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QUEER E TEATRO                                                  ANNI SETTANTA                                                        LE PUMITROZZOLE

1/5/2020

 
Foto
K.T.T.M.C. & C, 1977 | Festival musica cinema teatro gay Parma


​COLLETTIVI OMOSESSUALI PADANI

Formatosi dalle file del preesistente K.T.T.M.C. & C.- Kollettivo Teatrale Trousses Merletti Cappuccini & Cappelliere - Le Pumitrozzole fu un collettivo canoro en travesti. Storico gruppo teatrale gay delle scene underground dei tardi anni settanta.

Un gruppo che negli anni assunse vari nomi, e che vede la sua formazione da un gruppo di amici gay nel maggio 1976 con la creazione dei Collettivi Omosessuali Padani - i C.O.P. Le loro performance, con interventi sarcastici e la forte provocazione sull'ortodossia, fanno diventare il gruppo ospite fisso a Radio Popolare, la radio del Movimento Studentesco di Parma. Quando però la radio privata venne oscurata e poi riaperta i C.O.P. non rientrarono più nella programmazione.

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Kollettivo Teatrale Trousses Merletti Cappuccini & Cappelliere

​​Il mancato inserimento nel nuovo palinsesto porta il collettivo a rinominarsi e il 3 aprile 1977, da C.O.P. si trasforma in K.T.T.M.C. & C. Dalle performance si passa così agli spettacoli teatrali con il debutto della loro prima opera Pissi Pissi Bao Bao al Teatro2 di Parma. Un collage fintamente ideologico, audace, ironico e trasgressivo, in cui il gruppo si esibiva rigorosamente en travesti regalando al pubblico una sorta di cabaret politico-surreale di spiccato gusto camp.

Il campo d'azione, su cui muovevano la loro critica, era prevalentemente quello del linguaggio, attraverso cui si deridevano usi e costumi della società di allora. Un impegno politico dissacrante, acuto, cinico, spesso grottesco che si poneva in contrasto con quello di altri gruppi gay
, che già a quel tempo, aspiravano ad avere riconoscimenti più istituzionali


SPETTACOLI E PROTAGONISTI


Nel giugno 1977 il K.T.M.C. & C. viene invitato a Roma al cineclub L'occhio, l'orecchio e la bocca da Gianni Romoli nella rassegna L'orribile verità curata dal F.F.A.G. - Frocie Folli Audiovisive Gotiche. Qui il gruppo si amplia e con la nuova formazione debutta al teatro La Ribalta di Bologna, con lo spettacolo Crisco o la difficoltà di essere omosessuali in Siberia, liberamente tratto da una pièce di Copi, con la regia di Massimo Iacoboni detto la Voguette. A questo seguirà Sentiere Selvagge in Panavision, con la volontà di raccontare sia la fine della lotta operaia che l'ascesa del disimpegno giovanile attraverso un defilé di abiti improbabili e iperrealisti sulla farsa riga dei modelli torno-da-mia-madre, trasloco o lo chemisier-da-metalmeccanico. E' la volta. poi, di Una signora di lusso di Giuseppe Bovo, ironico e dissacrante atto unico sui salotti letterari e artistici.

K.T.M.C. & C. oltre a presentare il loro repertorio, organizzava rassegne teatrali, cui partecipavano tutti i nomi di spicco del mondo LGBT dell'epoca: Mario Mieli, Ivan Cattaneo, Alfredo Cohen, Erio Masina, Ciro Cascina. Al Primo festival di cinema/musica/teatro gay, organizzato il 6/7 dicembre 1977 al Teatro2 di Parma, parteciparono anche il gruppo  e il  Immondella-Elusivi e gruppo lesbico Le Gaie.


​PU.ttane  MI.gnotte  TRO.ie  ZO.ccole  LE.sbiche

Il 1979 segna un nuovo e definitivo cambio di nome. A Trastevere, durante una loro esibizione a una festa organizzata al Mago di Oz - storica creperia di Giovanna Ducrot - Fabio Saccani inventa la crêpe Pu.mi.tro.zzo.la, PUttana, MIgnotta, TROia, ZOccola, LAdra, che al plurale diventava Pu.mi.tro.zzo.le ovvero PUttane, MIgnotte, TROie, ZOccole, LEsbiche, ed ecco il nuovo nuovo. Anche in questa occasione il gruppo si amplia e diventa popolare nel giro delle discoteche, delle rassegne gay e non solo. Le Pumitrozzole continueranno ad esibirsi fino al loro scioglimento intorno al 1986, anno in cui partecipano ai cori dell'album Giuni (1986), della cantautrice palermitana Giuni Russo. I membri continueranno con percorsi diversi, La Cicciona diventerà il personaggio Platinette, lavorando in televisione e in radio.

gb 
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ApprofondiMENTI
​QUEER E TEATRO

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QUEER E TEATRO | ANNI SETTANTA | CIRO CASCINA
QUEER E TEATRO | ANNI SETTANTA | ALFREDO COHEN
QUEER E TEATRO | ANNI SETTANTA | MARIO MIELI
QUEER E TEATRO | ANNI SETTANTA | FEMMINISMO A TEATRO

QUEER E TEATRO                                                    ANNI 2000                                                                EMMA DANTE

1/5/2020

 
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La regista Emma Dante a La Biennale di Venezia, 2020


TORINO

Nata a Palermo nel 1967, Emma Dante si diploma all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico a Roma nel 1990. Subito, e trasferendosi a Torino, si unisce alla Compagnia della Rocca lavorando a stretto contatto con Roberto Guicciardini. Sono anni propositivi e creativi quelli torinesi degli anni Novanta, in cui andava sviluppandosi un nuovo modo di fare teatro. Nasce il teatro di narrazione e a quell'esperienza - che nel 1995 vide le compagnie di Torino unirsi nel consorzio Canto per Torino, diretto da Gabriele Vacis - prese parte anche la giovane Emma Dante. 


​SUD COSTA OCCIDENTALE

Ormai drammaturga e regista, Emma Dante lascia Torino e torna a Palermo e nel 1999 fonda la compagnia Sud Costa Occidentale. Due anni dopo, la compagnia si aggiudica il Premio Scenario 2001 per il progetto “mPalermu” e la giovane palermitana il Premio Lo Straniero come regista emergente. Due Premi Ubu, 2002 e 2003, come novità italiana e, nel 2004, si aggiudica sia il Premio Gassman come migliore regista italiana, sia il premio della critica per la drammaturgia e la regia. Nel 2005, vince il premio Golden Graal come migliore regista per lo spettacolo Medea. Da qui, una carriera vivissima ed eclettica, ri-confermata nel 2021 con il Nastro d'argento per la regia di Le sorelle Macaluso.

"Non faccio un teatro «politico» perché non parlo di Berlusconi, di cronaca nera, ma ho messo in atto delle denunce sociali. Il mio teatro ha a che fare con le inciviltà del mondo". Emma Dante, Palermo Dentro, Porcheddu 2013

I suoi spettacoli raccontano di personaggi ai margini e famiglie sole. Evidenziano un'umanità allo sbando, quotidianità domestiche in cui pochissimo spazio è concesso all'amore, che civilizza e innalza, e tantissimo invece se ne concede all'animalità e alla violenza che abbassano. Della sua produzione si sono scelti tre spettacoli a tematica queer, letti attraverso lo spettro e della critica teatrale e delle teorie queer. Rappresentazioni e idee di un'omosessualità che si modificano col cambiare del tempo e della politica. E dalla rivoluzione all'involuzione.



​Mishelle di Sant'Oliva 2006
UNO FRA I TANTI

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Dal quartiere palermitano della prostituzione da cui il titolo, Mishelle di Sant'Oliva è una pièce teatrale che mescola tragico e grottesco per scavare all'interno di una famiglia ai margini. Un ambito domestico fatto di miseria, economica e morale.

La vicenda di Gaetano, il padre, e di suo figlio Salvatore è una storia in cui la comunità queer (ma non solo ovviamente) può ben riconoscersi: gli accesi dialoghi, le liti violente e le frequenti incomprensioni fanno parte dell'intimità di ognuno. Tutti possono immedesimarsi nell'uno o nell'altro, ma qualunque sia la scelta, il dolore resterà il medesimo. Per empatia. E se è proprio nel rancore e nella rabbia con cui il pubblico si immedesimerà inizialmente, successivamente sarà guidato, sapientemente, verso la trasformazione dei sentimenti negativi in positivi.

Salvatore, conosce la verità sulla madre, sa cioè che scappata per diventare ballerina si è, poi, ritrovata a fare la prostituta. E il suo travestirsi, nello sguardo di Dante, appare come un modo per avvicinarsi al padre, volendo ricordare la moglie/madre perduta.

E l'incontro tra i due avverrà proprio quando il padre, abbandonando forse le strutture mentali di cui tutti siamo vittime, riconoscerà la moglie nel figlio (il femminile nel maschile) abbracciandolo forte.
​L'incontro, si sottolinea, è dato dalla condivisione, se pur del dolore. Siamo nel 2006 e Michelle della Dante, potremmo dire, sintetizza bene il clima innovativo della prima metà degli anni Duemila. Innovazione non solo sulle tematiche ed i soggetti, non solo nella scelta di un corpo specifico, ma soprattutto nel messaggio. Si invita, intelligentemente, a considerare le similitudini più che le differenze. 



​LE PULLE 2009
FIGURA MITICA


Operetta amorale, Le pulle è un atto unico di carattere popolare in cui la recitazione si alterna al canto e protagoniste sono le puttane (pulle in palermitano). Quattro travestiti, un trans e le loro vite camp fatte di trucchi, parrucchi, canzoni e coreografie da avanspettacolo. Ma sarà una volta tolto il trucco,  che  le pulle metteranno a nudo il loro dolore: ferite, paure, vite sciupate.
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Se in Michelle la riflessione sul maschile e il femminile si trova in secondo piano rispetto al messaggio di accettazione e condivisione, ne Le pulle diventa elemento primario. Le cinque protagoniste pregano le loro madonne per ricevere i
l miracolo: il rovesciamento del femminile sul maschile - senza dover subire l’operazione o la scomunica di un bigotto Cardinale - cosi da essere ibridi, a metà strada tra i due sessi. 

Rispetto al primo, ne Le pulle si assiste ad un cambio di prospettiva. L'omosessuale non è più solo una persona normale che soffre come può soffrire chiunque, ma diventa una figura mitica. Si allontana dai comuni mortali per risiedere non si sa bene dove. Il credere, poi, che essere gay voglia dire essere espressione di ambedue i sessi, è tanto un luogo comune quanto una idiozia bella e buona. Ma crederlo è stato importante, a quanto pare, non solo per tutta una serie di narrazioni, teoriche, sull'androgino, il drag e il transessualismo, ma, e soprattutto, perché ha dato modo ad alcuni omosessuali di sentirsi dei veri e propri sciamani (oltre che esteti, cultori dell'arte, professionisti del buon gusto).

In realtà, l'intuizione dell'ibrido di cui la storia dell'arte è piena, è figlia, in tempi recenti, del confronto con l'Oriente. Ma dal momento che Est e Ovest hanno storie e culture diverse, la questione della convivenza fra il maschile e il femminile in ognuno di noi, in Occidente, non è stata compresa appieno. Tutto si gioca sull'apparenza perché tutto viene fagocitato dall'ottica consumistica. Maschile e femminile invece, sono energie che nell'universo hanno pari dignità e nulla hanno a che fare con la nostra idea di mascolinità e di femminilità. La questione è molto più profonda e per questo necessità di una rivoluzione antropologica.

Ma torniamo al nostro discorso. Il passaggio fra il primo e il secondo spettacolo, come abbiamo detto, segna una differenza di sguardo nel porre la questione omosessuale. Ma ancora con Le pulle, l'omosessuale, anche se reso altro rispetto al resto, riesce comunque a trovare o ritagliarsi un posto nella società. I personaggi, in tutte e due le opere, sono positivi e attivi. Pregni di dignità agiscono coraggiosamente. Sono eroi che sanno di avere il diritto di esistere e che la società ha il dovere di accoglierli. 


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​OPERETTA BURLESCA 2014
ETERNI TEENAGERS


Con Operetta burlesca siamo nel 2014 e otto anni sono passati da Michelle e cinque da Le pulle. Quindici dall'esordio della Dante come regista. Sono anni segnati da forti cambiamenti politici e sociali che hanno significato, nei fatti, una vera e propria involuzione. Denunciata dai critici teatrali per quanto riguarda la stagnazione del settore, sottolineata dagli studiosi queer per quanto concerne la manipolazione dell'opinione pubblica da parte dei poterei costituiti (vedi approfondimenti⤵).

Operetta burlesca è espressione di questa involuzione che prima di tutto è antropologica. La visione dell'omosessuale nel 2014 è tale e quale alla visione che ne dava, più o meno, la televisione negli anni Novanta con la serie Commesse. La storia è imbevuta degli stessi luoghi comuni, purtroppo ancora dannatamente veri, soprattutto nella mente degli stessi omosessuali. Questo è il vero problema.

A ben vedere, la condizione del protagonista Pietro come "sfigato" omosessuale passa in secondo piano. Quello che conta, nella storia della Dante, è che Pietro ha 40 anni ed è un mammone, e come la maggior parte degli italiani vive a casa. Non vittima del contesto o della famiglia come si potrebbe pensare. Ma solo ed esclusivamente vittima di sé stesso. Della sua mancanza di introspezione e privo della volontà istintiva e primaria di affermazione di sé.

Poteva andarsene, scappare, mollare tutto come hanno fatto moltissimi che non condividendo le consuetudini dell'ambiente natio, trasformano il disagio, il dolore quindi, in desiderio di affermazione. Sia uomini che donne e non solo gay, e sicuramente prima dei quaranta, hanno avuto a che fare con il rifiuto, la mancanza di comprensione, il disagio. Tutti. Per questo Pietro, l'omosessuale di oggi, non è perdonabile e non può neanche essere preso ad esempio per la lotta ai diritti omosessuali. 

Che diritti vuole inseguire un adulto come Pietro, che per tutta la vita ha fatto l'adolescente soubrette chiuso nella sua camera? E per di più si trova tenera questa "fanciullezza", paragonandola a torto al "fanciullino" letterario. Perché in effetti, Pietro non sembra affatto un adulto che alimenta il fanciullino, quanto piuttosto un ragazzo non cresciuto. Rinchiuso nella sua stanza sogna solo il principe azzurro ed essere "favolosa" per lui (luogo comune per altro superato anche da molte donne).

Pietro è il simbolo di un involuzione antropologica, fin troppo assecondato anche dal teatro. E non si capisce come mai si parla solo di un certo tipo di omosessuali, quelli con una forte predisposizione al mondo femminile, facendo coincidere le tendenze sessuali, con delle afasie energetiche. Non tutti gli uomini gay vogliono essere o prediligono uomini femminei. Anzi, l'omosessualità dovrebbe essere la fascinazione verso un'iper-mascolinità che a volte può sfociare, per eleganza interna, in gentilezza dei modi. E soprattutto non tutti vogliono travestirsi e non tutti, facendolo, inseguono l'ideale della donna Baraccona (che oggi assume una connotazione diversa rispetto agli anni Settanta e Ottanta). 
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Nel senso, esistono vari livelli di consapevolezza umana tanti quanto sono le visioni umane dell'essere gay. Certo che Pasolini o Wilde non avevano la visione di Pietro. E il nuovo punto di vista sta tutto qui. L'omosessuale post 2010 non è più rivoluzionario, e Pietro non ha nulla a che vedere con Salvatore e con le pulle. Sei eroi, che scelta la loro strada, la percorrono a testa alta. Coraggiosi nel vivere negli insulti e nello squallore, pronti a creare un nuovo credo fatto di madonne camp e inclusive. Sono creature pregne di dignità che più di altri, forse, hanno conosciuto le verità della natura umana.

E Pietro cosa rappresenta? La miseria umana e intellettuale di certi omosessuali di oggi. Che prima di tutto sono "piccoli" uomini. Che si auto ghettizzano, vergognandosi. E questo significa che in meno di dieci anni, da Michelle a Pietro, l'uomo ha subito un'involuzione bella e buona. Ma non all'interno delle società, che abbiamo visto mutare nei colori e nelle leggi, quanto piuttosto all'interno degli omosessuali stessi. Il disagio è sociale o individuale oggi come oggi? E quanti, nel mondo LGBT fatto di slogan e di "ismi", hanno lo stesso spessore di Harvey Milk? E quanti hanno lo stesso autentico desiderio di giustizia dei partecipanti allo StoneWall del 1968?

Sicuramente i protagonisti delle opere esaminate non conosceranno la storia queer né i suoi protagonisti. Però si è altrettanto sicuri che, nella mancanza di nozioni, o nell'odierna assenza di memoria, Michelle e Le pulle abbiano uno spessore umano totalmente diverso da quello di Pietro. E se i primi, pur con la capacità di volare sono vittime di gabbie imposte dalla società, il secondo, in un'ignavia priva di dignità, appare sprovvisto della consapevolezza che il volo necessita. Per la paura di volare, Pietro, si è tarpato le ali. 


​* parti del testo de La Miseria degli omosessuali. Operetta burlesca al Festival delle Colline, Bertuccio 2014


gb 
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ApprofondiMENTI
QUEER E TEATRO


QUEER E TEATRO                                                    ANNI NOVANTA                                                      ANGELS IN AMERICA

1/5/2020

 
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Uark Theatre | Angels in America Part 2


BIO

Opera teatrale del drammaturgo statunitense Tony Kushner, Angels in America - Fantasia gay su temi nazionali è un dramma in due parti. Il millennio si avvicina (Millennium Approaches), titolo della prima parte, debutta a San Francisco nel 1991, mentre la seconda parte, Perestroika (dal russo, "ricostruzione") va in scena a Los Angeles nel 1992. Della durata, se viste di seguito, di circa sette ore, le due parti possono essere viste separatamente in quanto legate ma autonome. Acclamati dalla critica e dal pubblico come uno dei drammi più significativi del XX secolo, gli Angeli si aggiudicano il Premio Pulitzer per la drammaturgia nel 1993 e ciascuna delle due parti vince il Tony Award alla miglior opera teatrale nel 1993 e nel 1994.

Quasi dieci anni dopo il primo Tony, nel 2003, HBO ri-adatta il testo teatrale per la televisione consegnando al pubblico una mini serie con lo stesso titolo. Diretta da Mike Nichols e interpretato da Meryl Streep, Al Pacino, Emma Thompson, Mary-Louise Parker e Patrick Wilson, la miniserie ottiene undici Premi Emmy e cinque Golden Globe. Volano alto questi angeli.


​TESTO

Tra realtà e teatralità Angels in America è il racconto delle vite di due coppie: gli omosessuali Louis e Prior e i mormoni Joe e Harper. Ognuno è motore di una personale linea narrativa, ha una sua rete di comprimari e partecipa, dunque, a quelle degli altri. Si crea così un intreccio di storie a volte parallele, altre sovrapposte, utile sia a bilanciare la narrazione sia a fornire spunti di confronto. E se i personaggi sono presentati come individui dotati di una psicologia, obiettivi ed emozioni - secondo i canoni della drammaturgia tradizionale - i singoli eventi o le scelte personali vengono presentate attraverso il filtro del mito, dell'assoluto, riproponendo la relazione shakespeariana tra il microcosmo della storia e il macrocosmo dell’ordine divino.

Qui emerge l'espediente drammaturgico: l’operazione di autoanalisi dei personaggi che avviene mediante la teatralizzazione della propria condizione. Kushner attribuisce, così, ai personaggi il racconto di sé stessi piuttosto che delle loro azioni. E i protagonisti quando subiranno un evento che destabilizzerà le loro esistenze, reagiranno, appunto, raccontando il proprio disagio, argomentando il proprio caos interiore. Insomma in Angels Kushner non la rivela la psicologia dei personaggi come nella tradizione americana, ma la espone.


​PARODIA

​​Ricco di citazioni queer, politiche, sociali, culturali, in Angels in America, queste, non vengono utilizzate in modo autoreferenziale - nel senso sterile cioè di una comunità che riflette su sé stessa - ma spostano lo sguardo sull'uomo in quanto essere, grazie all'utilizzo della metafora mistica e religiosa. 

In Angels il trascendente -  evidente nell’aspirazione alla vita di Prior e dei suoi amici, chiaro nel racconto mormone, cristallino nell’apparizione dell’angelo - si fa, però, parodia. E più specificatamente la parodia queer, a partire da questo momento, agirà, non solo come elemento estetizzante ed eccentrico, ma come vero e proprio sovvertimento. Inversione e capovolgimento necessari, non solo per mostrare il punto di vista dell'altro, ma per provare a minare molte delle convinzioni, e convezioni, che rappresentano le fondamenta dei nostri condizionamenti.

​Nell'opera di Kushner, infatti, non sono gli uomini a cercare gli angeli. Dio, annoiato, si nasconde e per questo c'è bisogno di un profeta che lo invogli a tornare. Gli angeli necessitano, dunque, dell'aiuto degli uomini e 
Prior, gay e malato di Aids, peccatore marchiato, in Angels in America può essere un profeta e ricevere l’annunciazione come la Vergine Maria. Espedienti narrativi, inversioni contestuali che insieme danno vita ad una fantasia gay, certo, ma su un mondo di tutti. 

Prior concluderà l'opera, rivolgendosi al pubblico, con queste parole: 
«Siete tutte creature favolose, tutti e ciascuno di voi. E io vi benedico: ancora Vita
. La Grande Opera Ha Inizio».

gb 
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ApprofondiMENTI
QUEER E TEATRO

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QUEER E TEATRO | ANNI NOVANTA
QUEER E TEATRO | IL CAMP 64.94
QUEER E TEATRO | TEATRO QUEER?
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QUEER E TEATRO                                                ANNI SETTANTA                                                        I GRUPPI DI BASE

1/5/2020

 
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Manifestanti nel 1968


​AGITAZIONE E IMPEGNO

La crisi socio-politica che agitava l'Italia in quegli anni servì da stimolo per la ricerca e l'affinamento di mezzi utili ad analizzare tutte le sfere della cultura, in relazione con le politiche dominanti, mettendo in discussione Borghesia e Sistema Capitalistico. Un gusto per la dissacrazione e la parodia contro i feticci della cultura piccolo borghese, provinciale e retorica, portò alla nascita di gruppi e collettivi teatrali e a tutta l'esperienza del decentramento teatrale: ai margini della scena teatrale ufficiale. 

Questo tipo di teatro - che si faceva per le strade, fra la gente, proponendosi come mezzo di agitazione e impegno sociale – esigeva una profonda adesione alle problematiche del territorio per approfondire discorsi quotidiani, come il sesso, la famiglia, il lavoro e tutto ciò che nella società rappresenta un tabù o un ostacolo. Lo scopo era quello di trasformare il teatro in un mezzo a cui si poteva accedere liberamente, iniziando una ristrutturazione dei vecchi codici teatrali, inadatti ormai a comunicare al pubblico. E contro l'insufficienza del vecchio naturalismo si cerca un diverso uso del linguaggio con l'obiettivo di raccontare meglio, più direttamente, le contraddizioni e dissensi sociali.


​ART ET POLITIQUE

​​In Art et Politique, 1974, Mickel Dufrenne parla di una certa pratica utopica, attraverso la quale, negli anni Settanta, rivoluzione in arte ed in politica coincidevano. Uno sciopero, scriveva, è un'azione politica ma può essere anche un avvenimento estetico, come una festa o un fuoco d'artificio (...) e le due rivoluzioni, quella politica e quella artistica, hanno lo stesso campo: la vita nella totalità sociale; tutte e due cambiano, hic et nunc, il vissuto. Esse fanno scricchiolare i significati reinventando le parole, si impossessano del reale. Un reale che non è ancora asettizzato, normalizzato, artificializzato, un reale che il desiderio conosce come il luogo dei possibili. E precisamente le due rivoluzioni procedono dallo stesso desiderio.


​GRUPPI TEATRALI DI BASE

​​I Gruppi Teatrali di Base, il nome che la critica ha dato a queste esperienze teatrali, erano fortemente collocate a sinistra e la loro esistenza era di breve durata. Con lo scopo di stimolare e costruire una soggettività attraverso l'approfondimento della propria condizione sociale e culturale, sia essa operaia, femminile o omosessuale. Per favorire tale costruzione il programma dei Gruppi comprendeva: espressione e analisi delle soggettività; recupero critico del patrimonio culturale espropriato; confronto con le diverse soggettività del sociale e che percorrono lo stesso cammino. ​

Da fenomeno spontaneo e sottovalutato - molti gruppi cominciarono la loro esperienza per caso o sulla base di motivazioni generiche: rifiuto del consumismo, voglia di fare teatro - l'esperienza dei gruppi di base divenne un fenomeno di importanza e di incidenza non inferiore a quella del teatro ufficiale. Questa larga diffusione dei Gruppi di base portò all'esigenza di una qualche forma di coordinamento, non tanto per organizzare in qualche modo le diverse realtà o per cercare di darsi una struttura istituzionale, quanto per chiarire a sè stessi e agli altri le ragioni e i modi della loro esistenza e del loro operare, per avere la possibilità di un confronto, per conoscersi e autoidentificarsi.

​L'incontro più importante si svolse a 
Bergamo il 5 dicembre 1976 e un anno dopo, dal 18 al 20 marzo 1977, a Cascina Terme ebbe luogo il primo convegno nazionale dei Gruppi Teatrali di Base. Ad onor del vero, un primo convegno si era svolto a Perugia nel novembre del 1970 ma venne dimenticato.


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TUPAC AMARU & TEATRO EMARGINATO


Un esempio di gruppo teatrale di base è il collettivo Tupac Amaru fondato da Danio Manfredini,Paolo Nalli, Dolly Albertin e César Brie. Comincia a muovere i suoi primi passi nel 1975, inserendosi nel centro sociale del quartiere e quindi in rapporto organico con la vita degli abitanti, con le loro lotte e le loro avanguardie. L'attività del collettivo si muoveva in stretta relazione con quelli che erano i problemi del quartiere dell'Isola a Milano. E sempre di Milano il gruppo Teatro emarginato nato anch'esso nel '75 in seguito all'occupazione di uno stabile, il Fabbricone, organizzata da Autonomia Operaia. Il suo fine può essere sintetizzato in una frase: Non siamo spettacolo della contestazione, ma siamo in lotta per la rivoluzione.

gb 
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ApprofondiMENTI
QUEER E TEATRO
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QUEER E TEATRO | FEMMINISMO A TEATRO
QUEER E TEATRO | ANNI SETTANTA | ALFREDO COHEN
QUEER E TEATRO | ANNI SETTANTA | MARIO MIELI
QUEER E TEATRO | ANNI SETTANATA | CIRO CASCINA

QUEER E TEATRO                                                    ANNI SETTANTA                                                        CIRO CASCINA

1/5/2020

 
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Ciro Cascina | Giornata dell'orgoglio omosessuale, Bologna, 28 giugno 1980 | ph Giovanni Rodella


​PASSIONE TEATRO

Nato a Portici agli inizi degli anni Cinquanta, a cinque anni, con la famiglia, si trasferisce a Torre Annunziata. Qui si forma e dopo il conseguimento del diploma magistrale, si scrive all'Università, alla facoltà di medicina, interrompendo però gli studi al secondo anno, per dedicarsi completamente al teatro. Non frequenta accademie o scuole di recitazione ma da autodidatta, come autore teatrale e come attore, attinge dal teatro di strada e alla tradizione orale dei femminielli napoletani. Tra i suoi maestri, lo stesso Cascina ricorda "Antonia a Fuchera", "A Millecinche", "A Pallona", attori straordinari che non hanno mai calcato i palcoscenici dei grandi teatri ma che erano figure mitiche nell'immaginario popolare napoletano, un substrato culturale in cui "c'era una selezione spietata... non è che tu eri femminella e ti esibivi", dichiarò Cascina in una intervista.


​GLI ESORDI

​Negli anni Settanta, quasi per caso, Ciro Cascina inizia a esibirsi nei primi locali gay di Napoli, come Il Bagatto, recitando i monologhi di Franca Valeri. Testi, divenuti emblematici di un certo modo di fare teatro, in cui con autoironia si prendeva in giro il mondo gay. A questi, successivamente, si unirono i monologhi improvvisati di Cascina stesso. Inedita contaminazione di cultura camp, di tradizione napoletana, di travestitismo e di impegno politico, utile a smascherare l'ipocrisia e la presunta "virilità" degli eterosessuali che "vanno con i ricchioni". L'insieme di questi monologhi rappresenta l’immagine completa degli umori e delle aspirazioni del movimento gay di quegli anni. 


​LA MODONNA DI POMPEI

​Della fine degli anni Settanta e gli inizi degli Ottanta, anni in cui dai locali Cascina passa ad esibirsi nelle prime manifestazioni o nei campeggi gay, è la sua opera più nota: La Madonna di Pompei, anche nota come La Madonna di Pompei vuole bene pure ai gay. Lo spettacolo non ha un debutto specifico ma prende forma in due storiche manifestazioni del movimento omosessuale. Il 24 novembre 1979 a Pisa, in occasione della prima marcia contro le violenze omofobe, e nelle giornate dell’orgoglio omosessuale organizzate dal LAMBDA a Bologna dal 27 al 29 giugno del 1980. Il testo, pur basandosi su un canovaccio, veniva improvvisato e di volta in volta si adattavano le caratteristiche e i personaggi, a seconda del luogo, del pubblico e degli eventi di cronaca del momento. 

​La storia, in breve, racconta di una napoletanissima madre d'un omosessuale che parla "da mamma a mamma" con la Madonna di Pompei in favore del figlio. Con un finale per niente scontato, la
 performance avveniva in luoghi non deputati al teatro, in strade e piazze, e grazie al serissimo umorismo e all'impegno politico-sociale fresco, è diventata una delle più note azioni teatrali provenienti da una realtà del movimento gay. Acquisendo i contorni semi-mitici di un "classico", ritornando in numerosissime occasioni durante gli anni Ottanta e Novanta, le esibizioni di Ciro Cascina, divennero presto un cult della comunità LGBT.

Espressioni come "troppabbella" o "inciuciare", termini usati correntemente in tutto il movimento gay dell'epoca (e giunti fino a noi), testimoniano il successo avuto nei confronti del pubblico, confermato anche dalla critica, quando nel’aprile del 1981 ottenne il primo premio a la “Sei giorni del monologo”, organizzata dall’Associazione Culturale Out-Off al Teatro Cristallo di Milano alla quale partecipò anche Mario Mieli. Nel luglio dello stesso anno venne presentato, anche, al Festival di Santarcangelo di Romagna.



​CARRIERA

​​Da qui l'inizio di una carriera lunghissima che spazia dal teatro al cinema e che ha come comun denominatore l'impegno sociale. Negli ultimi anni Ciro Cascina ha partecipato con la Compagnia delle Palline a Roma a una serie di spettacoli messi in scena insieme a Gabriele Cerminara, ex giudice che si è dedicato, negli ultimi anni della sua vita, a una forma originale di teatro sociale. In questo ambito si ricordano in particolare gli spettacoli Migranti e la messa in scena dell'Utopia di Tommaso Campanella. Nel 2009 Cascina ha partecipato insieme ad altri, alla nascita dell'AFAN - Associazione femminelle antiche napoletane - e ogni anno presenzia alla manifestazione dell'AFAN, Sciò Sciò Ciucciuvé, che si tiene a Torre Annunziata. 

Sull'omosessualità, nel 2008 Ciro Cascina ha dichiarato: «Mi spiego meglio: l'omosessualità non esiste, né esiste l'omosessuale, secondo me. Esistono persone che a partire da una matrice che possiamo definire come un afflato sentimentale per una persona del proprio sesso, cercano di adeguare la propria vita a questo loro sentire. I modi possono essere tanti, uno lo fa vestendosi da donna, un altro mettendosi la cravatta, o facendo il prete o la drag queen o il papa.»

gb 
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ApprofondiMENTI
QUEER E TEATRO


QUEER E TEATRO                                                    IL CAMP 64.94

1/5/2020

 


​ORIGINE

Di non chiara derivazione, la parola camp potrebbe derivare dal francese gergale se camper, cioè “campeggiare” in un determinato spazio o ancora, e meglio, “apparire o posare in modo esagerato”. Usato per la prima volta nel romanzo di Christopher Isherwood, Il mondo di sera del 1954, il termine inizia ad essere discusso dieci anni dopo, nel 1964 all'uscita del famoso articolo di Susan Sontag, Note sul Camp. Un codice privato che segnala l’identità di piccoli gruppi urbani, per Sontang il camp è come qualcosa di esoterico, una data forma di estetismo, un modo di vedere il mondo come fenomeno estetico. Fortemente artificioso il camp, per l'autrice, non è politicamente attivo.


​NOTE SUL CAMP

​Primo tentativo di codificare le istanze camp, le Note raccontano quel mondo e quella cultura gay che stavano per definire le proprie caratteristiche, la propria visione del mondo. Una comunità di cui Sontang faceva parte e di cui conosceva i codici con i quali comunicava. Un insieme di persone diverse dalle generazioni successive che, nel corso degli anni e parallelamente la costruzione del movimento LGBTQI+, ri-considererà le Note di Sontang. Esattamente trent'anni dopo, nel 1994, la raccolta curata da Moe Meyer, Politics and Poetics of Camp, muta il punto di vista: «Camp è politico e critico [...] Camp non è uno “stile” o “sensibilità”, come convenzionalmente accettato; Camp può essere solo un discorso queer; Camp incarna precisamente una critica culturale queer». Si capisce bene come per Meyer, il camp non è un modo generico di vedere la vita, estetizzante, teatrale, a volte effeminato. Il camp, a differenza della visione di Sontang, è critica culturale soprattutto, e non può esistere senza la cultura queer.


​RI-NOMINARE

L’uso della parola queer per descrivere ciò che è comunemente noto come “gay e lesbica” segna una sottile, continua, non ancora stabilizzata, ri-nominazione. Di origine inglese queer significa letteralmente “strano” o “insolito”, ma l’uso nella comunità LGBTQI ne ha modificato la definizione e l’applicazione originale, modificandola nella sostanza nel corso del XX secolo. Per molti, l'uso della parola queer rappresenta una forma di auto-affermazione identitaria, una sfida ontologica, in accordo con Meyer, alle filosofie dominanti di etichettatura.

Discutere di teatro gay, quindi, non riguarda la definizione di un genere - eterosessuale, bisessuale, lesbica, gay - nel quale fissare l’identità di un personaggio. Il genere non è dato una volta per tutte, non è stabile e non decreta nessuna identità, anzi e quest'ultima ad essere plasmata dalla performance queer. In questa nuova prospettiva, l’intero catalogo di azioni, eventi, comportamenti che mettono in pratica le strategie di rappresentazione sono camp. 


​QUEER E CAMP

​Queer e camp divengono inseparabili dal momento che, citando Meyer, «camp si riferisce alle strategie e alle tattiche della parodia queer». Parodia non intesa nel senso tradizionale, legata al comico e alla satira, ma come manipolazione intertestuale di convenzioni diverse. Un metalinguaggio che utilizza forme, codici e retoriche delle varie forme d’arte.

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​Il camp come parodia queer presuppone che ci sia un punto di vista, un’osservazione a distanza; implica un originale e la sua parodia, un modo di vedere e di rappresentare il mondo che viene ri-progettato attraverso la parodia. Se per Sontag il camp era una qualità posseduta dall’oggetto, per Meyer, camp, è una maniera di leggere e scrivere, un punto di vista sul mondo.​

gb 
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​ApprofondiMENTI
QUEER E TEATRO

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QUEER E TEATRO                                                  ANNI OTTANTA                                                          ENZO MOSCATO

1/5/2020

 
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Enzo Moscato | ph ANSA 2017


​FILOSOFIA E TEATRO

Nato e cresciuto nei Quartieri Spagnoli, “gineceo narrante” dal quale attinge gran parte del suo immaginario, Enzo Moscato continua a vivere e a lavorare a Napoli. Con una tesi sui rapporti tra i movimenti politici di liberazione sessuale e la psicoanalisi, si laurea in Filosofia e nel 1980 inizia l’attività in teatro, imponendosi subito all'attenzione di critica e pubblico.

​Riconoscendo le affinità non solo coi grandi autori e compositori napoletani, ma anche con Artaud, Genet, i poeti maledetti e Pasolini, Moscato declina il suo personale linguaggio in un originale plurilinguismo che lo colloca tra i capofila della nuova drammaturgia napoletana. 


​CARCIOFFOLA'

Il suo primo lavoro, Carcioffolà, nasce a Roma, nel 1980. Città in cui lui insegnava e luogo in cui sarebbe forse rimasto, se non fosse accaduto il sisma che ha devastato l’Irpinia, danneggiando anche Napoli. Tornato a casa, forse impressionato, scrive Scannasurice (1982) un testo che riporta sulla scena la sconvolta geografia urbana e morale dopo il terremoto.

All’epoca, racconta Moscato in un'intervista per Il Manifesto, si faceva un teatro en travesti. Loro me l’hanno sempre detto (riferendosi ai suoi alunni): noi non siamo rimasti scioccati. Per noi tu non eri professore, per noi eri un accesso all'anima. Quando hanno visto Scannasurice, Trianòn 1983, Festa al celeste nubile santuario, 1984, e poi i lavori con Annibale Ruccello per loro è stato naturale, come se lo sapessero prima di me che il mio posto era il teatro. Assieme alla drammaturgia metto sempre anche la filosofia.


​NAPOLI | BABELE

​​Il post strutturalismo è il filtro attraverso cui Moscato codifica e decodifica l’universo di Napoli/Babele: la puttana e la santa. Metafora di una condizione esistenziale che l’attore attraversa e da cui si fa attraversare in un perenne confronto con l’altro da sé: filosofico, linguistico, di genere e temporale. 

​Come Annibale Ruccello, Enzo Moscato nella scrittura teatrale è tradizionale ed innovativo al contempo. Una produzione letterario-teatrale in cui la lingua napoletana, dal napoletano classico barocco al moderno dei bassifondi, adottando termini inglesi, francesi e tedeschi - rubati ai mass media e rielaborati - crea un cortocircuito linguistico e di significati che rendono più ricca la lingua e migliore la sua espressione. 

Un pastiche utile a raccontare l'esasperazione contemporanea e le condizioni più negative del vivere moderno. Si delinea, così, un autore colto e vicino ad artisti come Viviani, che attingendo dalla tradizione orale e popolare, opta per una classicità narrativa e meno rappresentativa, affidando ad un attore-narratore questo elemento formale.


​COMPLEANNO

​Del 1986, l’anno della morte di Annibale Ruccello, è Compleanno, struggente monologo sul tema della separazione e dell’assenza dedicato all'attore straordinario e amico fraterno. Affermerà Moscato sempre nella stessa intervista: al di là dei valori teatrali di stretta attinenza scenica il testo nasce da un desiderio mio di elaborare creativamente questo lutto, questa perdita, per poi diventare un discorso generale sull’Assenza con la A maiuscola, che poi è per me il vero protagonista del teatro da quando è nato il teatro». Io e Annibale, continua, mettevamo in pratica una teoria della differenza che ci veniva da Deleuze ma anche da Carmelo Bene. Tutto questo oggi passa, ma in una maniera così patetica, senza sublimità.

​Non si può dire che Bolero o che Jennifer è solo un trans. C’è una storia di borghi, di ghetti, di esclusione di tutta l’umanità di cui lui/lei era portavoce. Senza essere nostalgici, è triste vedere come abbiano lasciato andare le grandezze del teatro italiano. Scontiamo molto provincialismo, (anche) in teatro. Lo spazio storico non c’è stato, così com’è avvenuto in Francia, Inghilterra, Germania. Per esempio, noi – al Sud – non abbiamo una drammaturga. Qualche tentativo c’è stato ma l’Italia è tornata indietro. Oso dire che la nostra drammaturgia era un’altra cosa. Oggi si fa letteratura. Io sono tradizionale e innovativo, sono sulla scia di una genetica del teatro e nello stesso tempo sono altro da quello.


​RICONOSCIMENTI

​Il primo importante riconoscimento in ambito teatrale è il Premio Riccione/Ater, assegnato al dramma Pièce Noire nel 1985. L’anno successivo, nel 1986, fonda il primo nucleo di ciò che diventerà la Compagnia Teatrale Enzo Moscato, e scrive Occhi gettati. 

​Una summa di tutto ciò che avevo fatto in sei anni - continua nella stessa intervista - era una sorta di offertorio del mio corpo, della mia anima di tutto me al pubblico. Non mi riservavo nulla nel darmi completamente. Nell’86 mi denudavo, ballavo, mi dannavo, cantavo, appicciav o’ ffuoc ‘ncopp a scena che non si poteva fare: sono stato cacciato da tutti i teatri. Il mio andare in scena era totalmente in oblazione, senza cautele. La ripresa dello spettacolo è stata molto più sulla difensiva: la tremendità avviene attraverso le parole e basta. Negli anni, una persona sviluppa anche una sorta di auto difesa. Oggi lo faccio ma con una serie di tutele. Ho capito che come dice Artaud il teatro è una grande terapia, è una grande medicina ma contemporaneamente anche un grande veleno, se non lo sai dosare.


​Le même et l’autre

Dal 1986 ha avuto inizio una produzione ininterrotta di testi scritti e interpretati: commedie, melologhi, atti unici, recital, frammenti poetici. Un corpus che si scompone e si rielabora continuamente, mostrando non solo il suo sguardo sul teatro, ma un punto di vista con cui guardare la vita. 

Penso a Il balcone di Genet. Parla della rivoluzione. Quello che deve accadere fuori, se non accade dentro, non può esistere. Ci dev’essere un rapporto molto stretto tra quello che fai e quello che accade dentro e fuori di te. Questo è essere rivoluzionari. Quando c’è un combaciamento. Non sempre questo succede. Se non c’è una consapevolezza della necessità sociale di quello che stai facendo, sei destinato a morire. Se mi chiedi adesso quali sono le mie opinioni sul teatro, ti dico che il teatro, se non è già morto, ha ancora pochi anni da respirare. Vedo come vanno le cose. Non sono mai stato amante dei narcisismi teatrali. Non si può parlare di sé senza parlare dell’altro da sé. Non può essere. Le même et l’autre. Non l’ho inventato io. ENZO MOSCATO

gb 
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​ApprofondiMENTI
QUEER E TEATRO


QUEER E TEATRO | ANNI OTTANTA | ANNIBALE RUCCELLO
QUEER E TEATRO | ANNI OTTANTA
QUEER E TEATRO | ANNI SETTANTA
QUEER E TEATRO | ANNI NOVANTA

QUEER E TEATRO                                                    ANNI OTTANTA                                                          NUOVA DRAMMATURGIA NAPOLETANA

1/5/2020

 


​A NORD

​Ispirandosi da un lato alle grandi esperienze del monologo teatrale - pensiamo ad esempio a Mistero buffo di Dario Fo - e elaborando, dall'altro, le innovazioni europee - fra le quali Peter Brook e Thierry Salmon – molti attori-autori, negli anni Ottanta, iniziano a presentarsi sulla scena senza lo schermo del personaggio. Anzi, come evidenzia Gerardo Guccini in La bottega dei narratori (Dino Audino, 2005), l'artista non rappresenta più il personaggio, non sostituisce più, cioè, la propria identità per raccontare caratterizzando. Tornano i cantastorie, se pur aggiornati, e dalla rappresentazione si passa, così, alla narrazione. Un Territorio, questo, che offre l'opportunità di instaurare un rapporto più significativo tra Teatro e pubblico. Queste caratteristiche, insieme ad altre, intorno alla metà degli anni Ottanta, favoriscono il diffondersi di una nuova modalità teatrale: il teatro di narrazione.

Tra i primi nomi a sperimentare le nuove vie teatrali compaiono quelli di Marco Baliani, Marco Paolini, Laura Curino, Mariella Fabbris, Lucilla Giagnoni, Gabriele Vacis. Raccontare una storia non bastava, l'ambizione di questi artisti era di mettere in scena alcune delle tragedie che hanno attraversato l'Italia nei decenni del dopoguerra: i fatti di Ustica, l'omicidio Moro, il Vajont, per esempio. Questo approccio più sociale e politico, diede vita, sviluppandosi, ad una macro area del teatro di narrazione: il Teatro civile, sensibile a temi legati ai diritti umani e alla storia del Novecento.

​Le opere di Marco Cortesi e Mara Moschini: possono esserne un esempio significativo. Pensiamo allo spettacolo La Scelta, inchiesta sulla Guerra nella Ex-Jugoslavia, al monologo a due voci Rwanda sul Genocidio Rwandese del 1994 o alla messa in scena de Il Muro, storie vere legate al Muro di Berlino.

Altra macro area all'interno del teatro di narrazione è il Teatro ragazzi. Fenomeno particolare della scena italiana, a Torino ha il suo centro in La Casa del Teatro Ragazzi e Giovani e nel festival Incanti promosso da Controluce.


​A SUD

Pur avendo gettato alcune basi già in precedenza, il nuovo stile drammaturgico napoletano nasce negli anni Ottanta. Nel corso della sua storia, la scena partenopea ha seguito una strada originale e personale e le premesse del cambiamento risalgono agli sconvolgimenti culturali, artistici, politici e sociali, tra gli anni ‘60 e ’70, nella società italiana ed europea in genere. A quarant'anni di distanza da Viviani e De Filippo il teatro napoletano degli anni ottanta ne riporta i “postumi”, attualizzandoli attraverso un “rinnovamento alla tradizione precedentemente rinnovata”. Di questo filone fanno parte molti autori-attori, fra i quali vengono riconosciuti come i più interessanti: Antonio Neiwiller, Tonino Taiuti, Antonio Scavone, Manlio Santanelli, Enzo Moscato, Annibale Ruccello. Gli ultimi due - che approfondiremo con articoli monografici - sono noti anche come attori e registi apertamente gay, con opere che trattano spesso temi legati all'omosessualità e presentano personaggi en travestì. 
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Gli anni Ottanta hanno diffuso violentemente e velocemente la cultura di massa attraverso i mass media su una popolazione che non era, in tutte le fasce sociali, pronta a digerire, in egual misura, l'omologazione necessaria. Se Enrico Fiore parla di questo periodo come di una “de-evoluzione” al livello sociale, paradossalmente, a teatro, la ritrovata centralità del testo e della scrittura si affermano, in tutta la penisola, proprio in un periodo in cui la lingua italiana si omologa attraverso la massiccia diffusione di televisione, radio e cinema. 
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Radici forti, tradizioni e “napoletanità”, unite alla cultura di massa, caratterizzano tutta la produzione partenopea. E nel momento in cui l’omologazione di una società ad una cultura nazionale colpisce un’identità profondamente radicata ma in declino, autori come Ruccello e Moscato portano sulla scena studi antropologici, filosofia, considerazioni sociologiche. La cultura, ultimo appiglio cui aggrapparsi per sfuggire al “vortice omologatore".

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gb 
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​ApprofondiMENTI
QUEER E TEATRO

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QUEER E TEATRO | ANNI OTTANTA | ENZO MOSCATO
QUEER E TEATRO | ANNI OTTANTA | ANNIBALE RUCCELLO
QUEER E TEATRO | ANNI SETTANTA | CIRO CASCINA
QUEER E TEATRO | TEATRO QUEER?

QUEER E TEATRO                                                  ANNI SETTANTA                                                    FEMMINISMO A TEATRO

1/5/2020

 
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Manifestazione femminista

​LA MADDALENA

Anche il movimento femminista, tra i fenomeni di maggiore rilievo per portata e radicalità, trova nel teatro una forma nuova, non solo di rivendicazione ma di agire vero e proprio. Tra i gruppi teatrali politici troviamo La Maddalena, formato a Roma nel 1973 su iniziativa di Dacia Maraini. Fu il primo teatro femminista italiano. Inizialmente formato solo da professioniste, in un secondo momento, si aprì anche alle non professioniste con lo scopo di risalire alla sorgente espressiva ed esistenziale. Lo spettacolo Mara, Maria, Marianna inaugurò l'apertura del teatro, e privilegiava il lato informativo della questione femminile, distribuendo ai pubblico volantini da diffondere poi durante le manifestazioni.


CENTRO FEMMINISTA & COLLETIVO GRAMSCI

​Nel 1976, più a nord, il Centro femminista di Padova esordisce con uno spettacolo che aveva come intento quello di fare politica al di fuori delle strutture maschili e attraverso mezzi nuovi. Con Le indomabili isteriche rivendicava quattro figure storiche delle lotta al patriarcato: le streghe, le sciantose dell'ovest, le suffragette, le partigiane. Ancora più su, il Collettivo Gramsci, attivo soprattutto in Piemonte e in Lombardia con Prendete una donna e bruciatela come strega, cercava di spezzare alcune catene tenute dal conformismo tradizionale, invitando la donna ad instaurare un nuovo rapporto con il mondo, sé stessa e il proprio corpo.


​MUSICA E IRONIA

Come protesta e come critica ai condizionamenti culturali, gli spettacoli femministi creavano momenti ironici con l'aiuto della mimica e attraverso i testi delle canzoni in voga. Il 6 gennaio 1977 ad esempio, a Roma durante una manifestazione sul tema Riprendiamoci la notte, la canzone di Marinella venne riproposta in questi termini: Questa di Marinella è la storia vera / Lavava i piatti da mattina a sera / E un uomo che la vide così brava / Pensò di farne a vita la sua chiava. Rivoluzione culturale che partita con l'approvazione della legge sul divorzio nel 1970 condusse a quella sull'aborto nel 1977.


​CAMBIA IL VENTO

La fine della stagione delle grandi lotte segnò il declino dei gruppi teatrali di base. Alcuni proseguirono la loro attività all'interno della ricerca e della sperimentazione confluendo, però, all'interno di spazi teatrali più istituzionali. Altri, di ispirazione più strettamente politica, si riciclavano in altre attività sociali sottolineando ancora una volta che il teatro non era che uno strumento di lotta e le mutate condizioni sociali rendevano inutile il proseguimento delle loro esperienze.

Per approfondire la tematica femminista 
e il suo creare collettivi e comunità, si consiglia il sito

HERSTORY | Gruppi e collettivi femministi a Roma e nel Lazio dagli anni '70 ad oggi

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​ApprofondiMENTI
QUEER E TEATRO

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QUEER E TEATRO                                                ANNI SETTANTA                                                      ALFREDO COHEN

1/5/2020

 
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Alfredo Cohen in Dillo a mammeta, 1983.


​EDUACARE CON IL TEATRO

Classe 1942, Alfredo D'Alosio nasce a Lanciano in Abruzzo. Di formazione umanistica, nel 1968 si laurea in Lettere all'Università di Urbino e inizia ad insegnare nelle scuole medie dell'entroterra frentano per poi trasferirsi a Torino negli anni Settanta. Qui D'Aloisio frequenta l'ambiente di sinistra diventando un militante del Partito radicale capeggiato da Angelo Pezzana. Con lui, insieme ad altri attivisti tra cui Mario Mieli, fonda il Fuori! nel 1971, di cui storica rimane la Manifestazione di Sanremo del 1972, l'evento che segnerà la nascita del movimento gay in Italia. 

Professore con l'ambizione del teatro educativo, pioniere del movimento LGBT, cabarettista e cantautore dichiaratamente gay, D'Alosio fu, anche, un attore che tentò, in linea con le ricerche pasoliniane e non solo, di trasformare il proprio dialetto, l'abruzzese, in lingua vera e propria. Dalla cattedra al palcoscenico, il passaggio impose il cambio del cognome. La scelta d'un cognome ebraico come nome d'arte sarebbe stato, pare, sia un omaggio al ramo materno della sua famiglia, Cohen era il cognome della madre, sia e soprattutto, l'identificazione con una minoranza oppressa e perseguitata nel corso della storia.

​Cohen legava, infatti, idealmente e per analogia, le due comunità e si augurava che il mondo omosessuale potesse conservare la propria identità e i propri riferimenti culturali, proprio come la comunità ebrea. Implicazioni fortemente politiche che fanno di Alfredo Cohen uno dei fondatori del teatro politico omosessuale italiano.


​TEATRO POLITICO OMOSESSUALE

Nel 1974, con lo spettacolo di cabaret Dove vai stasera amico?, un'antologia di personaggi gay, inizia la sua attività teatrale. A questo, e sulla stessa scia, seguiranno Oggi sul giornale nel 1975 e Salve signori sono normale nel 1976. Nel 1977, lascia il mondo del cabaret per il teatro vero e proprio e mette in scena lo spettacolo Il signor pudore, primo di una serie di monologhi di notevole successo. Dal 1978 seguiranno Mezza femmena e za' Camilla. Mezza femmina monachella alla fine del 1979. Una donna, Mammagrassa, All'albergo della Palomba, si mangia si beve e si pomba, Mezzafemmena's lovers, Filomena l'Africana. Degli anni Ottanta è Dillo a mammeta, monologo e "parodia dell'educazione sentimentale della provincia". Negli anni novanta Cohen partecipa ad un ultimo spettacolo teatrale per poi ritirarsi a vita privata.

In Come si vince contro chi ci opprime, sulla rivista del "Fuori!" nel 1972, parlando dei suoi personaggi così scriveva: «Non ho mai portato sulla scena l'omosessuale metropolitano: non lo sento, non lo sono. Mi interessa la "mezzafemmena", come venivo chiamato io in paese. Vorrei farne un nuovo tipo teatrale, che so, come Pulcinella o Colombina. (…) Sono molto legato alla mia terra. Sono un "cafone"; un "provinciale": ma come scelta.» 
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​DENUNCIARE L'OMOLOGAZIONE

​​​Per tutti gli anni Settanta Cohen scrisse instancabilmente e fu attivo a teatro fino ai primi anni Ottanta, quando il "riflusso" politico fece a poco a poco passare di moda lo spettacolo impegnato e di denuncia. E il riferimento alla figura dell'omosessuale meridionale, quello della mezzafemmena abruzzese, contrapposto al gay moderno, urbano e nordeuropeo, gli serviva non solo per recuperare una tradizione ben radicata attraverso l'uso del dialetto abruzzese, ma per denunciare l'omologazione in cui andava incontro la comunità Lgbt.

Altra sua grande passione, altro mezzo per il suo attivismo, era la musica. Nel 1977 scrive, infatti, i testi e le musiche del suo album Come barchette dentro un tram, prodotto da Franco Battiato e Giusto Pio. Nel 1979, sempre con il duo Battiato/Pio scrive due canzoni: Roma e Valery. Quest'ultima dedicata alla transessuale Valérie Taccarelli che Cohen conobbe a Bologna, poi rimaneggiato, il testo si intitolò Alexanderplatz cantata da Milva nel 1982. Nel 1992, si apre una parentesi cinematografica, con la partecipazione al film Parenti serpenti di Mario Monicelli interpretando la parte di Osvaldo detto La Fendessa. ​

Purtroppo non esistono riprese cinematografiche dei suoi spettacoli, fatta eccezione del documentario di Maria Rosaria La Morgia, Alfredo Cohen recital, prodotto dalla sede regionale abruzzese di Rai3. Censurato e mai trasmesso durante la sua vita, fu integrato, nel 2018, nel documentario di Enrico Salvatori e Andrea Meroni, 
Alfredo D’Aloisio in Arte (e in politica) Cohen.

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QUEER E TEATRO

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QUEER E TEATRO | ANNI SETTANTA | CIRO CASCINA
QUEER E TEATRO | ANNI SETTANTA | FEMMINISMO A TEATRO
QUEER E TEATRO | ANNI SETTANTA | MARIO MIELI
QUEER E TEATRO | ANNI SETTANTA | LE PUMITROZZOLE

QUEER E TEATRO                                                    ANNI OTTANTA                                                      ANNIBALE RUCCELLO

1/5/2020

 
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Annibale Ruccello (1956-1986) | ph Peppe del Rossi


​antropologia e teatro

Laureato in antropologia e formatosi alla scuola di De Simone, Annibale Ruccello è stato il capofila del movimento della nuova drammaturgia posteduardiana, a Napoli dopo il 1980. Cultore delle tradizioni popolari, lucido esploratore della realtà, Ruccello, come attore e regista, crea opere in cui rabbia e pietà danno vita a forti e maledette personalità femminili.

Ambientate nelle periferie o nel degrado urbano, si raccontano - attraverso un linguaggio meticcio fra il napoletano colto della tradizione barocca e quello del sottoproletario suburbano - le realtà 
delle protagoniste, in cui la frustrazione imperante crea atmosfere iperreali, sature di sventura. Scomparso giovanissimo, Annibale Ruccello è stato riscoperto e rivalutato negli anni Novanta, divenendo una delle voci più interessanti e originali del teatro italiano della seconda metà del XX secolo.

​Le cinque rose di Jennifer (1980); Weekend (1983); Notturno di donna con ospiti (1984); Ferdinando (1985); Piccole tragedie minimali (1986); Anna Cappelli (post. 1987) sono le opere con cui Ruccello ha indagato la trasformazione dell'immaginario attraverso la scomparsa dei miti/riti collettivi. La sua scrittura teatrale, con l'adozione del carattere noir e dei ritmi da thrilling, usa il dialetto non come forma di un teatro di tradizione ma come linguaggio di un teatro di sperimentazione. 

​La sua stessa presenza, come autore e attore en travesti - Le cinque rose di Jennifer; Notturno di donna con ospiti; Ragazze sole con qualche esperienza - è parte integrante di quella ricerca antropologico-teatrale sui temi dell'identità (culturale e sessuale) in un universo repressivo, contaminato nel linguaggio e nei comportamenti dai modelli di vita borghese.


​ferdinando

Prima dell'incidente d’auto che gli è costato la vita a soli 30 anni, Annibale Ruccello scrive Ferdinando (1985). Considerato il suo capolavoro, l'opera è una sorta di "giallo" in costume ambientato, questa volta, lontano dai luoghi metropolitani, per confrontarsi con la tradizione napoletana del XIX secolo. Dal degrado urbano si passa alla provincia agreste ma lo stile con cui si svolgono fabula ed intreccio rimane sempre quell'ottimo frullato composto da le tragedie di Fassbinder, la satira fantastica di Copi, la sessualità violenta di Genet. 

​Ferdinando è la storia della baronessa Clotilde, matura nobildonna che nel 1870, non accettando i Savoia, passa i suoi giorni a letto, malata d’ipocondria, in una villa di periferia. Donna Gesualda, sua cugina povera, la assiste, ricoprendo il doppio ruolo di infermiera e secondino. Tra pillole, ozio e le visite di Don Catellino - il prete, coinvolto in intrighi politici e amori sconvenienti - la vita scorre noiosa. Fino all'arrivo improvviso di Ferdinando, un giovane affascinante ed educato, che scatena l'interesse della piccola comunità, quando afferma di essere un lontano nipote della baronessa. 

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Tutti se ne innamorano e Ferdinando diventa l'amamte di Don Catellino, della baronessa e anche di Gesualda. Mosse dalla gelosia, Clotilde e Gesualda avvelenano il sacerdote. Ferdinando, però, si rivela non il nipote della baronessa, ma il figlio del notaio venuto per rubare i gioielli che, la baronessa, a sua volta, aveva rubato ad un vecchio amante. Il giovane, ricatta le due donne: i gioielli o lo scandalo. La baronessa, priva di alternative, ri-torna vittima dell'ipocondria.


​Lo sguardo Omosessuale

​​Nessuno dei personaggi di Ferdinando è gay nel senso moderno del termine. Anzi la tematica omosessuale in sé non è centrale nelle opere di Ruccello. Nella sua prima opera, Le cinque rose di Jennifer, scopare quasi subito, emergendo solo nell’attenzione al disagio per l’emarginazione, sociale ed esistenziale, dei suoi personaggi. In Ferdinando pur tornando in modo esplicito - il rapporto tra Catellino e il giovane - compare come uno degli incidenti della trama, un segno della confusione che regnava nella provincia napoletana. L'omosessualità di Catellino si fa metafora della convenienza, mentre quella di Ferdinando denuncia la sua amoralità.
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​Il vero personaggio gay è quello di Donna Clotilde o meglio è il modo in cui Ruccello costruisce lo sguardo di Gesualda che ci mostra il lato omosessuale. Utilizzando l’immaginario culturale gay, mettendo in scena un personaggio ibrido, contaminato e portatore di desideri contrastanti, costruisce il carattere di Clotilde.

«Fatte mettere ‘e mmane dinte’e cazuneā (Toccandogli il membro nei calzoni) Chisto oìā Chisto ccàā Adda essere sulo d’’o mioā Si saccio ca ‘o daie a quacchedun’ata, t’’o taglioā M’’o mangioā»

Una donna che ha dovuto lasciare la propria città, la famiglia e i suoi diritti a causa della sua personalità, unicità da cui trae anche energia e orgoglio. Affermazione e emarginazione sociale, amore e distruzione fanno de la baronessa la metafora di un mondo che fatica a ricongiungersi con le proprie radici storiche e culturali, che teme il futuro e si nasconde. Unico slancio vitalistico il desiderio, quello sessuale. Desiderare farà ricongiungere Donna Clotilde con la sua vera natura.

​Un modo di essere che in chiave camp teatralizza la sua condizione drammatizzando la relazione con gli altri. Si crea così un meta-teatro
in cui tutti i personaggi sono descritti attraverso il suo sguardo mentre il suo corpo si espone come una parodia - la malata devota o la seduttrice sensuale - metafora de la resistenza al mondo che cambia.


​Sesso e potere

Fondamentale invece è il sesso, inteso come potere, come proprietà. Non c’è erotismo o sensualità nel sesso raccontato o messo in scena in Ferdinando. C’è solo fame, sete e ambizione di potere. Il sesso stabilisce contratti, legami economici o politici. Ma ancora più interessante è che la corrispondenza tra sesso come potere e l’assenza di erotismo si collochi all'interno del mondo femminile, cosa che in quegli anni, era lontanissima dall'idea comune sulla donna. 

​Nel teatro di allora
 o nei romanzi infatti, i personaggi femminili usavano il sesso come un capitale, solo per poi pentirsi e riscoprire l’amore - pensiamo a La signora delle camelie - oppure, quando esercitavano potere o gestivano denaro, finivano per diventare asessuate, come nel caso di La visita di vecchia signora di Friedrich Dürrenmatt. Nel testo di Ruccello invece, la protagonista, non più giovane, ha potere e sete sessuale, e usa il suo potere per soddisfare la sua fame. Un atteggiamento che la letteratura ha sviluppato più spesso al maschile e che fa di Donna Clotilde una donna che si comporta come un uomo.

gb 
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QUEER E TEATRO                                                    ANNI SESSANTA                                                    PIER PAOLO PASOLINI

1/5/2020

 
Foto
Pier Paolo Pasolini (1922 - 1975)


​MINARE DA DENTRO

Se Dario Fo parlava al popolo, Pasolini discuteva con la borghesia, mettendola in discussione. Peculiare caratteristica borghese è stata, infatti, la produzione del dramma. E mentre Fo scriveva commedie, Pasolini non poteva che scrivere tragedie. Ambedue combattevano il Sistema: il primo da sinistra, il secondo auspicando una rivoluzione da una Nuova destra. Tutti e due usavano i dialetti, l'uno di fantasia, l'altro realista. Fo si proiettava verso l'esterno, Pasolini si ripiegava al suo interno.

Già con Un pesciolino, breve monologo del 1957 con protagonista una zitella sui generis, si impone l'elemento autobiografico, con al centro il tema de la diversità e la donna si fa metafora della paura degli uomini di tutto ciò che provoca scandalo. Nel 1963 è la volta di Vivo e Coscienza in cui afferma l'inconciliabilità pratica tra vita e coscienza, con la speranza che verrà un giorno [...] in cui la Vita sarà Coscienza e la Coscienza Vita.

​Con Italie magique, scritto per l'interpetazione di Laura Betti, tra il '64 e il '65, racconta la storia italiana dalla Seconda Guerra Mondiale all'avvento del Neocapitalismo, dove con ironia brechtiana si mette in scena l'assurda "convinzione che l'io sia sempre più mio, mentre è di Mammona." 


​DIVERSITà VS SOCIETà

Il 1966 è un anno decisivo, perché ha inizio la stesura delle sue famose sei tragedie, che continuerà, con le immancabili limature, sino al 1974. 

Pasolini vuole mettersi in contatto diretto e dialogico - da qui i dibattiti dopo le rappresentazioni - con un pubblico non di massa, ma che ha una cultura, potenzialmente, pari alla sua anche se appartenenti ad ogni classe sociale. 
In Orgia (1966-70), l'unica tragedia che ha messo in scena lui stesso a Torino, con Laura Betti, rappresenta il divario tra diversità e società raccontando di sesso, potere, violenza e norme sociali. Dal pubblico al privato, un altro dramma borghese:

​"voglio che la società non abbia un atteggiamento razzistico verso gli esclusi. [...] Se c'è qualcuno che è diverso, qualunque diversità sia, ha diritto di esserlo, e la società non deve avere un atteggiamento razzistico contro questa diversità. Deve capirla, discuterla, analizzarla, ma non avere un atteggiamento razzistico di rifiuto e di esclusione."​
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A questa seguiranno, Pilade (1966-70) ispirata ai miti greci; Affabulazione (1966-70), storia del rapporto conflittuale tra un padre medio-borghese e il figlio; Porcile (1967-72), che ispirò allo stesso Pasolini l'omonimo film, che parla di sporcizia e degradazione; Calderón (1967-73) liberamente ispirato a La vita è sogno di Calderón de la Barca e infine, Bestia da stile (1966-74).

​In quest'ultimo dramma, dietro la vicenda di un poeta cecoslovacco, Jan, si nascondono le vicende autobiografiche di Pasolini stesso, dalla giovinezza - con il suo amore per il Friuli e il mondo contadino - all'impegno intellettuale e artistico sulla scia di un realismo che valorizzava la lingua popolare, sino alla delusione dovuta all'imborghesimento di tutti e tutto, con il benessere consumistico. Ancora, la rinuncia al potere politico, quando alla fine degli anni sessanta, Pasolini comprende che, nell'epoca del neocapitalismo, occorre un nuovo impegno: la Rivoluzione di una Nuova Destra sublime. Morirà assassinato l'anno successivo, nel 1975. 
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gb 
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​Approfondimenti
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QUEER E TEATRO                                                  ANNI NOVANTA                                                        NON SOLO ITALIA

1/5/2020

 


PROTAGONISTA

E' a partire dagli anni Novanta che il Teatro inizia a produrre opere con al centro il punto di vista omosessuale. Cambiamento dovuto, come visto nell'articolo sul camp, all’affermarsi di un’identità culturale queer che reclamando i diritti civili porta avanti una critica sociale e culturale. 

Angels in America, consegnato alle scene nel 1990, apre la decade con il mutato punto di vista. Opera in due parti - Millennium Approaches e Perestroika - di Tony Kushner, gli Angeli influenzeranno le generazioni successive per la capacità di collegare la tematica omosessuale a questioni più ampie, rappresentando uno dei primissimi esempi in cui il pubblico eterosessuale poteva provare a confrontarsi con lo sguardo queer. Si ricorda che il queer lancia uno sguardo camp sul mondo. Dunque, l’identità queer diviene una performance, un processo in cui lo sguardo descrive e crea il proprio mondo.

In Angels in America i personaggi sono sempre narratori di sé stessi. E come se raccontassero la propria vita in scena non solo ai comprimari ma anche ad un pubblico immaginario. Ed è questa teatralità dentro il teatro che marca l'opera con un forte accento drammatico. E la narrazione del vissuto dei protagonisti, in Angels in America individua i tratti drammaturgici tipici della scrittura queer: le battute non si accontentano più di alludere ad un’azione fisica o ad un bisogno interiore del personaggio, ma si ampliano attraverso commenti, riflessioni, contenendo al suo interno, letteralmente, sia il testo che il sotto-testo. 


​ITALIA | TEATRO IMMAGINE

Negli anni Novanta in Italia emergono nuove esperienze artistiche che si pongono oltre le rigide classificazioni. Figlie della crisi sociale e culturale, queste nuove compagini - interiorizzata una certa tradizione italiana (come Leo o Cecchi) e la lezione di Grotowski - daranno vita ad un teatro immagine nuova maniera. Prosecutori della sperimentazione teatrale, questi gruppi, porranno al centro il corpo dell'attore, attingendo dalle arti visive per ri-convertirle poi liberamente sulla scena. Un teatro nuovo, propositivo più che polemico, animato da un desiderio di contaminazione capace di re-inventare sistemi nuovi di produzione e ospitalità. Un insieme tutt'altro che autodidatta e niente affatto omogeno unito dal rifiuto nei confronti di un sistema che li relega in ultima fila.

Spinto dalla necessità di rendere visibile la frammentarietà dei gruppi, nel giugno 1994 il Teatro del Lemming organizza, a Rovigo, il Festival Opera PrimaMartino Ferrari, rendendo pubblico un monitoraggio dal quale risultano circa duecento realtà sommerse. Nello stesso anno a Cesena, i gruppi dell'area romagnola, già in contatto con il Lemming, incontrano altri nuclei sparsi. A Verona nell'autunno del 1994 e a Bologna nella primavera del 1995, con più di cinquanta compagnie presenti si cerca di individuare un possibile canovaccio teorico-programmatico e poetico, per poi approdare a San Benedetto del Tronto nel settembre 1995 con la fondazione dei Teatri Invisibili in cui una parte di compagnie si costituirà in associazione, l'altra in un arcipelago di indipendenti, conosciuto come il fenomeno romagnolo.


​IDENTITà FLUIDE
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​Teatro Reon, Le belle bandiere, Daria de Florian, Accademia degli Artefatti, La Nuova Complesso Camerata, Masque Teatro, Motus, Teatrino Clandestino, Teatro del Lemming, Teatro Idra, Laminarie, Fanny e Alexander, Tanti cosi progetti, Kinkaleri, Area piccola, Teatro della polvere, Amorevole Compagnia Pneumatica, Teatro Orfano, Terzadecade, Segnale Mosso sono solo alcune delle compagnie.

Tra i solchi di un teatro-vita, questa generazione comincia a raccontarsi. Senza la distanza dallo spettatore e nella convulsione di segni e linguaggi, lo spettacolo si pone al limite tra reale e apparente. E in questo contesto, il senso della parola si svela attraverso un movimento, una folgorazione. E, allo stesso modo, gli oggetti di scena, depurati del tratto naturalistico, si rivelano attraverso l'effetto simultaneo di configurazioni e azioni sottratte alla logica, dilatando, così, il gesto in modo da creare una drammaturgia dell'inconscio. Il tema della morte come frattura, le invenzioni neo-barocche, pop e camp; la fluidità nell'identità sessuale e nei ruoli sono punti di contatto, congiunzioni estetiche a tutta questa nuova generazione.

gb
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​ApprofondiMENTI
QUEER E TEATRO


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QUEER E TEATRO                                                  ANNI SESSANTA                                                        DARIO FO E FRANCA RAME

1/5/2020

 
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Dario Fo con la moglie Franca Rame, 1970


CONTRO IL TEATRO BORGHESE

Con atteggiamento critico verso quello che lui denominava "teatro borghese", Fo recitava in luoghi alternativi quali piazze, case del popolo, fabbriche: luoghi dove si poteva trovare un pubblico diverso da quello tipico dei teatri, che normalmente poteva permettersi il teatro a prezzo "politico".

​Già a partire dalle commedie tra il 1959 e il 1961 era forte la satira di costume nella struttura della farsa. Ma nel 1968, quando insieme a Franca Rame, Massimo de Vita, Vittorio Franceschi e Nanni Ricordi fondano il gruppo teatrale Nuova Scena, l'obiettivo sarà quello di ri-tornare alle origini popolari del teatro e alla sua valenza sociale. Il 1º ottobre 1969, a Sestri Levante, Fo porta per la prima volta in scena la giullarata Mistero buffo, fantasiosa rielaborazione di testi antichi in grammelot - linguaggio teatrale, una mescolanza dei vari dialetti della pianura padana, che si rifà alle improvvisazioni giullaresche e alla Commedia dell'arte - traendone una satira politica e sociale tanto divertente quanto affilata. Molti, considerano Mistero buffo, il modello del "teatro di narrazione"


​LA COMUNE

Alla fine degli anni Sessanta Fo si schiera con le organizzazioni extraparlamentari di estrema sinistra e fonda il collettivo La Comune, attraverso il quale tenta di stimolare il teatro di strada e l'impegno politico. Nell'autunno del 1968 il Collettivo incomincia a raccogliere fondi «per fabbriche occupate, per sostenere compagni incarcerati nel corso delle lotte antifasciste ed antimperialiste a livello nazionale ed internazionale», resuscitando l'idea del Soccorso Rosso Internazionale attivo tra i partigiani durante la guerra.

​Oltre alla raccolta di fondi, 
Soccorso Rosso garantiva un supporto legale attraverso gli avvocati attivisti: invio di lettere, pacchi e soldi ai detenuti politici e alle rispettive famiglie, visita in carcere ai detenuti, denuncia delle ingiustizie e degli abusi sui carcerati alla stampa, ai parlamentari italiani e ai magistrati, denuncia delle torture e dei maltrattamenti subiti durante gli interrogatori e la detenzione, e, non ultimo, le condizioni disumane nelle carceri.
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Dopo la strage di piazza Fontana del 1969, giudicata una «strage di Stato», e la morte in questura dell'anarchico Giuseppe Pinelli, Soccorso Rosso inizia una campagna per la liberazione di Pietro Valpreda, sospettato di essere colpevole per la strage. Questa nuovo impegno condurrà nel 1970 alla stesura di Morte accidentale di un anarchico, opera dal forte impegno politico, ispirata al caso della morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli ma ufficialmente ispirata a la morte di Andrea Salsedo negli Stati Uniti all'inizio del XX secolo.  

gb 



​ApprofondiMENTI
QUEER E TEATRO

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QUEER E TEATRO | ANNI SESSANTA
QUEER E TEATRO | ANNI SESSANTA | PIER PAOLO PASOLINI
QUEER E TEATRO | ANNI SESSANTA | PAOLO POLI
QUEER E TEATRO | TEATRO QUEER?

QUEER E TEATRO                                                    ANNI SETTANTA                                                        MARIO MIELI

1/5/2020

 
Foto
Mario Mieli (1952 – 1983)


​LOTTA DURA CONTRO NATURA

​Mario Mieli è un personaggio camp, una “queerness del camp”. Una personalità talmente forte che non necessitava del testo teatrale. Gli bastava la sua posa, la sua fisicità, per attirare l'attenzione. Pensiamo alla sua azione in piazza San Pietro, di cui restano delle immagini; al suo intervento a Parco Lambro durante il festival del proletariato giovanile - organizzato dalla rivista Re Nudo - mentre urla insieme ad Ivan Cattaneo “el pueblo unido è meglio travestido” o “lotta dura contronatura”. 

Ancora, a quando intervista gli operai dell’Alfa Romeo in tutina bianca e con i capelli cotonati, o a quando si presenta in tacchi a spillo e boa di struzzo alle riunioni di Autonomia Operaia. Non ultimo, quando, in “vesti di pastorella”, ruba il microfono a Dario Fo, all’affollatissimo raduno bolognese contro la repressione del 1977. Momenti e contesti diversi, che attestano la sua forte carica performativa, spesso estrema, se includiamo i famosi atti e detti coprofagi che lo hanno reso celebre sulla stampa scandalistica del tempo. Insomma Mieli era già una diva alternativa e le sue riflessioni tendevano a scardinare ogni concetto di appartenenza. Questo lo rese il capostipite del movimento queer italiano. 

Rileggere oggi l'opera di Mario Mieli - che amava che si rimarcasse la sua indubbia somiglianza con Marella Agnelli - apre uno spiraglio su una narrazione magmatica che riassume un decennio frenetico: gli anni Settanta. Straordinario filtro, il suo, fatto di diverse tensioni e contraddizioni, di adesioni, fughe e abusi, di marxismo e di pratiche di autocoscienza vissuti a contatto con i movimenti omosessuali a Londra e a Parigi.


​DIPENDENZA E RIGETTO

Ebreo omosessuale e comunista, Mario Mieli nasce nel 1952 in una famiglia dell’alta borghesia milanese. Lo scontro con la sua famiglia caratterizzerà tutta la sua vita, soprattutto il conflitto con il padre, che cercherà – così racconta ne Il risveglio dei faraoni – più volte di avvelenare. La sua posizione agiata gli ha permesso di non dover mai lavorare e, se pur contrario agli ideali borghesi, non ha mai rinunciato ai suoi privilegi. Infatti lo si vedeva sfilare per le vie cittadine in abiti eleganti, con perle e lustrini. Usava gli abiti della madre quando recitava nello stabile occupato di via Morigi a Milano e la sua pelliccia quando andava a battere, fin dai diciotto anni, a la Fossa dei Leoni, sotto il ponte delle Ferrovie Nord, adiacente al Parco Sempione. Queste contraddizioni, di dipendenza e rigetto, sono fondamentali per capire meglio la sua personalità.


​ATTIVISMO

Nel 1971, a diciannove anni, è tra i fondatori del movimento Fuori!, Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano, con il quale nel ‘72 a Sanremo riesce a boicottare il convegno di psicologi cattolici che con l'aversion therapy, intendevano “curare” l’omosessualità con la violenza dell’elettrochock. Nel ‘74, con le prime uccisioni da parte delle Brigate Rosse, il Fuori! entra crisi e avviene la rottura. A differenza di chi si unisce al Partito Radicale per ottenere diritti civili, Mieli rifiuta ogni contatto con i partiti borghesi, e fonda i COM - Comitati Omosessuali Milanesi - creati al di fuori di una struttura di partito. Ai “riformisti” che guardano ad una via “parlamentare” per la lotta, Mieli contrappone una via transessuale e schizofrenica alla rivoluzione, rivendicando la sua esperienza psichiatrica e teorizzando nessi tra la condizione di omosessuale e quella del malato psichico. ​

Rivoluzione possibile solo a partire da un radicale cambiamento dei costumi e dei ruoli nella società, e che il comunismo doveva facilitare la liberazione dell'eros, che lui istituiva come molteplice e polimorfo. La parola omosessuale era già, ai suoi tempi, un limite. Mieli era più oltranzista e attualissimo e dichiarava che “L’eros libero sarà transessuale” riferendosi all'ideale mitico dell’ermafrodito, magia della congiunzione dei sessi. 

Nel programma Rai Come mai del 1977, al momento dell’uscita di Elementi di critica omosessuale (sua tesi di laurea pubblicata da Einaudi nel 1977, da Feltrinelli nel 2002 e nel 2017), Mieli in abiti da signora milanese con tailleur e perle, perfettamente a suo agio, svolge un’intervista serissima sul movimento omosessuale e sul rapporto con il movimento femminista, dichiarando che la società può salvarsi solo attraverso le donne, “portavoci del futuro”. 

“Il trionfo dell’amore mobile, nobile, frizzante, effervescente, fluido, si può avere solo se il piacere carnale non viene più giudicato sporco perverso e peccaminoso: altrimenti la diffidenza, la paura, la nevrosi continueranno a inficiare i rapporti umani e la logica autolesiva dell’egoismo alienato ci porterà alla catastrofe irreparabile”, dirà alla conferenza di Brescia nel 1982, un anno prima il suicidio.


​“Non è più il momento di battere, ma di combattere”

​“Froce, sì ma contro la DC”, “Lotta dura contro natura”, “Amor ch’a nullo amato amar perdona, io sono una grande culattona”, “Non è più il momento di battere, ma di combattere”, questi alcuni slogan che in quegli anni urlava durante le sue azioni performative dimostrando una teatralità innata che mischiava arte e politica. Umorismo parodico che trasformava tutto in una serissima farsa gaia e che non tralasciava di portare nelle strade e alle orecchie della gente argomenti tabù ieri come oggi: pratiche di necrofilia, coprofagia e pedofilia. Sostenendole con un certo rigore filosofico, supportato dalle letture psicoanalitiche del tempo, gli impedirono di essere accettato dal mainstream e letto con la giusta attenzione. Mario Mieli fu un outsider.


Vaffanculo… eBBene sì!

La Traviata Norma. Ovvero: Vaffanculo… ebbene sì! è l'unico testo teatrale di Mieli scritto nel 1976 (qui il testo). Rileggendolo, è difficile non pensare al profeta della crisi finale della civiltà tra glitter e lustrini, Ziggy Stardust, il messia lebbroso inventato da David Bowie. Ma ciò che è ineludibile è il carattere autobiografico: l’esistenza frenetica, l’attivismo politico, i viaggi, le letture, i miti. Le crisi tossiche, le depressioni e le ascesi d’amore. Elementi supportati dall'idea, semplice ed efficace, di un mondo di drag che si presentavano in uno spettacolo eterosessuale underground, innescando uno straniamento brechtiano condito da non poca cinica ironia. Di quella produzione rimane un libro, con belle fotografie di Guisa Sambonet, edito da L’Erba Voglio.


SU MIELI

​La vita di Mario Mieli, fin al punto in cui decise di uccidersi mettendo la testa nel forno 1983, è raccontata nel film Una favola spinta di Guido Tosi, prodotto da Rai3 Lombardia nel 1984. Riproposto al Festival Mix di Milano nel 2013. Il risveglio dei faraoni, già pronto per essere stampato da Einaudi, ma bloccato per intervento diretto del padre, fu stampato nel 1994, per volere di una piccola cooperativa di amici. Ritirato poco dopo dal mercato, il libro, è un'autobiografia tra alchimia e Egitto, in cui la famiglia Mieli viene descritta in termini non esattamente lusinghieri.

Pubblicato nel 2002, e ristampato dieci anni dopo, dalle 
Edizioni Croce, il testo Oro Eros e Armonia: L’ultimo Mario Mieli. Breve raccolta di saggi, interviste, discorsi e racconti dell’ultima fase della vita di Mieli, quella della cosiddetta fase alchemica, già ampiamente toccata nel Risveglio dei faraoni, a cura di Giampaolo Silvestri, con introduzione di Ivan Cattaneo.
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Del 2016 è la pubblicazione di un altro testo, Mario Mieli – E adesso, a cura di Silvia De Laude per Clichy, con una biografia e una bibliografia, un saggio della curatrice, e molti brani e testi tratti da opere, lettere, discorsi, interviste del milanese. Del 2019 è la pellicola Gli anni amari diretto da Andrea Adriatico e interpretato da Nicola Di Benedetto, presentato in anteprima nella serata di pre-apertura della Festa del Cinema di Roma.

gb



ApprofondiMENTI
QUEER E TEATRO


QUEER E TEATRO                                                  UN TEATRO QUEER?

1/5/2020

 


​TRACCE E CODICI

​«La storia d’amore tra teatro e omosessualità non è di quelle semplici», scriveva Miller. Riferendosi ad una relazione che per secoli ha messo in scena comportamenti sociali, riflessioni identitarie, pulsioni anticonformiste. Fin dalle sue origini, il Teatro dunque, filtrando la vita, mostrava storie di personaggi omosessuali, anche se, a seconda del periodo, con riferimenti comprensibili ad un pubblico preparato. Pensiamo ad esempio a Edward II di Christopher Marlowe, del lontano 1594, o a Oscar Wilde e Noël Coward che, nell'Ottocento, hanno creato un codice di segnali, allusioni e riferimenti interni alla cultura omosessuale, introducendo così l’argomento, senza affrontare direttamente le questioni politiche e sociali, in un periodo in cui il termine omosessuale iniziava ad assumere il significato che conosciamo oggi.


​SODOMITA VS OMOSESSUALE

​Anche se Rob Graham afferma l’esistenza di una cultura gay matura e sofisticata, libera e orgogliosa, anche prima della fine del XIX secolo, seguendo Foucault possiamo parlare di omosessualità in senso moderno solo dopo il XIX secolo, perché fino a quel momento il termine sodomita descriveva solo le attività e non l’identità. Allo stesso modo, Moe Mayer indicava il processo di Oscar Wilde come il momento di passaggio dal concetto giuridico di “sodomita” alla più complessa figura culturale dell'“omosessuale”, che da quel momento iniziava a comprendere non solo gli atti sessuali, ma un insieme di atteggiamenti, comportamenti, stili, immagini, gusti.


​NUOVE IDENTITà VECCHI STEREOTIPI

Alla nuova identità corrisposero, però, vecchi stereotipi, ed è George Chauncey, in un classico della storiografia gay, ad esaminare la vita sociale a New York dal 1890-1940, mettendo in evidenza come alla fine del secolo scorso, ma ancora oggi, si consideravano gay coloro che si comportavano come tali e non quelli che facevano sesso con gli uomini, evidenziando che il genere era principalmente un attributo del comportamento (come vestirsi, come parlare, cosa dire di sé stessi e come presentarsi) piuttosto che una conseguenza degli atti sessuali. Poteva accadere infatti, ed accadeva, che un uomo effeminato, potesse essere considerato più gay di un muscoloso marinaio che il sabato sera usciva con la sua fidanzata e gli altri giorni aveva un amante uomo con cui andava al bar e poi a fare sesso.


​RAPPRESENTAZIONE E COSTRUZIONE

​In questo contesto, Teatro, Cinema e Televisione, in modo più o meno esplicito, “registrano” la temperatura culturale di una determinata comunità e possono essere letti come misuratori utili ad indagare discriminazione e rappresentazione queer, informandoci sul nostro livello di democrazia. E, al contrario, possiamo dedurre che anche l’identità gay si costruisce grazie al modo in cui il teatro presenta gli omosessuali. In Lo schermo velato, l’autore Vito Russo, uno dei più noti portavoce per i diritti degli omosessuali, sosteneva che il modo in cui i gay sono rappresentati influisce sul modo in cui gli omosessuali costruiscono la propria identità sociale, sottolineando l’importanza politica dei media, i quali non hanno solo un ruolo passivo, ovvero registrare la realtà, ma anche, e soprattutto, una componente attiva, ovvero definire e creare. 


​TEATRO QUEER?

Ma quali sono gli elementi che fanno di un'opera teatrale uno spettacolo queer? John M. Clum, in Still acting gay, sostiene che la “gayezza” dell’opera sarebbe marcata dall’elaborazione e variazione dei seguenti elementi: esposizione del corpo maschile/femminile e della teatralità queer; polemica o le affermazioni sulle quali non siamo disposti a compromessi; auto-analisi di noi stessi come individui e membri della comunità gay; trasformazione mediante la teatralità e l’ironia delle forme di rappresentazione che mantengono la nostra oppressione; celebrazione del nostro coraggio, della resistenza e della differenza. Ovviamente non è esaustivo ma è utile ad individuare delle caratteristiche specifiche della tecnica di composizione del personaggio. A questo sono legate le sorti di un’esplorazione dell’estetica drammatica gay. Il passaggio dall’essere visti all’atto del vedere è condizione ineludibile per l’individuazione di una forma rappresentativa queer.


produrre modelli

​Il termine gay non indica un atto sessuale, ma soprattutto un comportamento emotivo, un attributo qualitativo costitutivo della condotta dell’individuo. E spesso si confonde l’artista con il suo lavoro. A questo proposito, Alan Sinfield nella sua importante storia del teatro gay e lesbico del XX secolo, Out on Stage, afferma che l'obiettivo non è quello di decidere quale autore o attore sia gay, ma come l'omosessualità venga rappresenta, prodotta e fatta circolare attraverso idee e ed immagini, creando modelli. Si fa importante, quindi, secondo Sinfield, evitare una definizione a priori di cosa significhi gay, per concentrarsi su come determinati temi, nell’opera, vengono associati all’omosessualità.


​prospettive culturali

Ma qualsiasi prospettiva si utilizzi per definire la nascita della cultura gay, tuttavia non c’è dubbio che sin dagli anni Sessanta esista una comunità culturale che ha condiviso gusti, comportamenti e socialità. Dunque, la domanda sulle caratteristiche specifiche di un teatro gay, ha senso solo se si intende misurare il grado di aderenza a questa cultura. Si tratta di una prospettiva culturale, nella quale i soli strumenti disciplinari (analisi delle opere, drammaturgia, semiotica della performance) si rivelano meno efficaci rispetto a una più ampia riflessione storica, politica e sociologica.

gb



Approfondimenti
queer e teatro


QUEER E TEATRO | ANNI SESSANTA
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QUEER E TEATRO                                                  ANNI SESSANTA

1/5/2020

 


​fugure marginali

La storia del teatro, nel corso della sua evoluzione, ha dimostrato che la rappresentazione di gay e lesbiche è stata continua per tutto il ventesimo secolo, anche se bisogna aspettare gli anni Sessanta perché la tematica gay si affermi come oggi la conosciamo. In precedenza, fatte salve le dovute eccezioni, il riferimento all’omosessualità dei personaggi era “velato”, oppure le figure erano marginali, cattivi e assassini, o comici e ridicoli, certo mai protagonisti. Si possono distinguere, quindi, alcuni capostipiti in cui l’identità omosessuale è apertamente dichiarata ed è anche il tema principale della storia. 


​politicizzare il mezzo

​Ci si ritrova di fronte alla sperimentazione di nuovi modi di produrre e organizzare la cultura, al di fuori dei parametri delle istituzioni. Vengono codificati nuovi messaggi, non solo artistici ma anche sociali e politici. Il teatro diviene strumento di analisi e critica sociale cosa che significò la politicizzazione dello stesso strumento comunicativo. La politicizzazione non è un fatto nuovo nella storia del teatro, l'esempio più illustre è il teatro di agitazione e propaganda nella Germania tra la fine dell'800 e i primi del 900.

Durante gli anni Sessanta si delineano delle pratiche di azioni, che si inseriscono nelle attività rivoluzionarie, nel superamento della separazione tra arte e vita quotidiana. Non fu solo una denuncia verso le strutture esistenti, ma anche una proposta di un nuovo teatro capace di porre interrogativi, fatto di gesti contemporanei. Per questo fu promosso un convegno che si svolse ad Ivrea dal 9 al 12 luglio 1967, evento che entrò nella storia del teatro contemporaneo e per questo ampiamente documentato.


​rivoluzionare i costumi

​​Un anno dopo, nel Sessantotto, alcuni eventi, in Italia e nel mondo, sconvolsero il modo di pensare e di vivere. Dalla nascita dei gruppi di pacifisti negli Stati Uniti, schierati contro la guerra in Vietnam, all'attacco francese contro il gollismo; dall'emergere prepotente del terzo mondo, con l'emancipazione di numerosi paesi dal colonialismo, all'attacco della classe operaia contro il sistema produttivo; dalla nascita delle sinistre extra-parlamentari alle agitazioni studentesche. Furono anni di rivoluzione di costume, durante i quali venivano propugnati valori nuovi: la dignità umana, l'antiautoritarismo, la libertà di poter scegliere della propria vita.


​visioni interne

​Passaggio importante a livello internazionale è stata la messa in scena off-Broadway nel 1968 di The Boys in the Band di Mart Crowley - poi film, diretto da William Friedkin nel 1970 - tappa storica nella drammaturgia a tematica omosessuale. Criticato dalla comunità stessa, rimane un importante tentativo di discutere la condizione da una prospettiva interna. Opera che in quegli anni, insieme alla precedente opera cinematografica Victims del 1961, riflette i cambiamenti avvenuti nell’infinita lotta per i diritti civili e che culminerà nei fatti di Stonewall, il momento in cui il movimento gay cominciò ad affermarsi negli Stati Uniti e poi nel mondo occidentale.

Si crea così un nuovo teatro o meglio un nuovo modo di concepire il teatro, visto come strumento di comunicazione attivo, aperto agli scambi comunicativi con un pubblico non più passivo ma co-creatore dell'evento teatrale. Un teatro con contenuti nuovi, espressi attraverso canali comunicativi diversi. Lontano dal teatro dell'epopea di Piscator, dal teatro epico di Brectht, dal teatro celebrativo di massa e dal teatro per il popolo e quello del popolo, nasce così il Teatro politico. 


​teatro politico

​Si può parlare di teatro politico in riferimento all'esperienza del nuovo teatro italiano, nel momento in cui emergono fenomeni avanguardistici già sul finire degli anni cinquanta. Un diverso uso della scena ufficiale può essere interpretato come teatro politico, nel senso dell'anticonformismo verso tutto ciò che è istituzionale. O politico nel senso dei luoghi in cui si situa: il decentramento - termine che ebbe fortuna nel momento in cui le forze popolari scesero in campo sull'onda delle grandi rivendicazioni sociali, nel 1968 in Francia e durante i primi scontri all'interno delle università in Italia nel 1967 – per il teatro significò varcare gli argini degli spazi tradizionali alla ricerca di un inserimento nella più ampia scena urbana, per una definizione più adeguata delle tematiche di lotta. Quelle cioè della gestione dei moti rivendicativi, seguendo la logica che decentrare significava decentrare le strutture e la loro gestione.
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I gruppi che si formavano su intenti prettamente politici, continuavano anche la loro sperimentazione in campo avanguardistico, pensiamo al collettivo Nuova Scena capeggiato da Dario Fo e Franca Rame, o alle opere di Leonardo Sciascia e Pasolini. Di questo filone fanno parte il Teatro Popolare di Ricerca (www.teatropopolare.org) nato a Padova nel 1964, il G.T.S. di Firenze, importanza centrale ebbe Bologna con Radio Alice (radioalice.org)  e il Collettivo Jacquerie.

​A Torino un gruppo di studenti dà vita ad un tentativo di teatro assembleare di strada: nell'aprile 1970 nel quartiere 
Le Vallette, viene intrapresa un'azione sul tema della condizione degli operai emigrati dal sud. Il testo parte dalla protesta contro gli amministratori della casa "Don Orione" per estendersi alla problematica più generale della logica di sfruttamento che sta alla base del mercato degli affitti delle case.


​azioni teatrali

Per questi gruppi non esisteva un prodotto teatrale finito e definito, non c'era la possibilità di ripetere lo spettacolo: l'intervento era l'unica ragione di essere dell'azione teatrale. All'interno delle assemblee si riconoscevano studenti, operai, giovani, l'intento era quello di fornire nuove ed efficaci armi all'operaio in lotta contro il sistema repressivo. Le rappresentazioni avevano come unico sbocco drammaturgico la discussione assembleare. Il testo veniva fornito dall'occasione, elemento di incontro e discussione per il pubblico, imprevedibile in quanto legato alla realtà in cui operava. L'occasione viene trasformata in azione teatrale dal gruppo inserito politicamente nella realtà e nella quotidianità dei quartieri.

gb 
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​Approfondimenti
queer e teatro

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QUEER E TEATRO | ANNI SESSANTA | PAOLO POLI
QUEER E TEATRO | ANNI SESSANTA | DARIO FO E FRANCA RAME
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QUEER E TEATRO | ANNI SETTANTA

QUEER E TEATRO                                                  ANNI DUEMILA                                                          ITALIA

1/5/2020

 
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Ricci/Forte | Macadamia nut brittle | ph Angelo Maggio, 2009


​PRIMO DECENNIO
RICERCA E SPERIMENTAZIONE

I teatri del primo decennio del XXI secolo si riconoscono sempre meno con il genere teatro, con il suo formato, la sua storia e la sua tradizione. Come per le formazioni prese fin qui in esame, anche i primi spettacoli di questi gruppi nascono all'interno di centri sociali e spazi autogestiti.  E come per i loro predecessori anche i primi spettacoli dei gruppi degli anni Zero sono essenzialmente delle autoproduzioni o produzioni con fondi occasionali che non consentono una progettualità prolungata.

Declinati secondo modalità e finalità diverse, questi gruppi si organizzano come connessione fra associazioni, residenze creative, festival: si fa rete. E ad accomunarle è un’attitudine interdisciplinare al lavoro teatrale che sfocerà, quasi naturalmente, in una spettacolarizzazione degli altri linguaggi. Ricerca e sperimentazione è il binomio cardine del primo decennio. Tra il 2000 e il 2001 nascono Anagoor e Santasangre, nel 2003 Cosmesi, nel 2004 Città di Ebla, Gruppo nanou, Pathosformel, Menoventi, Muta Imago e Teatro Sotterraneo. Nel 2005 Opera e Orthographe. Nel 2006 Babilonia Teatri e Ricci/Forte, nel 2007 CollettivO CineticO, Silvia Costa/Plumes Dans La Tête, Dewey Dell, Fibre Parallele. Nel 2008 Codice Ivan.


​PRODOTTI DI CONSUMO

Percorsi differenti che si incontrano però nella visione di una società frammentata in cui la pluralità e la dinamicità dei linguaggi e della loro comunicazione concedono, o possono concedere, la possibilità di costruirsi un’identità, di esistere.

Tale struttura organizzativa esprime sicuramente la volontà di esercitare un maggiore potere di affermazione, ma è anche il portato più esplicito del sistema omologante di Internet, che a metà degli anni Dieci, dopo l’implosione della new economy, vede nascere il Web 2.0, basato non più su siti statici ma su piattaforme di condivisione, forum e blog e, in una seconda fase, sui social network.


In una cornice così delineata, ci spinge a riflettere Mauro Petruzziello, questa frammentazione riflette, in todo, quella dell’attuale società dei consumi. E all'interno di quella che è la nostra identità societaria la pubblicità e la produzione on demand fagocitano gusti e identità trasformando, così, l'esperienza d’avanguardia in prodotto di consumo. E coloro che vogliono difendere la propria identità e integrità artistica rischiano, in un circolo vizioso e narcisistico, di richiudersi in sé stessi. Non a caso, questo nuovo teatro è, come si diceva, sempre più un teatro di festival - seguito da un pubblico nomade fatto di addetti ai lavori - sempre meno, spiace dirlo, un teatro fertile.


​SECONDO DECENNIO
​STAGNAZIONE

All’inizio del secondo decennio del Duemila, infatti, la situazione della cultura in Italia è ormai in fase di stallo. L’attraversamento di generi e formati è diventato pratica, l’attore si è ridotto a segno fra segni e i linguaggi scenici sono stati decostruiti per essere rimontati. Il testo è stato sostituito, o affiancato, da scritture sceniche: la drammaturgia dello spazio, la luce, il suono. E, purtroppo, un teatro che si articola attraverso le diverse drammaturgie non è più un fenomeno di rottura ma un dato di fatto e la prassi si fa codice nella maggior parte delle compagnie.
​
Un nuovo teatro autoreferenziale e asfittico, come ben sottolinea 
Mauro Petruzziello in Attore, performer, recitazione nel nuovo teatro italiano degli anni Zero, 2014: “un teatro delle diversità che rischia di essere azzerato dall’incultura dell’identità e dell’intolleranza. I buffoni di corte che, in accordo con lo spirito del tempo, alimentano il carisma del sovrano e finiscono per renderlo immune da qualunque critica”. 
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gb 



​ApprofondiMENTI
QUEER E TEATRO


QUEER E TEATRO                                                    ANNI SESSANTA                                                        PAOLO POLI

1/5/2020

 
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Paolo Poli (1929 – 2016)


INTERPRETARE LA FEMMINILITà
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Nato a Firenze nel 1929 Paolo Poli inizia ad affermarsi come attore teatrale intorno agli anni Cinquanta, con i primi esordi importanti nei piccoli teatri cittadini. Grazie all'amico fiorentino Franco Zeffirelli che gli scatta alcune foto, giunge a Roma per recitare ne Le due orfanelle. Da Roma a Genova,dove si trasferisce nel 1958. A La borsa di Arlecchino, piccolo teatro d'avanguardia, inizia a farsi conoscere per la sua pungente ironia, il suo garbo istrionico, insieme alla sua vena poetica e surreale. Con commedie brillanti, gli spettacoli di Poli sono caratterizzati da una forte connotazione comica e giochi linguistici.

Uno dei pochissimi grandi attori italiani che non ha mai fatto mistero della sua omosessualità, negli anni Sessanta Poli recita vestendo panni femminili, caratterizzando i personaggi con una originale satira di costume, mischiando malinconia e funambolismo, travestitismo e cabaret. Interprete di Femminilità!, attraverso uno stile autentico, rapido e incisivo, Poli portava a teatro parodie di romanzi o di commedie dell’Ottocento e del primo Novecento. Ricordiamo La nemica 1968, Carolina Invernizio! 1969, La vispa Teresa 1970, L’uomo nero 1971, Giallo 1972, Apocalisse 1973.


​PARODIARE USI E COSTUMI

Il gusto del paradosso, le battute salaci, i salti da un argomento all'altro cosi come da un autore ad un altro, davano vita a spettacoli difficile definizione. Un teatro, il suo,  che risente del teatro dell’assurdo, ma anche di tutti quegli autori lontani dalla cultura ufficiale, senza nessun intento didascalico. E' con la grazia di una fanciullina che Poli muoveva la sua critica sociale, barcamenandosi tra i capisaldi della morale liberty - la mamma, la guerra e il sentimento - e il magazzino del ciarpame di casa nostra, come lui lo definiva. Parodiare, ridicolizzando, usi e costumi dell’Ottocento, serviva a  Poli per la critica del recente passato e del presente: la società che viveva.


​RITA DA CASCIA

Nel 1966 è Rita da Cascia, la santa delle cause impossibili. Un Poli miracoloso, perché i santi gli piacevano, una prosecuzione del paganesimo diceva. Ma al paradiso preferiva l’inferno, perché con tutte quelle fiamme, se uno ti chiede un fiammifero, si capisce subito che è un rimorchio. Uno spettacolo in cui simpatia e intelligenza mettono in mostra una relazione complicata con Dio e con i bigotti, suo bersaglio prediletto. In Magnificat, spettacolo di quasi vent'anni dopo ma con lo stesso bersaglio, del 1983, si sentono le parole che don Milani disse a tal proposito a Poli: è’ facile voler bene a Dio, nessun l’ha visto, ma voler bene alle persone è più dura!


​LA VISPA TERESA

​E ancora in La vispa Teresa si dà conto del grado sociale, della moralità, della situazione economica e di mille altre cose che con l’amore non avevano nulla a che fare, ma di cui si parlava di continuo. Qui era la volta della questione femminile, quando si narrava di Teresa cresciuta e pronta alle nozze. Matrimonio da farsi con l’uomo che ci vuole, difficilmente quello che si amava. E guai se non produceva ed ammaestrava in luminosa ignoranza una nuova infornata di Terese! . 


​L'UOMO NERO

In L’uomo nero, Poli ci racconta di un Puro Eroe, sublimazione epica del bempensante che ha una sofferta presa di coscienza. Tra martiri illuminanti e sovversivi cachinnanti, il cui vociare austero e tonitruante appare ancora capace di frastornarci in virtù di saghe trucibalde, compie goffe mirabilia, perché nell’Idea ha trovato tutto, da sé stesso alla quadratura del circolo. Uno sguardo spietato ma che divertendo racconta del ciarpame di qualche decennio fa, ma che ancora sopravvive colmo di ipocrisia e contegno democristiano. Un teatro della leggerezza che demolisce, attraverso la partecipazione e il riso degli spettatori, i più biechi luoghi comuni della società a lui contemporanea. L’unica differenza ch’io conosca tra un uomo e una donna è una di quelle cose che non si possono stampare, dirà Poli citando Bertrand Russell.


​IL LUSSO DELLA LIBERTà

“Mi chiedono spesso i miei lumi sull’omosessualità, sugli anni della guerra, sulla fatica, il coraggio. Non rispondo, ho vissuto e basta”, si legge nel libro scritto con Pino Strabioli, Sempre fiori, mai un fioraio del 2013.

Artefice di un teatro dal carattere chiaramente letterario, portavoce del lusso della libertà di un artista in lotta con il senso comune, Paolo Poli è stato un interprete fuori dagli schemi. Un uomo capace di guardare oltre la maschera dell’attore en travesti non lasciando trapelare nulla di lezioso o di vezzoso nella sua grazia. Non c’è civetteria o timidezza nei confronti della realtà, non c'è volontà imitativa o di "uguaglianza mediatica". La sua grazia risponde ad un’armonia forte, generata da un’intima e lucidissima intelligenza.

​
* Vai alla playlist dedicata a Paolo Poli sul canale youtube di Art is present: spettacoli ed interviste.

gb 
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ApprofondiMENTI
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    Giovanni Bertuccio

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Magazine d'Arte e Cultura
​Teatro e Danza. Queer

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