![]() La crisi socio-politica che agitava l'Italia in quegli anni servì da stimolo per la ricerca e l'affinamento di mezzi utili ad analizzare tutte le sfere della cultura, in relazione con le politiche dominanti, mettendo in discussione Borghesia e Sistema Capitalistico. Un gusto per la dissacrazione e la parodia contro i feticci della cultura piccolo borghese, provinciale e retorica, portò alla nascita di gruppi e collettivi teatrali e a tutta l'esperienza del decentramento teatrale: ai margini della scena teatrale ufficiale. Questo tipo di teatro - che si faceva per le strade, fra la gente, proponendosi come mezzo di agitazione e impegno sociale – esigeva una profonda adesione alle problematiche del territorio per approfondire discorsi quotidiani, come il sesso, la famiglia, il lavoro e tutto ciò che nella società rappresenta un tabù o un ostacolo. Lo scopo era quello di trasformare il teatro in un mezzo a cui si poteva accedere liberamente, iniziando una ristrutturazione dei vecchi codici teatrali, inadatti ormai a comunicare al pubblico. E contro l'insufficienza del vecchio naturalismo si cerca un diverso uso del linguaggio con l'obiettivo di raccontare meglio, più direttamente, le contraddizioni e dissensi sociali. ![]() In Art et Politique, 1974, Mickel Dufrenne parla di una certa pratica utopica, attraverso la quale, negli anni Settanta, rivoluzione in arte ed in politica coincidevano. Uno sciopero, scriveva, è un'azione politica ma può essere anche un avvenimento estetico, come una festa o un fuoco d'artificio (...) e le due rivoluzioni, quella politica e quella artistica, hanno lo stesso campo: la vita nella totalità sociale; tutte e due cambiano, hic et nunc, il vissuto. Esse fanno scricchiolare i significati reinventando le parole, si impossessano del reale. Un reale che non è ancora asettizzato, normalizzato, artificializzato, un reale che il desiderio conosce come il luogo dei possibili. E precisamente le due rivoluzioni procedono dallo stesso desiderio. I Gruppi Teatrali di Base, il nome che la critica ha dato a queste esperienze teatrali, erano fortemente collocate a sinistra e la loro esistenza era di breve durata. Con lo scopo di stimolare e costruire una soggettività attraverso l'approfondimento della propria condizione sociale e culturale, sia essa operaia, femminile o omosessuale. Per favorire tale costruzione il programma dei Gruppi comprendeva: espressione e analisi delle soggettività; recupero critico del patrimonio culturale espropriato; confronto con le diverse soggettività del sociale e che percorrono lo stesso cammino. ![]() Da fenomeno spontaneo e sottovalutato - molti gruppi cominciarono la loro esperienza per caso o sulla base di motivazioni generiche: rifiuto del consumismo, voglia di fare teatro - l'esperienza dei gruppi di base divenne un fenomeno di importanza e di incidenza non inferiore a quella del teatro ufficiale. Questa larga diffusione dei Gruppi di base portò all'esigenza di una qualche forma di coordinamento, non tanto per organizzare in qualche modo le diverse realtà o per cercare di darsi una struttura istituzionale, quanto per chiarire a sè stessi e agli altri le ragioni e i modi della loro esistenza e del loro operare, per avere la possibilità di un confronto, per conoscersi e autoidentificarsi. L'incontro più importante si svolse a Bergamo il 5 dicembre 1976 e un anno dopo, dal 18 al 20 marzo 1977, a Cascina Terme ebbe luogo il primo convegno nazionale dei Gruppi Teatrali di Base. Ad onor del vero, un primo convegno si era svolto a Perugia nel novembre del 1970 ma venne dimenticato. Un esempio di gruppo teatrale di base è il collettivo Tupac Amaru fondato da Danio Manfredini,Paolo Nalli, Dolly Albertin e César Brie. Comincia a muovere i suoi primi passi nel 1975, inserendosi nel centro sociale del quartiere e quindi in rapporto organico con la vita degli abitanti, con le loro lotte e le loro avanguardie. L'attività del collettivo si muoveva in stretta relazione con quelli che erano i problemi del quartiere dell'Isola a Milano. E sempre di Milano il gruppo Teatro emarginato nato anch'esso nel '75 in seguito all'occupazione di uno stabile, il Fabbricone, organizzata da Autonomia Operaia. Il suo fine può essere sintetizzato in una frase: Non siamo spettacolo della contestazione, ma siamo in lotta per la rivoluzione. gbApprofondisci
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AutoreGiovanni Bertuccio Archivi
Gennaio 2020
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