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CORPO E ARTE                                                PSICOSOFIA                                                              DA NIETZSCHE A MERLEAU-PONTY

3/7/2017

 

“Io sono corpo ed anima”; così parla il fanciullo. E perché non dovremo parlare come i fanciulli? Ma l’uomo desto e cosciente dice: Io sono corpo e niente altro al di fuori di ciò: e l’anima non è niente altro che una parola per significar qualche cosa che si trova nel corpo. Il corpo è un grande sistema, una cosa molteplice con un senso solo: è guerra e pace, gregge e pastore. Uno strumento del tuo corpo è anche la tua piccola ragione, fratello mio, che tu chiami “spirito”: un piccolo strumento e trastullo della tua grande ragione. “Io”, dici tu, e vai superbo di questa parola. Ma più grande ancora – e tu non vuoi crederlo – è il tuo corpo e il suo sistema; esso non dice “Io”, ma è “Io”.

Così parlò Zarathustra,
Nietzsche

​


​FRIEDRICH nietzsche

​
​Sicuramente questa pagina di Nietzsche era nota a Sigmund Freud quando in L'io e l'Es (1923) scriveva: “L’Io è innanzitutto un Io corporeo, non è soltanto un essere di superficie ma è esso stesso la proiezione di una superficie” (Das Ich und das Es, 1922-23). Esso può quindi essere considerato come una proiezione mentale della superficie del corpo oltre al fatto […] che esso rappresenta la superficie dell’apparato mentale. L’unità tra corpo e anima rivendicata da Nietzsche ha sicuramente forti implicazioni creative e sottolinea il fatto che dal corpo deriva ogni sorta di modalità comunicativa mimetica, posturale, gestuale, le quali possono accompagnare o non accompagnare le performance linguistiche. L’arte tende a porsi in una dimensione nella quale accadono nuove forme di codificazione, dove il significato non è mai dato preliminarmente, ma è il risultato di un’apertura di senso.


​GUSTAV jung

Carl Gustav Jung a proposito del simbolo in Psicologia dell’archetipo del fanciullo (1940) scrive:

I simboli del Sé nascono dalla profondità del corpo ed esprimono tanto la materialità di questo quanto la struttura della coscienza che percepisce. Il simbolo è corpo vivo, corpus et anima. Perciò il fanciullo è una formula così appropriata al simbolo. La singolarità della psiche è una dimensione che non si realizza mai completamente, ma è sempre in divenire ed è, in pari tempo, fondamento indispensabile d’ogni coscienza. Gli “strati” più profondi della psiche, più sono profondi e oscuri, più perdono in termini di singolarità individuale. “Sotto”, cioè man mano che si avvicinano ai sistemi funzionali autonomi, essi assumono un carattere sempre più collettivo, al punto che nella materialità del corpo, e precisamente nei corpi chimici, diventano universali e insieme si estinguono. Nella conoscenza il simbolo, esposto com’è ad ogni possibile tentativo di spiegazione razionalistica, corre pienamente il rischio di trasformarsi in mera allegoria, comunque incapace di trascendere l’ambito del pensiero cosciente.
​
​
SIMBOLO
​
Il simbolo in Jung è concepito come l’antecedente del segno e come un’azione che compone i distanti. Symbállo è “metto insieme” due metà di un oggetto che, spezzato può essere ricomposto per cui ogni metà diventa un segno di riconoscimento. Il simbolo, come indica la parola greca sym-bállein, è composizione, mentre il segno è disgiunzione: día-bállein, che è propria della procedura discorsiva che risponde al ti ésti (“che cos’è” o “che cosa significa”). Il simbolo invece non significa e non interpreta: come il “Mana” significa tutto e niente - come scrive Galimberti in La casa di Psiche - esso può caricarsi di qualsiasi significato e poiché è caratterizzato dalla eccedenza semantica “designa questo ma anche quello”, non si inserisce come il segno in un ordine, ma tra gli ordini. 
​
SEGNO

​Il segno 
nasce invece come un dispositivo d’ordine tra significato e significante, ma quando fallisce e non riuscendo a stabilire l’appartenenza ad un oggetto, diventa simbolo. Secondo Jung quando dal simbolo si perviene al significato, il simbolo ‘muore’ e conserva solo un valore storico. Tratto distintivo del simbolo è l’ambivalenza, la sua relazione con l’ignoto e con gli aspetti enigmatici dell’esperienza. L’esperienza ideativa, immaginativa, e la stessa pratica dell’arte hanno molto a che fare con queste dimensioni, quando esse si avventurano in direzioni nuove e affatto inedite. Pensiamo, ad esempio, a certi esiti della Body Art, che non sono affatto lontani da queste premesse. 


​WILHELM REICH

​Da origini culturali diverse, Wilhelm Reich (Dobrzcynica, Galizia 1897 - Lewisbug Pennsylvania 1957) che con la sua Funzione dell’orgasmo (1927) fonda una teoria bio-psichica nella quale appunto la teoria dell’orgasmo, la teoria del carattere e la tecnica relativa all’analisi del carattere sono le componenti essenziali. L’analisi della ‘corazza caratteriale’ identifica le resistenze muscolari a livello corporeo dalla testa, al tronco al bacino del paziente – e relative segmentazioni - che costituiscono altrettanti blocchi emozionali legati alla stasi dell’energia sessuale o libido inibita. Reich considera la libido l’espressione fondamentale dell’organismo.

Da un approccio pluridimensionale neurofisiologico, gestaltistico, psicoanalitico e sociologico prende le mosse Paul Schilder (Vienna, 1866 – New York 1940) per approdare al suo Immagine di sé e schema corporeo (1935), ancora estremamente attuale, in cui il corpo si pone come “un vero e proprio articolarsi dello spazio interumano”, anticipandone appunto la problematica fenomenologica e antropologica. Tra gli apporti più originali del dopoguerra su questa problematica, entro una dimensione evolutiva, vi è l’indagine psicoanalitica approfondita di Françoise Dolto (Parigi 1908-1988), che riprendendo alcune impostazioni non solo di Freud, ma anche di Jacques Lacan, in L’immagine inconscia del corpo. Come il bambino costruisce la propria immagine corporea (1984), attraverso una ricca casistica clinica insiste soprattutto sui cambiamenti che subisce l’immagine del corpo rispetto al vissuto, allo sviluppo psicosessuale a alle fasi di crescita del bambino.


​Merleau-Ponty

​Dopo le fondamentali concezioni di Nietzsche, non mancano successivi contributi filosofici tra fenomenologia ed esistenzialismo, in particolare alcune elaborazioni che provengono dalla fenomenologia di E. Husserl, per il quale il corpo è un’esperienza vivente, e l’ontologismo di M. Heidegger dai quali derivano gli importanti sviluppi dell’opera di Maurice Merleau-Ponty, segnatamente nella Fenomenologia della percezione (1945) e in Il visibile e l’invisibile che oltre ad un’attenzione per il sensibile, rivendica l’aspetto originario della percezione nell’esperienza e nella comunicazione per cui le ‘vie del corpo’ sono all’origine di ogni significazione. Ricordiamo le sue osservazioni sull’opera di Paul Cézanne.

gb 
​


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Direttore Giovanni Bertuccio
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