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TECNOLOGIA E TEATRO                                        ANNI NOVANTA                                                        INTER-ATTIVITA'

1/9/2018

 
Foto
Marcel•lí Antúnez Roca | Epizoo, 1994
Il video, inteso non solo come immagine ma come dispositivo multiplo, innesca un processo di “esplosione” verso l’esterno, verso il contesto spaziale insomma.

Con l'abolizione del punto di vista unico e l’apertura ad una temporalità plurima, lo spettatore partecipa, così, ad un evento reale, fisico. E il suo mondo emotivo e percettivo, che si confronta o interagisce con l'opera, diventa necessario per lo svolgersi della narrazione. Infatti le opere interattive hanno la capacità di modificarsi grazie alla presenza e all’azione degli spettatori, diventati veri coautori dell’opera. Da un’opera chiusa e strutturata, grazie alla navigazione ipertestuale, agli ambienti virtuali 3D, alle immagini di sintesi e alle installazioni interattive, si passa ad un’opera-sorgente che contiene nella sua attualizzazione ed esecuzione infinite variabili. 

A partire dal 1987, lo scenografo M.Reaney inizia ad utilizzare la computer grafica per l’allestimento scenografico, fino a giungere alla programmazione di ambienti virtuali per la fase illustrativa con il regista e nel 1993 arriva ad un primo esperimento di simulazione proiettando il modello scenografico digitale direttamente all'interno della cornice del boccascena e immaginando poi una scenografia virtuale tridimensionale direttamente sul palcoscenico.
​

Paolo Aztori, invece, rigoroso nell'articolazione di scenografie elettroniche e nelle concezione di uno spazio scenico integrato nel processo creativo della messa in scena, intende la scenografia come dotata di infrastrutture proprie, adatte al nuovo linguaggio della rappresentazione, attraverso cui l’orizzonte percettivo sfonda la prospettiva ordinaria oltre il boccascena, per affermare la simultaneità delle diverse percezioni, tra reale e virtuale.


Marcel•lí Antúnez Roca

La coincidenza fra reale e virtuale è ciò che interessa a Marcel•lí Antúnez Roca, fondatore della compagnia catalana Fura dels Baus. Antúnez Roca si fa portavoce di un nuovo cyberteatro o teatro tecno-biologico in cui l’ibridazione e lo scambio non avvengono solo tra macchine e dispositivi, ma tra corpo e tecnica, tra organico e inorganico, tra robotica e biologia, operando al confine tra “corpi in-macchinati e macchine in-corporate” come dirà lui stesso.

​Il performer incarna l’utopia post-umana della tecno-mutazione, dell’ampliamento della struttura biologica verso nuove sensibilità extratattili diventando, attraverso innesti temporanei di dispositivi elettronici ed elettromagnetici, cybermarionetta e robot cibernetico, potente metafora della liberazione del corpo verso nuovi e inesplorati spazi di sensorialità. Pensiamo a Epizoo del 1994 - dove il corpo-macchina del performer si fa appendice digitale sottoposto alle "molestie" telematiche da parte degli spettatori attraverso un touch screen - o a Requiem del 2000 in cui dei robot pneumatici reagiscono alla presenza del pubblico.

In Transpermia. Panspermia inversa (2003) Antùnez, come già in Afasia nel 1998, sostituisce il keyboard con il dressskeletron o esoscheletro, una protesi elettromeccanica, vero prolungamento protesico della sua corporeità recuperando grazie al programma Midi Reactor, funzioni organiche non più limitate alla vista e al tatto. Suona con il corpo e modula la voce, anima immagini e disegni che mostrano ipotesi di interfacce e robot da usare nel quotidiano per identità sempre mutanti. Il performer riesce così controllare tutto lo svolgersi della performance, dal momento che il suo esoscheletro è diventato la piattaforma che gli permette di connettere e gestire una molteplicità di programmi, facendo di sé stesso, un’interfaccia delle interfacce.


MOTUS

Motus è uno dei gruppi di punta della cosidetta generazione Novanta, o terza ondata, fenomeno esploso agli inizi degli anni Novanta in spazi underground, extrateatrali decentrati in centri sociali o spazi occupati. I Motus si impongono per il forte impatto visivo e la carica trasgressiva e il loro teatro legato al culto dell’immagine, si esprime in una poetica dall’eccesso di visione. Con le loro installazioni, performance e spettacoli, i Motus richiamano Warhol, Bacon, DeLillo, Cocteau, Abel Ferrara, Gus Van Sant e le loro strutture sceniche sono territori di confine in cui la visione mediatizzata si accompagna ad un ossessiva indagine del corpo mostrato, violato, nei suoi aspetti estremi di violenza e di sesso. 

CATRAME
​

In Catrame, 1996, il suono e la musica sono fra gli elementi più importanti. Assieme alla luce, sembra siano loro a scolpire il corpo, a deformarlo, inseguirlo. Il corpo trasgredito rimane oltre il plexiglas e lo spettatore è coinvolto in quello spazio chiuso proprio attraverso il dilatarsi dei suoni e delle luci, guardando un corpo nudo che, disgregandosi, viene completamente rimodellato.

Immagini psichedeliche, luci forti e cromie acide fanno emerge l’ambiente in cui si svolgono le azioni. Scatola-gabbia costruita da tubi metallici e chiusa dal plexiglas trasparente in cui il corpo in movimento diventa sfocato, sofferente, seguendo le suggestioni delle opere di Bacon.

​
ORLANDO

L'Orlando Furioso diviene oggetto d’analisi in O.F. ovvero Orlando Furioso, 1998/99. Presentato in vari modi: spettacolo teatrale, video e performance - tanto da formare una vera e propria opera multimediale, l'opera passata al bisturi dei Motus, viene sventrata e rivista, non in termini di rappresentazione ma di esecuzione. 

​
L’ossessione di ricostruire continuamente le scene, i “quadri” del poema, diviene l’unica vera messa in scena e  l'apparato tecno-scenografico si fa elemento drammaturgico. 
Una grande, vorticosa piattaforma rotante: circo, giostra d’esposizione atroce degli eroi/eroine del poema. Luogo di vertiginose battaglie e patetiche relazioni amorose, enorme lanterna magica posta al centro di una Croce di passerelle sopra elevate, complessa “meccanica del desiderio” del poema.


ROOMS

​Rooms, confluito nella versione definitiva dal titolo Twin Rooms (2000-2003) si ispira al romanzo Rumore bianco di De Lillo. Attraverso un particolare dispositivo visivo e sonoro, l’azione teatrale, che procede per riquadri e close up, ricostruisce un vero e proprio set cinematografico. 

La regia teatrale diventa regia di montaggio. La camera d’albergo, la struttura scenica si raddoppia generando una “digital room” con due retroproiezioni affiancate da immagini pre-registrate o provenienti da telecamere a circuito chiuso e mixate live con quelle girate in diretta dagli stessi attori in scena. La cornice scenografica di questo expanded live cinema invade tutto lo spazio del palco e le immagini riempiono ogni interstizio possibile, generando un sovraccarico di immagini. 

Presenza inquietante, il video, in un eccesso di visibilità e una morbosità dell’occhio della telecamera che sorveglia e si sofferma sui corpi, drammatizza il totalitarismo consumistico narrato cinicamente da De Lillo: lo shock dell’immediatezza, il senso di alienazione e di perdita di identità nel flusso della rappresentazione del sé.


​ROMEO CASTELLUCCI

Tragedia Endogonidia di Romeo Castellucci (2002-2004) è un’opera unica formata da undici episodi. Sviluppata in tre anni, ognuno degli 11 video fa capo ad una città di cui prende il nome. 

L’idea, che alimenta 
Tragedia Endogonidia è quella di un'opera in continuo cambiamento. Un sistema di rappresentazione che, come un organismo, si trasforma nel tempo e nella geografia dei propri spostamenti. Lo spettacolo che ne emerge non è un’opera chiusa, in quanto gli episodi si auto generano e i filmati non sono da considerarsi “documentazione” di un fatto accaduto ma come parte integrante di ciò che, è accaduto e, continua ad accadere ogni volta che qualcuno guarda il video. 

Ci si trova, così, di fronte a 
quadri inediti, che stuzzicano la nostra immaginazione senza fornirci chiavi di lettura sicure. Indubbiamente la storia e il passato di chi guarda plasma la ricezione dell'opera, ma si tratta di connessioni nuove, in cui ci si trova in un nuovo inizio, dove ancora tutto deve essere inventato coerentemente.

gb



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