«La storia d’amore tra teatro e omosessualità non è di quelle semplici», scriveva Miller. Riferendosi ad una relazione che per secoli ha messo in scena comportamenti sociali, riflessioni identitarie, pulsioni anticonformiste. Fin dalle sue origini, il Teatro dunque, filtrando la vita, mostrava storie di personaggi omosessuali, anche se, a seconda del periodo, con riferimenti comprensibili ad un pubblico preparato. Pensiamo ad esempio a Edward II di Christopher Marlowe, del lontano 1594, o a Oscar Wilde e Noël Coward che, nell'Ottocento, hanno creato un codice di segnali, allusioni e riferimenti interni alla cultura omosessuale, introducendo così l’argomento, senza affrontare direttamente le questioni politiche e sociali, in un periodo in cui il termine omosessuale iniziava ad assumere il significato che conosciamo oggi. ![]() Anche se Rob Graham afferma l’esistenza di una cultura gay matura e sofisticata, libera e orgogliosa, anche prima della fine del XIX secolo, seguendo Foucault possiamo parlare di omosessualità in senso moderno solo dopo il XIX secolo, perché fino a quel momento il termine sodomita descriveva solo le attività e non l’identità. Allo stesso modo, Moe Mayer indicava il processo di Oscar Wilde come il momento di passaggio dal concetto giuridico di “sodomita” alla più complessa figura culturale dell'“omosessuale”, che da quel momento iniziava a comprendere non solo gli atti sessuali, ma un insieme di atteggiamenti, comportamenti, stili, immagini, gusti. Alla nuova identità corrisposero, però, vecchi stereotipi, ed è George Chauncey, in un classico della storiografia gay, ad esaminare la vita sociale a New York dal 1890-1940, mettendo in evidenza come alla fine del secolo scorso, ma ancora oggi, si consideravano gay coloro che si comportavano come tali e non quelli che facevano sesso con gli uomini, evidenziando che il genere era principalmente un attributo del comportamento (come vestirsi, come parlare, cosa dire di sé stessi e come presentarsi) piuttosto che una conseguenza degli atti sessuali. Poteva accadere infatti, ed accadeva, che un uomo effeminato, potesse essere considerato più gay di un muscoloso marinaio che il sabato sera usciva con la sua fidanzata e gli altri giorni aveva un amante uomo con cui andava al bar e poi a fare sesso. ![]() In questo contesto, Teatro, Cinema e Televisione, in modo più o meno esplicito, “registrano” la temperatura culturale di una determinata comunità e possono essere letti come misuratori utili ad indagare discriminazione e rappresentazione queer, informandoci sul nostro livello di democrazia. E, al contrario, possiamo dedurre che anche l’identità gay si costruisce grazie al modo in cui il teatro presenta gli omosessuali. In Lo schermo velato, l’autore Vito Russo, uno dei più noti portavoce per i diritti degli omosessuali, sosteneva che il modo in cui i gay sono rappresentati influisce sul modo in cui gli omosessuali costruiscono la propria identità sociale, sottolineando l’importanza politica dei media, i quali non hanno solo un ruolo passivo, ovvero registrare la realtà, ma anche, e soprattutto, una componente attiva, ovvero definire e creare. Ma quali sono gli elementi che fanno di un'opera teatrale uno spettacolo gay? John M. Clum, in Still acting gay, sostiene che la “gayezza” dell’opera sarebbe marcata dall’elaborazione e variazione dei seguenti elementi: esposizione del corpo maschile/femminile e della teatralità queer; polemica o le affermazioni sulle quali non siamo disposti a compromessi; auto-analisi di noi stessi come individui e membri della comunità gay; trasformazione mediante la teatralità e l’ironia delle forme di rappresentazione che mantengono la nostra oppressione; celebrazione del nostro coraggio, della resistenza e della differenza. Ovviamente non è esaustivo ma è utile ad individuare delle caratteristiche specifiche della tecnica di composizione del personaggio. A questo sono legate le sorti di un’esplorazione dell’estetica drammatica gay. Il passaggio dall’essere visti all’atto del vedere è condizione ineludibile per l’individuazione di una forma rappresentativa queer. ![]() Il termine gay non indica un atto sessuale, ma soprattutto un comportamento emotivo, un attributo qualitativo costitutivo della condotta dell’individuo. E spesso si confonde l’artista con il suo lavoro. A questo proposito, Alan Sinfield nella sua importante storia del teatro gay e lesbico del XX secolo, Out on Stage, afferma che l'obiettivo non è quello di decidere quale autore o attore sia gay, ma come l'omosessualità venga rappresenta, prodotta e fatta circolare attraverso idee e ed immagini, creando modelli. Si fa importante, quindi, secondo Sinfield, evitare una definizione a priori di cosa significhi gay, per concentrarsi su come determinati temi, nell’opera, vengono associati all’omosessualità. Ma qualsiasi prospettiva si utilizzi per definire la nascita della cultura gay, tuttavia non c’è dubbio che sin dagli anni Sessanta esista una comunità culturale che ha condiviso gusti, comportamenti e socialità. Dunque, la domanda sulle caratteristiche specifiche di un teatro gay, ha senso solo se si intende misurare il grado di aderenza a questa cultura. Si tratta di una prospettiva culturale, nella quale i soli strumenti disciplinari (analisi delle opere, drammaturgia, semiotica della performance) si rivelano meno efficaci rispetto a una più ampia riflessione storica, politica e sociologica. gbApprofondisci
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AutoreGiovanni Bertuccio Archivi
Gennaio 2020
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