![]() Negli anni sessanta e settanta nella società italiana personaggi come Dario Fo e Leonardo Sciascia mettevano in mostra, denunciavano - attraverso l'analisi dialettica della situazione politica e socio-culturale e, soprattutto, del linguaggio eufemistico e accomodante di cui si avvale tuttora la classe politica - il marciume, le fallacie logiche, le segrete connivenze fra le classi dominanti e i favoreggiamenti che si celano sotto il perbenismo politico. Importante quanto la componente critica della satira di Dario Fo è la capacità di costruire e mettere in scena delle perfette macchine per far ridere. Il modello è quello delle farse e dei vaudeville con rimandi sia al filone popolare dei lazzi della Commedia dell'arte, sia alle gag del circo e del cinema muto. Dunque il suo teatro è corpo, ricerca della semplicità, se pur farsesca, di un linguaggio immediatamente comprensibile, proprio dal suo interlocutore privilegiato, la gente comune, le vittime dello stesso sistema che cercava di scardinare. ![]() In Dario Fo i meccanismi della farsa si fondono con una satira efficacissima e la commedia diviene un tentativo di raccontare fatti e personaggi della storia e dell'attualità secondo un'ottica alternativa - spesso immaginaria - priva di quella retorica e di quegli stereotipi. Con Fo tornano in scena la cultura e la tradizione dei giullari, filtrate attraverso un sentimento moderno, nelle nuove situazioni offerte dalla società. Il suo fare teatro ha una cultura popolare di fondo: il suo 'gestire' - così l'ha teorizzato - si trasforma in 'gestuare', che non è descrittivo ma costruttivo; e la 'cultura' delle maschere è alla base della sua ricerca. Il suo linguaggio verbale può diventare una lingua inventata che fa tutt'uno con il suo corpo, e che chiama grammelot, termine di origine francese. È - dice Fo - un 'papocchio di suoni' che riescono ugualmente a dare il senso del discorso; 'gioco onomatopeico', 'articolato arbitrariamente', ma in grado di trasmettere, con l'apporto di gesti, ritmi e sonorità particolari, un intero discorso compiuto. ![]() Il testo teatrale che non può prescindere dalla presenza scenica di Fo è Mistero buffo del 1969. Un lungo monologo in grammelot che imita il dialetto padano, e che offre una versione smitizzata di episodi storici e religiosi, coerente con l'idea che "il comico al dogma fa pernacchi, anzi ci gioca, con la stessa incoscienza con cui il clown gioca con la bomba innescata". Collage divertente e satirico di misteri e giullarate medioevali e rinascimentali, Mistero buffo insegna a grandi e piccoli che il potere può facilmente essere annientato con grasse risate. Figura centrale è quella del giullare, in cui Fo si identifica, rifacendosi alle origini della figura come quella di colui che incarnava e ritrasmetteva in chiave grottesca le rabbie del popolo. gbApprofondimenti
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AutoreGiovanni Bertuccio Archivi
Gennaio 2020
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