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CORPO E TEATRO                                                    ATTORE

3/7/2017

 


CARNALITà
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Tratto distintivo del teatro è quello di esprimersi attraverso un complesso e articolato insieme di elementi che entrano insieme in una prospettiva che è al contempo antropologica, politico-sociale ed estetica. La teatralità appare infatti legata a un'originaria matrice magico rituale, ora collegata a un'esperienza mistica e religiosa, ora alla dimensione della festa. Ma il teatro è, anche, esperienza estetica, in cui tutte le arti si mescolano in un'unica espressione che può scegliere se privilegiare il testo o la messa in scena. In tutti questi casi il teatro si configura, e spesso ce ne dimentichiamo, come canale di trasmissione di emozioni.

Nessuna arte è così carnale e corporale come il teatro. Ed in quanto incarnazione della vita, il teatro permette di muoversi in un complesso insieme di linguaggi - gestuale, verbale, musicale, visivo - allenandosi a "leggere" la realtà. Il corpo inoltre è sicuramente il principale mediatore delle nostre emozioni, ma nel contatto fra i corpi, l'aspetto emotivo è più forte, amplificato. Proprio per questo la trasmissione emotiva tra attore e pubblico richiede uno sforzo fisico maggiore, perché bisogna colmare quella distanza dove non esiste contatto e dove, almeno fino al Novecento, non poteva esserci nemmeno comunanza di spazi.


​PRESENZA SCENICA

L'elemento più importante del mestiere d'attore è quello che viene definito presenza scenica, ovvero lo sviluppo di abilità fisiche e 'fisiologiche'. In particolare l'attore, per colmare il divario che lo allontana dal pubblico, deve sviluppare:

la capacità di utilizzare il proprio corpo: l'azione dell'attore si sviluppa, collegandola all'uso della parola, con la gestualità e con la mimica, in una accurata precisione prossemica. L'uso della gestualità per integrare la verbalità, interagire con gli altri attori ed enfatizzare le parole o dare loro significati simbolici.

le possibilità offerte dell'utilizzo della voce: l'uso accurato dello strumento vocale per comunicare le caratteristiche del personaggio ed esprimerne le emozioni. Questo risultato si ottiene con l'attenzione alla dizione e all'intonazione mediante una corretta respirazione e articolazione. Si ottiene anche con il tono e l'enfasi che un attore mette nelle parole.

la creatività e l'ispirazione dell'attore possono essere stimolate da adeguati esercizi di rilassamento e di visualizzazione. La funzione di questi esercizi è principalmente quella di focalizzare l'attenzione cosciente sul lavoro creativo, annullando le tensioni legate a preoccupazioni di carattere personale o ad una più generale paura del pubblico e della prova in sé. 

​
Gli aspetti interiori del percorso dell'attore si svolgono a diversi livelli: nello studio del personaggio, nell'osservazione che l'attore fa di sé stesso come individuo e negli aspetti psicologici ed emotivi dell'attore durante l'esecuzione.

gb 
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​APPROFONDIMENTI
CORPO E TEATRO

​

CORPO E TEATRO | DARIO FO
CORPO E TEATRO | FRA 800 E 900
CORPO E TEATRO | PRIMA META' DEL 900
COPRO E TEATRO | SECONDA META' DEL 900

CORPO E DANZA                                                      CONTEMPORANEO                                                    SECONDA META' DEL NOVECENTO

3/7/2017

 


ANNI 60 | ​CORPO DEMOCRATICO

Il libro di Doris Humprey, The art of making dances del 1958, contiene i primi elementi costitutivi della danza contemporanea, ovvero le motivazioni dalle quali il movimento può nascere, con interazioni nuove fra spazio e corpo.

I nuovi ideali, le intuizioni dei danzatori, nel secondo dopoguerra, si uniscono alla contestazione giovanile dell'arte aprendo una nuova riflessione su un corpo 'democratico' come soggetto-oggetto del movimento e sull'essenza e il senso della danza come arte, che assume toni accesi, talvolta estremi. Il movimento americano della Post-modern dance, ad esempio, rifiuta negli anni Sessanta ogni tipo di tecnicismo e di teatralizzazione, privilegiando corpi non addestrati, movimenti 'inventati' o tratti dal quotidiano, l'improvvisazione e la casualità delle composizioni dei performer. Si esplorano spazi inusuali e si evidenzia il corpo nella sua fisicità ordinaria, sia statica sia dinamica. Camminate, corse, saltelli, cadute, rotolamenti, insieme a contatti fisici dolci e violenti con oggetti o persone, sono il materiale con cui si destrutturano, in chiave minimalista - attraverso ripetitività e accumulazione - gli elementi di base del 'linguaggio' della danza.


​ANNI 70 | CORPO STORICO

​In Germania invece, dagli anni Settanta, il movimento del TanzTheater unisce tendenze postmoderne al recupero dell'espressività e della drammaticità ereditate dall'espressionismo. Sulla scena appare un corpo 'storico' ma straniato, che sorregge l'apparente quotidianità delle azioni con un perfetto addestramento nelle tecniche classica e contemporanea. Il corpo del danzatore, attraverso l'improvvisazione, nel suo insieme di mente e corpo, fornisce il materiale drammaturgico-coreografico (in cui non manca la parola) per il montaggio registico successivo. Movimento, parola e musica si trovano così di nuovo riuniti nella creazione di danza, dominata da un corpo vissuto, che parla di sé e dei suoi drammi esistenziali con la sua sola, svelata e imbarazzante presenza fisica.


​ANNI 80 e 90 | CORPO ECLETTICO

In generale e aldilà, dei movimenti affermatisi, negli anni Ottanta e Novanta, la danza contemporanea, in generale, privilegia un corpo eclettico, addestrato in tecniche diverse e coreografo di sé stesso o capace di adeguarsi ai bisogni espressivi dei diversi 'autori'. E le creazioni attuali vanno dal più spinto virtuosismo acrobatico alle tecniche pure o miste dei maestri, al minimalismo dei gesti 'trovati', e spesso fonde linguaggi artistici diversi o affronta l'ambito della multimedialità. Infine, lo svilupparsi sempre più della tecnologia, l'interazione del corpo reale del performer con quelli virtuali del video o del computer ha aperto un campo di indagine che propone nuovi, interessanti approcci metalinguistici. ​

gb



APPROFONDIMENTI
CORPO E DANZA


CORPO E DANZA | CLASSICO
CORPO E DANZA | AVANGUARDIA RUSSA
CORPO E DANZA | MODERNO
CORPO E DANZA | CONTEMPORANEO

CORPO E DANZA                                                      CORPO vs MENTE?

3/7/2017

 


​eludere la ragione

La danza rifiuta il dualismo conflittuale tra materiale e immateriale, dal momento che non vive il corpo come antagonista dell'anima. Con la semplicità del suo gesto, la danza  riesce a eludere il potere della ragione abituata ad opporre il vero al falso, il bene al male, il positivo al negativo, l'alto al basso, per richiamare quell'ordine simbolico da cui proveniamo e che ancora ci plasma, ci fa essere.

Nell'arte di Tersicore,  infatti, scrive Galimberti in Orme del sacro: il cristianesimo e la desacralizzazione del sacro, il corpo abbandona i gesti abituali, consueti, per produrre sequenze gestuali prive di intenzionalità che, attraverso il ritmo e il movimento, creano uno spazio e un tempo assolutamente nuovi. E perdendo l'aderenza con il reale, nella danza ogni gesto diventa polisemico, ed è proprio in questa polisemia che il corpo ricicla simboli, li confonde o addirittura li trasforma. Nella pura gestualità, non intenzionata, il corpo del danzatore descrive un mondo che è al di là di tutti i codici.


​EMOZIONE

​Scivolando l'uno sull'altro, nella danza i movimenti del corpo non si lasciano individuare, e quindi neppure analizzare, perché danzati. Parodia di ogni sistema, la danza dissolve tutti i sensi che vogliono proporsi come sensi definitivi. Leggerezza del corpo che ripristina la leggerezza dei simboli, la loro fluttuazione gioca con la gravità dei codici e col rigore delle loro iscrizioni.

Se nel linguaggio sistematico dei codici il corpo si lascia esprimere dalla razionalità, nella danza, il corpo esprime la propria emotività, ciò che lo muove. Non essendo sistematica, l'emotività non ha altra possibilità di espressione se non andare oltre i codici stessi. ​​Eppure non è la razionalità, ma è l'emotività a far vivere i codici, infatti non basta un sistema di segni perché vi sia senso, in quanto quest'ultimo è sempre immesso in un referente emotivo, che può essere anche la paura per la decodificazione parziale o totale.


​chi non danza non sa cosa succede

Il linguaggio primitivo, ad esempio, usava metafore organiche per esprimere le emozioni. Parla del cuore, dello stomaco, del fegato, e in generale degli organi corporei come della sede delle reazioni emotive, e poi trasferiva questi organi fuori da sé per nominare gli oggetti che costruiva o vedeva. In questo senso la casa aveva una "faccia", il vaso una "pancia", il villaggio una "fronte". Questo, per sottolineare come il corpo e le sue parti non diventavano il referente o il codice di tutti i codici, ma ciò che traduceva un codice nell'altro, un sentimento in un organo, un organo in una cosa del mondo. La danza, diviene dunque, il simbolo vivente di questa continua e ininterrotta traduzione, e a partire da qui possiamo incominciare a capire quel frammento che recita: "Chi non danza non sa cosa succede".

 gb 
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​APPROFONDIMENTI
CORPO E DANZA

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DANZA E CORPO | AVANGUARDIA RUSSA
CORPO E DANZA | MODERNO
CORPO E DANZA | CONTEMPORANEO
CORPO E DANZA | FUTURISMO

CORPO E TEATRO                                            METODI

3/7/2017

 


I due elementi dell'attore sono il corpo e la voce. Entrambi devono possedere flessibilità e manifestarsi in palcoscenico in uno stato di calma piuttosto che di tensione. Per ottenere ciò il corpo e la voce devono essere fisicamente allenati.
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Trevor Griffiths

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​Kostantin Sergeevic Stanislavskij

Diversi sono i metodi di insegnamento della recitazione teorizzati nel corso del Novecento, su cui ancora oggi si basa la didattica teatrale; tra questi fondamentale è stata l'opera di Kostantin Sergeevic Stanislavskij. Il metodo Stanislavskij (adottato nell'Actors Studio di New York) ricerca un'aderenza completa tra il mondo interiore dell'attore e le esigenze del personaggio. Per raggiungere lo scopo, Stanislavkij individua due processi che si pongono alla base dell'interpretazione:

la personificazione, ovvero il rilassamento muscolare come base per lo sviluppo dell'espressività fisica, dell'impostazione della voce e del movimento scenico.
​
La reviviscenza, raggiunta attraverso l’immaginazione conduce all'identità più completa tra vita reale e vita del personaggio. A questo proposito, Stanislavskij sottolinea che una profonda reviviscenza può essere deformata se l'attore non ha un fisico allenato per trasmettere con intensità ciò che sente.


​Antonin Artaud

​Nella prima metà del Novecento, Antonin Artaud ha proposto il cosiddetto "teatro dell'io", partendo dalla constatazione che la parola era ormai stata logorata nei secoli. Secondo Artaud il teatro è espressione integrale, orientata all'utilizzo della parola, del corpo, dell'immagine e della musica all'interno di una sintesi unitaria. La riflessione artaudiana si basa sul principio della vita cioè di un principio vitale dirompente che ricorda il "dionisiaco" di Nietzsche e che deve essere lasciato libero di esprimersi privo di limiti. 
​
​
«Ciò che il teatro può ancora strappare alla parola, dice Artaud, sono le sue possibilità di espansione oltre le singole parole, nello spazio; ed è a questo punto che interviene il linguaggio visivo dei movimenti e dei gesti».


​Jerzy Grotowski

Nella sua riformulazione della teoria del teatro, e quindi del suo insegnamento, il polacco Jerzy Grotowski mira direttamente alla ricerca dell‘essenziale. Ovvero il rapporto diretto con il pubblico, l'unico elemento necessario e sufficiente per l'esistenza del teatro. Sulle semplici regole che pone alla base della sua teoria, si basa tutta la didattica mondiale:

​Non bisogna pensare durante gli esercizi, ma elaborare solo il primo impulso che emerge, anche se questo vorrà dire svolgere l'esercizio diversamente dagli altri.

Il corpo deve lavorare sempre per primo, solo dopo viene la voce.

Non solo la mente, tutto il corpo deve essere partecipe dell'azione teatrale.

gb 


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CORPO E TEATRO


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CORPO E DANZA                                                      DISCOTECA

3/7/2017

 

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​I corpi umani assomigliano a dei cristalli, che non possono essere trasportati insieme, perchè toccandosi l'un con l'altro corrono il rischio di rompersi, e ai frutti che, sebbene intatti e ben preparati, si guastano, se si leccano gli uni con gli altri.

Francesco di Sales​


REGREDIRE

Le parole di Francesco di Sales sembrano parlare direttamente ai giovani di qualsiasi età. Avvolti in una danze solitarie, all'interno di gabbie chiamate discoteche, l'energia sprigionata dai corpi nasconde il tentativo di compensare con i gesti i limiti del linguaggio.  E le luci stroboscopiche che, spezzando la continuità del movimento, ne inchiodano le forme, costituiscono una parodia della danza. Infatti l'atmosfera apocalittica, orgiastica, ipertecnologica delle nostre discoteche, in cui è ricoverata la danza, come la malattia all'ospedale e la morte al cimitero, come scrive Galimberti in La danza del corpo. Il sociologo parla di corpi che hanno rinunciato ai propri gesti per regredire a quel gesto autonomo e per tutti identico che è il ritmo, inteso come ritmo cardiaco, ritmo respiratorio, in cui sono rintracciabili le prime forme d'esistenza, quelle del ventre buio della madre, e quella del grido lacerante appena se ne esce.


​LA MALATTIA DELLA RAGIONE

​​E così si perde il segreto della danza che è poi quello di curare una società che tende a rimuovere ciò che vive come malattia. La malattia di un'emotività che non sarà mai sistematica, la malattia di un'umanità irriducibile alle regole comportamentali che si è data, la malattia di un corpo che sfugge alla dimensione carnale che gli è stata imposta, la malattia di un'anima che non sa resistere nella gabbia dell'intelletto, la malattia di una ragione che ciclicamente abdica al suo ruolo di dominatrice repressiva dell'esperienza,  riducendo il corpo nei confini dell'opacità della carne.

 gb 
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CORPO E TEATRO                                                DARIO FO

3/7/2017

 
Foto
Dario Fo (1926-2016)


DENUNCIARE IL PERBENISMO
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Negli anni sessanta e settanta nella società italiana personaggi come Dario Fo e Leonardo Sciascia mettevano in mostra, denunciavano - attraverso l'analisi dialettica della situazione politica e socio-culturale e, soprattutto, del linguaggio eufemistico e accomodante di cui si avvale tuttora la classe politica - il marciume, le fallacie logiche, le segrete connivenze fra le classi dominanti e i favoreggiamenti che si celano sotto il perbenismo politico.

Importante quanto la componente critica della satira di Dario Fo è la capacità di costruire e mettere in scena delle perfette macchine per far ridere. Il modello è quello delle farse e dei vaudeville con rimandi sia al filone popolare dei lazzi della Commedia dell'arte, sia alle gag del circo e del cinema muto. Dunque il suo teatro è corpo, ricerca della semplicità, se pur farsesca, di un linguaggio immediatamente comprensibile, proprio dal suo interlocutore privilegiato, la gente comune, le vittime dello stesso sistema che cercava di scardinare.


​IL NUOVO GIULLARE

In Dario Fo i meccanismi della farsa si fondono con una satira efficacissima e la commedia diviene un tentativo di raccontare fatti e personaggi della storia e dell'attualità secondo un'ottica alternativa - spesso immaginaria - priva di quella retorica e di quegli stereotipi.

Con Fo tornano in scena la cultura​ e la tradizione dei giullari, filtrate attraverso un sentimento moderno, nelle nuove situazioni offerte dalla società. Il suo fare teatro ha una cultura popolare di fondo: il suo 'gestire' - così l'ha teorizzato - si trasforma in 'gestuare', che non è descrittivo ma costruttivo; e la 'cultura' delle maschere è alla base della sua ricerca. Il suo linguaggio verbale può diventare una lingua inventata che fa tutt'uno con il suo corpo, e che chiama grammelot, termine di origine francese. È - dice Fo - un 'papocchio di suoni' che riescono ugualmente a dare il senso del discorso; 'gioco onomatopeico', 'articolato arbitrariamente', ma in grado di trasmettere, con l'apporto di gesti, ritmi e sonorità particolari, un intero discorso compiuto. ​


​MISTERO BUFFO

Il testo teatrale che non può prescindere dalla presenza scenica di Fo è Mistero buffo del 1969. Un lungo monologo in grammelot che imita il dialetto padano, e che offre una versione smitizzata di episodi storici e religiosi, coerente con l'idea che "il comico al dogma fa pernacchi, anzi ci gioca, con la stessa incoscienza con cui il clown gioca con la bomba innescata".

​Collage divertente e satirico di misteri e giullarate medioevali e rinascimentali, Mistero buffo insegna a grandi e piccoli che il potere può facilmente essere annientato con grasse risate. Figura centrale è quella del giullare, in cui Fo si identifica, rifacendosi alle origini della figura come quella di colui che incarnava e ritrasmetteva in chiave grottesca le rabbie del popolo. 

gb



​Approfondimenti
corpo e teatro

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CORPO E TEATRO | ATTORE
CORPO E TEATRO | PRIMA META' DEL 900
CORPO E TEATRO | SECONDA META' DEL 900
CORPO E TEATRO | PREPARAZIONE FISICA

CORPO E ARTE                                                PSICOSOFIA                                                              DA NIETZSCHE A MERLEAU-PONTY

3/7/2017

 

“Io sono corpo ed anima”; così parla il fanciullo. E perché non dovremo parlare come i fanciulli? Ma l’uomo desto e cosciente dice: Io sono corpo e niente altro al di fuori di ciò: e l’anima non è niente altro che una parola per significar qualche cosa che si trova nel corpo. Il corpo è un grande sistema, una cosa molteplice con un senso solo: è guerra e pace, gregge e pastore. Uno strumento del tuo corpo è anche la tua piccola ragione, fratello mio, che tu chiami “spirito”: un piccolo strumento e trastullo della tua grande ragione. “Io”, dici tu, e vai superbo di questa parola. Ma più grande ancora – e tu non vuoi crederlo – è il tuo corpo e il suo sistema; esso non dice “Io”, ma è “Io”.

Così parlò Zarathustra,
Nietzsche

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​FRIEDRICH nietzsche

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​Sicuramente questa pagina di Nietzsche era nota a Sigmund Freud quando in L'io e l'Es (1923) scriveva: “L’Io è innanzitutto un Io corporeo, non è soltanto un essere di superficie ma è esso stesso la proiezione di una superficie” (Das Ich und das Es, 1922-23). Esso può quindi essere considerato come una proiezione mentale della superficie del corpo oltre al fatto […] che esso rappresenta la superficie dell’apparato mentale. L’unità tra corpo e anima rivendicata da Nietzsche ha sicuramente forti implicazioni creative e sottolinea il fatto che dal corpo deriva ogni sorta di modalità comunicativa mimetica, posturale, gestuale, le quali possono accompagnare o non accompagnare le performance linguistiche. L’arte tende a porsi in una dimensione nella quale accadono nuove forme di codificazione, dove il significato non è mai dato preliminarmente, ma è il risultato di un’apertura di senso.


​GUSTAV jung

Carl Gustav Jung a proposito del simbolo in Psicologia dell’archetipo del fanciullo (1940) scrive:

I simboli del Sé nascono dalla profondità del corpo ed esprimono tanto la materialità di questo quanto la struttura della coscienza che percepisce. Il simbolo è corpo vivo, corpus et anima. Perciò il fanciullo è una formula così appropriata al simbolo. La singolarità della psiche è una dimensione che non si realizza mai completamente, ma è sempre in divenire ed è, in pari tempo, fondamento indispensabile d’ogni coscienza. Gli “strati” più profondi della psiche, più sono profondi e oscuri, più perdono in termini di singolarità individuale. “Sotto”, cioè man mano che si avvicinano ai sistemi funzionali autonomi, essi assumono un carattere sempre più collettivo, al punto che nella materialità del corpo, e precisamente nei corpi chimici, diventano universali e insieme si estinguono. Nella conoscenza il simbolo, esposto com’è ad ogni possibile tentativo di spiegazione razionalistica, corre pienamente il rischio di trasformarsi in mera allegoria, comunque incapace di trascendere l’ambito del pensiero cosciente.
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SIMBOLO
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Il simbolo in Jung è concepito come l’antecedente del segno e come un’azione che compone i distanti. Symbállo è “metto insieme” due metà di un oggetto che, spezzato può essere ricomposto per cui ogni metà diventa un segno di riconoscimento. Il simbolo, come indica la parola greca sym-bállein, è composizione, mentre il segno è disgiunzione: día-bállein, che è propria della procedura discorsiva che risponde al ti ésti (“che cos’è” o “che cosa significa”). Il simbolo invece non significa e non interpreta: come il “Mana” significa tutto e niente - come scrive Galimberti in La casa di Psiche - esso può caricarsi di qualsiasi significato e poiché è caratterizzato dalla eccedenza semantica “designa questo ma anche quello”, non si inserisce come il segno in un ordine, ma tra gli ordini. 
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SEGNO

​Il segno 
nasce invece come un dispositivo d’ordine tra significato e significante, ma quando fallisce e non riuscendo a stabilire l’appartenenza ad un oggetto, diventa simbolo. Secondo Jung quando dal simbolo si perviene al significato, il simbolo ‘muore’ e conserva solo un valore storico. Tratto distintivo del simbolo è l’ambivalenza, la sua relazione con l’ignoto e con gli aspetti enigmatici dell’esperienza. L’esperienza ideativa, immaginativa, e la stessa pratica dell’arte hanno molto a che fare con queste dimensioni, quando esse si avventurano in direzioni nuove e affatto inedite. Pensiamo, ad esempio, a certi esiti della Body Art, che non sono affatto lontani da queste premesse. 


​WILHELM REICH

​Da origini culturali diverse, Wilhelm Reich (Dobrzcynica, Galizia 1897 - Lewisbug Pennsylvania 1957) che con la sua Funzione dell’orgasmo (1927) fonda una teoria bio-psichica nella quale appunto la teoria dell’orgasmo, la teoria del carattere e la tecnica relativa all’analisi del carattere sono le componenti essenziali. L’analisi della ‘corazza caratteriale’ identifica le resistenze muscolari a livello corporeo dalla testa, al tronco al bacino del paziente – e relative segmentazioni - che costituiscono altrettanti blocchi emozionali legati alla stasi dell’energia sessuale o libido inibita. Reich considera la libido l’espressione fondamentale dell’organismo.

Da un approccio pluridimensionale neurofisiologico, gestaltistico, psicoanalitico e sociologico prende le mosse Paul Schilder (Vienna, 1866 – New York 1940) per approdare al suo Immagine di sé e schema corporeo (1935), ancora estremamente attuale, in cui il corpo si pone come “un vero e proprio articolarsi dello spazio interumano”, anticipandone appunto la problematica fenomenologica e antropologica. Tra gli apporti più originali del dopoguerra su questa problematica, entro una dimensione evolutiva, vi è l’indagine psicoanalitica approfondita di Françoise Dolto (Parigi 1908-1988), che riprendendo alcune impostazioni non solo di Freud, ma anche di Jacques Lacan, in L’immagine inconscia del corpo. Come il bambino costruisce la propria immagine corporea (1984), attraverso una ricca casistica clinica insiste soprattutto sui cambiamenti che subisce l’immagine del corpo rispetto al vissuto, allo sviluppo psicosessuale a alle fasi di crescita del bambino.


​Merleau-Ponty

​Dopo le fondamentali concezioni di Nietzsche, non mancano successivi contributi filosofici tra fenomenologia ed esistenzialismo, in particolare alcune elaborazioni che provengono dalla fenomenologia di E. Husserl, per il quale il corpo è un’esperienza vivente, e l’ontologismo di M. Heidegger dai quali derivano gli importanti sviluppi dell’opera di Maurice Merleau-Ponty, segnatamente nella Fenomenologia della percezione (1945) e in Il visibile e l’invisibile che oltre ad un’attenzione per il sensibile, rivendica l’aspetto originario della percezione nell’esperienza e nella comunicazione per cui le ‘vie del corpo’ sono all’origine di ogni significazione. Ricordiamo le sue osservazioni sull’opera di Paul Cézanne.

gb 
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​APPROFONDIMENTI
CORPO E ARTE


CORPO E ARTE | FRA 800 E 900
CORPO E ARTE | ORLAN
CORPO E ARTE | FEMMINISMO E BODY ART
CORPO E ARTE | PRIMA META' DEL 900

CORPO E ARTE                                                      PRIMA META' DEL NOVECENTO

3/7/2017

 


​AVANGUARDIE

​Il Novecento vede la nascita delle Avanguardie storiche che sviluppano e ampliano le innovazioni, non solo stilistiche, dei loro predecessori e come si è visto i nuovi ideali, i nuovi modi di sentire e percepire il corpo si legavano a scoperte recenti nell'ambito dell scienze sociali, e di quelle filosofiche. Insomma l'arte, in maniera più corposa rispetto le altre decadi, investiva la vita. Le si sovrapponeva, confluiva in essa e il corpo, prigione dell'anima, si liberava dalla gabbia e pretendeva ascolto. Nietzsche e Freud, l'uno con una sensibilità estrema l'altro con la padronanza della scienza, hanno dato inizio a quella emancipazione dalla mortificazione del corpo, mettendo in discussione il concetto di peccato, vergogna, pudore. ​


​FUTURISMO

​Nel Futurismo, ad esempio, in certi spunti della scultura di Boccioni, nelle provocatorie serate futuriste, in certe forme di intervento sulla società dell’epoca, nel teatro e persino nelle declamazioni poetiche di Marinetti, il corpo mirava ad essere istintivo, a rispondere senza mediazioni e in maniera "automatica" agli stimoli esterni. L'inconscio pretendeva le sue regole e l'Es le metteva in atto.


​DADA

In Dada - movimento filosofico più che artistico, tanto che è più prolifera la documentazione letteraria che quella artistica - le manifestazioni che implicavano degli sconfinamenti teatrali in artisti e scrittori, al Cabaret Voltaire di Zurigo, tra il 1916 e il 1918, nella radicale negazione dell’arte –  praticando quella che i dadaisti chiamavano l’anti-arte negando tecnica e tradizione - mettevano in scena un corpo libero, artistico nella possibilità di potersi esprimere, al contrario, della corporeità che, colpa la guerra e la società industriale, confinava il corpo in rituali quotidiani, gesti codificati, movenze robotiche.


​SURREALISMO

​Il Surrealismo,  che si proponeva di capovolgere gli statuti dell’arte e della letteratura, secondo le parole di André Breton che ne fu il teorico, è stato il movimento che più ha indagato l'incoscio. Il "nascosto", il "non compreso", il "sensuale vitalistico", seguendo, ancora una vola, le teorizzazioni di Freud sulla sessualità, le ambivalenze della libido in questioni attinenti il desiderio, il sogno ed il fantastico, venivano ascoltate e assecondate.  E l'artista surrealista, parte da sè, dal proprio corpo, giocando con autoritratti manipolati della propria immagine per scoprirsi e far scoprire, pensiamo a certe opere di Marcel Duchamp o di Salvador Dalí, in cui il corpo, si trasforma e si camuffa, riflettendo sulla propria identità personale e sessuale.

​Ma, con il Surrealismo, si afferma anche il senso di estraneazione dell’individuo all'interno della società di massa - pensiamo alle anticipazioni nella Pittura metafisica di De Chirico, o a certe formulazioni del Dada berlinese di un G. Grosz, sempre ligio alla denuncia sociale e politica. Si enfatizza il lato patologico della società e dei rapporti interpersonali, nei quali il voyeurismo o l’esibizionismo con i correlati comportamenti sadici, masochisti o feticisti si legano alla totale anomia o indifferenza rispetto ad un più ampio contesto sociale. Aprendo così la strada alle generazioni successive che esasperano tali intuizioni.

gb 
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​Approfondimenti
CORPO E ARTE


CORPO E TEATRO                                                    ORIGINI

3/7/2017

 


​RITO E MAGIA

La nascita dell'arte teatrale è legata ai culti religiosi e alla dimensione magica della festa comunitaria. In questo senso, la sua origine è stata individuata nei popoli primitivi, in particolare nelle cerimonie propiziatorie stagionali e nei riti di passaggio. La dimensione primordiale del teatro era puramente fisica, basata esclusivamente sul movimento del corpo: rappresentazioni mimiche, danze, movimenti ritmici fino allo stato di trance.

L'origine del teatro come lo conosciamo è però legata al mondo greco, all'Atene del V secolo a.c. in cui il teatro era il luogo dove la polis si riuniva per trovare un'identità nel mito. Caratterizzato dall'uso di maschere, lo spettacolo era un rito collettivo e politico allo stesso tempo e avveniva in un periodi e in un luoghi sacri.

A Roma, invece, il teatro è nato dell'incontro della tradizione greca e dei generi italici. Dai Greci conquistati, i Romani assorbirono l'attenzione alla parola, dai popoli italici derivano generi più fisici e primordiali come l'atellana. Anche a Roma il teatro era collegato alla festa religiosa ma al diverso regime politico si deve la tipica esaltazione del gusto della gestualità: non potendo attingere a temi della vita civile, attori e autori, a Roma, erano interpreti completi, capaci di passare al mimo e al ballo con facilità. ​Durante gli ultimi secoli dell'impero decade l'uso delle maschere ed un nuovo mezzo di espressione corporea si offre agli attori: il volto. L'aspetto più interessante del teatro antico è però il Coro che, formato da diversi attori, agisce sulla scena come un unico corpo. 


​MEDIOEVO

Dopo il 476 il teatro, rifiutato dalla Chiesa medievale, sembra destinato a scomparire, ma durante tutto il periodo di mezzo riesce comunque a sopravvivere in due forme: la forma giullaresca ed il dramma sacro. Il giullare, figura emblematica della forma giullaresca, è un attore professionista che basa la sua arte sulla spettacolarità delle esibizioni, condannato dalla Chiesa proprio perché capace di trasformare il proprio corpo per il piacere del pubblico. Diversa invece la sorte toccata al dramma sacro, che nasce proprio all'interno delle chiese, in cui dalle prime drammatizzazioni della liturgia della Parola lentamente si passa, col tempo, a veri e propri spettacoli profani sul sagrato. Qui il corpo era composto, socialmente accettato, anche perché in funzione della propaganda ecclesiastica.


​RINASCIMENTO

​Il Rinascimento si presenta come l'età d'oro del teatro europeo, della sua rinascita. Importantissimo diviene il luogo teatrale con la costruzione di nuovi spazi: il palco non ha sipario e le rappresentazioni avvengono di giorno. Gli attori interpretano più ruoli senza cambio di costume dando molta importanza alla mimica che caratterizza i vari personaggi. Per questo, spesso le battute iniziavano con dei vocativi con fine di sopperire con la parola ad una carenza di tipo fisico e materiale, che rimarrà presente fino al Novecento, quando con il dramma naturalistico il corpo riacquisterà il suo giusto valore, come alle origini del teatro.

gb 
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3/7/2017

 


​IL SEGNO PRECEDE IL SIGNIFICATO

Dopo l’ampio sviluppo dell’Informale, tra il 1945 e la fine degli anni Cinquanta del Novecento in Europa e negli U.S.A., il mondo dell'arte si alimenta di nuove modalità di ricerca artistica, che già in atto, tendevano verso un nuovo modo di intendere l'arte e l'artista.

Pensiamo alla “scrittura automatica”, che nata nell’alveo surrealista - da Andrè Masson che forse è il primo artista a ricorrere ad una pittura gestuale; A Jackson Pollock, che tra il 1946 fino alla morte nel 1956, praticava il "dripping", spandendo direttamente i colori nelle tele disposte nel pavimento per “essere dentro il quadro”.

​Ad artisti americani come Wilhelm De Kooning, Franz Kline, Sam Francis che praticavano l’Action Painting o l'Espressionismo astratto, in cui il coinvolgimento nello spazio fisico del dipinto attraverso il gesto corporeo si pone come antefatto importante, così come l'opera di Georges Mathieu, l’artista che teorizzò che “il segno precede il significato”, e delle quali opere si è parlato di Tachism, a conferma del legame strettissimo fra corpo dell'artista e mezzo.


​NEODADAISMO

Esponente del Neodadaismo, fondatore nel 1960 assieme allo scultore Jean Tinguely e al critico Pierre Restany del Nouvelle Réalisme, Ives Klein inizia la sua ricerca nel 1946 e i suoi dipinti monocromi blu sono di poco precedenti il 1957. Klein conduce la pittura a dimensioni immateriali eliminando ogni vincolo legato alla forma, seguendo una forte componente mistica, gettando molteplici spunti per le generazioni successive, ponendosi come un notevole anticipatore del Concettualismo e della Body Art.
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Ricordiamo Piero Manzoni che dopo aver visto i Monocromi blu di Klein esposti a Milano alla Galleria Apollinaire, elabora gli Achromes, grandi superfici bianche di colla e caolino, e va oltre. In due performances, Sculture viventi e Basi magiche, esalta il corpo dello spettatore ad opera d'arte. In
Sculture viventi, alla Galleria La Tartaruga di Roma nel 1961, Manzoni compone delle sculture viventi: modelle e persone autografate dall’artista e accompagnate da un attestato di autenticità. Su ogni documento l’artista  metteva un timbro: se rosso, la persona era per intero un’opera d’arte e sarebbe rimasta sempre tale; se giallo tale ‘status’ era limitato a certe parti del corpo; se verde era vincolato a particolari attività come dormire o correre; se porpora, quando l’artisticità del corpo era stata comperata. La seconda performance, sempre del ’61, elevava lo spettatore a opera d’arte finché permaneva sopra la Base magica, cioè un piedistallo di legno.


​Nouvelle Réalisme

Anche il New Dada newyorkese, che presenta una maggiore continuità con la Body Art, si cartterizza, per la sua devozione agli Happenings - azioni estemporanee, spesso gestuali, accompagnate da azioni teatrali di tipo mimico, pittorico o musicale - per un uso nuovo del corpo. Alan Kaprow, il creatore dello Happening e dell’Environment, allievo di John Cage, mirava a creare un’opera d’arte che unisse l’arte alla vita, e che tenesse conto degli avvenimenti più ‘normali’ nella loro valenza estetica. Collaborando con Cage e coinvolgendo artisti come Robert Rauschenberg, John Dine, Claes Oldenburg, Robert Morris e il coreografo Merce Cunningham, contribuirono, forse incosapevolmente, a modificare, ognuno nella loro disciplina, il corpo: padronanza e consapevolezza, uso, idealizzazione, dipendenza da sè stesso e consequente mercificazione, per una maggiore aderenza, dal corpo, alla vita. La vita diventava la prima opera d'arte e il corpo, il tramite attraverso cui esperire la vita.

Joseph Beuys, parallelalmente, lascia le ‘opere povere’ e si offre agli happenings. Costruiti sulla “Selbstdarstellung” (rappresentazione di sé), Beuys alimenta la sua arte e si avvicina, negli anni Settanta, al linguaggio muto della Body Art, imbevendolo della lotta contro la mercificazione dell’arte e contro un’impostazione eccessivamente marxistica o capitalistica della società, attraverso la difesa dei valori “spirituali” - geistlich - con una forte carica teatrale. Nelle sue performance, Beuys mette in gioco il suo corpo e i suoi attributi per farne un simbolo universale. E lui, il suo corpo, sacerdote laico, a persuadere il pubblico su temi etico-estetici e politico-spirituali, nella speranza che un corpo nuovo, più consapevole, conduca ad un mondo non nuovo, ma migliore.


​WIENER AKTIONISMUS

​In questo senso il Wiener Aktionismus sposa perfettamente l'idea che il corpo può essere il tramite per una comunicazione più efficace, diretta, viscerale. Caratterizzato da aspetti rituali piuttosto violenti, spesso scioccanti, l'Azinismo Viennese supera i limiti corporei stabiliti nelle nostre società: limite della ‘decenza’ e del buon gusto, dal sesso alla nutrizione. Dai rapporti intimi, alle secrezioni corporee. 

Legato ai misteri pagani, con il richiamo al sacrificio esercitato sugli animali, ma anche alla passione cristiana, con performance legate a crocifissioni e squartamenti di animali è Hermann Nitsch  che si accosta all’idea di un’”opera d’arte totale” che vorrebbe avere finalità catartiche e liberatorie e darà poi luogo al Das Orgien Misterium Theater (1973) (Teatro delle Orge e dei Misteri), dove giovani partecipanti (e talora spettatori) si imbrattano il corpo ignudo con le interiora sanguinanti strappate soprattutto ad agnelli, uccisi in una sorta di messa nera parossistica, sia in gallerie d’arte che all’aperto, in spazi pubblici. Alcune tele di Nitsch sono costituite dal sangue animale rappreso, colato nella superficie del ‘dipinto’. In questo caso il corpo è al centro dell’opera e, sia pure nell’effimera sequenza degli accadimenti, sostituisce la tela dipinta con l’esplicita assunzione di dipingere con i colori del sangue, poiché “il corpo poteva guarire attraverso un rituale pagano-cristiano”.

Günter Brus (Ardning, 1938) tematizza la repressione delle pulsioni umane, con chiaro riferimento alla sessualità. In una delle azioni Brus si era fasciato come una mummia per interrompere la normale comunicazione tra corpo e ambiente. Otto Mühl (Grodnau 1925) è più vicino a Nitsch nel dar vita invece a happennigs di gruppo, dove è grande il coinvolgimento emozionale, mescolando corpi umani viventi, con oggetti e materiali diversi imprimendo all'azione una forte carica vitalistica, con una chiara finalità catartica.


​VITO ACCONCI

Vito Acconci (New York 1940) è di tutt’altra gravitazione culturale e si diparte dalla poesia, con qualche merito nell’Arte ambientale, si veda l’installazione Seedbed (Letto di seme), 1972, alla Sonnabend Gallery di New York, che prevedeva una rampa di legno integrata al pavimento, mentre sotto la rampa Acconci rimase nascosto, masturbandosi ai ritmi dei passi dei visitatori, descrivendo attraverso un microfono le proprie fantasie sui corpi sconosciuti, come ad esempio: “[…] Adesso sei alla mia destra […] ti allontani ma spingo il mio corpo contro il tuo […] nell’angolo abbassi la testa su di me […] spingo lo sguardo tra i tuoi cappelli […] adesso lo sto facendo con te […]”.

L’interesse di Acconci verte sulla consapevolezza cognitiva e mentale circa le zone ‘estetiche’ del corpo: la faccia e la sua mimica, la sessualità e la dimensione auditiva, cercando di dar loro la massima espressione corporea. Nella sua ricerca Acconci è interessato a esplorare i confini tra corpo e ambiente circostante: il corpo è un ‘luogo’ che può penetrare o essere penetrato, in cui operano, per mezzo di convenzioni comunicative e valori i limiti fisici e sociali entro i quali ciascuno delinea la propria autonomia. 
 
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​Gilbert & George 

​Al polo opposto rispetto a queste esperienze estreme, con tratti di dandismo e di estetismo che fanno parte della tradizione inglese, Gilbert & George (Gilbert Proesch, San Martino 1943; George Passmore 1942), sempre con uno stile impeccabile nell’abbigliamento e nel comportamento, con humor inimitabile e una notevole carica d’ironia, come è stato detto, identificano la vita con l’arte (e non viceversa), proponendo la loro esistenza come fossero delle “sculture viventi”, al punto che ogni vicenda quotidiana diventa Living Sculpture.

La prima performance che ci sia nota è del 1969 e s’intitola Our new Sculture (1969) in cui ben vestiti, con la faccia dipinta d’oro, Gilbert & George si muovono su un tavolo come fossero due automi, al suono di una vecchia canzone inglese, con effetti esilaranti. In una ulteriore performance, intitolata The singing Sculture (La scultura canterina) del 1970, cantano loro stessi. Spesso pubblicano la rielaborazione delle loro fotografie, come in Street, o addirittura ricompongono con rielaborazioni fotografiche a colori le loro riprese di performances, in grandi composizioni di una notevole ricchezza immaginativa, con gusto inappuntabile, come le abbiamo viste esposte al Padiglione della Gran Bretagna per la Biennale di Venezia del 2005.

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3/7/2017

 


VIRTUOSISMO

Il Settecento conserva al suo interno una forte differenza tra danza di corte e danza di teatro. Quest'ultima infatti ubbidiva alle esigenze del tipo di visione imposta dalla struttura dello spazio scenico. A differenza degli spettacoli organizzati negli ambienti di corte, dove il pubblico si posizionava intorno allo spazio delle danze, il palcoscenico era posto di fronte agli spettatori e tutto ciò che vi accadeva doveva seguire delle linee prospettiche. E così gli atteggiamenti dei ballerini, nelle posizioni dette in épaulement (con una rotazione del busto in linea diagonale) ostentavano una cura eccessiva della forma, indirizzata all'eleganza delle linee e a creare passi sempre più complessi, a scapito dell'espressione. Si sviluppò così una forma di "divismo" da palcoscenico analoga a quella dei cantanti lirici coevi e la danza era pura espressione del virtuosismo tecnico, divenendo un'arte artificiosa, quasi circense.
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Ma il Settecento è chiamato “il secolo delle riforme”, in cui il Lume illuminista propagandava l'esigenza di uscire dai canoni pre-costituiti, codificati e artificiali, e di indirizzandosi verso la ricerca degli aspetti più genuini, il ritorno dell'umanità alla sua essenza, non condizionata dalla civiltà. E questa esigenza, nella seconda metà del Settecento vide Jean-Georges Noverre, in Francia e Gasparo Angiolini, in Italia, con l'introduzione del ballet d'action, adoperarsi per la riforma degli spettacoli coreutici, contemporaneamente al tedesco Christoph Willibald Gluck, che riformò il Melodramma. Per il desiderio di rifarsi alla natura, Noverre esortava a liberare il corpo della ballerina dalle vesti pesanti e ingombranti e dalle maschere e dalle parrucche che nascondevano le forme naturali, ma in realtà nei movimenti delle danze il risultato fu quello di un maggiore sviluppo della pantomima, nella ricerca del modo di riprodurre le emozioni naturali per farle sembrare vere, ma risultando, ancora una volta, artificio.


ESPRESSIONE

Nei primi anni del XIX secolo, due napoletani adeguavano le forme virtuosistiche della danza classica ai nuovi parametri di espressività e di adesione alla natura propri dell'Illuminismo. Salvatore Viganò con il suo "Coreodramma" o dramma danzato, e Carlo Blasis, che nel redigere libri sulla tecnica della danza classica, esortava a considerazione le arti “sorelle” - la pittura e la scultura - per realizzare con il proprio corpo "forme belle" (secondo l'idea di "bellezza" propria dell'epoca). Blasis si ispirò alla statua del Mercurio del Giambologna per realizzare una delle pose principali della danza classica: l’attitude, intesa come espressione di un dinamismo che tende verso il cielo. Siamo in pieno Neoclassicismo: un ritorno ai classici, filtrato però dalle idee illuministe, dunque meno rigido e artificiale, caratterizzato dalla ricerca dell'espressione dei sentimenti aprendo la strada al Romanticismo.

E' con il Balletto Romantico, che una nuova sensibilità, una nuova visione del mondo più libera ed appassionata, rompe le vecchie certezze legate al culto della ragione, per recuperare il versante oscuro dell'inconscio, dando voce ai moti dell'animo, dei sentimenti, del sogno. Del 1832 la messa in scena all'Opéra di Parigi di La Sylphide, il primo esempio di balletto romantico, abbandona i temi mitologici e storici, e trasferisce l'azione nel mondo delle fiabe. È in questa occasione che viene introdotta dal coreografo Filippo Taglioni, padre della ballerina che lo interpretava, Maria Taglioni, l'uso delle punte e del tutù come consuetudine.

​L'aspirazione al volo che esprimeva la tensione romantica verso una realtà trascendente, la sensibilità e la grazia che caratterizzavano il nuovo stile, si sposano a una tecnica rigorosamente classica che trova nelle punte, nell’arabesque, nel port de bras i suoi principi fondamentali. Il corpo romantico quindi in ogni suo movimento è perfettamente studiato e controllato. Un corpo macchina privo di sforzo, che nasconde la fatica e il sudore sotto un'immagine di eterea leggerezza esaltando la bellezza plastica degli atteggiamenti nel rigore di una nitida purezza geometrica.

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3/7/2017

 


​TEATRO LABORATORIO

​Le teorie di Artaud hanno avuto forte eco nel 'teatro povero' del polacco Jerry Grotowski, nonché nel suo allievo italiano Eugenio Barba. Nel suo 'teatro-laboratorio', come luogo di addestramento e di educazione permanente dell'attore, Grotowski tendeva ad una espressività totale. In primo luogo, l'accento era posto  sul corpo e poi sulla parola, la quale non deve prevalere perché, era convinto, tende a nascondere, a mascherare più che a svelare.

La parola nasce dal corpo
e senza un'adeguata preparazione fisica neppure l
a voce poteva essere usata correttamente al di là dello sterile cliché naturalistico-declamatorio vigente, considerato riduttivo e sterile. L'attore di tradizione era di 'testa' e di 'voce', ma senza corpo: ecco il nuovo valore che il polacco inserisce nel suo teatro. E per la sua rivalutazione ricerca nuovi ideogrammi gesticolari, attraverso la maschera facciale, l'attività vocale, la respirazione.

​La scena stessa deve essere un prolungamento del corpo
del personaggio, descrivere cioè, quando possibile, la follia dei personaggi, riflettere la loro idea fissa, che sia disordine, desiderio di grandezza, proiezione di fobie e angosce. Insomma, il personaggio si cerca nel corpo, ma anche nello spazio scenico che lo ospita.


​LIVING THEATRE

​Artaud, con il suo libro Il Teatro e il suo doppio (1938), influenzò anche il teatro del Living che, fondato nel 1947, dopo una prima fase in cui la voce era protagonista alla ricerca del lirismo scenico, pone al centro l'attore e il suo corpo. Un esempio ne è Mysteries (1967), con i movimenti del corpo collettivi, cioè dell'intero complesso del Living, e le iterazioni vocali: "Stop the wars!", "Liberty now!" che oltre alle innovazioni prettamente teatrali, inseguivano ideali anarchici e libertari. Libertà e la messa in scena delle sue privazioni. Ma non era una semplice esposizione, il teatro per Malina e Beck era partecipazione, rito, denuncia, catarsi che doveva, necessariamente, coinvolgere direttamente il pubblico.


​TADEUSZ KANTOR

​Anche Tadeusz Kantor, artista e regista, conterraneo di Grotowski, fin dal primo allestimento (La piovra di S. I. Witkiewicz, 1955), definisce una messa in scena assai povera in cui gli attori erano elementi di una "scenografia in movimento", nella quale tutto era materia, a partire dal corpo. Materia vivente, umana e quindi come tale destinata a decomporsi, sotto il peso del passato, degli errori del passato. L'organizzazione in senso plastico dello spazio teatrale, con l'aiuto dei materiali più diversi e l'estrema stilizzazione dei ruoli, danno a questo teatro un tono particolare, sempre in bilico tra l'angoscioso e il clownesco.

gb 
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CORPO E TEATRO                                                PRIMA META' DEL NOVECENTO

3/7/2017

 


​L'ATTORE AL CENTRO

Nella drammaturgia dei secoli più recenti il teatro​, a parere dei teorici moderni, è stato sopraffatto dalla parola e il corpo, con il suo linguaggio proprio, ha perduto l'efficacia gestuale primitiva.  E agli inizi del novecento si è auspicato ad un ritorno al teatro puro, che non sia soltanto dialogato, ma sia destinato ai sensi e anche indipendente dalla parola, creato da musica, danza, pantomima, scenografia, linguaggio dei segni. E il Novecento si apre, appunto, con una rivoluzione in ambito teatrale e l'attore torna al centro della rappresentazione.

Il teatro della parola si trasforma in teatro dell'azione fisica. Centralità dell'interprete che va di pari passo con la nascita di nuovi generi teatrali - pensiamo a Brecht, a Pirandello, a Beckett, a Ionesco, Ibsen solo per citare i maggiori - e la riscoperta della natura istintiva del fare teatro, collegata alla visione del teatro come incarnazione della vita. 

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Questo predominio del corpo nello spazio scenico si ripropone nel Novecento sia con l'avvento del cinema muto sia con esperienze teatrali d'avanguardia, basate non tanto sul dialogo quanto sulla creatività corporea dell'attore. Nel ritorno a una drammaturgia al grado zero, non verbale, della fisicità, il corpo riscopre sé stesso e le sue parti divengono parte integrante della scrittura scenica.


​IL TEATRO FUTURISTA

Ad esempio nel Teatro sintetico futurista (1915) si trovano brevi atti unici di F.T. Marinetti (e B. Corra) in cui agiscono, come in un teatrino di marionette, le sole Mani, in un atto-attimo, appunto dello stesso titolo; oppure i 'piedi', nell'atto Le basi, recitato sulla scena, a metà sipario abbassato, dalle sole gambe. Il ruolo del corpo nell'evoluzione dello spettacolo è sottolineato da Marinetti nel Manifesto del teatro di varietà (1913), dove la 'fisicofollia' acquista valore in contrapposizione alla condannata 'psicologia'.

E in questo senso va ricordato il film del comico M. Fabre, dell'epoca futurista (1916), che si chiama appunto Amor pedestre, breve commedia 'da vedere', tutta giocata con i piedi.  E ancora 
L. Buñuel, in un suo 'dramma sintetico', Hamlet (1927), fa innamorare il principe danese della 'parte superiore' di Letitia e Agrifonte della 'parte inferiore' del corpo. 

​Le idee di Marinetti hanno influenzato anche il 'Laboratorio' della FEKS (Fabrika eksčentričeskogo aktëra, Fabbrica dell'attore eccentrico), nata a S. Pietroburgo nel 1921 per iniziativa di G.M. Kozincev, L.Z. Trauberg, S.I. Jutkevic e G. Kryzitskij, che sottolinea l'apporto nuovo che discipline "fisiche" come il circo, la danza, lo sport, il jazz possono dare alla recitazione. Infatti l'attore, 'movimento meccanizzato' - dice il loro manifesto - almanacco Ekstzentrism - non ha 'coturni' ma 'rotelle', non una 'maschera' ma un 'naso che si accende'. 


​CREAZIONE CORPOREA

Le parole non sono che la 'sommità delle azioni fisiche' e questo si riscontra anche nelle recite, nei concerti vocali di C. Bene. Insomma, è un transitare dalla drammaturgia fondata esclusivamente sul testo al teatro dell'azione fisica, diretta, sulla scena e nella sala. Questo passaggio è sostenuto e praticato da Artaud, J. Beck e J. Malina e il loro Living Theatre, fondato nel 1947. Al centro del teatro c'è l'attore con la sua creazione corporea. E a questo proposito dirà B. Brecht, l'attore deve esteriorizzare tutto ciò che attiene al sentimento, sviluppandolo nel gesto; non curarsi di rappresentare il personaggio ma i gesti.

​Le realizzazioni pratiche di Artaud, come peraltro avvenne anche nel teatro futurista, hanno lasciato labili tracce, ma loro teorie hanno assunto un ruolo capitale nello sviluppo del teatro contemporaneo. Artaud con il suo "teatro della crudeltà", inteso come un teatro di necessità, di rigore, determinato e cosciente. Crudele perché difficile e spietato verso lo stesso attore, cui impone sacrifici, così che anche un minimo gesto si compie con il massimo sforzo.

​In Artaud il linguaggio delle parole non deve prevalere sugli altri elementi, né essere "seduzione" attraverso gli attori dialoganti, ma deve liberarsi dal testo e dal dio-autore. Più importante è il gesto, ossia la parola che viene prima della parola. In ciò Artaud si rifà all'idea fisica e non verbale del teatro di Bali. Un teatro della fisicità, che dallo spazio astratto va verso le più minute manifestazioni corporee dell'attore, facendone un "atleta delle emozioni".

gb 
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3/7/2017

 


​RICERCARE IL VERO

Nelle arti figurative, già sul finire del diciannovesimo secolo, molti erano gli artisti e le correnti che guardavano al corpo, come elemento non istituzionalizzato, dai caratteri formali e sociali, bensì naturale, sensuale e dalla forte carica vitalistica. Già con i Preraffaelliti, e più in generale con i Simbolisti - da Gustave Moureau ad Auguste Rodin - e, poco dopo, con i Secessionisti e i fondatori dell’Art Nouveau, il corpo femminile, inteso come rappresentazione del mondo, è investito da una forte sensualità che, nella cultura fin de siècle, si fa pervasivo. Pensiamo a Dante Gabriele Rossetti, a Gustav Klimt o ad Alphonse Mucha nei quali i ritratti femminili, dei loro corpi con le loro pose serpentine ed ammiccanti non erano altro che un inno alla vita e all'amore. Al desiderio.

​Ricerca del vero, che intorno al 1890 si intreccia con la ricerca del ‘genuino’ e del ‘primordiale’ che coinvolge artisti come Paul Gauguin – che riscopre per l’arte occidentale le società ‘primitive’ dei mari del sud -, Émile Bernard e il gruppo dei Nabis che scoprono il paesaggio quasi vergine della Bretagna e i suoi antichi costumi. In una diversa declinazione, Vincent Van Gogh nel Mezzogiorno di Francia, Edvard Munch tra Pont Aven e la Norvegia. 


​MINARE LO STATUS QUO

​La scoperta delle “civiltà primitive” o addirittura “selvagge”, apre un capitolo importantissimo che pone esplicitamente la questione, ai contemporanei d'allora, delle ambivalenze del corpo. Diversità che possono seguirsi anche attraverso gli sviluppi dell’etnologia e dell’antropologia culturale, sempre a cavallo dei due secoli, da Bronislaw Malinowski a Margaret Mead, da Lucien Lévy Bruhl a Marcel Mauss, ad Alfred Métraux.

​Né si possono trascurare le ricerche parallele nell’ambito della storia delle religioni, sul piano dei culti e dei riti delle civiltà preelleniche, e non solo, a partire da Károly Kerényi e Mircea Eliade. Cambiamenti, sentimenti nuovi che investirono anche la letteratura di allora, da Ruskin a Wilde fino Walter Pater. Da Baudelaire a Mallarmé; da Stefan George a D’Annunzio giungendo a Marinetti. Tutte espresisoni artistiche ed umane che spingevano a considerare e vedere la “vita come arte”, tendendo alla sua
 estetizzazione.

Un cammino nuovo, un'idea di sé altra e più consapevole del proprio corpo, che non poteva non minare la cultura vigente. Infatti, a partire dai primi del Novecento
 i Fauves, e soprattutto l’Espressionismo tedesco, esercitarono, con le loro opere e il loro stile di vita, una forte critica culturale e di costume nei confronti dello status quo, proprio a partire dal corpo e dalla sua messa in mostra.

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3/7/2017

 


​LINGUAGGIO MIMICO

Il primo linguaggio teatrale è stato quello del corpo. In una maniera non dissimile, alla fine del Novecento, con l'avvento del cinema, in cui mimica e gesti erano i mezzi con cui avveniva la comunicazione. R. Paolella, in Del linguaggio mimico-gestuale (1949), studiando le origini del linguaggio gestuale in rapporto al linguaggio cinematografico - riprendendo le tesi del glottologo M. Jousse,  interessato soprattutto alla psicologia linguistica - giunge alla conclusione che il linguaggio mimico è più vicino di quello orale nel dare significato alle cose, al mondo esterno e ai nostri sentimenti. Insomma, nel teatro delle origini così come agli albori del cinema, l'azione mimica prevale sulla parola, la gestualità sulla comunicazione orale. E al centro vi è, naturalmente, il corpo, nella sua interezza oppure nelle sue manifestazioni più minute.


​PANTOMIMA

​​Ed infatti, nel dramma classico la parola prevale sul gesto, nei mimiambi più antichi - mimi scritti in versi giambici - dialogo e azione mimica si bilanciano. Ma nelle primitive rappresentazioni sacre, dalle quali nasce il teatro greco, prevale di gran lunga l'azione mimica sulla parola. Senza testi né dialoghi, il mezzo di questo linguaggio non poteva essere che il corpo: mimica, gesticolazione, acrobazia.

Linguaggio muto che da lontano giunge fino al Settecento come ci conferma G.M. Bergman in La grande mode des pantomimes à Paris vers 1740 et les spectacles d'optique de Servandoni (1960), in cui approfondisce il rapporto pantomima-cinema studiando pantomime presentate nelle fiere, nelle piazze e nei teatri dei mimi, affermando come il linguaggio del futuro cinema trasferirà in pellicola tutte le caratteristiche del 'teatro ottico'.


​IL MOVIMENTO

​Il gesto, il mimo, la pantomima, il movimento quotidiano perché immediatamente riconoscibile o di facile traduzione, nell'Ottocento - periodo in cui, testimonia G.G. Belli, mimica dell'attore era fatta di 'torcimenti, visacci e urla' - fu oggetto di studio approfondito tanto che A. Morelli, scrisse nel 1854 il ​Prontuario delle pose sceniche, che contava un elenco lunghissimo di pose. Ma è con T.A. Edison, che nel 1889, inventò il cinetoscopio, e con i fratelli Lumière, con le loro innovazioni di grafica del movimento, che la 'scrittura' del gesto e della mimica sarà possibile. Senza ovviamente dimenticare, Eadweard Muybridge, fotografo interessato allo studio del movimento, che progettò lo Zoopraxiscopio, strumento che permise la proiezione di più immagini, anticipando quindi la nascita "pubblica" del cinema. Fu anche il precursore della biomeccanica e della meccanica degli atleti utilizzando, nelle sue foto, la tecnica della cronofotografia per studiare il movimento degli animali e delle persone.

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CORPO E DANZA                                                    MODERNO                                                              PRIMA META' DEL NOVECENTO

3/7/2017

 


​PIEDI NUDI

Nel Novecento, la rivoluzione del pensiero sull'uomo e sul corpo, fu favorita dallo sviluppo delle scienze umane, riflettendosi sulla danza. L'affermarsi di una concezione unitaria dell'uomo, in cui corpo e spirito (inteso come psiche e intelletto) sono strettamente connessi e interagenti, rivaluta il corpo e i suoi mezzi espressivi (movimento, voce, parola) come imprescindibile mezzo di manifestazione esterna dell'interiorità. Il movimento si fa 'espressione', o meglio, auto-espressione, e nella danza raggiunge un livello poetico sentito come linguaggio artistico non verbale privilegiato, per la sua capacità di restituire l'organicità ontologica dell'interprete.

I primi ballerini moderni ricercavano una danza che fosse più espressiva del balletto classico. Anche alcuni coreografi di balletto, tra i quali Michel Fokine, si ispirarono alle danze di tradizioni non occidentali. Isadora Duncan, ad esempio, si sbarazzò per prima di punte e tutù, Andando in scena a Parigi nel 1900, a piedi nudi, con i capelli sciolti e vestita di un'ampia tunica poiché voleva ritrovare i gesti naturali ed esprimere le passioni imitando le movenze dei danzatori greci dell'antichità, peraltro visti solamente nei musei e nei bassorilievi del Partenone ad Atene.


​CORPO NATURALE

​In questa nuova prospettiva socio-antropologica, confermata anche da visioni filosofiche (F. Nietzsche), la danza d'arte rifonda i suoi principi a partire da un corpo 'naturale' ed 'espressivo', rifiutando le codificazioni convenzionali a priori e moltiplicando all'infinito le possibilità creative. La 'danza libera' e quella 'espressiva' centroeuropee (R. Laban, M. Wigman, K. Jooss) e la modern dance americana (I. Duncan, R. Saint Denis, M. Graham, D. Humphrey), si fondano su principi di base opposti a quelli della danza classica: massima aderenza al terreno favorita dal piede nudo e posizione naturale delle anche; completa liberazione e mobilità del tronco sentito come fulcro dell'energia motoria che si irradia ugualmente verso l'alto e verso il basso; uso libero ed espressivo di braccia e testa. Il movimento danzato è inteso come flusso continuo, regolato da una pulsazione energetica che si modella sul respiro e dotato di valenze 'metacinetiche', ossia in sé rivelatore degli impulsi interiori che lo generano.

Il corpo del danzatore diviene pienamente cosciente della forza di gravità cui è sottoposto e del proprio peso, si muove tridimensionalmente nello spazio con nuova, scientifica consapevolezza, interagendo con esso come un partner e modellandolo attraverso il proprio movimento, evitando i parallelismi e le simmetrie decorative per privilegiare le più espressive e drammatiche opposizioni, le spezzature e gli squilibri corporei, senza esitare di fronte alle cadute e ai robusti contatti con il terreno. 


​RAPPORTO CON LA TERRA

I "moderni", insomma, concordavano sul fatto che la danza doveva essere finalizzata all'espressione delle emozioni, obiettivo che poteva essere raggiunto solamente con la ricerca interiore e una maggiore attenzione alle capacità del corpo. E per raggiungere tale espressività, in opposizione alla danza accademica, le gambe e i piedi assunsero un ruolo secondario, mentre si privilegiò la parte superiore del corpo, e si rivalutarono funzioni basilari dell'essere umano, come il camminare e il respirare, giudicate parti integranti della danza moderna.
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Occupando tutto lo spazio teatrale, i danzatori moderni mostravano anche il fianco o le spalle al pubblico, variando la posizione del busto rispetto alle gambe. Il volo classico, in questa nuova ottica, perde la sua carica idealizzata, e i danzatori agendo anche sdraiati sul palcoscenico, riconoscendo nel peso del corpo il principio basilare del movimento, privilegiano il rapporto con la terra.​

gb 
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CORPO E ARTE                                                        FEMMINISMO E BODY ART

3/7/2017

 


​PROGETTARE Sè STESSI

Il corpo è il soggetto incarnato che si reinventa, un soggetto carico di esperienze, idee, vissuti, aspettative, contaminazioni e appartenenze. E la Body Art descrive un residuo che diviene traccia di una presenza, un morso, un taglio, una piaga. Con carne, sangue, alito, sperma, liquidi, si inventano autodistruzioni che non si confondono affatto con la pulsione di morte, la Body Art presenta un corpo che diviene una scelta, un progetto di sé, un materiale plasmabile, un corpo come volontà di esplorare le zone di coesistenza e di confronto. Un corpo che muta le proprie sembianze per meglio adattarsi al caos presente.

Disfare l’organismo non ha mai significato uccidersi, ma aprire il corpo a connessioni.

E in questo contesto, le istanze del femminismo hanno avuto un ruolo notevole nella storia dell'arte, soprattutto fra gli anni Sessanta e Settanta ma fino ai nostri gironi, mettendo in scena il corpo in una varietà di valenze diverse: frammentato, martoriato, luogo di scontro verso barriere sociali e di costume. Equilibratore dei rapporti di potere e di classe, nonché di genere legate al sesso di cui il soggetto artista è portatore, nel tentativo di andare oltre certi comportamenti sociali legati a forme di violenza verso le donne.


​Gina Pane

Gina Pane (Biarritz 1936 – Parigi 1990), concentrava il suo lavoro sul  dolore interno, che diveniva ferita ma anche forma di elevazione spirituale, ispirandosi alla tradizione religiosa medioevale. I suoi primi lavori sul corpo risalgono al 1968, ma la prima azione in cui si ferisce è del 1971, e s’intitola Escalade in cui, con lamette, si taglia in varie parti del corpo: l’orecchio, la lingua, le mani. In altre performances si piantava spine di rose nelle braccia, un modo per esprimere l’angoscia di un doloroso rapporto d’amore, come in Azione sentimentale (1973).

​Chi ha assistito direttamente alla performance, racconta che Gina Pane si fletteva davanti agli spettatori, a dimostrazione della sua sottomissione e disponibilità, recando con sé delle rose gialle in segno di devozione e amicizia, mostrando tuttavia vulnerabilità, fragilità e debolezza. L'artista, per questa performance aveva ‘lavorato’ sull'aggressività dello spettatore, proponendosi come priva di difese – come si è visto ferendosi con le spine di rose – portando tale aggressività a manifestarsi, al fine di rivelarne la gratuità e l’insensatezza. In una installazione dell’anno prima, il ’72, Le Lait Chaud (Latte caldo), in occasione di una ripresa a Los Angeles, Gina Pane elaborò una installazione il cui tema era “Il bianco non esiste”. Vestita completamente di bianco, spalle al pubblico iniziò a incidersi con una lametta la schiena, lasciando che il sangue sgorgasse dalla sua camicia.

Come smise di ferirsi iniziò a giocare con una palla da tennis, creando appunto un notevole contrasto con la violenza del gioco precedente. A proposito della performance, l'artista racconta: All’improvviso mi voltai verso il pubblico e avvicinai la lametta alla faccia. La tensione era palpabile ed esplose quando mi tagliai entrambe le guance. Tutti gridavano: ‘No. No, la faccia no!’ Avevo toccato un nervo scoperto: l’estetica delle persone! La faccia è tabù, è il cuore dell’estetica umana. Dopo essersi tagliata il viso la Pane puntò la telecamera sul pubblico in modo che gli spettatori vedessero le proprie reazioni e “comunicassero con se stessi”.


​Marina Abramovich

Una artista più giovane è Marina Abramovič (Belgrado 1946) che ha iniziato a esibirsi con varie performances nel 1972. Le sue performance vertevano sul dolore e la resistenza fisica in situazioni di disagio, più o meno procurate. Del 1974 è la performance serale Rhythm 0, tenutasi presso lo Studio Morra a Napoli, che si concentrava sulla sopportazione passiva di un’aggressione, la Abramovič restò in piedi, vestita, di fianco a un tavolo colmo di oggetti d’offesa davanti agli spettatori, che sono stati invitati dalla performer a fare qualsiasi cosa del suo corpo utilizzando tali oggetti. Una scritta a parete recitava: “Sul tavolo vi sono settantadue oggetti che potete usare su di me come preferite, Io sono un oggetto”.

Tra questi oggetti vi era una pistola, un proiettile, una sega, un’accetta, una forchetta, un pettine, una frusta, un rossetto, una bottiglia di profumo, della vernice, alcuni coltelli, dei fiammiferi, una piuma, una rosa, una candela, dell’acqua, delle catene, chiodi, aghi, forbici, miele, grappoli d’uva, intonaco, zolfo e olio d’oliva. Successe di tutto poiché alla fine della performance gli spettatori l’avevano spogliata completamente, tagliandole i vestiti; era stata ferita, dipinta, lavata, decorata, coronata di spine (della rosa, evidentemente) e le era stata puntata la pistola carica alla tempia. Dopo sei ore gli spettatori turbati interruppero la performance.
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Dal 1976 al 1988 ha collaborato con un artista tedesco Uwe Laysiepen (Solingen 1943), in arte Ulay, con indagini e situazioni imperniate sulle relazioni tra i corpi, in chiave maieutica al fine di rivelare al pubblico le proprie reazioni. Forse la prima performance in coppia è legata alla Biennale del 1976, nello spazio delle ex Officine Meccaniche della Giudecca a Venezia, che implicava uno scontro tra i due corpi ignudi della Abramovič e di Ulay, legati da un lungo elastico che in qualche modo cadenzava i movimenti di allontanamento da quelli di avvicinamento e di scontro tra i due corpi, che erano di una certa violenza, diciamo pure di un raggelato erotismo. Nel 1977 la coppia propone la performance intitolata Imponderabilia, alla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna, in occasione della inaugurazione di una mostra.

I due performer, collocati completamente nudi e l’una di fronte all’altro, nella porta d’ingresso, in modo che gli invitati fossero costretti a passare per lo strettissimo spazio che restava in mezzo tra i due corpi. Si entrava necessariamente di fianco, quindi la scelta preliminare di ciascuno era quella di decidere su quale fianco voltarsi, verso la femmina o verso il maschio, e le proprie reazioni nei confronti delle differenze di genere, cioè della sessualità e del corpo dell’altro.


​Vanessa Beecroft

Di ultima generazione è Vanessa Beecroft (Genova 1969). La sua scelta espressiva, che pare avesse maturato fin da giovanissima, è quella di realizzare delle performances che prendevano lo spunto dall’iconografia delle bagnanti (dal Realismo al Simbolismo e oltre) e dal tentativo – indubbiamente narcisistico – della ripetizione di sé, nella ricerca di una propria bellezza, evidentemente con l’ossessione di avere un corpo che rispondesse a dei canoni accettati, con i tipici problemi legati al cibo.

Utilizzando corpi femminili di giovani donne più o meno nude, ed elaborando coreografie molto precise, Beecroft riprende l’idea dei tableau vivant settecenteschi, in maniera molto particolare, componendo appunto dei veri e propri “quadri viventi” da esporre in musei e gallerie d’arte contemporanea. Beecroft pone così, al centro delle proprie ricerche il tema dello sguardo del voyeur che, com’è ovvio, è legato al desiderio e lo connette al mondo effimero e volubile della moda.

​Come giustamente è stato notato, le donne nude o seminude delle performances dell’artista sono private di ogni possibilità di dialogo o di relazione, come in ogni tableau vivant che sia effettivamente tale, esse appaiono ‘congelate’ al di là di una sorta di barriera che, in questo caso, separa nettamente lo spettatore da chi sta sulla ‘scena’. Nel contempo, però, l’isolamento e il mutismo di queste figure producono il curioso effetto di far ‘rimbalzare’ lo sguardo – più o meno ‘desiderante’ – di chi guarda su di sé, creando una certa situazione di disagio. 
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gb 
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CORPO E DANZA                                                  AVANGUARDIA RUSSA

3/7/2017

 


​corpo androgino

​Un capitolo importante nella storia del corpo in danza, riguarda il grande fermento creativo che si esprime in Russia, dai primi anni del Novecento agli anni Venti, in cui il linguaggio del corpo, del gesto e della mimica trova forme nuove d’espressione.

Cambiamento che coinvolge soprattutto la sfera femminile, e certe figure androgine presenti nell’élite colta delle due capitali della cultura artistica russa, Mosca e San Pietroburgo. Si pensi ad una figura come Ida Rubinštejn, con i tipici tratti della cultura simbolista, tra i primi nudi che compaiono nel teatro di San Pietroburgo, con forti anticipazioni nei confronti di tutto il filone di danze sperimentali che si svilupperanno nei due decenni successivi. 

O ancora alle sperimentazioni teatrali all’interno del Bauhaus intorno alla seconda metà degli anni Venti del Novecento, con lo straordinario apporto di Oskar Schlemmer, nel ripensamento di un possibile ‘teatro totale’ (pensiamo anche a Piscator) dove architettura, scenografia, coreografia, in rapporto con la pittura e la scultura hanno dato un contributo notevole a certi sviluppi del secondo dopoguerra. Come, ad esempio, lo spettacolo dedicato alla Danza delle verghe del 1927, una specie di prolungamento geometrizzante del corpo e del movimento attraverso assicciole lignee legate agli arti, o alla Metal Dance del 1929 che prefigura il ricorso a effetti e tecnologie sofisticate.  
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CONTRO L'ACCADEMIA

Ancora, il coreografo Marius Petipa ed il musicista Pëtr Il'ič Čajkovskij diedero origine ad alcuni balletti classici famosissimi: Il lago dei cigni, La bella addormentata e Lo schiaccianoci. La compagnia dei Ballets Russes di Sergej Djagilev, fra il 1909 e il 1929 è artefice di una vera e propria rivoluzione in senso moderno della danza classica, con l'assunzione di movimenti non canonici, per non dire addirittura "antiaccademici" e una forte rivalutazione delle potenzialità espressive e drammatiche della danza.

Nel 1956 le grandi compagnie russe, come la compagnia del Bol'šoj o la compagnia del Teatro Kirov (ora Teatro Marijnskj), cominciarono ad esibirsi in occidente. L'intenso spirito drammatico e il grande virtuosismo tecnico dei danzatori russi ebbero un fortissimo impatto sul pubblico e sull'idea del corpo in danza.  Ricordiamo solo alcune delle personalità che, in Europa, ebbero grande eco, George Balanchine, fondatore del New York City Ballet,  Rudolf Nureyev, diventato poi direttore artistico del Ballet de l'Opéra de Paris, di Natalia Makarova o di Mikhail Baryshnikov, poi direttore dell'American Ballet Theater, a New York.

gb 
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CORPO E DANZA                                                    FUTURISMO

3/7/2017

 


il corpo danzante

Il movimento futurista, insofferente a staticità e passatismo, si caratterizza per un infaticabile slancio in avanti, verso il futuro. Si abbandona a mutamenti corporei e sensoriali radicali e vede nel respiro, nei nervi, nei sensi, nelle vibrazioni e nei brividi di velocità, dunque nel corpo tutto, la realizzazione di un uomo nuovo, l'uomo del futuro.

Per Marinetti, il teorico del movimento, il corpo umano, per proiettarsi nel futuro, doveva essere ben allenato, e proprio nel danzatore, nel suo corpo, proiettava il sua ideale di "eroe". Molti critici, invece, hanno mal giudicato l'importanza della  danza per il futurismo, trascurando gli studi sull’argomento fino ad anni recenti.

Tuttavia, le azioni provocatorie dei futuristi e la loro fede nella nascita di un’arte inedita, “nuova formula dell’Arte-azione”, evidenziano come l’arte del corpo non sia rimasta episodio marginale all’interno del movimento.


il corpo moltiplicato

Anzi, il corpo danzante, a partire già dal cosiddetto periodo “eroico”, figura come tema centrale. Infatti, il danzatore, agile perchè allenato, è il solo che possa sentire impulsi e ritmi frenetici, e che riesca a esprimerli attraverso la reazione condizionata dei movimenti corporei.

​In effetti, con l’esplosione di music hall e teatro di varietà, il corpo danzante attira prepotentemente lo sguardo, la percezione, la creatività degli artisti dell’epoca. A inizio Novecento, l’arte della danza “innova”, grazie alle avanguardie europee e il futurismo non fa eccezione. Marinetti, ammirando la nuova arte del corpo, l’8 luglio 1917, pubblica il manifesto de La danza futurista, in cui si aspira ad una danza con il “corpo moltiplicato dal motore”. 
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‘Noi andremo alla guerra danzando e cantando!’ Ecco perché oggi sulle rive imbottite di cadaveri della Vertoibizza, sotto una volta di traiettorie rombanti, fra mille vampe veloci, a ventaglio, mentre molleggiano bianchissimi razzi troppo lenti spasimosi estenuati, […] ho avuto la visione nuova della danza futurista.


​danze futuriste

​Ipotizzando un dramma coreico, Marinetti elabora il “libretto” di tre danze futuriste: Danza dello shrapnel, Danza della mitragliatrice e Danza dell’aviatore, con indicazioni su scenografia, costume e movimento della danzatrice protagonista.

Queste tre danze, sono danze del corpo autonomo, non del corpo anonimo - ricambio sostituibile della massa - né del corpo marionetta impersonale, nascosto da costumi immensi, come avverrà negli anni Venti, anche all’interno del movimento futurista.

Marinetti, infatti, con la predominanza, sulla scena, del solo corpo danzante, intuisce la possibilità di moltiplicare e intensificare le capacità umane proprio partendo dal corpo, auspicando la nascita di una nuova arte coreica.


"Questo mio manifesto annulla tutte le danze passatiste che non si devono rievocare, né esumare, né rinnovare. Non esclude però altre concezioni di danze futuriste che i nostri geni novatori daranno sicuramente".


​azione-danza

​Marinetti non postula lo stile di una danza futurista, ma crede che, grazie al suo manifesto, possano nascere “altre” nuove danze, le stesse che erano mancate sino ad allora. Ribadendo di aver sostenuto sin dagli inizi del movimento le azioni-danza, Marinetti dà il via alla realizzazione della nuova arte coreica in un momento favorevole all’azione.

Incantato dalla bellezza della macchina, lui stesso cerca di esserne partecipe, al ritmo di contrazioni muscolari, pulsazioni e palpitazioni, senza mai mettere in secondo piano il corpo rispetto alla coscienza. Convinto che il corpo possa “agire” la nuova arte futurista, il fondatore intuisce le potenzialità del corpo danzante, sempre in movimento nel tempo e nello spazio.

gb 
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CORPO E TEATRO                                                    PREPARAZIONE FISICA

3/7/2017

 

La premessa indispensabile del teatro è la preparazione fisica degli attori, e costituisce la fase preparatoria allo spettacolo. Gli esercizi proposti in quasi tutti i laboratori si dividono in quattro categorie: riscaldamento, presenza, voce, improvvisazione e creazione.


​​1. RISCALDAMENTO

Esercizi di riscaldamento dei muscoli del corpo mutuati dal mondo della ginnastica, particolarmente importanti prima di performance impegnative. Nella pratica, si tratta di normali esercizi di stretching per le articolazioni, la schiena e i muscoli di gambe e braccia.


2. PRESENZA scenica
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Capacità dell'attore di dominare il palco attirando così l'attenzione dello spettatore ancora prima della parola. Gli esercizi su la presenza vertono su temi quali, spazio, contatto, ritmo e concentrazione.


CAMMINATA

Obiettivo: gestire il palcoscenico

​Il gruppo di attori inizia a camminare cercando di coprire tutte le zone scoperte. Durante l'esercizio la guida con un battito di mani fermerà più volte il movimento degli attori per verificare la loro disposizione. Successivamente, seguendo le indicazioni della guida, il gruppo deve riuscire ad assumere la stessa velocità uniforme e poi ad aumentare o a diminuire sempre di più questa velocità.


​LA PARETE 

Obiettivo: prepararsi allo spazio tridimensionale del palco
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La guida propone un tema (primavera, cucina, scuola, dolore..). Gli attori, in completo silenzio, alzandosi uno per volta dovranno andare a posizionarsi vicino alla parete assumendo una posa secondo loro adatta al tema; l’unica regola è che ogni attore deve avere almeno un punto di contatto con la parete e uno con un compagno. Si verrà così lentamente a formare un'immagine quasi pittorica.


​L'ALTRO

​Obiettivo: conoscere l’altro
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Ci si divide a coppie e si sceglie in quale punto del corpo il contatto tra i due non debba mai venire meno. A questo punto le coppie iniziano a muoversi liberamente nello spazio cercando di mantenere sempre costante il contatto.
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​3. VOCE

Pur essendo invisibile, la voce non è immateriale. Gli esercizi puntano alla consapevolezza delle potenzialità della propria voce, oltre che al rafforzamento delle capacità vocali, connessi alla fondamentale importanza della respirazione diaframmatica.


​POTENZA

Obiettivo: migliorare la potenza di voce
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Ogni attore impara una breve frase a memoria. Aggiungendo un movimento per volta a partire dalla stasi, la frase va pronunciata fino ad arrivare a questo movimento completo: corre, si abbassa, salta, atterra. L'importante nell'esercizio è assumere potenza di voce senza mai arrivare a gridare.


QUATTRO VOCI 

Obiettivo: consapevolizzare la propria capacità vocale
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Abbiamo a disposizione quattro diverse impostazioni: addominale, la voce risuona nella zona del diaframma; di gola, è la voce che utilizziamo normalmente; nasale: risuona tra palato e setto nasale; di testa o falsetto, risuona all'altezza delle orecchie, Gli esercizi per sviluppare l'utilizzo di queste voci consistono nel ripetere una frase nelle varie voci, fino a riuscire a padroneggiarle con sicurezza anche nei salti dalla voce addominale al falsetto.


NUMERI

Obiettivo: entrare in sintonia con gli altri.
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In piedi in cerchio, la guida darà il via pronunciando il numero 1 e gli altri, uno dopo l'altro senza ordine, dovranno procedere nella numerazione. Quando uno stesso numero è pronunciato da più persone bisogna ricominciare da capo. L’esercizio si può provare anche girati di spalle, senza potersi guardare.
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4. ​IMPROVVISAZIONE E CREAZIONE 

È la fase più matura del percorso di un attore, quando riesce a fondere presenza e voce nella creazione artistica, sviluppando prontezza creativa.  Due i tipi di improvvisazione.

​IMPROVVISAZIONE CLASSICA

La guida fornisce una situazione agli attori o da loro diversi personaggi e lascia che l'azione teatrale si sviluppi da sola.

IMPROVVISAZIONE ASTRATTA
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La guida fornisce ai singoli attori delle caratteristiche non concrete. Ad esempio ogni attore può essere associato ad un colore e deve perciò comportarsi come il colore assegnatogli.

gb 
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​Teatro e Danza. Queer

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Direttore Giovanni Bertuccio
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