![]() * A Nord Ispirandosi da un lato alle grandi esperienze del monologo teatrale - pensiamo ad esempio a Mistero buffo di Dario Fo - e elaborando, dall'altro, le innovazioni europee - fra le quali Peter Brook e Thierry Salmon – molti attori-autori, negli anni Ottanta, iniziano a presentarsi sulla scena senza lo schermo del personaggio. Anzi, come evidenzia Gerardo Guccini in La bottega dei narratori (Dino Audino, 2005), l'artista non rappresenta più il personaggio, non sostituisce più, cioè, la propria identità per raccontare caratterizzando. Tornano i cantastorie, se pur aggiornati, e dalla rappresentazione si passa, così, alla narrazione. Un Territorio, questo, che offre l'opportunità di instaurare un rapporto più significativo tra Teatro e pubblico. Queste caratteristiche, insieme ad altre, intorno alla metà degli anni Ottanta, favoriscono il diffondersi di una nuova modalità teatrale: il teatro di narrazione. Tra i primi nomi a sperimentare le nuove vie teatrali compaiono quelli di Marco Baliani, Marco Paolini, Laura Curino, Mariella Fabbris, Lucilla Giagnoni, Gabriele Vacis. Raccontare una storia non bastava, l'ambizione di questi artisti era di mettere in scena alcune delle tragedie che hanno attraversato l'Italia nei decenni del dopoguerra: i fatti di Ustica, l'omicidio Moro, il Vajont, per esempio. Questo approccio più sociale e politico, diede vita, sviluppandosi, ad una macro area del teatro di narrazione: il Teatro civile, sensibile a temi legati ai diritti umani e alla storia del Novecento. Le opere di Marco Cortesi e Mara Moschini: possono esserne un esempio significativo. Pensiamo allo spettacolo La Scelta, inchiesta sulla Guerra nella Ex-Jugoslavia, al monologo a due voci Rwanda sul Genocidio Rwandese del 1994 o alla messa in scena de Il Muro, storie vere legate al Muro di Berlino. Altra macro area all'interno del teatro di narrazione è il Teatro ragazzi. Fenomeno particolare della scena italiana, a Torino ha il suo centro in La Casa del Teatro Ragazzi e Giovani e nel festival Incanti promosso da Controluce. ![]() * A Sud Pur avendo gettato alcune basi già in precedenza, il nuovo stile drammaturgico napoletano nasce negli anni Ottanta. Nel corso della sua storia, la scena partenopea ha seguito una strada originale e personale e le premesse del cambiamento risalgono agli sconvolgimenti culturali, artistici, politici e sociali, tra gli anni ‘60 e ’70, nella società italiana ed europea in genere. A quarant'anni di distanza da Viviani e De Filippo il teatro napoletano degli anni ottanta ne riporta i “postumi”, attualizzandoli attraverso un “rinnovamento alla tradizione precedentemente rinnovata”. Di questo filone fanno parte molti autori-attori, fra i quali vengono riconosciuti come i più interessanti: Antonio Neiwiller, Tonino Taiuti, Antonio Scavone, Manlio Santanelli, Enzo Moscato, Annibale Ruccello. Gli ultimi due - che approfondiremo con articoli monografici - sono noti anche come attori e registi apertamente gay, con opere che trattano spesso temi legati all'omosessualità e presentano personaggi en travestì. Gli anni Ottanta hanno diffuso violentemente e velocemente la cultura di massa attraverso i mass media su una popolazione che non era, in tutte le fasce sociali, pronta a digerire, in egual misura, l'omologazione necessaria. Se Enrico Fiore parla di questo periodo come di una “de-evoluzione” al livello sociale, paradossalmente, a teatro, la ritrovata centralità del testo e della scrittura si affermano, in tutta la penisola, proprio in un periodo in cui la lingua italiana si omologa attraverso la massiccia diffusione di televisione, radio e cinema. Radici forti, tradizioni e “napoletanità”, unite alla cultura di massa, caratterizzano tutta la produzione partenopea. E nel momento in cui l’omologazione di una società ad una cultura nazionale colpisce un’identità profondamente radicata ma in declino, autori come Ruccello e Moscato portano sulla scena studi antropologici, filosofia, considerazioni sociologiche. La cultura, ultimo appiglio cui aggrapparsi per sfuggire al “vortice omologatore". gbApprofondisci
![]() Laureato in antropologia e formatosi alla scuola di De Simone, Annibale Ruccello è stato il capofila del movimento della nuova drammaturgia posteduardiana, a Napoli dopo il 1980. Cultore delle tradizioni popolari, lucido esploratore della realtà, Ruccello, come attore e regista, crea opere in cui rabbia e pietà danno vita a forti e maledette personalità femminili. Ambientate nelle periferie o nel degrado urbano, si raccontano - attraverso un linguaggio meticcio fra il napoletano colto della tradizione barocca e quello del sottoproletario suburbano - le realtà delle protagoniste, in cui la frustrazione imperante crea atmosfere iperreali, sature di sventura. Scomparso giovanissimo, Annibale Ruccello è stato riscoperto e rivalutato negli anni Novanta, divenendo una delle voci più interessanti e originali del teatro italiano della seconda metà del XX secolo. Le cinque rose di Jennifer (1980); Weekend (1983); Notturno di donna con ospiti (1984); Ferdinando (1985); Piccole tragedie minimali (1986); Anna Cappelli (post. 1987) sono le opere con cui Ruccello ha indagato la trasformazione dell'immaginario attraverso la scomparsa dei miti/riti collettivi. La sua scrittura teatrale, con l'adozione del carattere noir e dei ritmi da thrilling, usa il dialetto non come forma di un teatro di tradizione ma come linguaggio di un teatro di sperimentazione. La sua stessa presenza, come autore e attore en travesti - Le cinque rose di Jennifer; Notturno di donna con ospiti; Ragazze sole con qualche esperienza - è parte integrante di quella ricerca antropologico-teatrale sui temi dell'identità (culturale e sessuale) in un universo repressivo, contaminato nel linguaggio e nei comportamenti dai modelli di vita borghese. Ferdinando. La trama Prima dell'incidente d’auto che gli è costato la vita a soli 30 anni, Annibale Ruccello scrive Ferdinando (1985). Considerato il suo capolavoro, l'opera è una sorta di "giallo" in costume ambientato, questa volta, lontano dai luoghi metropolitani, per confrontarsi con la tradizione napoletana del XIX secolo. Dal degrado urbano si passa alla provincia agreste ma lo stile con cui si svolgono fabula ed intreccio rimane sempre quell'ottimo frullato composto da le tragedie di Fassbinder, la satira fantastica di Copi, la sessualità violenta di Genet. Ferdinando è la storia della baronessa Clotilde, matura nobildonna che nel 1870, non accettando i Savoia, passa i suoi giorni a letto, malata d’ipocondria, in una villa di periferia. Donna Gesualda, sua cugina povera, la assiste, ricoprendo il doppio ruolo di infermiera e secondino. Tra pillole, ozio e le visite di Don Catellino - il prete, coinvolto in intrighi politici e amori sconvenienti - la vita scorre noiosa. Fino all'arrivo improvviso di Ferdinando, un giovane affascinante ed educato, che scatena l'interesse della piccola comunità, quando afferma di essere un lontano nipote della baronessa. Tutti se ne innamorano e Ferdinando diventa l'amamte di Don Catellino, della baronessa e anche di Gesualda. Mosse dalla gelosia, Clotilde e Gesualda avvelenano il sacerdote. Ferdinando, però, si rivela non il nipote della baronessa, ma il figlio del notaio venuto per rubare i gioielli che, la baronessa, a sua volta, aveva rubato ad un vecchio amante. Il giovane, ricatta le due donne: i gioielli o lo scandalo. La baronessa, priva di alternative, ri-torna vittima dell'ipocondria. ![]() Lo sguardo Omosessuale Nessuno dei personaggi di Ferdinando è gay nel senso moderno del termine. Anzi la tematica omosessuale in sé non è centrale nelle opere di Ruccello. Nella sua prima opera, Le cinque rose di Jennifer, scopare quasi subito, emergendo solo nell’attenzione al disagio per l’emarginazione, sociale ed esistenziale, dei suoi personaggi. In Ferdinando pur tornando in modo esplicito - il rapporto tra Catellino e il giovane - compare come uno degli incidenti della trama, un segno della confusione che regnava nella provincia napoletana. L'omosessualità di Catellino si fa metafora della convenienza, mentre quella di Ferdinando denuncia la sua amoralità. Il vero personaggio gay è quello di Donna Clotilde o meglio è il modo in cui Ruccello costruisce lo sguardo di Gesualda che ci mostra il lato omosessuale. Utilizzando l’immaginario culturale gay, mettendo in scena un personaggio ibrido, contaminato e portatore di desideri contrastanti, costruisce il carattere di Clotilde. «Fatte mettere ‘e mmane dinte’e cazuneā (Toccandogli il membro nei calzoni) Chisto oìā Chisto ccàā Adda essere sulo d’’o mioā Si saccio ca ‘o daie a quacchedun’ata, t’’o taglioā M’’o mangioā» Una donna che ha dovuto lasciare la propria città, la famiglia e i suoi diritti a causa della sua personalità, unicità da cui trae anche energia e orgoglio. Affermazione e emarginazione sociale, amore e distruzione fanno de la baronessa la metafora di un mondo che fatica a ricongiungersi con le proprie radici storiche e culturali, che teme il futuro e si nasconde. Unico slancio vitalistico il desiderio, quello sessuale. Desiderare farà ricongiungere Donna Clotilde con la sua vera natura. Un modo di essere che in chiave camp teatralizza la sua condizione drammatizzando la relazione con gli altri. Si crea così un meta-teatro in cui tutti i personaggi sono descritti attraverso il suo sguardo mentre il suo corpo si espone come una parodia - la malata devota o la seduttrice sensuale - metafora de la resistenza al mondo che cambia. Sesso e potere Fondamentale invece è il sesso, inteso come potere, come proprietà. Non c’è erotismo o sensualità nel sesso raccontato o messo in scena in Ferdinando. C’è solo fame, sete e ambizione di potere. Il sesso stabilisce contratti, legami economici o politici. Ma ancora più interessante è che la corrispondenza tra sesso come potere e l’assenza di erotismo si collochi all'interno del mondo femminile, cosa che in quegli anni, era lontanissima dall'idea comune sulla donna. Nel teatro di allora o nei romanzi infatti, i personaggi femminili usavano il sesso come un capitale, solo per poi pentirsi e riscoprire l’amore - pensiamo a La signora delle camelie - oppure, quando esercitavano potere o gestivano denaro, finivano per diventare asessuate, come nel caso di La visita di vecchia signora di Friedrich Dürrenmatt. Nel testo di Ruccello invece, la protagonista, non più giovane, ha potere e sete sessuale, e usa il suo potere per soddisfare la sua fame. Un atteggiamento che la letteratura ha sviluppato più spesso al maschile e che fa di Donna Clotilde una donna che si comporta come un uomo. gbApprofondisci
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AutoreGiovanni Bertuccio Archivi
Gennaio 2020
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