dizionario del fare arte contemporaneo, Universale Sansoni, 1992
Giancarlo Politi, Jeff Koons, in Flash Art, volume 141
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queer e arte
REGREDIRE
Rivedendo l'arte degli anni Novanta ci si stupisce delle tante figure di psiche frustrata e corpi feriti, ma bisogna ricordare (come si è fatto in Art&Aids) che fu un periodo di grande risentimento e disperazione per la persistente crisi del virus dell'HIV, la sconfitta dello stato assistenziale, nonché per la povertà crescente. In questo periodo molti artisti misero in scena la regressione come espressione di protesta e di sfida, spesso in forma di performance, video e installazioni.
L'Arte è invasa di avvilimento e rigetto, di confusione, di sporco ed escrementi. Condizioni e sostanze che si oppongono all'ordine sociale e se leggiamo Il disagio della società (1930), Freud afferma, confermando, che la civiltà si fonda sulla rimozione del corpo basso, dell'analità e dell'olfatto, e sul privilegio del corpo eretto, della genitalità e della vista.
E' come se questo tipo di arte cercasse di rovesciare la civiltà, per annullare rimozione e sublimazione attraverso un'ostentazione dell'anale e del fecale. Questa sfida, rappresenta una corrente sotterranea nell'arte del XX secolo: dal manichino da caffè di Duchamp, passando per la merda in scatola di Pietro Manzoni, fino alle pratiche di Kelley e Miller, con cui diventa autocosciente.
Miller e Kelley
“Parliamo di disobbedienza”, dice uno striscione fatto in casa da Kelley, “Me la faccio addosso e ne vado fiero” recita un altro. Per quanto patetica, questa sfida può anche essere perversa: una distorsione delle leggi delle differenze sessuali, una messa in scena delle regressione a un universo anale dove la differenza in quanto tale è oscurata.
Per esempio, in Dick/Jane (1991) Miller sporcò di marrone una bambola bionda con gli occhi azzurri e la seppellì fino al collo in qualcosa che assomigliava a degli escrementi. Personaggi familiari della vecchia scuola elementare, “Dick” e “Jane” insegnarono a una generazione di bambini americani a leggere – e a leggere le differenze sessuali. Nella versione di Miller, Jane è trasformata in un composto fallico e affondata in un tumulo fecale. La differenza tra maschi e femmine è cancellata e sottolineata allo stesso tempo, come la differenza tra bianco e nero. In questo modo Miller crea un mondo anale che testa i termini convenzionali della differenza: sessuale e razziale, simbolica e sociale.
Anche Kelley, spesso, colloca le sua creature in un universo anale. “Noi interconnettiamo tutto, creiamo un campo”, ha fatto dire Kelley dal coniglio all'orsetto, in Teoria, spazzatura, animali di pezza, Cristo, “così non c'è più nessuna differenziazione.” L'artista esplora lo spazio dove i simboli si mescolano, dove “i concetti feci” (denaro, dono), bambino e pene sono a malapena distinti l'uno dall'altro”, come scrisse Freud sullo stadio anale. Kelley partecipa a questo stato di cose non tanto per celebrare l'indistinzione materiale, quanto per mettere in crisi la differenza simbolica. Lumpen, la parola tedesca dalla quale viene Lummpenproletariat (“il rifiuto, la feccia, la schiuma di tutte le classi che interessò Karl Marx), è un termine cruciale nel lessico di Kelley, una sorta di sinonimo di abbietto.
La sua arte è infatti caratterizzata da forme lumpen (animali giocattolo sporchi legati insieme in masse deformi, tappetini sporchi gettate sopra forme disgustose), temi lumpen (immagini di sporco e spazzatura) e personaggi lumpen (uomini disfunzionali che costruiscono nei semi-interrati e nei giardinetti dietro casa bizzarri congegni con pezzi presi da chi sa dove). Un'arte di oggetti ed esseri degradati che resistono ad una modellazione formale, e ancor più ad una sublimazione culturale o un riscatto sociale.
Ritorno all'infanzia
Alcuni artisti, invece, sembrano oggettivare, attraverso le loro opere, le fantasie proprie di un bambino. Per esempio, nelle sue installazioni Rona Pondick ha costruito dei teatri quasi infantili di pulsioni orali-sadiche, non solo in Bocca (1992-93), una moltitudine di bocche sporche con denti disgustosi, ma anche in Latte latte (1993), un passaggio di rilievi mammari con capezzoli multipli.
Nel frattempo altri artisti hanno focalizzato la loro attenzione sugli effetti di tali fantasie. Ad esempio Kiki Smith ha sempre colato organi e ossa, come cuori, uteri, bacini e costole, in diversi materiali quali cera, gesso, porcellana e bronzo. Mossa inizialmente da un'autentica forza deflagrante incentrata sulle particolari sculture realizzate, Kiki Smith si è resa nota nei primi anni novanta grazie alla radicalità, quasi sgradevole, con cui ha osservato la natura umana e le sue forme, letteralmente rivoltandole quasi dall'interno all'esterno.
ABBIETTO
“L'abbietto è una sostanza caricata psichicamente spesso immaginaria, che si situa tra qualche parte tra un soggetto ed un oggetto; ci è allo stesso tempo alieno ed intimo e svela la fragilità dei nostri limiti, della distinzione tra ciò che è all'interno o ciò che è all'esterno. L'abiezione cosi è una condizione nella quale la soggettività è messa in crisi, “dove i significati collassano”
Julia Kristeva
L'abietto copre tutte le funzioni corporee, o aspetti del corpo, che sono considerati impuri o inadeguati per l'esposizione pubblica o per la discussione. Ma, sottolinea Jean Clair, il verbo abjicere significa anche rifiutare, vendere a basso prezzo, disfarsi di qualcosa. Insomma, abbietto è tutto ciò che si riferisce sia all'abbattimento che all'avvilimento, tutto ciò che ha a che fare con il campo della degradazione.
Nel 1993 il Whitney Museum di New York, ha allestito una mostra dal titolo Arte abietta: Repulsione e Desiderio nell'Arte americana, che ha dato il “nome” ad una corrente più ampia di cui Cindy Sherman, Louise Bourgeois, Helen Chadwik, Paul McCarthy, Gilbert&George, Robert Gober, Carolee Schneemann, Kiki Smith e Jake e Dino's Chapman e molti altri, sono visti come i fautori dell'abbietto in arte.
Con l'arte abbietta, scriveva Jean Clair, siamo un passo più avanti nell'immondo. Non siamo più nel subjectus del soggetto classico, siamo nell'abjectus, nel rigetto, nello scarto dell'umano postmoderno. È molto di più della tabula rasa dell'Avanguardia. È tutto ciò che si riferisce all'abbattimento, all'avvilimento, all'escrezione.
Questi fenomeni dell'arte attuale, da McCarthy a Damien Hirst, sono una perfetta illustrazione di quello che il filosofo Marcel Gauchet chiama "l'individuo totale", vale a dire colui che ritiene di non avere nessun dovere nei confronti della società, ma tutti i diritti di un "artista", "totalitario" com'era un tempo lo Stato, in cui traspariva lo spettro del bambino che crede di essere onnipotente e di imporre agli altri, attraverso le istituzioni pubbliche, gli escrementi di cui si compiace.
Nell'arte attuale non faremo l'apprendistato del gusto, ma faremo il disapprendistato di quel disgusto inculcatoci fin dalla prima infanzia, per farci capire che tenere sotto controllo gli sfinteri è cosa importantissima.
Fonti
traduzioni di Davide Monetto
J.Claire, in Jeff Koons e i suoi fratelli quell'arte senza valore (sociale), traduzione di F. Galimberti, in “La Repubblica”, 25-9-2010
J.Claire, De Immundo, trad. it. di P. Pagliano, Abscondita, Milano 2005
G. Dorfles, Ultime tendenze nell'arte di oggi, Feltrinelli, Milano 1999
H. Foster, The return to the Real, Mit press e October Books, Cambrige, 1996
Abject Art: Repulsion and Desire in American Art. New York: the Whitney Museum of American Art, 1993, curata da Craig Houser, Leslie C. Jones and Simon Taylor con i testi dei curatori e Jack BenLevi.
E. Sussman (a cura di), Mike Kelley: Catholic Tastes, Whitney Museum of American Art, New York, 1993
L. Shearer (a cura di), Kiki Smith, Wexner Center for the Visual Art, Columbus 1992
J. Kristeva, Poteri dell'orrore. Saggio sull'abiezione, Spirali, Milano 1980
Alla voce Abject Art, Glossario della Tate Modern New York http://www.tate.org.uk/collections/glossary/definition.jsp?entryId=7
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approfondimenti
queer e arte
REAGIRE AL MONDO
L'arte ha avuto a lungo per emblema l'occhio e il suo potere, dopo le guerre non è più la vista, il più intellettuale dei sensi, e appagarla non è nelle preoccupazioni degli artisti. Sarebbe la nausea a renderli lucidi e nella loro arte importante sarà il disapprendimento di quel disgusto pazientemente inculcato.
Se la lontananza dalla società era la caratteristica principale dell'Art brut, l'arte del corpo si proietta totalmente verso l'esterno. Il suo bersaglio diviene la società con i suoi finti valori, falsi profeti e infiniti tabù, facendo dell'arte il mezzo privilegiato per un ritorno all'ordine.
ARTE COME FETICCIO
Nel corso degli anni Sessanta le posizioni degli Aktionisten presentano strutture simili. Nei primi anni gli artisti si liberano di un concetto di arte tradizionale sentito come vuoto, e in una fase intermedia sperimentano la costruzione di un vocabolario performativo. Alla superficie figurativa gli Aktionisten muovevano la critica di essere un feticcio artistico a fondamento di una cultura della rappresentazione rigorosamente canonizzata.
SPERIMENTAZIONE
Analogamente al gruppo giapponese Gutai, anche ai Wiener Aktionisten riesce di ampliare, in modi espressivo-strutturali e rapportati al corpo, l'astrazione gestuale di Pollock (che già andava al di là della superficie figurativa), inserendola in uno spazio performativo, modificando il concetto di arte.
Questo mutamento di paradigma, dall'immagine all'azione corporea, tra il 1963 e il 1967 osserva una fase sperimentale di sviluppo di testi-immagine e forme d'azione individuale. Soprattutto in questo periodo, lo “sguardo chirurgico” dell'obbiettivo fotografico - come osservò Walter Benjamin - fu impiegato come mezzo di controllo nello sviluppo delle strutture dei differenti linguaggi artistici. La cosiddetta “fotografia inscenata del Wiener Aktionismus” condusse ad affascinanti invenzioni figurative che ancora oggi influenzano le icone del dialogo tra arte figurativa, performance e fotografia.
AGITAZIONE
Muovendo da questa rivolta, al principio degli anni Settanta gli Aktionisten danno forma definitiva a posizioni del tutto originali. In questa fase, conclusiva e di integrazione, attorno al 1970, gli artisti raggiungono posizioni pienamente mature e un concetto di arte intensamente ampliato con fondamento performativo.
A partire da Fuoco Fatuo, Gunter Brus si muove in uno spazio soggettivo le cui forme dinamiche sono improntate al dialogo testo-immagine. Nelle cosiddette Bilddichtungen (Poesie-immagini), progetta ambientazioni drammatiche all'interno di un fantasmagorico spazio concettuale individuale, in cui la sua fantasia si effonde nel linguaggio e nell'immagine con illimitata libertà. Hermann Nitsch amplia in passi concentrici la sua opera d'arte totale costituita dal Teatro di Orge e Misteri in una, come egli la definisce, Festa esistenziale della durata di sei giorni. E Otto Muehl, il “mago della risata tragica”, inizia con un'opera figurativa, edonisticamente straripante, la cui involontaria libertà formale può essere rieseguita soprattutto sullo sfondo della già citata società alternativa della Aktions-Analystische Kommune (Comunità di analisi dell'azione) da lui elaborata.
Fonti
1 H. Klocker, Wiener Aktionismus, Wien, 1960-1971, in Genio e follia, 2009
2 Cfr. D. Riout, in Ai confini con il teatro, 2002
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Approfondimenti
QUEER E ARTE
CREAZIONI MARGINALI E CLANDESTINE
Rientrato dalla Svizzera, Dubuffet abbozza un primo testo teorico: “Disegni, dipinti, opere d'arte di ogni tipo, create da tenebrose personalità, da maniaci, scaturite da impulsi spontanei, animate dalla fantasia o dal delirio, ed estranee alle regole dell'arte ufficiale”. Dubuffet descrive dettagliatamente questa specifica tematica: “Opere d'arte come dipinti, disegni, statue e statuette, oggetti di natura diversi e in nessun modo legate (o il meno possibile) all'imitazione delle opere d'arte che si possono incontrare nei musei, nei saloons e nelle gallerie. Opere che, al contrario, si appellano a una originaria materia umana e a un'invenzione il più possibile spontanea e personale”.
Il suo compito sarà quello di nominare, raccogliere, esporre e descrivere la specificità di questo tipo di creazione marginale e clandestina.
SOTTRAZIONE E RICERCA
All'inizio del XX secolo l'internamento si configura come una sorta di sequestro. L'isolamento, la promiscuità, l'inoperosità e l'esclusione, accentuati dall'oppressione e dalla disperazione, provocano in alcuni pazienti una condizione favorevole allo sviluppo dell'immaginario.
Dubuffet resta stupito difronte alle straordinarie creazioni di Aloise e Wolfli accorgendosi di come collimassero perfettamente con le sue ricerche. Tuttavia, Dubuffet non limita il suo campo di indagine agli ambienti psichiatrici e non considera la malattia mentale come unico criterio. Oltre alle opere nate negli ospedali psichiatrici, Dubuffet inizia a raccogliere anche opere appartenenti alla sfera dell'arte popolare, reperti etnici provenienti dall'Oceania, dipinti creati da autodidatti, disegni di bambini e tatuaggi.
FOYER DELL'ART BRUT
Un anno più tardi, 1948, venne fondata a Parigi la compagnia dell'Art Brut. Essa riuniva sei membri, tra i quali André Breton e Jean Paulhan. Dopo dieci mesi negli scantinati della Galerie Drouin, il Foyer venne trasferito in un piccolo padiglione situato nel cuore di Parigi e messo gentilmente a disposizione dall'editore Gaston Gallimard.
Le prime manifestazioni si svolgono in un clima di riservatezza e clandestinità, regola che viene infranta dalla Compagnia già nel 1949, quando una grande mostra di Art Brut, viene organizzata in place Vendome, nel centro di Parigi, presso la Galerie René Drouin, mettendo in evidenza le prime contraddizioni. L'esposizione incontra un notevole successo, attirando artisti, scrittori, editori, etnologi e critici come Jean Cocteau, Claude Lévi-Strauss, Johannes Itten, Pierre Matisse, Tristan Tzara, Joan Mirò e Francis Ponge. Dubuffet, scriverà per il catalogo della mostra un testo che ne diventerà il manifesto: L'art brut préféré aux arts culturels e ne assumerà la direzione.
ESILIO E RITORNO
Alfonso Ossorio, un pittore amico di Dubuffet, gli propone di trasferire la collezione nella sua residenza, The Creeks, nei pressi di New York. Dubuffet accetta e l'Art Brut andrà dieci anni in esilio.
Nel 1962, undici anni dopo il suo scioglimento, la Compagnia dell'Art brut rinasce a Parigi, ancora una volta per opera di Dubuffet che acquista un Grand Hotel a Parigi per trasformarlo nella nuova sede dell'Art Brut.
Come nel periodo della prima Compagnia decide di porre le produzioni sotto l'egida della riservatezza, al fine di preservarle da ogni sorta di corruzione. Le opere vengono create in stato selvaggio o di rivolta, in carcere, in una mansarda di periferia o in un fienile, e i creatori hanno in comune un'origine spesso modesta o un'istruzione assai rudimentale. Si tratta perlopiù di manovali, postini, fioristi, parrucchieri, conducenti di tram o minatori.
Ognuno di loro patisce una cesura nel proprio percorso esistenziale. Carlo Zinelli per l'esperienza della guerra, Aloise e Laure Pigeon per fine di una relazione amorosa, Magde Gill per morte di un figlio, Eugenio Santoro e Giovanni Battista Podestà per un'emigrazione imposta. Un destino troppo pesante che li ha trasformati in persone intimamente esiliate.
LOSANNA | MUSEALIZZAZIONE
La nozione di “art brut” si fonda dunque sullo statuto personale del creatore e non sui criteri stilistici delle sue opere – come accade per l'arte naïve, ad esempio. Viene applicata alle arti plastiche ma, comportando spesso la mescolanza dei generi, coinvolge anche altri settori, in particolare quello della scrittura. E non sono mancate altre denominazioni per qualificare meglio questo subcontinente della creazione. Michel Thévoz, direttore del museo, vedeva nell'Art brut, e potremmo dire potenzialmente in tutta l'arte contemporanea, la possibilità di una liberazione che abolirebbe i modelli di pensiero consolidatisi in Occidente. A tal proposito cosi si esprimeva:
E' possibile che, sulle macerie della cultura, rinasca una creatività artistica nuova, orfana, popolare, estranea a ogni circuito istituzionale e a ogni definizione sociale, deliberatamente anarchica, intensa, effimera, affrancata da qualsiasi presunzione di genio personale, prestigio, specializzazione, appartenenza o esclusione, distinzione tra produzione e consumo. Sarebbe il crollo di modelli, radicalmente irrispettoso e di conseguenza creativo, capace di realizzare l'utopia del “Prospectus aux amateurs de tout genere”.
1 J. Dubuffet, Lettera a Charles Ladame, Parigi, 9 agosto 1945
2 J. Dubuffet, Prospectus et tous écrits suivant, Gallimard, Paris, 1967
3 L. Peiry, L'avventura dell'art brut: dalla clandestinità alla consacrazione, 2009
4 J. Dubuffet, L'art brut préféré aux arts culturels, 1970
5 M. Thévoz, L'art brut, Skira-Flammarion, Ginévre 1980
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ApprofondiMENTI
QUEER E ARTE
ricercatore estetico
È per questa ragione che non sembra più opportuno chiamare quella del comportamento una ricerca “artistica” in senso proprio. Meglio ricorrere al concetto di ricerca estetica, da aisthéin = sentire, percepire, sviluppare la rete delle proprie facoltà sensoriali, senza del resto porre una rigida frontiera tra l'aisthéin stesso e il neon, cioè lo svolgere attività intellettive, dal momento che l'uomo si “comporta” anche ragionando, risolvendo problemi intellettuali. Attraverso una specie di mutazione antropologica, l'equilibrio tra la sfera estetica e quella noetica potrebbe gradualmente spostarsi a favore della seconda, il che significherebbe anche un potenziamento “telepatico” dei sensi, portati a sentire a distanza e in assenza di appoggi materiali.
Un altro aspetto strettamente legato al comportamento è quello di una sua ineliminabile mondanità. Non ci si comporta nel vuoto, o comunque in una chiusura egoistica. Risulta necessaria la presenza di una specie di cassa di risonanza, di un complesso di dati esterni verso i quali il comportamento si dirige. Quello di comportamento è infatti un concetto tipicamente relazionale, non ammette che si ragioni in termini di sostanze separate (una sostanza uomo separata da quella del mondo e delle cose); anzi, esiste, una commistione inestricabile, un sistema unico uomo-mondo, o uomo-natura, uomo-ambiente.
dall'opera all'artista
Riportare l'accento sulla persona dell'artista-ricercatore, non vuol dire, forse, riscattare l'”essere” rispetto all'”avere”? Conta quello che “siamo”, cioè la profondità del nostro vivere e sentire, piuttosto che un accumulo di beni, di oggetti posseduti. Il “comportamento”, una volta che ha adempiuto a una salutare funzione di stimolo, di incremento del “vivere”, può dileguarsi, lasciando il posto ad altri comportamenti e atti di vita, evitando il rischio di sclerotizzarsi e di sclerotizzare di conseguenza il nostro stesso “esserci”. Solo così risulterebbe una prospettiva radicalmente diversa da quella dell'opera d'arte, che invece rientra in pieno nella tipica mentalità “occidentale”, o ancora meglio borghese-produttivistica, basata su quello che Marcuse chiamerebbe il principio di prestazione.
Mythos vs ethos
Negli ultimi anni, è avvenuto, insomma, un cambiamento di prospettiva, una sorta di “ribaltamento della clessidra” come insegna Barilli, per cui torna a essere “dentro” ciò che fino a poco tempo fa appariva “fuori”. O per usare la terminologia aristotelica, il mythos ritorna ad avere il sopravvento sull'ethos. E storicamente esiste una corrispondenza tra il momento in cui si inizia a diffondere l'interesse per l'autore, considerato come individuo reale e non più come stereotipo, e la nascita dello stato capitalistico: per quanto ancora romanzate, le Vite del Vasari ne sono la prima prova.
Fino al XIX secolo, ovvero la nascita del capitalismo, restò estranea, alla mentalità corrente, l'idea che l'arte implicasse l'espressione dell'individuo e dei suoi sentimenti. I primi pallidi inizi dell'autobiografia non risalgono che al XVI secolo, quando Michelangelo si rappresentò nel suo Giudizio Universale sotto forma di scorticato e Dürer si spinse fino a un autoritratto nudo. I sofferenti autoritratti di Rembrant e Goya dimostrano come questo filone continuò a crescere sotto la cenere, cioè nonostante il perdurare di una pittura di storia, di paesaggio, di mitologia che nei salons parigini, le esposizioni ufficiali più importanti d'Europa la fece da padrone fino all'inizio del Novecento.
La nuova società ha dato luogo non soltanto alla figura dell'artista, ma anche, in ambito scientifico, a quelle dell'inventore e dello scopritore o del ricercatore. Individui speciali che incarnano il soggetto per eccellenza, cioè il protagonista del sistema che chiamiamo democrazia, un sistema il cui maggiore risultato è stato "la creazione di una cultura della speranza sociale contro una cultura della sopportazione".
Fonti
traduzione di Davide Monetto
U. Eco, Storia della Bruttezza, Bompiani, Milano, 2007
R. Roty e N. A. Baslev, in Noi e loro: dialogo sulla diversità culturale (1991), trad. it. Il Saggiatore, Milano 2001
I. Berlin, Le radici del romanticismo (1965), trad. it. Adelphi, Milano, 2001
G. Dorfles, Ultime tendenze nell'arte di oggi, Feltrinelli, Milano 1999
R.Krauss, The oryginality of Avantgarde and other Modernist Miths, Mit Press, Cambride, 1985
R. Barilli, Tra presenza e assenza, due ipotesi per l'età post moderna, Bompiani, Milano, 1981
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approfondimenti
queer e arte
rito | DISGRUSTO E CATARSI
Negli anni tra il 1960 e il 1964 Nitsch crea una sorprendente opera pittorica, per poi concentrarsi gradualmente allo sviluppo del Teatro di Orge e Misteri. Dall'automatismo gestuale della pittura astratta, l'artista elaborerà il suo linguaggio simbolico e materiale con al centro l'azione di lacerazione, simbolo del ritrovato istinto.
Già nel suo Primo gioco di abreazione (1961) Nitsch metteva chiaramente in rilievo il meccanismo terapeutico centrale della sua concezione artistica, riducendo, nelle sue opere, il linguaggio al grido e il gioco ad un processo di astrazione. Al centro di questa esperienza vissuta si trova il culmine orgiastico, l'eccesso fondamentale, che Nitsch assume a motivazione originaria di tutta l'arte.
Riconoscendo all'Arte, e al palcoscenico, una forte motivazione sociale immagina il Teatro di Orgie e Misteri come un'ulteriore evoluzione del dramma già inscenato nelle azioni. Cosi, spingendosi oltre, fa del rituale drammatico un meccanismo utile a far emergere energie rimosse, profonde. Un lavorare dinamicamente con i meccanismi psichici degli spettatori per renderli più consapevoli.
inconscio | teatro di orge e misteri
Il Teatro di Orge e Misteri (Das Orgien Mysterien Theater), opera d'arte totale che dal 1971 ha sede nel suo castello di Prinzerdorf in Austria, viene rappresentato mettendo in scena azioni che prevedono performance estreme e sanguinose. Sacrifici animali, onanismo, orge e violenza sono esposte con lo scopo di rafforzare gli spettatori, che prendendo parte personalmente alle azioni si avvicineranno ai misteri della vita e della morte.
Nitsch cerca di insinuarsi nel subconscio del singolo attraverso giochi rituali, incitando il pubblico a squartare bestie da soma, a tirarne fuori le viscere e a calpestarle. A imbrattare di sangue persone crocifisse e a partecipare a riti liturgici e sacri. Questi gesti portano il singolo ad entrare in contatto con il proprio essere animale più profondo e istintivo, e quindi a toccare gli ambiti più bui e nascosti del proprio essere, normalmente repressi dalla società.
Costretti a vivere, così, una totale disinibizione degli impulsi animali, i partecipanti sperimentano le potenzialità della violenza e della distruzione, innate nella natura umana. La decadenza radicale, poi, verso la sessualità ha come risultato una reazione catartica, permettendo, nel migliore dei casi, l'ascesa spirituale.
ripresa dei culti antichi
Un onnicomprensivo drammatico collage di esperienze in cui scandagliare, esperire e riconoscere gli strati profondi della coscienza e le creazioni collettive.
Riallacciandosi alle feste delfiche o al culto di Cibele, la rappresentazione comincia il primo giorno al sorgere del sole con la citazione del taurobolio - l'uccisione rituale di un toro - e nei giorni successivi mette in scena una minuziosa struttura di azioni scandita da una successione armonica di fasi di movimento e fasi di quiete.
Questa struttura democratica della rappresentazione e dei movimenti degli osservatori caratterizza l'intero svolgimento dello spettacolo. I protagonisti si trovano coinvolti in orge che hanno luogo secondo variazioni continue, mentre i partecipanti possono muoversi liberamente. Motivati, caso per caso, a partecipare ai percorsi, gli spettatori possono prendervi parte o passeggiare liberamente osservando.
Fonti
1. H. Nitsch, programma distribuito agli invitati il 28 giugno 1963, cit. in L. Peyri, 2009
2. H. Klocker, Wiener Aktionismus, Wien, 1960-1971, in Genio e follia, 20093. M. Merleau-Ponty, L'occhio e lo spirito, SE, Milano 1989
4. www.museonitsch.org/it/testi_critici
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ApprofondiMENTI
QUEER E ARTE
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Giovanni Bertuccio
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