![]() Alla fine degli anni Sessanta i movimenti politici, di liberazione sessuale e razziale, pongono il problema della necessità di una libertà personale, mentale e fisica, consapevole e priva dei limiti imposti dallo status quo. L’"amore libero" e la messa in discussione della società patriarcale, trovano nel corpo il simbolo primario della loro liberalizzazione. Un corpo vivo, «che urla, respira, geme». Un corpo che mette in discussione sé stesso, ponendo il problema dell’identità. Un corpo mutante, ci dice la storica dell'arte MIGLIETTI in Identità mutanti. Dalla piega alla piaga: esseri delle contaminazioni contemporanee, «campo infinito di indagine e di azione per ciò che è e per le infinite possibilità di ciò che potrebbe essere». Se l’età moderna si definisce come il periodo della scoperta e dell’affermazione dell’Io (le ricerche freudiane), l’era della contestazione e la successiva tecnologizzazione possono essere definite come il periodo di disintegrazione progressiva, dunque della moltiplicazione dell’Io, come hanno ben messo a fuoco filosofi della potata di Deleuze e Guattari in Mille piani. Capitalismo e schizofrenia. Le nuove tecnologie, ingegneria genetica, intelligenza artificiale, cibernetica e la neonata realtà virtuale, hanno ridefinito progressivamente il rapporto col corpo. In quest'ottica, il corpo diviene la zona di confine dell’identità, una sorta di soglia. Le identità si moltiplicano e si aspira all’uscita dal proprio Io. Il soggetto sperimenta l’alterità alimentando un inconscio che "pretende" di avere il proprio corpo, contaminarsi con le tecnologie che possono trasferire fuori da sé le fratture e le ferite di una “pelle”, di una “carne”, di un “sangue” che si sentono inadeguati. Una corporeità vissuta, una soggettività incarnata in un corpo vivente, si dispiega allora tra le pieghe sinuose della carne come «massa interiormente travagliata», conferma Miglietti. ![]() «Voglio cambiare da A a Z per assomigliare alla fine all’immagine che ho di me stessa. E rompere con l’immagine di mia madre e il nome di mio padre. È la mia psicanalisi che prende corpo», scrive Orlan - in C. Stefanutti, Tra identità e alterità del proprio corpo -, l’artista che tra ferite e suture, va oltre i confini di quello che è comunemente consentito. Creatura che ogni giorno deve ricucire i frammenti di sé stessa, Orlan, dice Miglietti, è un essere che vive l’avventura di arte-vita-malattia e cioè «quel distruggere per esistere, quel ferire per divenire». Figlia di proletari, Orlan nasce il 30 maggio 1947, in una piccola cittadina francese, Saint-Étienne. Il contrasto con la madre sarà fondamentale per la sua formazione. Una donna bigotta, caratterialmente chiusa, esempio perfetto di normalità per la cultura occidentale e maschilista di cui faceva parte. Ribelle fin da bambina, Miss Catastrophe (così veniva chiamata in famiglia), reagì in modo estremo alle imposizioni materne che la volevano una brava dattilografa. Il suo essere altro, non conforme ai desideri materni, quindi alle aspettative sociali, l’avvicinarono al mondo dell’arte. Al rifiuto di ciò che è norma e che apparteneva al mondo della madre, iniziando proprio dal nome impostole alla nascita, si accompagnò la denuncia dello stato di oppressione della donna nella società maschilista. E i suoi happenings erano dedicati a chi apparteneva alla società della madre: agli "addormentati" e ai "morti" come li definiva lei, nella speranza di un risveglio. Immaginiamo la reazione della madre quando il corredo matrimoniale, simbolo sacro per la madre e per la società, simboleggiato dal lenzuolo, veniva macchiato dallo sperma degli amanti della figlia, ritoccato a matita e ricamato, per poi essere appeso al muro della sua camera. ![]() «La pelle è deludente, nella vita si ha solo la propria pelle, ma c’è equivoco nei rapporti umani perché non si è mai quello che si ha: uno ha una pelle di coccodrillo ed è un cagnolino, una pelle di angelo ed è uno sciacallo, una pelle di donna ed è un uomo». (E. LEMOINE-LUCCIOLI) Il 30 maggio 1990, a Newcastle, nella necessità e nel desiderio di modificare e alterare il proprio corpo e la propria identità, Orlan l'inventrice della Carnal Art, pianifica, complice la chirurgia estetica, nove interventi. Per la propria metamorfosi sceglie singole parti da alcune delle più famosi opere: la fronte di Monnalisa di Leonardo, gli occhi di Psiche di Gérarde, il naso di Diana tratto dalla scultura della scuola di Fontainbleau, la bocca di Europa di Gustave Moreau e il mento di Venere di Botticelli. Ogni intervento è un’azione, una performance, documentata con materiale fotografico, filmati e video. ![]() «Leggo testi più a lungo possibile, scrive Orlan, durante l’operazione, anche quando mi si opera il viso, il che dà ai miei ultimi interventi la sensazione di un cadavere al quale viene fatta l’autopsia ma la cui parola seguita ancora, come staccata dal corpo…» Orlan si autoinfligge piaghe per vedere fino a che punto resiste la cute, attraverso il dolore, su un terreno dove «la sofferenza fisica non è solo un problema personale ma un problema di linguaggio». È il dolore della perdita d’identità; il dolore di non potersi riconoscere in quell’ammasso di carne e membra, il desiderio ossessivo di rimodellarsi, di ricreare sé stessi in un nuovo ordine che non conosce meta, né quiete. «Quando mi presento, scrive Orlan, dico: “Ceci est mon corp, ceci est mon logiciel”, come dire che visto che io non credo all’anima è la materia che pensa, è il corpo per intero». Dunque lo spirito è là dove è il corpo, cioè «nella “materialità” dello spazio e del tempo», come conferma A. TRIONE nel suo Mistica impura. gbApprofondimenti
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AutoreGiovanni Bertuccio Archivi
Gennaio 2020
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