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QUEER E ARTE                                                        1990                                                          REGRESSIONE E ABBIETTO

1/3/2022

 
Foto
Paul McCarthy | Mixed Bag, 2019


​REGREDIRE

Durante il corso degli anni Novanta si è approfondito quel ritorno al reale che Hal Foster intravide già alla fine degli anni Ottanta e che lo indusse a parlare di un'arte che, proprio per la tendenza a non nascondere nulla, poteva diventare pornografia, necrofilia, segnata dall'impudenza e quindi persino “abbietta”.

Rivedendo l'arte degli anni Novanta ci si stupisce delle tante figure di psiche frustrata e corpi feriti, ma bisogna ricordare (come si è fatto in Art&Aids) che fu un periodo di grande risentimento e disperazione per la persistente crisi del virus dell'HIV, la sconfitta dello stato assistenziale, nonché per la povertà crescente. In questo periodo molti artisti misero in scena la regressione come espressione di protesta e di sfida, spesso in forma di performance, video e installazioni.

L'Arte è invasa di avvilimento e rigetto, di confusione, di sporco ed escrementi. Condizioni e sostanze che si oppongono all'ordine sociale e se leggiamo Il disagio della società (1930), Freud afferma, confermando, che la civiltà si fonda sulla rimozione del corpo basso, dell'analità e dell'olfatto, e sul privilegio del corpo eretto, della genitalità e della vista.


E' come se questo tipo di arte cercasse di rovesciare la civiltà, per annullare rimozione e sublimazione attraverso un'ostentazione dell'anale e del fecale. Questa sfida, rappresenta una corrente sotterranea nell'arte del XX secolo: dal manichino da caffè di Duchamp, passando per la merda in scatola di Pietro Manzoni, fino alle pratiche di Kelley e Miller, con cui diventa autocosciente.


Miller e Kelley


“Parliamo di disobbedienza”, dice uno striscione fatto in casa da Kelley, “Me la faccio addosso e ne vado fiero” recita un altro. Per quanto patetica, questa sfida può anche essere perversa: una distorsione delle leggi delle differenze sessuali, una messa in scena delle regressione a un universo anale dove la differenza in quanto tale è oscurata.

Per esempio, in Dick/Jane (1991) Miller sporcò di marrone una bambola bionda con gli occhi azzurri e la seppellì fino al collo in qualcosa che assomigliava a degli escrementi. Personaggi familiari della vecchia scuola elementare, “Dick” e “Jane” insegnarono a una generazione di bambini americani a leggere – e a leggere le differenze sessuali. Nella versione di Miller, Jane è trasformata in un composto fallico e affondata in un tumulo fecale. La differenza tra maschi e femmine è cancellata e sottolineata allo stesso tempo, come la differenza tra bianco e nero. In questo modo Miller crea un mondo anale che testa i termini convenzionali della differenza: sessuale e razziale, simbolica e sociale.

Anche Kelley, spesso, colloca le sua creature in un universo anale. “Noi interconnettiamo tutto, creiamo un campo”, ha fatto dire Kelley dal coniglio all'orsetto, in Teoria, spazzatura, animali di pezza, Cristo, “così non c'è più nessuna differenziazione.” L'artista esplora lo spazio dove i simboli si mescolano, dove “i concetti feci” (denaro, dono), bambino e pene sono a malapena distinti l'uno dall'altro”, come scrisse Freud sullo stadio anale. Kelley partecipa a questo stato di cose non tanto per celebrare l'indistinzione materiale, quanto per mettere in crisi la differenza simbolica. Lumpen, la parola tedesca dalla quale viene Lummpenproletariat (“il rifiuto, la feccia, la schiuma di tutte le classi che interessò Karl Marx), è un termine cruciale nel lessico di Kelley, una sorta di sinonimo di abbietto.

La sua arte è infatti caratterizzata da forme
lumpen (animali giocattolo sporchi legati insieme in masse deformi, tappetini sporchi gettate sopra forme disgustose), temi lumpen (immagini di sporco e spazzatura) e personaggi lumpen (uomini disfunzionali che costruiscono nei semi-interrati e nei giardinetti dietro casa bizzarri congegni con pezzi presi da chi sa dove). Un'arte di oggetti ed esseri degradati che resistono ad una modellazione formale, e ancor più ad una sublimazione culturale o un riscatto sociale.




Ritorno all'infanzia

​
Alcuni artisti, invece, sembrano oggettivare, attraverso le loro opere, le fantasie proprie di un bambino. Per esempio, nelle sue installazioni Rona Pondick ha costruito dei teatri quasi infantili di pulsioni orali-sadiche, non solo in Bocca (1992-93), una moltitudine di bocche sporche con denti disgustosi, ma anche in Latte latte (1993), un passaggio di rilievi mammari con capezzoli multipli.

Nel frattempo altri artisti hanno focalizzato la loro attenzione sugli effetti di tali fantasie. A
d esempio Kiki Smith ha sempre colato organi e ossa, come cuori, uteri, bacini e costole, in diversi materiali quali cera, gesso, porcellana e bronzo. Mossa inizialmente da un'autentica forza deflagrante incentrata sulle particolari sculture realizzate, Kiki Smith si è resa nota nei primi anni novanta grazie alla radicalità, quasi sgradevole, con cui ha osservato la natura umana e le sue forme, letteralmente rivoltandole quasi dall'interno all'esterno.
​


ABBIETTO
​


​“L'abbietto è una sostanza caricata psichicamente spesso immaginaria, che si situa tra qualche parte tra un soggetto ed un oggetto; ci è allo stesso tempo alieno ed intimo e svela la fragilità dei nostri limiti, della distinzione tra ciò che è all'interno o ciò che è all'esterno. L'abiezione cosi è una condizione nella quale la soggettività è messa in crisi, “dove i significati collassano”

 Julia Kristeva

​​

L'abietto è un concetto complesso sviluppato da Julia Kristeva nel suo libro del 1980 Powers of Horror. Si può dire molto semplicemente che l'abbietto consiste di quegli elementi, in particolare del corpo, che trasgrediscono e minacciano il nostro senso di pulizia e decoro.

L'abietto copre tutte le funzioni corporee, o aspetti del corpo, che sono considerati impuri o inadeguati per l'esposizione pubblica o per la discussione. Ma, sottolinea Jean Clair, il verbo abjicere significa anche rifiutare, vendere a basso prezzo, disfarsi di qualcosa. Insomma, abbietto è tutto ciò che si riferisce sia all'abbattimento che all'avvilimento, tutto ciò che ha a che fare con il campo della degradazione.


Nel 1993 il Whitney Museum di New York, ha allestito una mostra dal titolo Arte abietta: Repulsione e Desiderio nell'Arte americana, che ha dato il “nome” ad una corrente più ampia di cui Cindy Sherman, Louise Bourgeois, Helen Chadwik, Paul McCarthy, Gilbert&George, Robert Gober, Carolee Schneemann, Kiki Smith e Jake e Dino's Chapman e molti altri, sono visti come i fautori dell'abbietto in arte.

Con l'arte abbietta, scriveva Jean Clair, siamo un passo più avanti nell'immondo. Non siamo più nel subjectus del soggetto classico, siamo nell'abjectus, nel rigetto, nello scarto dell'umano postmoderno. È molto di più della tabula rasa dell'Avanguardia. È tutto ciò che si riferisce all'abbattimento, all'avvilimento, all'escrezione.

Questi fenomeni dell'arte attuale, da
McCarthy a Damien Hirst, sono una perfetta illustrazione di quello che il filosofo Marcel Gauchet chiama "l'individuo totale", vale a dire colui che ritiene di non avere nessun dovere nei confronti della società, ma tutti i diritti di un "artista", "totalitario" com'era un tempo lo Stato, in cui traspariva lo spettro del bambino che crede di essere onnipotente e di imporre agli altri, attraverso le istituzioni pubbliche, gli escrementi di cui si compiace.

Nell'arte attuale non faremo l'apprendistato del gusto, ma faremo il disapprendistato di quel disgusto inculcatoci fin dalla prima infanzia, per farci capire che tenere sotto controllo gli sfinteri è cosa importantissima.




Fonti
traduzioni di Davide Monetto

J.Claire, in Jeff Koons e i suoi fratelli quell'arte senza valore (sociale), traduzione di F. Galimberti, in “La Repubblica”, 25-9-2010
​J.Claire, De Immundo, trad. it. di P. Pagliano, Abscondita, Milano 2005
G. Dorfles, Ultime tendenze nell'arte di oggi, Feltrinelli, Milano 1999
H. Foster, The return to the Real, Mit press e October Books, Cambrige, 1996
Abject Art: Repulsion and Desire in American Art. New York: the Whitney Museum of American Art, 1993, curata da Craig Houser, Leslie C. Jones and Simon Taylor con i testi dei curatori e Jack BenLevi.
E. Sussman (a cura di), Mike Kelley: Catholic Tastes, Whitney Museum of American Art, New York, 1993
L. Shearer (a cura di), Kiki Smith, Wexner Center for the Visual Art, Columbus 1992
J. Kristeva, Poteri dell'orrore. Saggio sull'abiezione, Spirali, Milano 1980
Alla voce Abject Art, Glossario della Tate Modern New York http://www.tate.org.uk/collections/glossary/definition.jsp?entryId=7

gb 
​



approfondimenti
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QUEER E ARTE | SECONDO NOVECENTO | CORPO, RITO, AKTION
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