Il video, inteso non solo come immagine ma come dispositivo multiplo, innesca un processo di “esplosione” verso l’esterno, verso il contesto spaziale insomma. Con l'abolizione del punto di vista unico e l’apertura ad una temporalità plurima, lo spettatore partecipa, così, ad un evento reale, fisico. E il suo mondo emotivo e percettivo, che si confronta o interagisce con l'opera, diventa necessario per lo svolgersi della narrazione. Infatti le opere interattive hanno la capacità di modificarsi grazie alla presenza e all’azione degli spettatori, diventati veri coautori dell’opera. Da un’opera chiusa e strutturata, grazie alla navigazione ipertestuale, agli ambienti virtuali 3D, alle immagini di sintesi e alle installazioni interattive, si passa ad un’opera-sorgente che contiene nella sua attualizzazione ed esecuzione infinite variabili. A partire dal 1987, lo scenografo M.Reaney inizia ad utilizzare la computer grafica per l’allestimento scenografico, fino a giungere alla programmazione di ambienti virtuali per la fase illustrativa con il regista e nel 1993 arriva ad un primo esperimento di simulazione proiettando il modello scenografico digitale direttamente all'interno della cornice del boccascena e immaginando poi una scenografia virtuale tridimensionale direttamente sul palcoscenico. Paolo Aztori, invece, rigoroso nell'articolazione di scenografie elettroniche e nelle concezione di uno spazio scenico integrato nel processo creativo della messa in scena, intende la scenografia come dotata di infrastrutture proprie, adatte al nuovo linguaggio della rappresentazione, attraverso cui l’orizzonte percettivo sfonda la prospettiva ordinaria oltre il boccascena, per affermare la simultaneità delle diverse percezioni, tra reale e virtuale. |
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Giovanni Bertuccio
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