![]() Mario Mieli è un personaggio camp, una “queerness del camp”. Una personalità talmente forte che non necessitava del testo teatrale. Gli bastava la sua posa, la sua fisicità, per attirare l'attenzione. Pensiamo alla sua azione in piazza San Pietro, di cui restano delle immagini; al suo intervento a Parco Lambro durante il festival del proletariato giovanile - organizzato dalla rivista Re Nudo - mentre urla insieme ad Ivan Cattaneo “el pueblo unido è meglio travestido” o “lotta dura contronatura”. Ancora, a quando intervista gli operai dell’Alfa Romeo in tutina bianca e con i capelli cotonati, o a quando si presenta in tacchi a spillo e boa di struzzo alle riunioni di Autonomia Operaia. Non ultimo, quando, in “vesti di pastorella”, ruba il microfono a Dario Fo, all’affollatissimo raduno bolognese contro la repressione del 1977. Momenti e contesti diversi, che attestano la sua forte carica performativa, spesso estrema, se includiamo i famosi atti e detti coprofagi che lo hanno reso celebre sulla stampa scandalistica del tempo. Insomma Mieli era già una diva alternativa e le sue riflessioni tendevano a scardinare ogni concetto di appartenenza. Questo lo rese il capostipite del movimento queer italiano. Rileggere oggi l'opera di Mario Mieli - che amava che si rimarcasse la sua indubbia somiglianza con Marella Agnelli - apre uno spiraglio su una narrazione magmatica che riassume un decennio frenetico: gli anni Settanta. Straordinario filtro, il suo, fatto di diverse tensioni e contraddizioni, di adesioni, fughe e abusi, di marxismo e di pratiche di autocoscienza vissuti a contatto con i movimenti omosessuali a Londra e a Parigi. ![]() Ebreo omosessuale e comunista, Mario Mieli nasce nel 1952 in una famiglia dell’alta borghesia milanese. Lo scontro con la sua famiglia caratterizzerà tutta la sua vita, soprattutto il conflitto con il padre, che cercherà – così racconta ne Il risveglio dei faraoni – più volte di avvelenare. La sua posizione agiata gli ha permesso di non dover mai lavorare e, se pur contrario agli ideali borghesi, non ha mai rinunciato ai suoi privilegi. Infatti lo si vedeva sfilare per le vie cittadine in abiti eleganti, con perle e lustrini. Usava gli abiti della madre quando recitava nello stabile occupato di via Morigi a Milano e la sua pelliccia quando andava a battere, fin dai diciotto anni, a la Fossa dei Leoni, sotto il ponte delle Ferrovie Nord, adiacente al Parco Sempione. Queste contraddizioni, di dipendenza e rigetto, sono fondamentali per capire meglio la sua personalità. Nel 1971, a diciannove anni, è tra i fondatori del movimento Fuori!, Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano, con il quale nel ‘72 a Sanremo riesce a boicottare il convegno di psicologi cattolici che con l'aversion therapy, intendevano “curare” l’omosessualità con la violenza dell’elettrochock. Nel ‘74, con le prime uccisioni da parte delle Brigate Rosse, il Fuori! entra crisi e avviene la rottura. A differenza di chi si unisce al Partito Radicale per ottenere diritti civili, Mieli rifiuta ogni contatto con i partiti borghesi, e fonda i COM - Comitati Omosessuali Milanesi - creati al di fuori di una struttura di partito. Ai “riformisti” che guardano ad una via “parlamentare” per la lotta, Mieli contrappone una via transessuale e schizofrenica alla rivoluzione, rivendicando la sua esperienza psichiatrica e teorizzando nessi tra la condizione di omosessuale e quella del malato psichico. Rivoluzione possibile solo a partire da un radicale cambiamento dei costumi e dei ruoli nella società, e che il comunismo doveva facilitare la liberazione dell'eros, che lui istituiva come molteplice e polimorfo. La parola omosessuale era già, ai suoi tempi, un limite. Mieli era più oltranzista e attualissimo e dichiarava che “L’eros libero sarà transessuale” riferendosi all'ideale mitico dell’ermafrodito, magia della congiunzione dei sessi. Nel programma Rai Come mai del 1977, al momento dell’uscita di Elementi di critica omosessuale (sua tesi di laurea pubblicata da Einaudi nel 1977, da Feltrinelli nel 2002 e nel 2017), Mieli in abiti da signora milanese con tailleur e perle, perfettamente a suo agio, incarnando in maniera unica la capacità di coniugare gli opposti, svolge un’intervista serissima sul movimento omosessuale e sul rapporto con il movimento femminista, dichiarando che la società può salvarsi solo attraverso le donne, “portavoci del futuro”. “Il trionfo dell’amore mobile, nobile, frizzante, effervescente, fluido, si può avere solo se il piacere carnale non viene più giudicato sporco perverso e peccaminoso: altrimenti la diffidenza, la paura, la nevrosi continueranno a inficiare i rapporti umani e la logica autolesiva dell’egoismo alienato ci porterà alla catastrofe irreparabile”, dirà alla conferenza di Brescia nel 1982, un anno prima il suicidio. “Froce, sì ma contro la DC”, “Lotta dura contro natura”, “Amor ch’a nullo amato amar perdona, io sono una grande culattona”, “Non è più il momento di battere, ma di combattere”, questi alcuni slogan che in quegli anni urlava durante le sue azioni performative dimostrando una teatralità innata che mischiava arte e politica. Umorismo parodico che trasformava tutto in una serissima farsa gaia e che non tralasciava di portare nelle strade e alle orecchie della gente argomenti tabù ieri come oggi: pratiche di necrofilia, coprofagia e pedofilia. Sostenendole con un certo rigore filosofico, supportato dalle letture psicoanalitiche del tempo, gli impedirono di essere accettato dal mainstream e letto con la giusta attenzione. Mario Mieli fu un outsider. La Traviata Norma. Ovvero: Vaffanculo… ebbene sì! è l'unico testo teatrale di Mieli scritto nel 1976 (qui il testo). Rileggendolo, è difficile non pensare al profeta della crisi finale della civiltà tra glitter e lustrini, Ziggy Stardust, il messia lebbroso inventato da David Bowie. Ma ciò che è ineludibile è il carattere autobiografico: l’esistenza frenetica, l’attivismo politico, i viaggi, le letture, i miti. Le crisi tossiche, le depressioni e le ascesi d’amore. Elementi supportati dall'idea, semplice ed efficace, di un mondo di drag che si presentavano in uno spettacolo eterosessuale underground, innescando uno straniamento brechtiano condito da non poca cinica ironia. Di quella produzione rimane un libro, con belle fotografie di Guisa Sambonet, edito da L’Erba Voglio. ![]() La vita di Mario Mieli, fin al punto in cui decise di uccidersi mettendo la testa nel forno 1983, è raccontata nel film Una favola spinta di Guido Tosi, prodotto da Rai3 Lombardia nel 1984. Riproposto al Festival Mix di Milano nel 2013. Il risveglio dei faraoni, già pronto per essere stampato da Einaudi, ma bloccato per intervento diretto del padre, fu stampato nel 1994, per volere di una piccola cooperativa di amici. Ritirato poco dopo dal mercato, il libro, è un'autobiografia tra alchimia e Egitto, in cui la famiglia Mieli non viene descritta in termini non esattamente lusinghieri. Pubblicato nel 2002, e ristampato dieci anni dopo, dalle Edizioni Croce, il testo Oro Eros e Armonia: L’ultimo Mario Mieli. Breve raccolta di saggi, interviste, discorsi e racconti dell’ultima fase della vita di Mieli, quella della cosiddetta fase alchemica, già ampiamente toccata nel Risveglio dei faraoni, a cura di Giampaolo Silvestri, con introduzione di Ivan Cattaneo. Del 2016 è la pubblicazione di un altro testo, Mario Mieli – E adesso, a cura di Silvia De Laude per Clichy, con una biografia e una bibliografia, un saggio della curatrice, e molti brani e testi tratti da opere, lettere, discorsi, interviste del milanese. Del 2019 è la pellicola Gli anni amari diretto da Andrea Adriatico e interpretato da Nicola Di Benedetto, presentato in anteprima nella serata di pre-apertura della Festa del Cinema di Roma. gbApprofondisci
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AutoreGiovanni Bertuccio Archivi
Aprile 2022
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