Con il visual artist Matteo Stocco, Raphael Bianco affronta la seconda tappa della trilogia della civiltà iniziata con “Orlando”. Una rilettura del Faust di Goethe in cui l’installazione coreografica permette di aggregare codici performativi differenti. D. Seconda tappa della Trilogia della civiltà. Dopo Orlando, Faust. Il Diavolo oggi: quale patto ha stretto con lui l'uomo contemporaneo? R. Per me Il patto col diavolo di oggi non si discosta da quello di sempre: fermare il corso degli eventi, il naturale divenire delle cose. Ma sono manovre che rimangono in superficie da qualche parte nel profondo la vita continua, il corpo si trasforma. Forse oggi più che mai si è tentati dall'apparenza, da essere ciò che non si può o non si riesce ad essere. L’istantaneità del web stuzzica il desiderio di onnipotenza e onnipresenza. D. Marina Abramovich (The artist is present, Impoderabilia). Cosa condividi con la grande artista e perché citi proprio quelle performance? R. Marina Abramovich nella semplicità di uno sguardo mette a nudo ogni individuo o meglio lo sollecita a confrontarsi con uno specchio. Credo che questo sia il punto comune. nella visione di Matteo Stocco e del sottoscritto. Faust è il pubblico, confrontato con differenti livelli di conoscenza nel multiforme abisso del web. Nella mia personale interpretazione il mistero più oscuro che nasconde anche verità scomode, è l’animo umano. Se di conoscenza si parla nel Faust, questo è il livello più profondo e scomodo. Ecco perché il confronto con gli artisti della performance è cosi ravvicinato e a volte estremo e per certi aspetti rimanda all’intensa, poetica e feroce performance della Abramovich, anche se gli intenti e la struttura sono distanti.. D. Il gesto quotidiano. Le nuove posture, le nuove nevrosi, i nuovi tic. Nuovi modi di comunicazione che incidono sul corpo dell'uomo odierno. Una sessualità schizofrenica, i messaggi subliminali e il linguaggio non verbale come si trasformano in scrittura di danza? E quale la scelta? R. Credo che la quotidianità, nasconda un universo di stimoli per la creazione coreografica, e questa non è una novità, però in questo caso si è partiti dalla stilizzazione di certi comportamenti per poi deformare, trasfigurare il gesto quotidiano stilizzato in altro, per vederne aspetti indicibili, per mostrare sfaccettature diverse di una stessa condizione psicofisica. Abbiamo cominciato con delle improvvisazioni sui diversi capitoli del progetto da cui sono scaturiti una serie di temi di movimento assemblati con il materiale raccolto. Su quei temi i danzatori hanno poi sviluppato diverse frasi, modulando e adattando la gestualità secondo le esigenze e lo spirito del momento. Faust è uno spettacolo che si rigenera di volta in volta a seconda del pubblico che si ha di fronte e non è mai uguale a se stesso. Ho lasciato molto più libera la struttura coreografica perché il pubblico è il protagonista e cambia sempre. La scelta ha privilegiato movimenti o atteggiamenti che potessero essere evocativi e allo stesso tempo facilmente trasformabili in altro. D. Il pianto (della performer e del pubblico). Desiderio nostalgico o senso di mancanza? R. Il pianto appartiene all’unica figura positiva della perfomance: una sorta di Margherita. anche se non abbiamo voluto definire propriamente i personaggi. Margherita riesce a provare com–passione, a commuoversi, è pura cosi come la danzatrice che piange scrutando volti da cui traspare comunque una verità di cui forse non sono a conoscenza nemmeno loro. La donna in bianco è un personaggio salvifico che accompagna Faust pur nel dolore e nella privazione, e ne è la salvatrice. D. L'uomo nudo scaraventato per terra. Quale senso profondo nasconde questa provocazione? R. In realtà più che una provocazione è il modo di sottolineare l’ultima verità nel percorso della conoscenza proibita: Dopo l’illusione di onnipotenza, la menzogna dell’apparenza, il corpo nudo e crudo trova il suo spazio e ci riporta alla verità della sua corruttibilità. Nulla si può contro il tempo e, la macchina, che sembrerebbe lo strumento infallibile per conoscere e perpetuarsi all’infinito, si ritorce contro l’uomo implodendo. Lascia una verità amara quella del corpo inerte che non può mentire a se stesso ma che può trovare una sorta di speranza accanto alla positività di “Margherita” anima che eleva oltre ogni apparenza. D. L'installazione di Matteo Stocco, fra i mille volti e la spersonalizzazione dell'essere umano, amplifica il senso che l'uomo è, o sta diventando, una merce da consumare? R. Diciamo che attraverso il web, che per altro permette straordinarie possibilità di conoscenza, comunicazione e contatti, dilaga la voracità del voyerismo, la ricerca, spasmodica a volte, di osservare e scrutare sempre nuovi casi umani, e dilaga anche la produzione di storie e casi umani ideati per essere cannibalizzati e soddisfare il desiderio di cui sopra. Forse questa è la merce da consumare di cui l’uomo è il protagonista e che nascosto dietro l’anonimato può cannibalizzare senza giudizio, senza colpa. Rimane solo un’apparente normalità che rende tutto più facile nel modo dei like e ci solleva da qualsiasi responsabilità morale o meno. gb |
AutoreGiovanni Bertuccio Archivi
Gennaio 2022
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