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QUEER E ARTE                                                        SECONDO NOVECENTO                                              IL KITSCH

1/3/2022

 
Foto
Jeff Koons | Michael Jackson and Bubbles, 1988


​​Arte della felicità o cattivo gusto?

Tra i valori un tempo rifiutati nell'universo dell'arte, il kitsch è senza dubbio uno di quelli più conflittuali. Come si è visto, la promozione dei disegni infantili o dell'Art Brut tendeva a riabilitare produzioni solitamente screditate. Così come l'arte popolare e l'arte primitiva possedevano già una forte dignità, che solo la cecità di un'ideologia classica o etnocentrica non riusciva a legittimare. 

Con il Kitsch, invece, la questione è diversa. Perché non si tratta di una cultura alternativa o di una controcultura, bensì della negazione di determinate esigenze culturali a vantaggio di un appagamento immediato dei gusti, giudicati grossolani della maggioranza. Stando almeno a quanto affermano i suoi detrattori1. 
​
I sottotitoli di due testi dedicati al Kitsch indicano chiaramente come questo tipo di arte catturi un certo pubblico e ne allontani, invece, un altro. Il Kitsch è al tempo stesso un'arte della felicità (secondo A. Moles) e un'espressione del cattivo gusto2 (secondo G. Dorfles).


​​​Arte per tutti?

Secondo alcuni la parola 'kitsch' risalirebbe alla seconda metà dell'ottocento, quando i turisti americani a Monaco, volendo acquistare un quadro, ma a poco prezzo, ne chiedevano uno schizzo (sketch). Da quì sarebbe derivato il termine, utile ad indicare la volgare paccottiglia per acquirenti desiderosi di facili esperienze estetiche. Il kitsch, quindi è anche, e soprattutto, un fenomeno sociale.

La cultura “alta” definisce kitsch i nanetti da giardino, le immaginette devozionali, i falsi canali veneziani dei casino di Las vegas, il falso grottesco del celebre Madonna Inn californiano, che regala ai fortunatissimi avventori un'esperienza “estetica” ineguagliabile. E Kitsch senza remissione è stata definita l'arte celebrativa (che si voleva popolare) delle dittature staliniana, hitleriana o mussoliniana, che definivano l'arte contemporanea come “degenerata”.1     
​ 
Chi si compiace del kitsch ritiene, invece, di stare godendo di una esperienza qualitativamente alta. Ma mentre i cultori di un'arte “colta” trovano kitsch il kitsch, i cultori del kitsch non trovano disprezzabile la grande arte dei musei (i quali peraltro, espongono spesso opere che la sensibilità colta giudica kitsch). Anzi, ritengono le opere kitsch “simili” a quelle della grande arte. 


​​Trasporto vs citazione

Se una delle definizioni del kitsch lo vede come qualcosa che mira a provocare un effetto passionale invece di consentire una contemplazione disinteressata, l'altra ritiene kitsch quella pratica artistica che, per nobilitarsi, e nobilitare l'acquirente, imita e cita l'arte dei musei.     
​                                         
Clement Greenberg studiando quest'arte ha affermato che, mentre l'avanguardia (intendendola in generale come l'arte nella sua funzione di scoperta e invenzione) imita l'atto dell'imitare, il kitsch imita l'effetto dell'imitazione. L'avanguardia nel fare arte pone in evidenza i procedimenti che portano all'opera, mentre il kitsch pone in evidenza le reazioni che l'opera deve provocare, e l'emotività del fruitore.1 

Hermann Broch, uno dei primi studiosi del kitsch, vi scopre invece, una forma di male radicale. Distruttivo del sistema dei valori, fondato com'è sulla confusione della categoria etica e della categoria estetica. Alla ricerca del bell'effetto, l'arte kitsch non mira assolutamente al lavoro ben fatto bensì alla bella fattura. Per riuscirvi, il kitsch usa mezzi sperimentati che volgono le spalle all'inventiva e alla creatività. Da Il Male nel sistema dell'arte cosi si può leggere:

L'essenza del kitsch consiste nello scambio della categoria etica con la categoria estetica: esso impone all'artista non un “buon “lavoro ma un “bel “ lavoro; ciò che gli importa è il bell'effetto. Malgrado si atteggi spesso in senso naturalistico, e cioè malgrado il suo abbondante impiego di vocaboli della realtà, il romanzo Kitsch illustra il mondo non “come è” ma “come lo desidera o lo teme” e analoga tendenza rivela il Kitsch nelle arti figurative (…) Come non concludere che nessuna arte può fare a meno di una goccia di effetto, di una goccia di Kitsch? (…) E' assai significativo e caratterizzante il fatto che, data la mancanza di una fantasia propria, il Kitsch debba costantemente richiamarsi ai metodi più primitivi.


​saccheggiare la tradizione

La condizione preliminare del kitsch, la condizione senza la quale non sarebbe possibile, è la completa disponibilità di una tradizione culturale matura delle cui scoperte, acquisizioni e piene consapevolezze, il kitsch possa approfittare per i suoi propri scopi. Dalla tradizione il kitsch ricava dispositivi, artifici, stratagemmi, pratiche, temi, per convertirli in sistema.

Da questa riserva di esperienze accumulate. Carl Greenberg in Avanguardia e Kitch, conferma che solo quando è trascorso abbastanza tempo, il nuovo viene saccheggiato per delle nuove bevande miste, dei “cocktails” che vengono poi annacquati e serviti come kitsch.

​Di solito non si sa bene se il kitsch è soltanto un brillante artificio o deve essere considerato, al di là del lato buffo, uno stimolo critico. A meno che non resti, più semplicemente, un'operazione velleitaria.




Fonti

C. Greenberg, Avanguardia e Kitsch, in Arte e cultura, Allemandi 1991
​H. Broch, Il male nel sistema di valori dell'arte, in Il Kitsch, Einaudi, Torino 1990
J.-F. Lyotard, Le postmoderne expliqué aux enfants, Galilée, Paris 1986
A. Moles, Il Kitsch. L'arte della felicità, Officina, Roma 1978
G. Dorfles, Il Kitsch. Un catalogo ragionato del cattivo gusto, Mazzotta, Milano 1968
A. Kohn, Introduction a H.Broch, Création littéraire et connaissance (1955), Gallimard, Paris 1966

Gb 
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