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QUEER E TEATRO                                                    IL CAMP 64.94

1/5/2020

 


​ORIGINE

Di non chiara derivazione, la parola camp potrebbe derivare dal francese gergale se camper, cioè “campeggiare” in un determinato spazio o ancora, e meglio, “apparire o posare in modo esagerato”. Usato per la prima volta nel romanzo di Christopher Isherwood, Il mondo di sera del 1954, il termine inizia ad essere discusso dieci anni dopo, nel 1964 all'uscita del famoso articolo di Susan Sontag, Note sul Camp. Un codice privato che segnala l’identità di piccoli gruppi urbani, per Sontang il camp è come qualcosa di esoterico, una data forma di estetismo, un modo di vedere il mondo come fenomeno estetico. Fortemente artificioso il camp, per l'autrice, non è politicamente attivo.


​NOTE SUL CAMP

​Primo tentativo di codificare le istanze camp, le Note raccontano quel mondo e quella cultura gay che stavano per definire le proprie caratteristiche, la propria visione del mondo. Una comunità di cui Sontang faceva parte e di cui conosceva i codici con i quali comunicava. Un insieme di persone diverse dalle generazioni successive che, nel corso degli anni e parallelamente la costruzione del movimento LGBTQI+, ri-considererà le Note di Sontang. Esattamente trent'anni dopo, nel 1994, la raccolta curata da Moe Meyer, Politics and Poetics of Camp, muta il punto di vista: «Camp è politico e critico [...] Camp non è uno “stile” o “sensibilità”, come convenzionalmente accettato; Camp può essere solo un discorso queer; Camp incarna precisamente una critica culturale queer». Si capisce bene come per Meyer, il camp non è un modo generico di vedere la vita, estetizzante, teatrale, a volte effeminato. Il camp, a differenza della visione di Sontang, è critica culturale soprattutto, e non può esistere senza la cultura queer.


​RI-NOMINARE

L’uso della parola queer per descrivere ciò che è comunemente noto come “gay e lesbica” segna una sottile, continua, non ancora stabilizzata, ri-nominazione. Di origine inglese queer significa letteralmente “strano” o “insolito”, ma l’uso nella comunità LGBTQI ne ha modificato la definizione e l’applicazione originale, modificandola nella sostanza nel corso del XX secolo. Per molti, l'uso della parola queer rappresenta una forma di auto-affermazione identitaria, una sfida ontologica, in accordo con Meyer, alle filosofie dominanti di etichettatura.

Discutere di teatro gay, quindi, non riguarda la definizione di un genere - eterosessuale, bisessuale, lesbica, gay - nel quale fissare l’identità di un personaggio. Il genere non è dato una volta per tutte, non è stabile e non decreta nessuna identità, anzi e quest'ultima ad essere plasmata dalla performance queer. In questa nuova prospettiva, l’intero catalogo di azioni, eventi, comportamenti che mettono in pratica le strategie di rappresentazione sono camp. 


​QUEER E CAMP

​Queer e camp divengono inseparabili dal momento che, citando Meyer, «camp si riferisce alle strategie e alle tattiche della parodia queer». Parodia non intesa nel senso tradizionale, legata al comico e alla satira, ma come manipolazione intertestuale di convenzioni diverse. Un metalinguaggio che utilizza forme, codici e retoriche delle varie forme d’arte.

​
​Il camp come parodia queer presuppone che ci sia un punto di vista, un’osservazione a distanza; implica un originale e la sua parodia, un modo di vedere e di rappresentare il mondo che viene ri-progettato attraverso la parodia. Se per Sontag il camp era una qualità posseduta dall’oggetto, per Meyer, camp, è una maniera di leggere e scrivere, un punto di vista sul mondo.​

gb 
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QUEER E TEATRO

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    Autore

    Giovanni Bertuccio

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