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QUEER E ARTE                                                    SECONDO NOVECENTO                                      GÜNTER BRUS

1/3/2022

 
Foto
Günter Brus | Zerreissprobe, 1970


​VIENNA 

L'Austria, all'inizio degli anni cinquanta, si scandalizzò per il comportamento di un giovane artista, Arnulf Rainer. Fondatore di un gruppo effimero, lo Hundsgruppe (Gruppo del cane, 1950), si lasciava andare a discorsi aggressivi e non disdegnava l'abbaiare, tanto da suggerire accostamenti con le strategie sovversive dei cinici greci. Come i filosofi della scuola cinica che s'appellavano al comportamento canino e si lasciavano andare in pubblico ad atti contrari alla morale comune, gli artisti dello Hundsgruppe non risparmiavano sberleffi e provocazioni. Pur sempre artista, egli proclamava di disprezzare l'arte, banale surrogato in un mondo privato dei valori fondamentali. A questo proposito lui stesso scriverà nel 1952:
​
I quadri, le poesie, le idee, i discorsi sono solo la schiuma, la fermentazione, il cascame, la cenere, il tentativo assurdo di ritrovare questo contatto con l'estasi del vissuto (…) Sono solo tentativi impossibili di provocare qualcosa, una maniera deviata per la nostra razza peccatrice di realizzazioni in parole e non nel silenzio. Sono solo concessioni al nostro mondo corrotto di cui proviamo vergogna. 


​PROVOCARE SENSAZIONI INTENSE

Nei primissimi anni Sessanta Gunter Brus, figlio di quella tradizione, voleva andare oltre il quadro, per farne un brandello di mondo. Un mondo che, nota l'artista nel suo diario, deve però includere il grido, il sonno, la zuppa di fagioli, il bassotto a pelo lungo, il tifone, la melodia infinita, ecc., insomma la vita in tutti i suoi aspetti. Nell'autunno del 1964 Gunter Brus diede avvio a una serie di “azioni” nelle quali dipingeva sé stesso oppure faceva sul suo corpo un collage di diversi oggetti legati a sensazioni di pericolo e dolore, come per esempio una zappa, una sega, dei chiodi o puntine da disegno. 

Nel 1965, come un tableau vivant, cammina per le strade di Vienna con il corpo coperto di biacca e diviso in due da una linea nera irregolare. Il giorno dopo, in occasione del vernissage della sua mostra Malerei-Selbstbemalung-Selbstverstumme-lung (pittura, autopittura, automutilazione), dà vita alla prima azione alla presenza del pubblico. Da questo momento definirà il suo lavoro arte diretta, riferendosi alle dinamiche che subentrano ed che esasperano le azioni, che ora si svolgono anche e per lo più davanti ad un pubblico, provocando sensazioni sempre più intense, fino all'auspicato shock. 


URINE AUTOMUTILAZIONI ONANISMO

La sua partecipazione al Destruction in Art Festival, organizzato nel 1966 da Gustav Metzger, portò alla consapevolezza che l'elemento demolitorio, l'atto distruttivo sarebbe stato un tema ricorrente, e integrante, di tutta una serie di azioni in cui metteva a dura prova sé stesso e il pubblico.
​
Nel 1968, invitato a Aix-la-Chapelle, Gunter Brus, realizza Der helle Wahsinn. Con La follia pura, l'artista urina e defeca davanti al pubblico, incidendosi la pelle con un rasoio. L'analisi corporea, dirà Brus, non ha bisogno della simbolica, è ormai il corpo stesso, con le sue funzioni, reazioni ed escrementi, a costruire il medium. Con Follia pura comincia a usare il corpo in maniera ancor più radicale, con allusioni a scenari di automutilazioni e sofferenza, inscenando funzioni corporee sessualmente connotate e tabù. Di fronte a questa drammatica evoluzione si potrebbe ampliare l'equazione posta da Brus “autopittura = automutilazione superata” con l'analogia “analisi corporea = autodistruzione superata”. 


ANALIZZARE IL CORPO

La violenza sul corpo raggiunge il culmine in occasione della mostra Kunst Und Revolution, organizzata da Brus e Muhl all'Università di Vienna il 7 giugno 1968. Invitati da un gruppo di studenti socialisti, i due provocano il caos. Muhl legge un pamphlet e frusta un masochista. Un filosofo tiene una conferenza. I membri del Direct art Group organizzano un concorso: chi piscia più lontano? Brus si spoglia, si produce dei tagli ai fianchi, raccoglie la propria urina nella mani e la beve. Defeca e insozza il suo corpo con i propri escrementi, per sdraiarsi sul pavimento e masturbarsi intonando l'inno nazionale austriaco. I due, saranno condannati dal tribunale a una pena detentiva e ripareranno a Berlino.

​Qui, nel 1969, Brus realizza, Analisi corporea 1. Si tratta di un processo di ritrovamento che viene fissato con la macchina fotografica e questa volta anche su cinepresa. Diversamente dal gesto pittorico di Autopittura 1 e dalla simbologia allora ancora presente nel linguaggio materiale, ora Brus impiega segnali riferiti direttamente al corpo e alle sue funzioni. Arte diretta, in questo caso, significa superare ciò che nell'arte ha il ruolo di rappresentare, di fare le funzioni di qualcosa.
 
Con l'azione Prova di lacerazione (Zerreißprobe) Brus, nel 1970, conclude la fase dimostrativa della propria autoanalisi, ponendo fine all'azione corporea e preferendo forme espressive che maturano nella discrezione dell'atelier, come la letteratura e il disegno, compiendo, con Fuoco Fatuo, un passo in avanti nella sua ricerca.


Fonti
​

J.Claire, De Immundo, trad. it. di P. Pagliano, Abscondita, Milano 2005
A. Rainer, La peinture pour quitter la peinture (1952), in Arnulf Rainer, catalogo della mostra, Centre Pompidou, Paris 1984
T.Binkley, <<Pièce>>. Contre l'esthétique, in Esthétique et poétique, Seuil, Paris 1992
H. Klocker, Wiener Aktionismus, Wien, 1960-1971, in Genio e follia, 2009
G. Brus, citato in Gunter Brus. Limite du visible, catalogo della mostra, Centre Georges Pompidou, Le Centre, Paris 1993

gb 
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QUEER E ARTE                                                        SECONDO NOVECENTO                                              VIENNA | CORPO RITO AKTION

1/3/2022

 
Foto
Günter Brus, Peter Weibel, Otto Muehl e Oswald Wiener | Kunst und Revolution, 1968


​REAGIRE AL MONDO

​Nel secondo Novecento, il corpo acquista sempre più potere all'interno del sistema dell'arte, divenendo mezzo - di denuncia - e fine insieme, con la comprensione di aspetti che la ragione, nel corso dei secoli, ha trattato come immonde, non appartenenti, cioè, al mondo che razionalmente aveva creato. Non si guarda più al mondo ma, adesso, si reagisce al suo contatto.

L'arte ha avuto a lungo per emblema l'occhio e il suo potere, dopo le guerre non è più la vista, il più intellettuale dei sensi, e appagarla non è nelle preoccupazioni degli artisti. Sarebbe la nausea a renderli lucidi e nella loro arte importante sarà il disapprendimento di quel disgusto pazientemente inculcato.

Se la lontananza dalla società era la caratteristica principale dell'Art brut, l'arte del corpo si proietta totalmente verso l'esterno. Il suo bersaglio diviene la società con i suoi finti valori, falsi profeti e infiniti tabù, facendo dell'arte il mezzo privilegiato per un ritorno all'ordine.


ARTE COME FETICCIO  

​Nell'arte del dopo guerra, il concetto di riti di passaggio formulato da Gennep, Lévi-Strauss e Turner è stato il punto di partenza di elaborazioni teoriche riguardanti la cultura e l'arte. Per riti di passaggio in etnologia si intendono gli adempimenti rituali con i quali si tenta di controllare e sostenere fasi di cambiamento rilevanti nell'ambito individuale e collettivo. Si parla di una fase di separazione, di una fase intermedia e infine di una fase di integrazione nella quale viene raggiunta un'identità nuova. E così nel processo creativo, all'inizio di un'opera artistica c'è spesso la dimostrazione, la trasvalutazione radicale dei valori, e, di conseguenza, un gesto grazie al quale si apre una nuova via.

Nel corso degli anni Sessanta le posizioni degli Aktionisten presentano strutture simili. Nei primi anni gli artisti si liberano di un concetto di arte tradizionale sentito come vuoto, e in una fase intermedia sperimentano la costruzione di un vocabolario performativo. Alla superficie figurativa gli Aktionisten muovevano la critica di essere un feticcio artistico a fondamento di una cultura della rappresentazione rigorosamente canonizzata.


SPERIMENTAZIONE

​E nel caso dei protagonisti viennesi questa dinamica prese avvio con la critica all'informale e al tachisme europei, e nel caso della scuola di New York, con un'estrema prosecuzione dell'action painting di Pollock.

Analogamente al gruppo giapponese Gutai,
anche ai Wiener Aktionisten riesce di ampliare, in modi espressivo-strutturali e rapportati al corpo, l'astrazione gestuale di Pollock (che già andava al di là della superficie figurativa), inserendola in uno spazio performativo, modificando il concetto di arte.

Questo mutamento di paradigma, dall'immagine all'azione corporea, tra il 1963 e il 1967 osserva una fase sperimentale di sviluppo di testi-immagine e forme d'azione individuale. Soprattutto in questo periodo, lo “sguardo chirurgico” dell'obbiettivo fotografico - come osservò Walter Benjamin -  fu impiegato come mezzo di controllo nello sviluppo delle strutture dei differenti linguaggi artistici. La cosiddetta “fotografia inscenata del Wiener Aktionismus” condusse ad affascinanti invenzioni figurative che ancora oggi influenzano le icone del dialogo tra arte figurativa, performance e fotografia.


​AGITAZIONE

​​Attorno al 1966, superata la fase sperimentale, gli artisti erano pronti per un ulteriore coinvolgimento pubblico e dopo la partecipazione al Destruction in Art Festival di Londra, tra il 1967 e i primi anni Settanta, aprirono la fase agitatoria, inserendosi come parte radicale all'interno del movimento del Sessantotto.

Muovendo da questa rivolta, al principio degli anni Settanta gli Aktionisten danno forma definitiva a posizioni del tutto originali. In questa fase, conclusiva e di integrazione, attorno al 1970, gli artisti raggiungono posizioni pienamente mature e un concetto di arte intensamente ampliato con fondamento performativo.

A partire da Fuoco Fatuo, Gunter Brus si muove in uno spazio soggettivo le cui forme dinamiche sono improntate al dialogo testo-immagine. Nelle cosiddette Bilddichtungen (Poesie-immagini), progetta ambientazioni drammatiche all'interno di un fantasmagorico spazio concettuale individuale, in cui la sua fantasia si effonde nel linguaggio e nell'immagine con illimitata libertà. Hermann Nitsch amplia in passi concentrici la sua opera d'arte totale costituita dal Teatro di Orge e Misteri in una, come egli la definisce, Festa esistenziale della durata di sei giorni. E Otto Muehl, il “mago della risata tragica”, inizia con un'opera figurativa, edonisticamente straripante, la cui involontaria libertà formale può essere rieseguita soprattutto sullo sfondo della già citata società alternativa della Aktions-Analystische Kommune (Comunità di analisi dell'azione) da lui elaborata.


​
Fonti
1 H. Klocker, Wiener Aktionismus, Wien, 1960-1971, in Genio e follia, 2009
2 Cfr. D. Riout, in Ai confini con il teatro, 2002

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1/3/2022

 
Foto
1. Aktion | Hermann Nitsch, 1962 | ph ©Atelier Hermann Nitsch


​rito | DISGRUSTO E CATARSI

Influenzata da De Sade, Friedrich Nietzsche, Sigmund Freud e Antonin Artaud, l'arte di Hermann Nitsch vuole provocare nello spettatore disgusto e ribrezzo, per suscitare una catarsi individuale e collettiva.

Negli anni tra il 1960 e il 1964 Nitsch crea una sorprendente opera pittorica, per poi concentrarsi gradualmente allo sviluppo del Teatro di Orge e Misteri. Dall'automatismo gestuale della pittura astratta, l'artista elaborerà il suo linguaggio simbolico e materiale con al centro l'azione di lacerazione, simbolo del ritrovato istinto.

Già nel suo Primo gioco di abreazione (1961) Nitsch metteva chiaramente in rilievo il meccanismo terapeutico centrale della sua concezione artistica, riducendo, nelle sue opere, il linguaggio al grido e il gioco ad un processo di astrazione. Al centro di questa esperienza vissuta si trova il culmine orgiastico, l'eccesso fondamentale, che Nitsch assume a motivazione originaria di tutta l'arte.

Riconoscendo all'Arte, e al palcoscenico, una forte motivazione sociale immagina il Teatro di Orgie e Misteri come un'ulteriore evoluzione del dramma già inscenato nelle azioni. Cosi, spingendosi oltre, fa del rituale drammatico un meccanismo utile a far emergere energie rimosse, profonde. Un lavorare dinamicamente con i meccanismi psichici degli spettatori per renderli più consapevoli.​


​inconscio | teatro di orge e misteri

​Le strutture fondamentali, riconoscibili nella sua opera rivelano come Nitsch oscilli tra l'arte drammatica e un'affascinante opera illustrata. Il Teatro di Orge e Misteri, infatti, si configura come un flusso di energia alimentato da un complesso e crescente apparato figurativo, fatto di pittura, cinema, fotografia, disegno, grafica a stampa, oggetti, installazioni.

Il Teatro di Orge e Misteri (Das Orgien Mysterien Theater), opera d'arte totale che dal 1971 ha sede nel suo castello di Prinzerdorf in Austria, viene rappresentato mettendo in scena azioni che prevedono performance estreme e sanguinose. Sacrifici animali, onanismo, orge e violenza sono esposte con lo scopo di rafforzare gli spettatori, che prendendo parte personalmente alle azioni si avvicineranno ai misteri della vita e della morte.

Nitsch cerca di insinuarsi nel subconscio del singolo attraverso giochi rituali, incitando il pubblico a squartare bestie da soma, a tirarne fuori le viscere e a calpestarle. A imbrattare di sangue persone crocifisse e a partecipare a riti liturgici e sacri. Questi gesti portano il singolo ad entrare in contatto con il proprio essere animale più profondo e istintivo, e quindi a toccare gli ambiti più bui e nascosti del proprio essere, normalmente repressi dalla società.


Costretti a vivere, così, una totale disinibizione degli impulsi animali, i partecipanti sperimentano le potenzialità della violenza e della distruzione, innate nella natura umana. La decadenza radicale, poi, verso la sessualità ha come risultato una reazione catartica, permettendo, nel migliore dei casi, l'ascesa spirituale.


​ripresa dei culti antichi

Per questo evento fortemente ritualizzato, Nitsch ha stabilito la durata di sei giorni e sei notti, delimitando uno spazio temporale preciso. Così strutturato, il rituale rimanda a forme di culto preteatrali, come le feste apollinee e dionisiache che si svolgevano nell'area dei templi di Delfi, concedendo all'opera di Nitsch una forte carica antropologica.

Un onnicomprensivo drammatico collage di esperienze in cui scandagliare, esperire e riconoscere gli strati profondi della coscienza e le creazioni collettive.


Riallacciandosi alle feste delfiche o al culto di Cibele, la rappresentazione comincia il primo giorno al sorgere del sole con la citazione del taurobolio - l'uccisione rituale di un toro - e nei giorni successivi mette in scena una minuziosa struttura di azioni scandita da una successione armonica di fasi di movimento e fasi di quiete.

Questa struttura democratica della rappresentazione e dei movimenti degli osservatori caratterizza l'intero svolgimento dello spettacolo. I protagonisti si trovano coinvolti in orge che hanno luogo secondo variazioni continue, mentre i partecipanti possono muoversi liberamente. Motivati, caso per caso, a partecipare ai percorsi, gli spettatori possono prendervi parte o passeggiare liberamente osservando. 



Fonti
​

1. H. Nitsch, programma distribuito agli invitati il 28 giugno 1963, cit. in L. Peyri, 2009
2. H. Klocker, Wiener Aktionismus, Wien, 1960-1971, in Genio e follia, 2009
3. M. Merleau-Ponty, L'occhio e lo spirito, SE, Milano 1989
4. www.museonitsch.org/it/testi_critici


gb 
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