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QUEER E ARTE                                                        NOVECENTO                                                          DUBUFFET E LE SORTI DELL'ART BRUT

1/3/2022

 
Foto
J. Dubuffet | Paolo Monti, Italia 1960


​CREAZIONI MARGINALI E CLANDESTINE

A partire dal 1945, l'artista francese Jean Dubuffet (1902-1985) è interessato ad un tipo di creazione anonima, senza una denominazione precisa e per la quale, ancora, non aveva trovato una definizione. Sarà nel luglio dello stesso anno, nel corso dei suoi viaggi fra Francia e Svizzera, che Dubuffet codificherà le sue ricerche coniando il termine Art Brut. 
​

Rientrato dalla Svizzera, Dubuffet abbozza un primo testo teorico: “Disegni, dipinti, opere d'arte di ogni tipo, create da tenebrose personalità, da maniaci, scaturite da impulsi spontanei, animate dalla fantasia o dal delirio, ed estranee alle regole dell'arte ufficiale”. Dubuffet descrive dettagliatamente questa specifica tematica: “Opere d'arte come dipinti, disegni, statue e statuette, oggetti di natura diversi e in nessun modo legate (o il meno possibile) all'imitazione delle opere d'arte che si possono incontrare nei musei, nei saloons e nelle gallerie. Opere che, al contrario, si appellano a una originaria materia umana e a un'invenzione il più possibile spontanea e personale”.

Il suo compito sarà quello di nominare, raccogliere, esporre e descrivere la specificità di questo tipo di creazione marginale e clandestina.


​SOTTRAZIONE E RICERCA

Dall'Art Brut Dubuffet escluderà l'arte primitiva, l'arte popolare, l'arte naïve, così come l'arte infantile. Parimenti gli autori provenienti da una formazione accademica e tradizionale, preferendo opere nate in clandestinità, in situazioni di esclusione e di censura. Per questo, in un primo tempo, l'ambito principale nel quale Dubuffet troverà i suoi reperti sarà l'ospedale psichiatrico.

All'inizio del XX secolo l'internamento si configura come una sorta di sequestro. L'isolamento, la promiscuità, l'inoperosità e l'esclusione, accentuati dall'oppressione e dalla disperazione, provocano in alcuni pazienti una condizione favorevole allo sviluppo dell'immaginario. 

Dubuffet resta stupito difronte alle straordinarie creazioni di Aloise e Wolfli accorgendosi di come collimassero perfettamente con le sue ricerche. Tuttavia, Dubuffet non limita il suo campo di indagine agli ambienti psichiatrici e non considera la malattia mentale come unico criterio. Oltre alle opere nate negli ospedali psichiatrici, Dubuffet inizia a raccogliere anche opere appartenenti alla sfera dell'arte popolare, reperti etnici provenienti dall'Oceania, dipinti creati da autodidatti, disegni di bambini e tatuaggi.


​FOYER DELL'ART BRUT

​Inaugurato nel 1947 a Parigi, negli scantinati della Galerie René Drouin, il Foyer dell'Art Brut presenta le figure reali e principesche dei disegni di Aloise, i silex intagliati di Juva e i bassorilievi scolpiti in liège di Gironella. Nel clima artistico di quegli anni, una mostra di questo tipo era destinata inevitabilmente a creare nello spettatore uno scompiglio visivo ed emozionale. Le opere presentate nel Foyer avevano tutte un carattere sovversivo.

Un anno più tardi, 1948, venne fondata a Parigi la compagnia dell'Art Brut. Essa riuniva sei membri, tra i quali André Breton 
e Jean Paulhan. Dopo dieci mesi negli scantinati della Galerie Drouin, il Foyer venne trasferito in un piccolo padiglione situato nel cuore di Parigi e messo gentilmente a disposizione dall'editore Gaston Gallimard.


Le prime manifestazioni si svolgono in un clima di riservatezza e clandestinità, regola che viene infranta dalla Compagnia già nel 1949, quando una grande mostra di Art Brut, viene organizzata in place Vendome, nel centro di Parigi, presso la Galerie René Drouin, mettendo in evidenza le prime contraddizioni. L'esposizione incontra un notevole successo, attirando artisti, scrittori, editori, etnologi e critici come Jean Cocteau, Claude Lévi-Strauss, Johannes Itten, Pierre Matisse, Tristan Tzara, Joan Mirò e Francis Ponge. Dubuffet, scriverà per il catalogo della mostra un testo che ne diventerà il manifesto: L'art brut préféré aux arts culturels e ne assumerà la direzione.


ESILIO E RITORNO

Con gli anni, tuttavia, il fervore andò scemando. Le ricerche rallentarono e le acquisizioni divennero meno numerose. Il Foyer perse la sua vitalità e la Compagnia sciolta nel 1951. 

Alfonso Ossorio, un pittore amico di Dubuffet, gli propone di trasferire la collezione nella sua residenza, The Creeks, nei pressi di New York. Dubuffet accetta e l'Art Brut andrà dieci anni in esilio.


Nel 1962, undici anni dopo il suo scioglimento, la Compagnia dell'Art brut rinasce a Parigi, ancora una volta per opera di Dubuffet che acquista un Grand Hotel a Parigi per trasformarlo nella nuova sede dell'Art Brut.
​
Come nel periodo della prima Compagnia decide di porre le produzioni sotto l'egida della riservatezza, al fine di preservarle da ogni sorta di corruzione. Le opere vengono create in stato selvaggio o di rivolta, in carcere, in una mansarda di periferia o in un fienile, e i creatori hanno in comune un'origine spesso modesta o un'istruzione assai rudimentale. Si tratta perlopiù di manovali, postini, fioristi, parrucchieri, conducenti di tram o minatori.


Ognuno di loro patisce una cesura nel proprio percorso esistenziale. Carlo Zinelli per l'esperienza della guerra, Aloise e Laure Pigeon per fine di una relazione amorosa, Magde Gill per morte di un figlio, Eugenio Santoro e Giovanni Battista Podestà per un'emigrazione imposta. Un destino troppo pesante che li ha trasformati in persone intimamente esiliate.


​LOSANNA | MUSEALIZZAZIONE

​Nel 1972 dopo varie vicissitudini, la collezione dell'Art brut fu trasferita a Losanna, dove, per la sua tutela e conservazione venne acquisito e trasformato in museo, un palazzo del XVIII secolo. Le opere che vengono realizzate all'interno di questa corrente - perché di fatto non costituisce un movimento – vengono raggruppate obbedendo a precisi schemi culturali, vi si scorge, cioè, il segno di una creatività che si manifesta a dispetto dell'esclusione sociale di cui soffrono i loro autori. 
​

La nozione di “art brut” si fonda dunque sullo statuto personale del creatore e non sui criteri stilistici delle sue opere – come accade per l'arte naïve, ad esempio. Viene applicata alle arti plastiche ma, comportando spesso la mescolanza dei generi, coinvolge anche altri settori, in particolare quello della scrittura. E non sono mancate altre denominazioni per qualificare meglio questo subcontinente della creazione. Michel Thévoz, direttore del museo, vedeva nell'Art brut, e potremmo dire potenzialmente in tutta l'arte contemporanea, la possibilità di una liberazione che abolirebbe i modelli di pensiero consolidatisi in Occidente. A tal proposito cosi si esprimeva:


E' possibile che, sulle macerie della cultura, rinasca una creatività artistica nuova, orfana, popolare, estranea a ogni circuito istituzionale e a ogni definizione sociale, deliberatamente anarchica, intensa, effimera, affrancata da qualsiasi presunzione di genio personale, prestigio, specializzazione, appartenenza o esclusione, distinzione tra produzione e consumo. Sarebbe il crollo di modelli, radicalmente irrispettoso e di conseguenza creativo, capace di realizzare l'utopia del “Prospectus aux amateurs de tout genere”.
​
​

Fonti

1 J. Dubuffet, Lettera a Charles Ladame, Parigi, 9 agosto 1945
2 J. Dubuffet, Prospectus et tous écrits suivant, Gallimard, Paris, 1967
3 L. Peiry, L'avventura dell'art brut: dalla clandestinità alla consacrazione, 2009
4 J. Dubuffet, L'art brut préféré aux arts culturels, 1970
5 ​M. Thévoz, L'art brut, Skira-Flammarion, Ginévre 1980

gb 
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