In origine era il CaosApollo non era il contrario di Dionisio nella Grecia arcaica, bensì l'altro aspetto, e questi due dei, insieme, davano espressione alla realtà esistenziale percepita dai greci. Le pulsioni incontrollate, personificate dal dio caprino, non rappresentavano un polo morale, o meglio, come si direbbe oggi, immorale, bensì erano accettate per quello che sono: una parte del proprio sé. Similarmente Freud arriverà alle medesime conclusioni quando affermerà: "chiamiamo Es la più antica di queste province o istanze psichiche: suo contenuto è tutto ciò che ereditato, presente fin dalla nascita, stabilito per costrizione, innanzi tutto dunque le pulsioni che traggono origine dall'organizzazione corporea e che trovano qui in forme che non conosciamo una prima espressione psichica. Sotto l'influsso del mondo esterno reale che ci circonda una parte dell'Es ha subito un'evoluzione particolare. Da quello che era in origine lo strato corticale munito degli organi per la ricezione degli stimoli, nonché dei dispositivi che fungono da scudo protettivo contro gli stimoli, si è sviluppata una particolare organizzazione che media da allora in poi fra Es e mondo esterno. Questa regione della nostra psichica l'abbiamo chiamata Io." Originariamente, dunque, nella storia evolutiva della persona, tutto era Es e l'Io si è sviluppato, come ci dice Freud, dall'Es per influsso persistente del mondo esterno (l'educazione, la civilizzazione). Il mondo esterno, che qui possiamo soprannominare “l'educazione di Apollo”, media e filtra le pulsioni e le trasforma in sublimazione, in arte. Le energie filtrate e sublimate conservano, arrivando alla meta della rappresentazione, una carica sufficiente per produrre l'ebbrezza di Apollo, quella di cui Nietzsche parla e concede anche al dio delfico. Questa non è la stessa ebrezza della scarica nella sua epifania dionisiaca, quella bestiale che si traduce nel grido orgiastico dell'organismo, bensì quella della contemplazione, uno stato di godimento celestiale, paradisiaco, che può essere molto intenso ma da un punto di vista topico si trova all'altro polo. Il concetto di una sublimazione che canalizza le energie dionisiache distillate e depurandole fino al raggiungimento della loro meta.. Freud, all'intuizione folgorante di Nietzsche, contrapponeva un lungo lavoro empirico ma le conclusioni furono le stesse: "come da tempo abbiamo appreso, l'arte offre soddisfacimenti sostitutivi per le più antiche rinunce imposte alla civiltà e contribuisce perciò come null'altro a riconciliare l'uomo con i sacrifici da lui sostenuti in nome della civiltà stessa. Le creazioni dell'arte promuovono d'altronde i sentimenti d'identificazione, di cui ogni ambito civile ha tanto bisogno, consentendo sensazioni universalmente condivise e apprezzate: esse giovano però anche al soddisfacimento narcisistico allorché raffigurano le realizzazioni di una certa civiltà alludendo in modo efficace ai suoi ideali. Muore Dioniso. Muore la TragediaCerto è, da quanto emerge fin qui, che l'alternarsi dei due elementi, apollineo e dionisiaco, è all'origine non solo della vita, essi sono un binomio inscindibile che caratterizza anche l'interiorità dell'uomo. L'uno è necessario all'altro. L'arte, in quanto diretta espressione della vita, ne riproduce il conflitto tragico. Le diverse forme artistiche si sono generate a seconda del prevalere dell'uno o dell'altro elemento, ma il culmine dell'espressività si è raggiunto nella tragedia greca, in quanto al suo interno si riproduce infatti il conflitto in atto nella vita. "L’eccitazione dionisiaca è in grado di comunicare a tutta una massa questo talento artistico, di vedersi attorniata da una tale schiera di spiriti, con la quale essa sa di essere intimamente una. Questo processo del coro della tragedia è il fenomeno drammatico originario: vedere se stessi trasformati davanti a sé e agire poi come se si fosse davvero entrati in un altro corpo, in un altro carattere […] C’è qui qualcosa di diverso dal rapsodo, che non si fonde con le sue immagini, ma che, simile al pittore, le vede fuori di sé con occhio contemplante; qui c’è già un annullamento dell’individuo per il l’ingresso in una natura estranea […] Il coro ditirambico è un coro di trasformati, in cui il passato civile e la posizione sociale sono completamente dimenticati: essi sono diventati i servitori senza tempo del loro dio, viventi al di fuori di ogni sfera sociale. Tutto il resto della lirica corale dei Greci è soltanto un’enorme estensione del singolo cantore apollineo, mentre il ditirambo ci sta innanzi una comunità di attori inconsci, che si considerano tra loro come trasformati […] In questo incantesimo chi è esaltato da Dionisio vede se stesso come Satiro, e come satiro guarda a sua volta il dio, cioè nella sua trasformazione egli vede fuori di sé una nuova visione, come compimento apollineo del proprio stato." Privo dell’elemento dionisiaco la commedia nuova non prese le sembianze, come si potrebbe credere, di un’opera devota ad Apollo, bensì seguace di quello che Nietzsche chiamava un socratismo estetico, e quindi di un arte devota e che serve un nuovo demone: Socrate. Sarà questo il nuovo contrasto, non più fra apollineo e dionisiaco, ma fra dionisiaco e socratismo. “tutto deve essere razionale per essere bello”. Questa proposizione che si sposa perfettamente con il principio socratico: “solo chi sa è virtuoso” fu il canone con cui Euripide si misurava per la creazione delle sue opere; tutto divenne razionale, chiaro perché spiegato. E tale tendenza, denuncia il filosofo, è chiara ed evidente all’interno del prologo: "che un singolo personaggio si presenti all’inizio del dramma e racconti chi è, che cosa procede l’azione, che cosa è accaduto fin ora, e anche che cosa accadrà nel corso del dramma […] si sa già tutto quello che accadrà; chi vorrà attendere che questo realmente accada, dato che qui in nessun modo si presenta lo stimolante rapporto fra sogno profetico e una realtà che si verificherà più tardi?" Con il cambiare della struttura e della funzione che il teatro rivestiva, alla tragedia si sostituì la “commedia attica nuova”. In essa sopravvisse, tuttavia, la forma, degenerata, della tragedia, ma ciò che la caratterizzò fu il portare lo spettatore sulla scena: "lo specchio in cui prima venivano riflessi solo i tratti grandi e arditi mostrò ora quella meticolosa fedeltà che riproduce coscienziosamente anche le linee non riuscite della natura". Ora lo spettatore vedeva e sentiva sulla scena il suo sosia, lo prendeva ad esempio, imparava il suo linguaggio: imparava a discutere con le più furbe sofisticazioni, traeva delle conclusioni. È con questo capovolgimento del linguaggio che fu possibile al suo ideatore, Euripide, creare la commedia nuova. Se fino a quel momento il linguaggio era stato determinato dal semi-dio nella tragedia, prendeva ora a parlare la mediocrità cittadina su cui Euripide fondava le sue speranze: ora tutta la massa filosofava, ora conduceva i suoi processi. Euripide portò lo spettatore sulla scena, e così facendo lo mise, per la prima volta, in condizione di poter giudicare il dramma, creando un rapporto di corrispondenza tra opera d’arte e pubblico. giovanni bertuccioDistruggere..Nietzsche, partendo dall'antico concetto greco del "conosci te stesso" e "diventa ciò che sei" e portando tutto il sapere umano al livello psichico (scrisse infatti che «"conosci te stesso" è tutta la scienza.»), fu il precursore d'una epistemologia e gnoseologia naturalista della conoscenza umana, intesa come prodotto di capacità acquisite in modo evolutivo. Speculazione psico-filosofica che lo portò per primo a penetrare e descrivere i processi inconsci alla base e da cui emerge, come la cima d'un iceberg , la coscienza umana con le sue inclinazioni volitive e cognitive: «Secondo l'ambiente e le condizioni della nostra vita, un istinto emerge come il più stimato e dominante; in particolare, pensiero, volontà e sentimento si trasformano in suoi strumenti» Dalle teorie di Nietzsche, quindi, partirono linee di sviluppo che approdarono alla dottrina degli istinti di Freud e di Pareto ed al loro metodo di considerare il pensiero umano come un dispiegamento e prodotto di meccanismi istintuali. Attraverso il pensiero di Freud, il concetto di uomo e della sua personalità acquisisce una precisa connotazione in ambito filosofico. La grande rivoluzione da lui operata, nella civiltà e nella cultura contemporanea, riguarda essenzialmente il tentativo di indagare in maniera profonda l'enorme complessità dell'animo umano e in particolare le possibilità d'inganno o d'autoinganno della coscienza. Proprio la scoperta freudiana dell'inconscio - e di tutte le sue inevitabili conseguenze - ha determinato uno dei grandi travolgimenti cui il Novecento ha dovuto far fronte. Tramite la psicoanalisi, Freud ha proposto una nuova antropologia, in cui il soggetto non viene più considerato un essere esclusivamente razionale - come sostenuto dall'Idealismo e da Hegel - ma, piuttosto, un'entità caratterizzata anche da una dimensione puramente istintuale. Proprio per questa ragione, Freud rientra tra quei maestri del sospetto - così denominati dal filosofo francese Paul Ricoeur insieme a Friedrich Nietzsche e Karl Marx. «Marx, Nietzsche e Freud: [...] questi tre maestri del sospetto non sono tre maestri di scetticismo. Certamente sono tre grandi "distruttori", e tuttavia anche questo non deve farci sentire perduti; la distruzione, dice Heidegger è un momento di una fondazione del tutto nuova. La "distruzione" dei mondi retrogradi è un compito positivo. ...per Conoscere...Nell'Introduzione alla psicanalisi Freud, nell'analizzare la psiche umana, isolerà due istanze del tutto affini alle caratteristiche delle due divinità greche prese in esame da Nietzsche. Di seguito le peculiarità di Apollo messe a confronto con le istanze psichiche dell'Io freudiano: Questo sistema è rivolto verso il mondo esterno, fa da intermediario alle percezioni che ne provengono, e in esso sorge, nel corso del funzionamento, il fenomeno della coscienza. È l'organo sensorio dell'intero apparato, ricettivo del resto non solo agli eccitamenti provenienti dall'esterno, ma anche da quelli che provengono dall'interno della vita psichica. La concezione secondo cui l'Io è quella parte dell'Es che è stata modificata dalla vicinanza e dall'influsso del mondo esterno, non ha quasi bisogno di essere giustificata: è questa la parte predisposta per la ricezione degli stimoli e per la protezione degli stessi, paragonabile allo strato corticale di cui si circonda il grumo di materia vivente. Il rapporto con il mondo esterno è diventato decisivo per l'Io, il quale si è assunto il compito di rappresentarlo presso l'Es. Confrontando quanto Nietzsche dice di Apollo, e Freud intorno all'Io è facile riconoscere le affinità che intercorrono tra la figura del dio greco e l'istanza psichica. Il dio che è un organo sensorio, l'occhio che tutto vede, che conduce ciò che è esterno all'interno. Che proietta i contenuti psichici interni sullo schermo delle percezioni esterne. Nell'Io la pulsione si trasforma in rappresentazione, la media e sublimandola può trasformarla in arte. Rinuncia – sacrificio - soddisfacimento sostitutivo – riconciliazione - identificazione, sono esattamente gli stadi che dal rito di pubertà tribale e fino agli apici della civilizzazione e della religione portano il singolo a far parte della collettività, sia questa un clan selvaggio o l'ecumene cattolica che vuole abbracciare tutta l'umanità. Arte ed estasi religiosa si fondono nel nirvana della contemplazione in paradiso, meta estrema di qualsiasi sublimazione. Il veicolo è la fede che annette a se il rito tribale, si fonde con esso, ma anche lo sostituisce. L'Eucarestia, il pasto totemico dionisiaco, attraverso il veicolo della fede apollinea, distilla il rito tribale mantenendone il nucleo e lo espande in forma sublimata a tutta l'umanità attraverso il veicolo delle rappresentazioni figurate del dio delfico. Le parole di Freud a proposito dell'Io: “...domina gli eccessi alla motilità, ma ha inserito tra bisogno e azione la dilatazione dell'attività del pensiero”. Il primo Io, “l'influsso persistente del mondo esterno” (supra) era stato dunque lo stregone, il rappresentante della generazione dei padri, che aveva indotto il bisogno (la pulsione) a fare pausa, a dilazionare l'azione e a rinunciarvi fino a che questa non avesse trovato il giusto canale per esprimersi. L'ultimo Io è il Cristo-Apollo, dio dell'ebrezza consumata attraverso la luce, la contemplazione, la fede e l'arte." Nietzsche non conosceva ancora gli studi fatti dagli antropologi a cavallo del secolo, sul totemismo e i riti d'iniziazione tribale, ma aveva intuito perfettamente la nostalgia dei greci per i propri riti arcaici superati, il desiderio del brutto, che si manifestò cronologicamente prima, e il contenuto vitale immanente del pasto totemico, la prima rappresentazione tragica dell'umanità. Con la Nascita della tragedia si afferma che il brutto è antecedente il bello, che questa è la sola istanza autentica e non mediata e che, da lì era cominciato il lungo cammino verso la civiltà. Cosi facendo Nietzsche ci conferma quello che Erodoto ci aveva raccontato, e che dirà dopo di lui Freud: Apollo era venuto dopo Dionisio, come l'Io era venuto dopo l'Es. Quello che Freud definirà come le pulsioni e il loro destino. ...il Dolore.Una questione fondamentale è il rapporto del greco col dolore, il suo grado di sensibilità - questo rapporto rimase uguale a se stesso? Oppure si capovolse? - la questione se in realtà il desiderio sempre più forte di bellezza, di feste, di divertimenti, di culti nuovi non si sia sviluppato dalla mancanza, dalla privazione, dalla melanconia e dal dolore. Posto che proprio questo fosse vero […] da che cosa discenderebbe allora il desiderio opposto, che si manifestò cronologicamente prima, il desiderio del brutto, la buona e dura volontà, di pessimismo nel greco antico, di mito tragico, dell'immagine del terribile, il malvagio, l'enigmatico, il distruttivo e il fatale che si cela in fondo all'esistenza... Che cosa indica la sintesi di dio e capro nel satiro? Per quale esperienza interiore, obbedendo a quale impulso il greco dovè immaginare come satiro l'invasato uomo primordiale dionisiaco? Lette le parole del filosofo, che sanciscono il primato dell'origine di Dionisio sul dio Apollo, vediamo ora cosa lo psicoanalista scriveva intorno l'istanza dell'Es "All'Es ci avviciniamo con paragoni: lo chiamiamo un caos. Un crogiolo di eccitamenti ribollenti. Ce lo rappresentiamo come aperto alle estremità verso il somatico, da cui accoglie i bisogni pulsionali, i quali trovano dunque nell'Es la loro espressione psichica, non sappiamo però in quale substrato. Attingendo alle pulsioni, l'Es si riempie di energia, ma non possiede un'organizzazione, non esprime una volontà unitaria, ma solo lo sforzo di ottenere soddisfacimento per i bisogni pulsionali nell'osservanza del principio di piacere. Le leggi del pensiero logico non valgono per i processi dell'Es, soprattutto non vale il principio di contraddizione. Impulsi contrari sussistono uno accanto all'altro, senza annullarsi o diminuirsi a vicenda; tutt'al più, sotto la dominante costrizione economica di scaricare energia, convergono in formazioni di compromesso, non conosce né giudizi di valore, quantitativo, strettamente connesso al principio di piacere, domina ivi tutti i processi. Investimenti pulsionali che esigono la scarica: a parer nostro nell'Es non c'è altro" Questa descrizione è esattamente quello che corrisponde alla follia platonica e nietzschiana. Se torniamo alle parole di Nietzsche: “nello stato dionisiaco per contro l'intero sistema degli affetti è eccitato e potenziato, in modo che questo scarica in una volta tutti i suoi mezzi espressivi”, pare proprio che entrambi stiano parlando del medesimo argomento. Il “non esprime una volontà unitaria” di Freud era stato per contro “un sentimento mistico di unità” ovvero l'Es non tende alla coerenza con altre istanze psichiche descritte, l'Io e il Super Io. Per quello che riguarda la meta delle pulsioni provenienti da questa provincia psichica, quella scarica, l'Es freudiano ci pare molto coerente nel suo scopo. Se riesce a prescindere dalla funzione inibitoria delle altre istanze psichiche con cui deve condividere il dominio della personalità, una volta ottenuta la scarica “il senso mistico di unità” nietzschiano è esattamente quello che viene raggiunto: questo infatti è il momento dell'orgasmo, apice del fine dell'Es. Ma questa istanza, che Freud preferirà denominare “provincia psichica”, aveva anche incontrato la pulsione di morte e si era unita ad essa in un unico impasto: "Eros e pulsione di morte lottano in esso... Potremmo rappresentarci la situazione come se l'Es stesse sotto il dominio delle mute possenti pulsioni di morte, le quali cercano la pace e si sforzano di ridurre al silenzio, secondo l'indicazione del principio di piacere, l'Eros turbolento." giovanni bertuccioSecondo la mitologia, Zeus avrebbe assegnato una misura appropriata e un giusto limite ad ogni essere: il governo del mondo coincide cosi con un'armonia precisa e misurabile, espressa nei quattro motti scritti sulle mura del tempio di Delfi: “il più giusto è il più bello, osserva il limite, odia hybris (tracotanza), nulla in eccesso”. Su queste regole si fonda il senso comune greco della bellezza, in accordo con una visione del mondo che interpreta l'ordine e l'armonia come ciò che pone un limite allo “sbadigliante caos”, dalla cui gola è scaturito, secondo Esiodo, il mondo. È una visione posta sotto la protezione di Apollo, che infatti viene raffigurato tra le Muse sul fronte occidentale del tempio di Delfi. Ma nello stesso tempio (risalente al IV sec. a.c.) è raffigurato, sul fronte opposto, Dionisio, dio del caos e della sfrenata infrazione di ogni regola. Questa compresenza di divinità antitetiche non è casuale. In generale essa esprime la possibilità, sempre presente, di un interruzione del caos nella bella armonia. Più specificatamente, si esprimono qui alcune antitesi. Una prima antitesi è quella fra bellezza e percezione sensibile. Se infatti la bellezza è si percepibile, ma non completamente, perché non tutto di essa si esprime in forme sensibili, si apre una pericolosa forbice tra apparenza e bellezza: forbice che un filosofo della portata di Eraclito ha aperto affermando che la bellezza armonica del mondo si palesa come causale disordine. Una seconda antitesi è quella tra suono e visione, le due forme percettive privilegiate della percezione greca: benché si riconosca alla musica il privilegio di esprimere l'anima, e solo alle forme visibili che si applica la definizione di bello (kalòn) come “ciò che piace e attrae”. Disordine e musica vengono cosi a costruire una sorta di lato oscuro della bellezza apollinea armonica e visibile, e come tali ricadono nella sfera di azione di Dionisio. Questa differenza è comprensibile se si pensa che una statua doveva rappresentare un'”Idea”, mentre la musica era intesa come qualcosa che suscita passioni. L'arte greca e quella occidentale in generale privilegiano infatti, diversamente da certe forme artistiche orientali, la giusta distanza dall'opera, con la quale non si entra in contatto diretto. La bellezza greca viene cosi espressa dai sensi che lasciano mantenere distanza tra l'oggetto e l'osservatore: vista e udito piuttosto che tatto, gusto, olfatto. Ma le forme udibili, come la musica, suscitano sospetto, per il coinvolgimento che comportano nell'animo dello spettatore. La bellezza apollinea si presenta come uno schermo che cerca di cancellare la presenza di una bellezza dionisiaca, conturbante, che non si esprime nelle forme apparenti, ma aldilà delle apparenze. … i due impulsi così diversi procedono uno accanto all'altro, per lo più in aperto dissidio tra di loro e con un 'eccitazione reciproca a frutti sempre nuovi e più robusti, per perpetuare in essi la lotta di quell'antitesi, che il comune termine “arte” solo apparentemente supera […] Per accostarci di più a quei due impulsi, immaginiamoli innanzitutto come mondi artistici separati del sogno e dell'ebrezza […] come forze artistiche erompono dalla natura stessa senza mediazione dell'artista umano, e in cui gli impulsi artistici della natura trovano anzitutto e in via diretta soddisfazione: da una parte come immagini del sogno, la cui perfezione è senza alcuna connessione con l'altezza intellettuale o la cultura artistica del singolo; d'altra parte come realtà piena di ebrezza, che a sua volta non tiene conto dell'individuo, e cerca anzi di annientare l'individuo e di liberarlo con un sentimento mistico di unità. Apollo, come dio di tutte le capacità figurative è insieme il dio divinante, egli è anche il dio della bellezza, della luce e del sole. Egli è il dio dell'occhio, e infatti questo organo è quello che più di tutti gli altri fa da ponte tra il mondo esterno e quello interno, la sua sapienza è quella di ciò che vede fuori per insegnarlo all'interno. La vista, come tutti gli altri sensi, non può essere strumento obbiettivo, nel momento stesso in cui trasmette le immagini esterne all'interno, le traduce automaticamente in visione. Inoltre non è solo quella che ci aiuta a percepire il mondo esterno ma è anche il ponte attraverso il quale proiettiamo all'esterno la rappresentazione dei nostri contenuti interni, che senza questo rimarrebbero amorfi. Al contrario di Apollo, Dionisio aveva aspetti molto diversi. In forma umana lo si rappresentava con una maschera barbuta. Era associato a Pan e ai piccoli Pan, i dei fallici e pelosi della foresta. Il dio era l'antitesi della bellezza apollinea dalle proporzioni plastiche perfette, e rappresentava gli eccessi, l'ebrezza, la sfrenatezza, la perdita di controllo e l'orgiastico. Durante le feste in suo onore le Bacchanalia (Dyonisia) le donne abbandonavano le proprie famiglie, andavano sui monti vestite di pelli di fauno e gridavano “Euoi”, il grido rituale. Formavano delle bande sacre (thyasi) e danzavano alla luce di fiaccole al ritmo del flauto e del tympanon. Mentre erano sotto l'ispirazione del dio avevano forze occulte, l'abilità di incantare i serpenti, e forze sovrumane che permettevano loro di dilaniare gli animali vivi e sbranarli (omophagia). Le baccanti gridavano il suo nome come Bromios (il tuonante), Tautokeros (dalle corna di toro), Tauroprosopos (dalla faccia di toro), nella credenza che incarnasse un animale sacrificale. Appariva spesso in veste di vari animali, tutti pelosi e generalmente selvatici. Nelle raffigurazioni arcaiche viene rappresentato come un uomo barbuto, un Sileno, e solo in epoca ellenista, quando Apollo avrà preso definitivamente la preminenza, come giovane effeminato. Gli artisti rappresentavano i satiri con peni esuberanti e ci sono pitture vasarie del VI e V secolo che li rappresentano con erezioni della grossezza di un braccio; anche nelle commedie di satiri il pene portato dai membri del Coro era in erezione. Alcune feste greche, comprese le Dionisiache cittadine e quelle rurali in Attica, comprendevano una processione in cui veniva portato un fallo in onore di Dionisio. Dionisio-Pan, aveva anticipato Apollo nelle nebbie delle steppe che avevano preceduto l'Olimpo greco, condensa l'antitesi di quelle che saranno le peculiarità del dio delfico, e simboleggia l'alter ego delle soluzioni apollinee. Entrambi divini poiché questi sono i poli di un'unica equivalenza. Con la rimozione completa della propria realtà esistenziale tribale, all'interno della società greca, si creò una scissione tra le due divinità che assunse una connotazione normativa. Apollo diventò, sempre di più, anche il simbolo di un ordine morale e con il progredire dei secoli, la divergenza tra questi due dei si accentuò sempre di più, fino a diventare il simbolo, uno del bene assoluto, l’altro del male assoluto. Il cristianesimo, spinse questa divergenza, da quella che una volta era stata un’equivalenza, ai suoi estremi, fino a tradurre l’immagine di Apollo, astro principale dell’universo, in quella del Cristo, e quella di Dioniso, demone caprino e peloso dagli istinti sfrenati, in quella del Diavolo. Simbolo di luce e di giustizia e, quindi, di equilibrio e di moralità l’uno; simbolo di oscure macchinazioni e, quindi, di sfrenatezza e d’immoralità, l’altro. Con il prevalere dell’apollineo la “conoscenza” dell’immanenza pulsionale dionisiaca viene rimossa, relegata ai misteri, feudo esclusivo di un’élite di iniziati guardati con sospetto, forse come lo sono i massoni dei giorni nostri, e tale deve rimanere: un mistero. La musica orgiastica dionisiaca, la danza sfrenata e persino la tragedia eschilea vengono relegate all’opposto e diventeranno l’antitesi di quello che è socialmente desiderabile, al punto che Platone suggerisce di proibirle nel suo stato ideale, cosi come propone di proibire Omero e di censurare i miti greci che raccontano di cose “sconvenienti”. Tuttavia i riti legati a Dioniso, continuarono a venire festeggiati, come nelle dionisiache rurali e cittadine, e persino vi era una città sacra denominata Dionysia dove ogni sorta di svaghi e orge venivano celebrate all’insegna del dio. In epoca ellenista un teatro fu edificato in suo onore sull’Acropoli di Atene, ma quella che ai tempi di Eschilo era ancora una tragedia divenne commedia e in questo teatro si festeggiava sempre meno la sacralità e sempre di più la scurrilità del dio. La gente non andava più a teatro per esperimentare sulle proprie membra la passione del pasto totemico nel tremore dell’identificazione e della catarsi bensì per svagarsi: le commedie dei satiri, un cabaret parallelo ad ogni società in decadenza, e le rappresentazioni teatrali all’insegna di Dioniso prolificavano come i nigth-clubs di Parigi o della Berlino tra le due guerre. Divenne un dio della fertilità, come quelli semiti celebrati in tutto l’oriente ellenizzato: Attis, Adonis, Tammuz. Diventò improvvisamente un dio “orientale”, come quelli che morivano alla fine della primavera per risuscitare in autunno, quando nel Medio Oriente le prime piogge riportano alla vita la natura, che era rimasta arida sotto il solleone estivo. Dalla metà del V secolo in poi divenne un dio con il quale l’anima greca avrà sempre più difficoltà a identificarsi. Sempre meno dio e sempre più satiro, nel senso volgare della parola. La morte sociale di Dioniso trascinerà con se anche l’agonia di Apollo. Il dio defico senza un’equivalenza antitetica perderà anche lui di intensità vitale. La sua massima espressione, la saggezza comunicata per enigmi, transustazione dell’arcaica conoscenza comunicata ai giovani attraverso il rito iniziatico puberale, diventa attraverso la razionalizzazione della filosofia, “verità ideale”. L’arte occidentale, dopo essere arrivata ai suoi apici nella fusione delle energie dionisiache con il medium visivo del dio delfico, dal IV secolo in poi comincia a decadere. Il regno di Fidia e di Prassitele viene sostituito da quello di Platone e di Aristotele. La filosofia viene al posto dell’arte, come strumento di rimozione e di razionalizzazione. Apollo aveva vinto, ma era molto, molto stanco. Il processo era stato lento ma letale. Se il modus mentale apollineo aveva portato alla democrazia della polis greca come sviluppo naturale del bisogno di libertà ispirato da Apollo come conseguenza del superamento del rito tribale e della Legge del Padre, ecco che Platone vuole codificare delle regole precise, vuole farne una repubblica ideale, e introdurre così dalla porta posteriore una censura e una regolamentazione che sono proprio l’antitesi dello spirito di libertà della polis greca. Come già, per Platone, il bello era stato il parametro per costruire i suoi schemi filosofici, questi fanno presto a diventare una fede. Quando nella Grecia arcaica il dio delfico dall’interno del suo tempio si pronunciava per enigmi, le sue sentenze oscure alludevano che solo i degni, gli iniziati alla vera essenza del dio avrebbero potuto decodificarne i significati: eravamo ancora ben lungi dalla filosofia socratica e le sue catene di sillogismi. Con Platone lo schema è pronto: il filosofo, ispiratosi al bello, che come abbiamo visto è l’antitetico del brutto, il capro, filosoferà su quello che è buono o malvagio, giusto o ingiusto. Il filosofo diventa così il nuovo sacerdote di Apollo. La sua aspirazione è tradurre i suoi postulati filosofici in articoli di fede: siamo già alle soglie del dogma. Se Platone sa di poter distinguere tra il bene e il male, teme però che non tutti riceveranno i suoi postulati, e non si accontenta di diffondere la sua scienza, vuole imporla come unico schema politico. I filosofi della sua Repubblica non sono più dunque come l’oracolo di Apollo, che viene consultato volontariamente da chi vuole essere illuminato attraverso il medium della sacralità del dio, bensì una classe politica detentrice della verità assoluta. giovanni bertuccio |
AutoreGiovanni Bertuccio Archivi
Gennaio 2022
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