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QUEER E TEATRO                                                    ANNI 2000                                                                EMMA DANTE

1/5/2020

 
Foto
La regista Emma Dante a La Biennale di Venezia, 2020


TORINO

Nata a Palermo nel 1967, Emma Dante si diploma all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico a Roma nel 1990. Subito, e trasferendosi a Torino, si unisce alla Compagnia della Rocca lavorando a stretto contatto con Roberto Guicciardini. Sono anni propositivi e creativi quelli torinesi degli anni Novanta, in cui andava sviluppandosi un nuovo modo di fare teatro. Nasce il teatro di narrazione e a quell'esperienza - che nel 1995 vide le compagnie di Torino unirsi nel consorzio Canto per Torino, diretto da Gabriele Vacis - prese parte anche la giovane Emma Dante. 


​SUD COSTA OCCIDENTALE

Ormai drammaturga e regista, Emma Dante lascia Torino e torna a Palermo e nel 1999 fonda la compagnia Sud Costa Occidentale. Due anni dopo, la compagnia si aggiudica il Premio Scenario 2001 per il progetto “mPalermu” e la giovane palermitana il Premio Lo Straniero come regista emergente. Due Premi Ubu, 2002 e 2003, come novità italiana e, nel 2004, si aggiudica sia il Premio Gassman come migliore regista italiana, sia il premio della critica per la drammaturgia e la regia. Nel 2005, vince il premio Golden Graal come migliore regista per lo spettacolo Medea. Da qui, una carriera vivissima ed eclettica, ri-confermata nel 2021 con il Nastro d'argento per la regia di Le sorelle Macaluso.

"Non faccio un teatro «politico» perché non parlo di Berlusconi, di cronaca nera, ma ho messo in atto delle denunce sociali. Il mio teatro ha a che fare con le inciviltà del mondo". Emma Dante, Palermo Dentro, Porcheddu 2013

I suoi spettacoli raccontano di personaggi ai margini e famiglie sole. Evidenziano un'umanità allo sbando, quotidianità domestiche in cui pochissimo spazio è concesso all'amore, che civilizza e innalza, e tantissimo invece se ne concede all'animalità e alla violenza che abbassano. Della sua produzione si sono scelti tre spettacoli a tematica queer, letti attraverso lo spettro e della critica teatrale e delle teorie queer. Rappresentazioni e idee di un'omosessualità che si modificano col cambiare del tempo e della politica. E dalla rivoluzione all'involuzione.



​Mishelle di Sant'Oliva 2006
UNO FRA I TANTI

​

Dal quartiere palermitano della prostituzione da cui il titolo, Mishelle di Sant'Oliva è una pièce teatrale che mescola tragico e grottesco per scavare all'interno di una famiglia ai margini. Un ambito domestico fatto di miseria, economica e morale.

La vicenda di Gaetano, il padre, e di suo figlio Salvatore è una storia in cui la comunità queer (ma non solo ovviamente) può ben riconoscersi: gli accesi dialoghi, le liti violente e le frequenti incomprensioni fanno parte dell'intimità di ognuno. Tutti possono immedesimarsi nell'uno o nell'altro, ma qualunque sia la scelta, il dolore resterà il medesimo. Per empatia. E se è proprio nel rancore e nella rabbia con cui il pubblico si immedesimerà inizialmente, successivamente sarà guidato, sapientemente, verso la trasformazione dei sentimenti negativi in positivi.

Salvatore, conosce la verità sulla madre, sa cioè che scappata per diventare ballerina si è, poi, ritrovata a fare la prostituta. E il suo travestirsi, nello sguardo di Dante, appare come un modo per avvicinarsi al padre, volendo ricordare la moglie/madre perduta.

E l'incontro tra i due avverrà proprio quando il padre, abbandonando forse le strutture mentali di cui tutti siamo vittime, riconoscerà la moglie nel figlio (il femminile nel maschile) abbracciandolo forte.
​L'incontro, si sottolinea, è dato dalla condivisione, se pur del dolore. Siamo nel 2006 e Michelle della Dante, potremmo dire, sintetizza bene il clima innovativo della prima metà degli anni Duemila. Innovazione non solo sulle tematiche ed i soggetti, non solo nella scelta di un corpo specifico, ma soprattutto nel messaggio. Si invita, intelligentemente, a considerare le similitudini più che le differenze. 



​LE PULLE 2009
FIGURA MITICA


Operetta amorale, Le pulle è un atto unico di carattere popolare in cui la recitazione si alterna al canto e protagoniste sono le puttane (pulle in palermitano). Quattro travestiti, un trans e le loro vite camp fatte di trucchi, parrucchi, canzoni e coreografie da avanspettacolo. Ma sarà una volta tolto il trucco,  che  le pulle metteranno a nudo il loro dolore: ferite, paure, vite sciupate.
​
Se in Michelle la riflessione sul maschile e il femminile si trova in secondo piano rispetto al messaggio di accettazione e condivisione, ne Le pulle diventa elemento primario. Le cinque protagoniste pregano le loro madonne per ricevere i
l miracolo: il rovesciamento del femminile sul maschile - senza dover subire l’operazione o la scomunica di un bigotto Cardinale - cosi da essere ibridi, a metà strada tra i due sessi. 

Rispetto al primo, ne Le pulle si assiste ad un cambio di prospettiva. L'omosessuale non è più solo una persona normale che soffre come può soffrire chiunque, ma diventa una figura mitica. Si allontana dai comuni mortali per risiedere non si sa bene dove. Il credere, poi, che essere gay voglia dire essere espressione di ambedue i sessi, è tanto un luogo comune quanto una idiozia bella e buona. Ma crederlo è stato importante, a quanto pare, non solo per tutta una serie di narrazioni, teoriche, sull'androgino, il drag e il transessualismo, ma, e soprattutto, perché ha dato modo ad alcuni omosessuali di sentirsi dei veri e propri sciamani (oltre che esteti, cultori dell'arte, professionisti del buon gusto).

In realtà, l'intuizione dell'ibrido di cui la storia dell'arte è piena, è figlia, in tempi recenti, del confronto con l'Oriente. Ma dal momento che Est e Ovest hanno storie e culture diverse, la questione della convivenza fra il maschile e il femminile in ognuno di noi, in Occidente, non è stata compresa appieno. Tutto si gioca sull'apparenza perché tutto viene fagocitato dall'ottica consumistica. Maschile e femminile invece, sono energie che nell'universo hanno pari dignità e nulla hanno a che fare con la nostra idea di mascolinità e di femminilità. La questione è molto più profonda e per questo necessità di una rivoluzione antropologica.

Ma torniamo al nostro discorso. Il passaggio fra il primo e il secondo spettacolo, come abbiamo detto, segna una differenza di sguardo nel porre la questione omosessuale. Ma ancora con Le pulle, l'omosessuale, anche se reso altro rispetto al resto, riesce comunque a trovare o ritagliarsi un posto nella società. I personaggi, in tutte e due le opere, sono positivi e attivi. Pregni di dignità agiscono coraggiosamente. Sono eroi che sanno di avere il diritto di esistere e che la società ha il dovere di accoglierli. 


​
​OPERETTA BURLESCA 2014
ETERNI TEENAGERS


Con Operetta burlesca siamo nel 2014 e otto anni sono passati da Michelle e cinque da Le pulle. Quindici dall'esordio della Dante come regista. Sono anni segnati da forti cambiamenti politici e sociali che hanno significato, nei fatti, una vera e propria involuzione. Denunciata dai critici teatrali per quanto riguarda la stagnazione del settore, sottolineata dagli studiosi queer per quanto concerne la manipolazione dell'opinione pubblica da parte dei poterei costituiti (vedi approfondimenti⤵).

Operetta burlesca è espressione di questa involuzione che prima di tutto è antropologica. La visione dell'omosessuale nel 2014 è tale e quale alla visione che ne dava, più o meno, la televisione negli anni Novanta con la serie Commesse. La storia è imbevuta degli stessi luoghi comuni, purtroppo ancora dannatamente veri, soprattutto nella mente degli stessi omosessuali. Questo è il vero problema.

A ben vedere, la condizione del protagonista Pietro come "sfigato" omosessuale passa in secondo piano. Quello che conta, nella storia della Dante, è che Pietro ha 40 anni ed è un mammone, e come la maggior parte degli italiani vive a casa. Non vittima del contesto o della famiglia come si potrebbe pensare. Ma solo ed esclusivamente vittima di sé stesso. Della sua mancanza di introspezione e privo della volontà istintiva e primaria di affermazione di sé.

Poteva andarsene, scappare, mollare tutto come hanno fatto moltissimi che non condividendo le consuetudini dell'ambiente natio, trasformano il disagio, il dolore quindi, in desiderio di affermazione. Sia uomini che donne e non solo gay, e sicuramente prima dei quaranta, hanno avuto a che fare con il rifiuto, la mancanza di comprensione, il disagio. Tutti. Per questo Pietro, l'omosessuale di oggi, non è perdonabile e non può neanche essere preso ad esempio per la lotta ai diritti omosessuali. 

Che diritti vuole inseguire un adulto come Pietro, che per tutta la vita ha fatto l'adolescente soubrette chiuso nella sua camera? E per di più si trova tenera questa "fanciullezza", paragonandola a torto al "fanciullino" letterario. Perché in effetti, Pietro non sembra affatto un adulto che alimenta il fanciullino, quanto piuttosto un ragazzo non cresciuto. Rinchiuso nella sua stanza sogna solo il principe azzurro ed essere "favolosa" per lui (luogo comune per altro superato anche da molte donne).

Pietro è il simbolo di un involuzione antropologica, fin troppo assecondato anche dal teatro. E non si capisce come mai si parla solo di un certo tipo di omosessuali, quelli con una forte predisposizione al mondo femminile, facendo coincidere le tendenze sessuali, con delle afasie energetiche. Non tutti gli uomini gay vogliono essere o prediligono uomini femminei. Anzi, l'omosessualità dovrebbe essere la fascinazione verso un'iper-mascolinità che a volte può sfociare, per eleganza interna, in gentilezza dei modi. E soprattutto non tutti vogliono travestirsi e non tutti, facendolo, inseguono l'ideale della donna Baraccona (che oggi assume una connotazione diversa rispetto agli anni Settanta e Ottanta). 
​
Nel senso, esistono vari livelli di consapevolezza umana tanti quanto sono le visioni umane dell'essere gay. Certo che Pasolini o Wilde non avevano la visione di Pietro. E il nuovo punto di vista sta tutto qui. L'omosessuale post 2010 non è più rivoluzionario, e Pietro non ha nulla a che vedere con Salvatore e con le pulle. Sei eroi, che scelta la loro strada, la percorrono a testa alta. Coraggiosi nel vivere negli insulti e nello squallore, pronti a creare un nuovo credo fatto di madonne camp e inclusive. Sono creature pregne di dignità che più di altri, forse, hanno conosciuto le verità della natura umana.

E Pietro cosa rappresenta? La miseria umana e intellettuale di certi omosessuali di oggi. Che prima di tutto sono "piccoli" uomini. Che si auto ghettizzano, vergognandosi. E questo significa che in meno di dieci anni, da Michelle a Pietro, l'uomo ha subito un'involuzione bella e buona. Ma non all'interno delle società, che abbiamo visto mutare nei colori e nelle leggi, quanto piuttosto all'interno degli omosessuali stessi. Il disagio è sociale o individuale oggi come oggi? E quanti, nel mondo LGBT fatto di slogan e di "ismi", hanno lo stesso spessore di Harvey Milk? E quanti hanno lo stesso autentico desiderio di giustizia dei partecipanti allo StoneWall del 1968?

Sicuramente i protagonisti delle opere esaminate non conosceranno la storia queer né i suoi protagonisti. Però si è altrettanto sicuri che, nella mancanza di nozioni, o nell'odierna assenza di memoria, Michelle e Le pulle abbiano uno spessore umano totalmente diverso da quello di Pietro. E se i primi, pur con la capacità di volare sono vittime di gabbie imposte dalla società, il secondo, in un'ignavia priva di dignità, appare sprovvisto della consapevolezza che il volo necessita. Per la paura di volare, Pietro, si è tarpato le ali. 


​* parti del testo de La Miseria degli omosessuali. Operetta burlesca al Festival delle Colline, Bertuccio 2014


gb 
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    Giovanni Bertuccio

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