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QUEER E ARTE                                                      NOVECENTO                                            COMPORTAMENTO E ARTE

1/3/2022

 
Foto
Sarah Lucas, Yoko, 2015 | ph Julian Simmons


​ricercatore estetico

​Parlare di comportamento vuol dire, inevitabilmente, porre l'accento sull'artista, o meglio del ricercatore estetico – persona fisica e psichica, corpo e mente, carne e spirito – mentre le concezioni tradizionali inducevano a privilegiare l'opera, dimenticando o mettendo tra parantesi i vari processi gestuali attraverso cui essa veniva costruita.

È per questa ragione che non sembra più opportuno chiamare quella del comportamento una ricerca “artistica” in senso proprio. Meglio ricorrere al concetto di ricerca estetica, da
aisthéin = sentire, percepire, sviluppare la rete delle proprie facoltà sensoriali, senza del resto porre una rigida frontiera tra l'aisthéin stesso e il neon, cioè lo svolgere attività intellettive, dal momento che l'uomo si “comporta” anche ragionando, risolvendo problemi intellettuali. Attraverso una specie di mutazione antropologica, l'equilibrio tra la sfera estetica e quella noetica potrebbe gradualmente spostarsi a favore della seconda, il che significherebbe anche un potenziamento “telepatico” dei sensi, portati a sentire a distanza e in assenza di appoggi materiali.


Un altro aspetto strettamente legato al comportamento è quello di una sua ineliminabile mondanità. Non ci si comporta nel vuoto, o comunque in una chiusura egoistica. Risulta necessaria la presenza di una specie di cassa di risonanza, di un complesso di dati esterni verso i quali il comportamento si dirige. Quello di comportamento è infatti un concetto tipicamente relazionale, non ammette che si ragioni in termini di sostanze separate (una sostanza uomo separata da quella del mondo e delle cose); anzi, esiste, una commistione inestricabile, un sistema unico uomo-mondo, o uomo-natura, uomo-ambiente.


​dall'opera all'artista

Queste considerazioni trovano corrispondenza nel comportamentismo in ambito estetico. Anche qui infatti ha voluto essere, in primo luogo, un sano ritorno al concreto, cioè all'immediatezza, alla fisicità del corpo e dei dati ambientali. Nella Body art, ad esempio, abbiamo la riscoperta delle potenze e facoltà del proprio corpo: mani, piedi, mimica elementare, deambulazione rudimentale; non senza, parimenti, un prolungamento noetico, dal momento che gesti elementari vogliono essere anche la riscoperta di alfabeti primordiali, di riti apotropaici iniziatici. La consistenza fisica del comportamento, in questi casi, va rapidamente assottigliandosi, via via sostituita da elementi ideazionali.

Riportare l'accento sulla persona dell'artista-ricercatore, non vuol dire, forse, riscattare l'”essere” rispetto all'”avere”? Conta quello che “siamo”, cioè la profondità del nostro vivere e sentire, piuttosto che un accumulo di beni, di oggetti posseduti. Il “comportamento”, una volta che ha adempiuto a una salutare funzione di stimolo, di incremento del “vivere”, può dileguarsi, lasciando il posto ad altri comportamenti e atti di vita, evitando il rischio di sclerotizzarsi e di sclerotizzare di conseguenza il nostro stesso “esserci”. Solo così risulterebbe una prospettiva radicalmente diversa da quella dell'opera d'arte, che invece rientra in pieno nella tipica mentalità “occidentale”, o ancora meglio borghese-produttivistica, basata su quello che Marcuse chiamerebbe il principio di prestazione.


​Mythos vs ethos

​Mentre nel passato le finalità principali di ciò che chiamiamo arte sono state: rendere più belle le suppellettili, decorare gli spazi di abitazione privata così come quelli pubblici, insegnare a ricordare le basi della religione, glorificare gli eroi, dimostrare la ricchezza e il benessere e i valori morali di una comunità. Oggi, fortunatamente ma non sempre, si tende a pensare che l'unico fine dell'arte sia l'espressione del sentimento dell'artista.

Negli ultimi anni, è avvenuto, insomma, un cambiamento di prospettiva, una sorta di “ribaltamento della clessidra” come insegna Barilli, per cui torna a essere “dentro” ciò che fino a poco tempo fa appariva “fuori”. O per usare la terminologia aristotelica, il mythos ritorna ad avere il sopravvento sull'ethos. E storicamente esiste una corrispondenza tra il momento in cui si inizia a diffondere l'interesse per l'autore, considerato come individuo reale e non più come stereotipo, e la nascita dello stato capitalistico: per quanto ancora romanzate, le Vite del Vasari ne sono la prima prova.

Fino al XIX secolo, ovvero la nascita del capitalismo, restò estranea, alla mentalità corrente, l'idea che l'arte implicasse l'espressione dell'individuo e dei suoi sentimenti. I primi pallidi inizi dell'autobiografia non risalgono che al XVI secolo, quando
Michelangelo si rappresentò nel suo Giudizio Universale sotto forma di scorticato e Dürer si spinse fino a un autoritratto nudo. I sofferenti autoritratti di Rembrant e Goya dimostrano come questo filone continuò a crescere sotto la cenere, cioè nonostante il perdurare di una pittura di storia, di paesaggio, di mitologia che nei salons parigini, le esposizioni ufficiali più importanti d'Europa la fece da padrone fino all'inizio del Novecento.

La nuova società ha dato luogo non soltanto alla figura dell'artista, ma anche, in ambito scientifico, a quelle dell'inventore e dello scopritore o del ricercatore. Individui speciali che incarnano il soggetto per eccellenza, cioè il protagonista del sistema che chiamiamo democrazia, un sistema il cui maggiore risultato è stato "la creazione di una cultura della speranza sociale contro una cultura della sopportazione". 



Fonti
traduzione di Davide Monetto

U. Eco, Storia della Bruttezza, Bompiani, Milano, 2007
R. Roty e N. A. Baslev, in Noi e loro: dialogo sulla diversità culturale (1991), trad. it. Il Saggiatore, Milano 2001
I. Berlin, Le radici del romanticismo (1965), trad. it. Adelphi, Milano, 2001

G. Dorfles, Ultime tendenze nell'arte di oggi, Feltrinelli, Milano 1999
R.Krauss, The oryginality of Avantgarde and other Modernist Miths, Mit Press, Cambride, 1985
R. Barilli, Tra presenza e assenza, due ipotesi per l'età post moderna, Bompiani, Milano, 1981

gb 
​



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