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Queer | Celebrate Yourself | Davide Monetto intervista Alice Arduino

5/2/2018

 
FotoAlice Arduino, fotogafra
Il 4 maggio verrà inaugurata al MAU – Museo di Arte Urbana una mostra fotografica di Alice Arduino dal nome “Celebrate Yourself”. Trentacinque ritratti fotografici, accompagnati da interviste. Immagini e storie di vita quotidiana, che tratteggiano le personalità dei protagonisti, anche del loro essere gay, lesbiche, trans. La volontà è quella di sensibilizzare su temi sentiti dalla comunità LGBT, ma l'esigenza artistica di Alice sta anche nell'identificarsi con le storie degli altri, conoscendole attraverso il racconto. La conoscenza in questa mostra passa attraverso il rispecchiamento e l'empatia.

In Homosexuality: storie di vita quotidiana, un suo lavoro del 2013, omini Lego si abbracciavano, convolavano a nozze, andavano in vacanza col compagno e i figli. Quattro anni dopo, l'espediente che suggeriva l'esistenza di vite non ancora così rappresentate, è sostituito da persone che vivono quella vita, e la raccontano parlando di sé serenamente. Gli scatti mettono a fuoco la quotidianità, e sono privi di retorica o di intenti didascalici. L'epoca delle rivendicazioni sta lasciando il passo alla esigenza di raccontarsi per quello che si è, mettendo a disposizione degli altri il proprio vissuto quotidiano. Sta anche in questo la volontà di attivista di Alice Arduino: far sì che si esca allo scoperto. Non tanto per “rivendicazione” o “affermazione di sè”, ma perchè, al giorno d'oggi, c'è la possibilità per tutti di vivere, e viversi, serenamente, senza freni o filtri.
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Un lavoro lungo e paziente ha trasformato l'urgenza di testimoniare di Alice in ritratti morbidi, che trasmettono la relativa sicurezza di persone che hanno trovato, nel continuo scorrere ed evolversi della vita, un loro posto e una loro dimensione.

FotoAlice, una delle storie
D. Qual é il tuo rapporto con il MAU? Come è cominciato?

R. Il tutto è iniziato nel 2013 quando ho partecipato ad un concorso indetto dal MAU “Leggi=Ama”. La mia foto dal titolo “There is a letter for you” aveva vinto ed era stata esposta alla BAM - Biennale d’Arte Moderna - Contemporary Photobox presso la sala espositiva dell'NH Lingotto Tech di Torino. La foto vincitrice apparteneva al progetto “Homosexuality: storie di vita quotidiana”. Lo stesso anno il MAU mi propose di esporre il progetto per intero con tutte le foto realizzate. Da allora è iniziata la collaborazione con il Museo e ogni anno espongo con loro.

D. Ti concentri molto su tematiche relative all'omosessualità, inoltre scattare delle foto per te è raccontare delle storie: in cosa ti rispecchi di più, come persona oltre che come fotografa e attivista, negli incontri che hanno portato agli scatti?

R. Nelle mie immagini c’è la volontà di raccontare delle storie e nei miei progetti metto la mia esperienza, vissuto, vita. Attraverso questo mi pongo delle domande e cerco di trovare risposte. La mia è una fotografia “ribelle” e “riflessiva” che ha lo scopo di far ragionare le persone che osservano i miei lavori. Per Celebrate Yourself sono partita dal mio attivismo negli anni a come ho affrontato il mio coming out, le difficoltà e le gioie. Mi sono chiesta quale fosse il percorso fatto da altri e l’importanza di “metterci la faccia” nel raccontarsi per dare l’esempio a chi ancora non è “uscito allo scoperto”. Allo stesso tempo non volevo parlare solo alla comunità lgbt ma a tutti/e portando il mio progetto a superare le etichette “lesbiche, gay, bisessuale, transessuale” facendo conoscere le persone con i loro hobby, passioni, lavori, principi, valori e vita quotidiana. Credo fortemente che le barriere e i pregiudizi si possano superare attraverso la conoscenza delle persone.

FotoMimmo e Alberto, una delle storie
D. Ti occupi anche di matrimoni e eventi sportivi: il tuo lavoro con committenti che ti chiedono di rappresentarli in un momento per loro importante ha influenzato il tuo modo di rapportarti con i protagonisti della tua mostra?
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R. Cerco sempre di essere empatica, di capire le persone e immedesimarmi in loro. Ma il lavoro si svolge su piani diversi: negli eventi sportivi cerco di catturare le emozioni, fatiche e l’azione del gioco; nei matrimoni mi concentro sugli sguardi, situazioni, dinamiche e relazioni tra gli sposi (o le spose) e gli invitati. Diventa quindi un reportage che narra la storia del momento. In entrambi segui la scena e la fotografi devi quindi essere molto attento a ciò che capita davanti ai tuoi occhi. I miei progetti, invece, sono ragionati, pensati. Prima mi chiedo cosa voglio rappresentare, perché è necessario farlo e poi come tradurlo in immagini. C’è quindi uno studio a priori che dura molto tempo. L’obbiettivo è sempre far passare il messaggio nel modo più semplice e comunicativo possibile. Ciò che si vede in una immagine è il risultato di mesi di lavoro a tavolino, di contatti, diffusione e promozione del progetto.
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D. Gli scatti avvenivano prima, durante o dopo l'intervista? È stato difficile costruire una atmosfera di fiducia e naturalezza?

R. Ho cercato di creare un rapporto di fiducia con le persone perché stavano parlando e raccontando di sé ad una estranea. Ho impiegato molto tempo a parlare del progetto a spiegarlo e solo dopo c’è stato l’incontro con gli intervistati. Prima dell’intervista incontravo le persone si parlava e scherzava un po’ per sciogliere la tensione, dopo iniziava l’intervista fatta in modo informale e attraverso una chiacchierata. Credo che questo abbia permesso di mettere le persone a proprio agio. Solo a fine intervista realizzavo la foto, gli intervistati erano più rilassati e spontanei, avevo avuto modo di conoscerle meglio e capire come fotografarle, in che posa metterle e dove, all’interno dello spazio in cui avveniva l’incontro. L’immagine, diventava la fase finale, il momento in cui catturavo la loro essenza, utilizzando talvolta lo sfondo come componente del racconto fotografico e relazione con l’individuo nel suo ambiente.

Fotouno scatto da "Homosexuality: storie di vita quotidiana", 2013
D. Da “Homosexuality: storie di vita quotidiana (2013)” a “Celebrate Yourself (2017)” passando per lavori che trattano l'attraversamento dei ruoli di genere in “Drag King: uno Sguardo sui Generi (2013)” o esplorano l'uso del corpo e la sua rappresentazione, come “Raggi X (2014)” e “Jacket & Naked (2016)”. L'evoluzione dei temi trattati rispecchia il dibattito pubblico sulla sessualità e sul corpo di questi anni o è una tua evoluzione personale?

R. È entrambe le cose. Il mio percorso personale è fondamentale perché nei miei progetti mi interrogo su ciò che voglio rappresentare, sul tema da trattare e su come realizzarlo. La mia esperienza va di pari passo con il tempo in cui vivo, con le lotte che faccio e che avvengono in Italia. Sono una donna, lesbica, attivista, ribelle, anticonformista e queste componenti creano la base su cui si sviluppano i miei lavori, realizzati con sfumature e indagini sul corpo e la sessualità in modo differente.

D. Celebrate Yourself è un progetto chiuso o vorresti arricchirlo con altre interviste e altri scatti? C'è qualcos'altro che vorresti esplorare della vita e del percorso di persone LGBT?

R. È stato difficile trovare 35 persone che volessero fotografarsi e raccontarsi. Non tutti/e sono disposti a metterci la faccia a dire apertamente chi sono. C’è ancora molta paura di essere giudicati e discriminati. Molte persone contattate si sono tirate indietro, altre avevano problemi sul lavoro o non lo avevano detto ai genitori e non ho trovato nessuna famiglia arcobaleno che volesse fare una foto con la famiglia, forse anche a causa dei figli minorenni. Credo ci sia ancora molto lavoro da fare sulle tematiche lgbt, molte sfumature da narrare e rappresentare. È necessario continuare a parlarne per sensibilizzare e portare l’attenzione su questi temi alle istituzioni. Celebrate Yourself potrebbe continuare qualora avesse le attenzioni di Comune e Regione che vogliano diffondere e promuovere il progetto attraverso i loro canali e spazi. In questo caso, potrei creare nuovi ritratti e pensare ad una mostra più grande, dinamica e interattiva inserendo le interviste complete anche con l’audio da ascoltare.

Foto"Celebrate yourself" 2017, locandina
Non so dirti cosa vorrei ancora esplorare sulla tematica lgbt. Cerco sempre di trattare il tema in modo semplice e simpatico dando un’immagine positiva cosicché le persone possano identificarsi con chi rappresento. Forse, davanti all’attuale situazione politica italiana e con l’avanzare di estremismi e ideologie razziste e fasciste potrei affrontare il tema della violenza e della resistenza. Ma è solo un’idea. La verità è che ci sono molti temi che mi stanno a cuore, come la disabilità, la povertà, la disoccupazione, il sessismo e la violenza verso le donne. Vorrei essere identificata come una fotografa che si impegna per i “diritti umani” nella lotta verso le minoranze e non solo per quelle lgbt. Le dinamiche discriminanti sono molto simili, come l’esclusione, l’indifferenza, l’intolleranza, l’abuso e sopruso. Per me, la fotografia è denuncia e come tale c’è molto di cui parlare.  

Alicearduino.com


Davide Monetto



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Foto
Corpus Dominae, 2016
Foto
Riccardo Zuccaro | ph Alice Arduino, 2018

Francesca Puopolo

Riccardo Zuccaro


​​La mia ricerca verte sulla scoperta e sulla messa a nudo, ma non sull'accettazione: accettar qualcosa presuppone uno standard di partenza con cui fare un confronto, per poi decidere se il soggetto è “all'altezza” dell'esame. No, grazie.

L’essere umano è abituato a classificare tutto in confini ben definiti, sicuri e rassicuranti. Tentare di rompere quei confini è uno dei compiti più complessi che conosca, ed è uno sforzo che richiede molto lavoro su se stess*. 
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Foto
Elisabetta Solazzi, Presidente Grandaqueer
Foto
Simone Balocco, expresidente grandaqueer

Elisabetta Solazzi

Simone Balocco


​Avevo l’impressione di essere doppia e non trovavo una parte dominante che mi indicasse la direzione da seguire, poi lavorandoci in psicoterapia, ho delineato i contorni fisici e mentali della mia persona. Probabilmente non sono giunta ad un “punto di arrivo”, ma nel “divenire” sono a mio agio.

Se prendiamo il termine queer nel vero senso della parola ovvero “strano” “eccentrico” non trovo differenze tra le generazioni. Se ci pensiamo, siamo tutti queer poiché dopo anni e anni di stereotipi e pregiudizi siamo stufi di esser categorizzati e catalogati. 
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    Giovanni Bertuccio

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