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QUEER E TEATRO                                                    ANNI OTTANTA                                                          NUOVA DRAMMATURGIA NAPOLETANA

1/5/2020

 


​A NORD

​Ispirandosi da un lato alle grandi esperienze del monologo teatrale - pensiamo ad esempio a Mistero buffo di Dario Fo - e elaborando, dall'altro, le innovazioni europee - fra le quali Peter Brook e Thierry Salmon – molti attori-autori, negli anni Ottanta, iniziano a presentarsi sulla scena senza lo schermo del personaggio. Anzi, come evidenzia Gerardo Guccini in La bottega dei narratori (Dino Audino, 2005), l'artista non rappresenta più il personaggio, non sostituisce più, cioè, la propria identità per raccontare caratterizzando. Tornano i cantastorie, se pur aggiornati, e dalla rappresentazione si passa, così, alla narrazione. Un Territorio, questo, che offre l'opportunità di instaurare un rapporto più significativo tra Teatro e pubblico. Queste caratteristiche, insieme ad altre, intorno alla metà degli anni Ottanta, favoriscono il diffondersi di una nuova modalità teatrale: il teatro di narrazione.

Tra i primi nomi a sperimentare le nuove vie teatrali compaiono quelli di Marco Baliani, Marco Paolini, Laura Curino, Mariella Fabbris, Lucilla Giagnoni, Gabriele Vacis. Raccontare una storia non bastava, l'ambizione di questi artisti era di mettere in scena alcune delle tragedie che hanno attraversato l'Italia nei decenni del dopoguerra: i fatti di Ustica, l'omicidio Moro, il Vajont, per esempio. Questo approccio più sociale e politico, diede vita, sviluppandosi, ad una macro area del teatro di narrazione: il Teatro civile, sensibile a temi legati ai diritti umani e alla storia del Novecento.

​Le opere di Marco Cortesi e Mara Moschini: possono esserne un esempio significativo. Pensiamo allo spettacolo La Scelta, inchiesta sulla Guerra nella Ex-Jugoslavia, al monologo a due voci Rwanda sul Genocidio Rwandese del 1994 o alla messa in scena de Il Muro, storie vere legate al Muro di Berlino.

Altra macro area all'interno del teatro di narrazione è il Teatro ragazzi. Fenomeno particolare della scena italiana, a Torino ha il suo centro in La Casa del Teatro Ragazzi e Giovani e nel festival Incanti promosso da Controluce.


​A SUD

Pur avendo gettato alcune basi già in precedenza, il nuovo stile drammaturgico napoletano nasce negli anni Ottanta. Nel corso della sua storia, la scena partenopea ha seguito una strada originale e personale e le premesse del cambiamento risalgono agli sconvolgimenti culturali, artistici, politici e sociali, tra gli anni ‘60 e ’70, nella società italiana ed europea in genere. A quarant'anni di distanza da Viviani e De Filippo il teatro napoletano degli anni ottanta ne riporta i “postumi”, attualizzandoli attraverso un “rinnovamento alla tradizione precedentemente rinnovata”. Di questo filone fanno parte molti autori-attori, fra i quali vengono riconosciuti come i più interessanti: Antonio Neiwiller, Tonino Taiuti, Antonio Scavone, Manlio Santanelli, Enzo Moscato, Annibale Ruccello. Gli ultimi due - che approfondiremo con articoli monografici - sono noti anche come attori e registi apertamente gay, con opere che trattano spesso temi legati all'omosessualità e presentano personaggi en travestì. 
​
Gli anni Ottanta hanno diffuso violentemente e velocemente la cultura di massa attraverso i mass media su una popolazione che non era, in tutte le fasce sociali, pronta a digerire, in egual misura, l'omologazione necessaria. Se Enrico Fiore parla di questo periodo come di una “de-evoluzione” al livello sociale, paradossalmente, a teatro, la ritrovata centralità del testo e della scrittura si affermano, in tutta la penisola, proprio in un periodo in cui la lingua italiana si omologa attraverso la massiccia diffusione di televisione, radio e cinema. 
​
Radici forti, tradizioni e “napoletanità”, unite alla cultura di massa, caratterizzano tutta la produzione partenopea. E nel momento in cui l’omologazione di una società ad una cultura nazionale colpisce un’identità profondamente radicata ma in declino, autori come Ruccello e Moscato portano sulla scena studi antropologici, filosofia, considerazioni sociologiche. La cultura, ultimo appiglio cui aggrapparsi per sfuggire al “vortice omologatore".

​

gb 
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