|
gb
In origine era il Caos
"chiamiamo Es la più antica di queste province o istanze psichiche: suo contenuto è tutto ciò che ereditato, presente fin dalla nascita, stabilito per costrizione, innanzi tutto dunque le pulsioni che traggono origine dall'organizzazione corporea e che trovano qui in forme che non conosciamo una prima espressione psichica. Sotto l'influsso del mondo esterno reale che ci circonda una parte dell'Es ha subito un'evoluzione particolare. Da quello che era in origine lo strato corticale munito degli organi per la ricezione degli stimoli, nonché dei dispositivi che fungono da scudo protettivo contro gli stimoli, si è sviluppata una particolare organizzazione che media da allora in poi fra Es e mondo esterno. Questa regione della nostra psichica l'abbiamo chiamata Io."
Originariamente, dunque, nella storia evolutiva della persona, tutto era Es e l'Io si è sviluppato, come ci dice Freud, dall'Es per influsso persistente del mondo esterno (l'educazione, la civilizzazione). Il mondo esterno, che qui possiamo soprannominare “l'educazione di Apollo”, media e filtra le pulsioni e le trasforma in sublimazione, in arte. Le energie filtrate e sublimate conservano, arrivando alla meta della rappresentazione, una carica sufficiente per produrre l'ebbrezza di Apollo, quella di cui Nietzsche parla e concede anche al dio delfico. Questa non è la stessa ebrezza della scarica nella sua epifania dionisiaca, quella bestiale che si traduce nel grido orgiastico dell'organismo, bensì quella della contemplazione, uno stato di godimento celestiale, paradisiaco, che può essere molto intenso ma da un punto di vista topico si trova all'altro polo. Il concetto di una sublimazione che canalizza le energie dionisiache distillate e depurandole fino al raggiungimento della loro meta.. Freud, all'intuizione folgorante di Nietzsche, contrapponeva un lungo lavoro empirico ma le conclusioni furono le stesse:
"come da tempo abbiamo appreso, l'arte offre soddisfacimenti sostitutivi per le più antiche rinunce imposte alla civiltà e contribuisce perciò come null'altro a riconciliare l'uomo con i sacrifici da lui sostenuti in nome della civiltà stessa. Le creazioni dell'arte promuovono d'altronde i sentimenti d'identificazione, di cui ogni ambito civile ha tanto bisogno, consentendo sensazioni universalmente condivise e apprezzate: esse giovano però anche al soddisfacimento narcisistico allorché raffigurano le realizzazioni di una certa civiltà alludendo in modo efficace ai suoi ideali.
Muore Dioniso. Muore la Tragedia
"L’eccitazione dionisiaca è in grado di comunicare a tutta una massa questo talento artistico, di vedersi attorniata da una tale schiera di spiriti, con la quale essa sa di essere intimamente una. Questo processo del coro della tragedia è il fenomeno drammatico originario: vedere se stessi trasformati davanti a sé e agire poi come se si fosse davvero entrati in un altro corpo, in un altro carattere […] C’è qui qualcosa di diverso dal rapsodo, che non si fonde con le sue immagini, ma che, simile al pittore, le vede fuori di sé con occhio contemplante; qui c’è già un annullamento dell’individuo per il l’ingresso in una natura estranea […] Il coro ditirambico è un coro di trasformati, in cui il passato civile e la posizione sociale sono completamente dimenticati: essi sono diventati i servitori senza tempo del loro dio, viventi al di fuori di ogni sfera sociale. Tutto il resto della lirica corale dei Greci è soltanto un’enorme estensione del singolo cantore apollineo, mentre il ditirambo ci sta innanzi una comunità di attori inconsci, che si considerano tra loro come trasformati […] In questo incantesimo chi è esaltato da Dionisio vede se stesso come Satiro, e come satiro guarda a sua volta il dio, cioè nella sua trasformazione egli vede fuori di sé una nuova visione, come compimento apollineo del proprio stato."
Privo dell’elemento dionisiaco la commedia nuova non prese le sembianze, come si potrebbe credere, di un’opera devota ad Apollo, bensì seguace di quello che Nietzsche chiamava un socratismo estetico, e quindi di un arte devota e che serve un nuovo demone: Socrate. Sarà questo il nuovo contrasto, non più fra apollineo e dionisiaco, ma fra dionisiaco e socratismo. “tutto deve essere razionale per essere bello”. Questa proposizione che si sposa perfettamente con il principio socratico: “solo chi sa è virtuoso” fu il canone con cui Euripide si misurava per la creazione delle sue opere; tutto divenne razionale, chiaro perché spiegato. E tale tendenza, denuncia il filosofo, è chiara ed evidente all’interno del prologo:
"che un singolo personaggio si presenti all’inizio del dramma e racconti chi è, che cosa procede l’azione, che cosa è accaduto fin ora, e anche che cosa accadrà nel corso del dramma […] si sa già tutto quello che accadrà; chi vorrà attendere che questo realmente accada, dato che qui in nessun modo si presenta lo stimolante rapporto fra sogno profetico e una realtà che si verificherà più tardi?"
Con il cambiare della struttura e della funzione che il teatro rivestiva, alla tragedia si sostituì la “commedia attica nuova”. In essa sopravvisse, tuttavia, la forma, degenerata, della tragedia, ma ciò che la caratterizzò fu il portare lo spettatore sulla scena: "lo specchio in cui prima venivano riflessi solo i tratti grandi e arditi mostrò ora quella meticolosa fedeltà che riproduce coscienziosamente anche le linee non riuscite della natura". Ora lo spettatore vedeva e sentiva sulla scena il suo sosia, lo prendeva ad esempio, imparava il suo linguaggio: imparava a discutere con le più furbe sofisticazioni, traeva delle conclusioni. È con questo capovolgimento del linguaggio che fu possibile al suo ideatore, Euripide, creare la commedia nuova. Se fino a quel momento il linguaggio era stato determinato dal semi-dio nella tragedia, prendeva ora a parlare la mediocrità cittadina su cui Euripide fondava le sue speranze: ora tutta la massa filosofava, ora conduceva i suoi processi. Euripide portò lo spettatore sulla scena, e così facendo lo mise, per la prima volta, in condizione di poter giudicare il dramma, creando un rapporto di corrispondenza tra opera d’arte e pubblico.
giovanni bertuccio
Certo è che soltanto a partire dal Settecento il sublime diviene una vera e propria categoria estetica, contrapponendosi alla centralità del bello oppure rafforzandone le potenzialità estetiche. Il godimento estetico nelle belle forme, nella grazia e nella proporzione lasciava, nel Settecento, anche se in fase germinale, il posto alla predilezione verso un nuovo sentimento, quello del sublime, in grado di aprire, al nostro interno, un orizzonte oscuro, lo stesso che lega la natura alle passioni dell'uomo. Ed è seguendo questa direzione che Edmund Burke con la sua Indagine filosofica sull'origine delle nostre idee di Sublime e Bello, rappresenta un fondamentale passaggio storico-teorico del concetto. Nella ricerca di Burke il sublime è definito come <<ciò che produce la più forte emozione che l'animo sia in grado di sentire>>; emozione che tuttavia non deriva da una “reale” esperienza negativa ma da una situazione in cui, pur avendo una ben precisa idea del dolore e del pericolo, non né siamo a diretto contatto. Di fronte a sentimenti quali paura, dolore o orrore, lo stupore che invade e paralizza non deve condurre alla distruzione del soggetto, bensì deve indurre la consapevolezza di un dolore “mancato”, che si guarda a distanza. Il piacere generato da questa situazione, sublime perché ambigua, non è per Burke un vero e proprio piacere “positivo” vista la sua relazione con il dolore.
Il sublime si pone dunque come istinto di auto-preservazione in tutte quelle situazioni in cui il soggetto è in uno stato di “privazione”, ad esempio di fronte all'infinito, al vuoto, all'oscurità, alla solitudine o al silenzio. È chiaro come questo tipo di sensazione, o meglio sensazioni al plurale, si contrappongano nettamente al concetto di bello, sia nei risvolti estetici che artistici. Il bello non è più forma, proporzione con Burke. Il bello non deve soddisfare più il piacere degli occhi attraverso giochi cromatici o trovate prospettiche. Più che condizioni esterne il bello deve soddisfare necessità interne. Dalla messa in pratica di regole che ne decretavano la bellezza, l'arte più che essere vista, da qui in poi, e molto lentamente, andava sentita financo vissuta.
Ovviamente le riflessioni estetiche sul sublime andarono alimentandosi, il secolo di Burke si chiuse con le osservazioni kantiane e le opere di Schiller e Schelling; l'Ottocento caricò di nuova enfasi le definizioni, dando vita alle opere di Hegel e Schopenhauer, con le quali il divario arte vita andava rimpicciolendosi. Consideriamo sinteticamente le opere dei due. Nella sua Estetica, Hegel pone il sublime, concordando con i suoi predecessori, come la manifestazione estetica di un contrasto fra finito e infinito.
Con i pensatori romantici l'attenzione della riflessione filosofica si sposta dalla natura, come oggetto di indagine, all'arte. Originale, nel periodo romantico, è soprattutto il legame tra le diverse forme, dettato non dalla ragione, ma dal sentimento e dalla ragione, legame che non mira a escludere le contraddizioni o a risolvere le antitesi (finito/infinito, intero/frammento, vita/morte, mente/corpo), ma ad accoglierle in un insieme unitario. La bellezza cessa di essere forma e diventa bello l'informe, il caotico. Non interessa più l'appagamento degli occhi, ma si è più inclini alla fascinazione di ciò che viene suscitato nell'animo dello spettatore.
Con il progredire della società e il suo, conseguente, complicarsi, cambia inevitabilmente, anche il singolo che vive in questa società.
L'uomo moderno non è più, come si credeva, il frutto di un'evoluzione ma, comincia a insinuarsi l'idea che l'uomo sia il prodotto di una degenerazione della purezza originaria, e poste cosi le cose, la battaglia contro la civiltà andava combattuta con armi nuove, non più trattate dall'arsenale della ragione (che è prodotta dalla medesima degenerazione), ma far prevalere le armi del sentimento, della natura. La natura stessa, contrapposta all'artificio della storia appariva oscura, informe, misteriosa: non si lascia catturare da forme precise e nette, ma travolge lo spettatore con visioni grandiose e sublimi. Per questo non si descrive la bellezza della natura, ma la si sperimenta direttamente, la si intuisce lanciandovisi dentro.
I significati classici di bellezza, dunque, sono definitivamente ridiscussi e si giunge a ipotizzare, come accadrà in Victor Hugo, che siano la molteplicità delle cose brutte, e non l'armonia della bellezza, le sole capaci di dire la complessità dell'arte. Anche Baudelaire, esaltando il senso simbolico del bello, ne afferra anche la contingenza e di conseguenza la pluralità di modi e categorie attraverso le quali la sua forza può esplicarsi. La bellezza apollinea è ormai attraversata, come dimostra la Nascita della tragedia di Nietzsche, da un impulso dionisiaco, spirito di ebrezza e di trasgressione eccedente. Con quest'opera si chiude il secolo dei romantici e si saluta da vicino il Novecento portando in eredità la distruzione dell'idea classica del bello e della sua autonoma pienezza simbolica. Elementi che avranno pieno compimento nel corso di tutto XXI sec., ma che già, all'epifania del nuovo secolo, trovarono nuova linfa nei movimenti d'avanguardia: Dadaismo, Surrealismo, Espressionismo, Futurismo contestarono fermamente la possibilità di una forma assoluta per il bello e ancor più radicalmente negarono che l'arte possa trovare nella bellezza un principio di sintesi o di definizione.
giovanni bertuccio
Assolutamente si. BATTUAGE racconta di come la ricerca spasmodica del sesso può tramutarsi in una tendenza del tutto anti-erotica che rivela la morte stessa del sesso, o meglio dell’eros. La nostra società è sempre più virtuale e più solitaria e l’individuo finisce per instaurare un rapporto erotico con la propria immagine, reiterando diverse declinazioni di autoerotismo . Anche quando si parla di un rapporto con un altro corpo, un altro spirito, un’altra persona. C’è sempre meno voglia di esporsi e di condividere.
Il Maschio. Quello che racconti, sia nel primo che nel secondo spettacolo, è un mondo non solo omosessuale, ma prettamente maschile. Dove maschile è da intendersi come il genere della razza uomo. Dunque l'uomo istintivo ed animale. Libero e cacciatore? Incapace, forse denunci in Battuage, di rapporti sani e puri, “fin che morte non ci separi”?
Nei nostri spettacoli c’è sicuramente il risultato di un interrogativo aperto su che cosa sia oggi maschile e femminile. Io credo che maschile nella nostra società voglia dire solo in apparenza maggiore libertà. Piuttosto coincide spesso con maggiore (auto)-imposizione. Credo che questa società sia strettamente fondata solo su un aspetto particolare del maschile legato più al POTERE e all’imposizione del potere sugli altri. Ma machile è davvero solo questo? La società capitalista e consumista sembra valorizzarne solo questo aspetto. E noi uomini finiamo per perdere di vista il resto. Il potere si trasforma troppo presto in affanno distruttivo.
Io credo tantissimo nelle donne e credo di amarle molto. Al di la dei risvolti legati alla storia raccontata da Battuage credo che la donna debba prendere posizione (ma bisogna anche che gli sia concesso!). La società è maschio. Le donne hanno bisogno di scrollarsi di dosso l’etichetta che storicamente le dipingono come sesso debole, inferiore rispetto all’uomo. Ma questa è la donna dipinta da una società maschilista. Io auspico ad una società maggiormente concentrata sull’universo femminile in quanto portatore dei veri valori fondanti dell’umanità. Auspicherei ad una società fondata più sull’empatia che sul potere. Ma non bisogna dare per scontato che anche per le donne “il femminile” coincida sempre e automaticamente con il genere femminile. Molto spesso la donna finisce (per non rimanere schiacciata) per aderire perfettamente al modello maschile, a reiterarlo e a svilire anche la sua figura di donna.
Il rapporto con la spiritualità, con il divino è indubbiamente qualcosa per me di aperto e non ancora del tutto definito. Mi definisco ateo o ancora meglio non credo nella religione, ma questo non significa che la società (e io stesso) non abbia bisogno di coltivare la propria spiritualità, anzi. Personalmente non riesco ad aderire a qualcosa di dogmatico e precostituito cosi forse dentro il nostro percorso artistico c’è tanta conflittualità con questo dio. Tanto desiderio di sentirlo e anche di rimpianto di non averlo al nostro fianco. Così spesso dio è un urlo propagato nel vuoto.
Purtroppo tutti questi sono i modelli proposti di ‘nuova classe media’ che si sta sempre più imponendo e delineando non tanto da un punto di vista culturale come è stata storicamente nel ‘900 ma a partire da una sua reiterata e consapevole degenerazione. Siamo ben al di là sotto del concetto di cultura di massa. Una volta la tv assolveva a compiti ben più nobili. L’intrattenimento era anche culturale. Oggi invece c’è la precisa volontà di proporre modelli beceri e a cui spesso si finisce per aderire perché non se ne hanno degli altri così forti. Ma perché? È la domanda che non trova risposta. Prima per ‘agire’ quasi sempre bisognava unirsi e farlo nel contesto della collettività. Oggi si ‘agisce’ in una dimensione pubblica fintamente collettiva (la piazza pubblica dei social network) ma che rivela solo la nostra solitudine e il nostro isolamento. E tutto questo non è affatto inconsapevole. Manchiamo sempre più l’appuntamento con una dimensione carnale delle cose. Con una dimensione creativa e di confronto con l’altro. E finiamo per sprofondare dentro noi stessi arrivando a deformare la nostra stessa percezione della realtà. Siamo tutti delle star. Ci affanniamo ad essere “speciali”. E che cosa resta di noi?
gb
APPROFONDIMENTI
VUCCIRIA TEATRO
Autore
Giovanni Bertuccio
Archivi
Gennaio 2022
Gennaio 2021
Gennaio 2020
Settembre 2019
Marzo 2019
Gennaio 2019
Ottobre 2018
Giugno 2018
Maggio 2018
Aprile 2018
Gennaio 2018
Marzo 2017
Dicembre 2016
Novembre 2016
Ottobre 2016
Settembre 2016
Luglio 2016
Giugno 2016
Maggio 2016
Categorie
Tutti
Action Painting
AIDS
Anna Halprin
Annibale Ruccello
ANNI NOVANTA
Anni Sessanta
Arnulf Rainer
Art Brut
Arte
Arte Dei Folli
ARTE E STRADA
ARTE RELAZIONALE
Artivisive
Azioni
Bodyart
CAMP
Cibele
CIRCO VERTIGO
CLAUDIO ZANOTTO CONTINO
COMPORTAMENTO
COOPERATIVA ITALIANA ARTISTI
Coreografi
Corpo
CORPO E TEATRO
Cromosomi
Cubo Teatro
Danza
DANZA CONTEMPORANEA
Danza Di Comunità
Danza Di Comunità
DANZA URBANA
DES Danza Educazione Società
Drag
EGRIBIANCODANZA
FESTIVAL
FLIC TEATRO
Franca Zagatti
Gender
Genere
Genetica
GRAFFITISMO
Graphic Novel
Gunter Brus
Hans Prinzhorn
Hermann Nitsch
Il Teatro Dell'altro
Informale
INTERPLAY FESTIVAL
Interviste
ITALIA
Jean Claire
Jean Dubuffet
JEFF KOONS
Judson Dance Theate
Kunst Und Revolution
LACAN
La Nuova Drammaturgia Napoletana
L'art Chez Les Fous
Lesbismo
Luca Silvestrini
Malerei-Selbstbemalung-Selbstverstumme-lung
Mario Mieli
MICHEL FOUCAULT
Monique Witting
MOSTRE
NATURA IN MOVIMENTO
Nicola Galli
NICOLAS BOURRIAUD
NOVECENTO
ORLAN
Otto Muehl
Otto Muhl
Performance
Pollock
PROGETTO ORESTE
Protein Dance Company
PSICODRAMMA
QUEER
Queer E Arte
Queer E Danza
Queer E Teatro
Registi
Renato Barilli
Riti Di Passaggio
Riti Orgistici
Rito E Danza
RUDOLF LABAN
SILVIA BATTAGLIO
STRADA E ARTE
STREET ART
STREET DANCE
Taurobolio
Teatro
TEATRO A CORTE
Teatro Di Orge E Misteri
TEATRO DI STRADA
Teatro Sociale
TECNOLOGIA
TORINO
TRACEY EMIN
Videoart
Videoinstallazione
VUCCIRIA TEATRO
Walter Benjamin
Wiener Aktionisten
Willi Ninja
Wolfli