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Arte e Tecnologia | Un po' di Storia

7/3/2017

 
FotoArte rupestre del paleolitico superiore. Ricostruzione grafica. Museo Archeologico Nazionale di Santa Maria delle Monache, Isernia.
Da sempre gli artisti si sono basati sulle conoscenze tecnologiche e sull’ingegno per trovare i materiali e gli strumenti adatti per esprimere al meglio i propri sogni, pensieri, visioni o credenze, e ogni opera d’arte si determinata in primo luogo dai materiali a disposizione dell’artista e dall’abilità di questi nel manipolarli. La tecnologia non solo influenza la creazione artistica stabilendo le possibilità di espressione degli artisti, ma determina il passaggio a funzioni diverse dell’arte, cambiandone anche le modalità di fruizione. La parola tecnologia deriva dal greco “techne” arte intesa come il saper fare, e “logia”, discorso, trattato.
Già 30.000 anni fa i cacciatori del Paleolitico superiore erano in grado di lavorare la pietra così da renderla affilata o di utilizzare i pigmenti naturali per decorare le pareti delle caverne o per scolpire statuette femminili simboleggianti la fecondità. Scoperte per la prima volta, sulle pareti delle grotte in Spagna e nella Francia meridionale, figure di bisonte, mammut o cervo hanno confermato che gli uomini preistorici credevano già nel potere dell’influenza delle rappresentazioni: una volta fissata l’immagine, l’animale avrebbe ceduto al potere del cacciatore, come scrive Gombrich in La storia dell’arte.


FotoSchema esplicativo di come Brunelleschi “scoprì” la prospettiva
Rinascimento: Brunelleschi e Leonardo 
Fin dall’età della pietra, quindi, il rapporto fra arte e tecnologia ha avuto un ruolo importantissimo nello sviluppo dell’attività artistica, fino a confondersi, in maniera evidente, nel Rinascimento. In quell’epoca, scrive Massironi in L’Osteria dei Dadi Truccati, l’arte intesa come techne coltivava interessi per la scienza dei numeri, per le proporzioni e i rapporti e si dedicava alla progettazione di macchine ed edifici destinati a scopi sia civili che militari. L’artista era un po’ tecnico, scienziato, filosofo naturale e inventore. All’inizio del Quattrocento Filippo Brunelleschi, architetto fiorentino, aveva dipinto, nel corso di un esperimento, due tavolette che hanno segnato la nascita della prospettiva intesa come insieme di procedure e proposizioni di carattere geometrico-matematico dei passaggi che consentono di costruire l’immagine di una figura nello spazio su un piano, proiettando questa figura da un centro di proiezione posto a una certa distanza ben definita. Brunelleschi è l’artista-scienziato che ha segnato il passaggio dal Medioevo al Rinascimento ed è con lui che il progetto inizia ad avere il primato sulla realizzazione. Tutta la sua opera artistica, architettonica, teorica può essere letta come una ricerca matematica, una ricerca delle relazioni geometriche, delle leggi fisiche e meccaniche. Con la prospettiva è stato inaugurato un nuovo atteggiamento nell’osservazione della natura e si andava preparando il terreno per la rivoluzione scientifica del diciassettesimo secolo.
​

Dopo Brunelleschi è la volta di Leonardo, la cui intera opera è un fitto intreccio di arte, scienza e tecnologia al servizio della conoscenza e della rappresentazione. Leonardo è stato il primo a ipotizzare l’esistenza di due prospettive: quella lineare di Brunelleschi e quella aerea con la quale intendeva il meccanismo della messa a fuoco: se si guardano nitidamente le figure in primo piano, l’occhio non può contemporaneamente mettere a fuoco anche le figure sullo sfondo. Quindi, se il pittore sfoca le immagini in lontananza, riesce a creare un effetto di tridimensionalità che non fa ricorso alle linee geometriche dell’architettura. Inoltre, a Leonardo si devono i primi studi in Europa sulla possibilità di proiettare immagini dal vero su un foglio dove potevano essere facilmente ricopiate, con la cosiddetta camera oscura leonardiana. Con la camera oscura l’inventore intendeva dimostrare che le immagini hanno una natura puntiforme e si propagano in modo rettilineo venendo poi invertite da un foro strettissimo che fungeva da obiettivo, arrivando persino a ipotizzare che anche all’interno dell’occhio umano avvenisse un capovolgimento analogo.
La camera ottica risultava ancora utilizzata nel XVIII secolo da pittori come Canaletto e Bellotto che, grazie a quella, hanno acquisito precisione fotografica nel dipingere i paesaggi veneziani per i quali continuano ancora oggi a essere celebri.  


FotoClaude Monet | La stazione di Saint Lazare, 1877
#Fotografia
Nel 1800 si pensò alla possibilità di combinare le proprietà creatrici della camera ottica con la possibilità di registrare le immagini ottenute sfruttando le caratteristiche dei sali d’argento sensibili alla luce. Così negli anni trenta dell’800 nasce la fotografia, e molti pensarono, come il pittore Paul Delaroche, che avrebbe decretato la morte della pittura. In realtà la fotografia determina solo il passaggio a forme pittoriche diverse. Grazie alla fotografia, cui spetta il compito di imprigionare e documentare la realtà, il pittore può permettersi di andare oltre quello che l’occhio vede, esplorando il territorio della percezione, abolendo le regole prospettiche. Gli impressionisti infatti, accogliendo le teorie ondulatorie e corpuscolari sulla luce, ne studiano il movimento, le vibrazioni e i cambiamenti di colore. Inoltre, la rivoluzionaria invenzione industriale dei colori in tubetto consente al pittore di abbandonare l’atelier per riprendere en plein air i caffè parigini, i cabaret e la vita dell’epoca, cogliendo l’impressione del momento come Renoir con il Ballo al Moulin de la Galette o Monet ne La stazione di Saint-Lazare, dove ciò che interessa al pittore, come dice Gombrich ne La storia dell’arte, non è la stazione in quanto soggetto ma l’effetto della luce che entra dalla tettoia di vetro per investire le nuvole di vapore e la forma delle locomotive e dei vagoni che emergono dalla confusione.
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Con la fotografia prima e il cinema poi, ma più in generale con l’avvento della società industriale, l’opera d’arte entra, come afferma Benjamin, nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Lo sviluppo tecnologico investe i mezzi di produzione e di riproduzione della comunicazione e della rappresentazione, dando vita a nuove forme di produzione e di diffusione del lavoro artistico e a nuove concezioni rispetto alla funzione sociale dell’arte e dell’artista. Queste innovazioni, come sempre per quelle di grandi portate, ebbero risposte contrastanti. Da un lato, soprattutto a partire dal primo decennio del XX secolo, gli artisti sono affascinati dalla tecnologia, la assimilano o addirittura la utilizzano nella sperimentazione di nuove forme di espressione.

​Il futurismo è manifestazione del dinamismo del mondo moderno, vuole cantare la civiltà della macchina e della tecnica anche attraverso l’esaltazione della guerra che, come scriveva Marinetti nel 
Manifesto per la Guerra Coloniale in Etiopia, “grazie alle maschere antigas, ai terrificanti megafoni, ai lanciafiamme e ai piccoli carri armati fonda il dominio dell’uomo sulla macchina soggiogata”. Dall’altro lato, alcuni artisti rifiutano sdegnosamente la tecnologia e la modernità scegliendo la strada dell’idealismo o dell’irrazionalismo. Baudelaire afferma: “se alla fotografia si permetterà di integrare l’arte in alcune sue funzioni, quest’ultima verrà ben presto soppiantata e rovinata da essa, grazie alla sua naturale alleanza con la moltitudine”. Per il poeta, il fare artistico è un’attività creativa, opera di un individuo eccezionale e l’opera è un oggetto unico e irripetibile. Nel momento in cui la macchina fotografica si sostituisce alla mano dell’artista nella produzione di immagini, questa unicità e irripetibilità viene meno.


gb


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