I teatri del primo decennio del XXI secolo si riconoscono sempre meno con il genere teatro, con il suo formato, la sua storia e la sua tradizione. Come per le formazioni prese fin qui in esame, anche i primi spettacoli di questi gruppi nascono all'interno di centri sociali e spazi autogestiti. E come per i loro predecessori anche i primi spettacoli dei gruppi degli anni Zero sono essenzialmente delle autoproduzioni o produzioni con fondi occasionali che non consentono una progettualità prolungata. Declinati secondo modalità e finalità diverse, questi gruppi si organizzano come connessione fra associazioni, residenze creative, festival: si fa rete. E ad accomunarle è un’attitudine interdisciplinare al lavoro teatrale che sfocerà, quasi naturalmente, in una spettacolarizzazione degli altri linguaggi. Ricerca e sperimentazione è il binomio cardine del primo decennio. Tra il 2000 e il 2001 nascono Anagoor e Santasangre, nel 2003 Cosmesi, nel 2004 Città di Ebla, Gruppo nanou, Pathosformel, Menoventi, Muta Imago e Teatro Sotterraneo. Nel 2005 Opera e Orthographe. Nel 2006 Babilonia Teatri e Ricci/Forte, nel 2007 CollettivO CineticO, Silvia Costa/Plumes Dans La Tête, Dewey Dell, Fibre Parallele. Nel 2008 Codice Ivan. Percorsi differenti certo, che si incontrano però nella visione di una società frammentata in cui la pluralità e la dinamicità dei linguaggi e della loro comunicazione concedono, o possono concedere, la possibilità di costruirsi un’identità, di esistere. Tale struttura organizzativa esprime sicuramente la volontà di esercitare un maggiore potere di affermazione, ma è anche il portato più esplicito del sistema omologante di Internet, che a metà degli anni Dieci, dopo l’implosione della new economy, vede nascere il Web 2.0, basato non più su siti statici ma su piattaforme di condivisione, forum e blog e, in una seconda fase, sui social network. In una cornice così delineata, ci spinge a riflettere Mauro Petruzziello, questa frammentazione riflette, in todo, quella dell’attuale società dei consumi. E all'interno di quella che è la nostra identità societaria la pubblicità e la produzione on demand fagocitano gusti e identità trasformando, così, l'esperienza d’avanguardia in prodotto di consumo. E coloro che vogliono difendere la propria identità e integrità artistica rischiano, in un circolo vizioso e narcisistico, di richiudersi in sé stessi. Non a caso, questo nuovo teatro è, come si diceva, sempre più un teatro di festival - seguito da un pubblico nomade fatto di addetti ai lavori - sempre meno, spiace dirlo, un teatro fertile. All’inizio del secondo decennio del Duemila, infatti, la situazione della cultura in Italia è ormai in fase di stallo. L’attraversamento di generi e formati è diventato pratica, l’attore si è ridotto a segno fra segni e i linguaggi scenici sono stati decostruiti per essere rimontati. Il testo è stato sostituito, o affiancato, da scritture sceniche: la drammaturgia dello spazio, la luce, il suono. E, purtroppo, un teatro che si articola attraverso le diverse drammaturgie non è più un fenomeno di rottura ma un dato di fatto e la prassi si fa codice nella maggior parte delle compagnie. Un nuovo teatro autoreferenziale e asfittico, come ben sottolinea Mauro Petruzziello in Attore, performer, recitazione nel nuovo teatro italiano degli anni Zero, 2014: “un teatro delle diversità che rischia di essere azzerato dall’incultura dell’identità e dell’intolleranza. I buffoni di corte che, in accordo con lo spirito del tempo, alimentano il carisma del sovrano e finiscono per renderlo immune da qualunque critica”. gbApprofondisci
|
AutoreGiovanni Bertuccio Archivi
Gennaio 2020
Categorie
Tutto
|