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Videodanza | Inghilterra. Germania

12/14/2017

 
FotoTwo falling too far | Mark Murphy and Sue Cox, 1990
​In Gran Bretagna, la televisione ha svolto un ruolo fondamentale per lo sviluppo, la diffusione, la promozione e la produzione della danza prima, e della videodanza poi. Intenti educativi, divulgativi e di informazione che rendono difficile una distinzione netta fra televisione e videodanza, dal momento che il fenomeno di broadcasting e quello creativo-artistico sono due sistemi integrati, anche dal punto di vista economico. I paesi anglosassoni hanno un modo particolare di produrre danza in video, un metodo che unisce allestimenti live a valori propriamente coreografici, come nel caso della ripresa di uno spettacolo esistente, un esempio potrebbe essere Eight Jelly Rolls di Trisha Brown per la regia di Dereck Bailey.

Negli anni Ottanta, in concomitanza con l'esplosione della danza, si intensificano le produzioni, facendo emergere le nuove generazioni di coreografi come Richard Alston, Karol Armitage, l'italiana Adriana Boriello. I provocatori DV8 con Never Again; Dead Dreams of monochrome men del 1989; l'atletico Mark Murphy - vimeo.com/mrmarkmurphy - con Two Falling Too Far, la politicizzata Rosemary Butcher con Body as Sight, del 1993.

Negli anni Novanta, grazie al progetto Dance for Camera, vengono prodotti alcuni video shot format, fra i quali vale la pena ricordare Never Say Die di Nigel Charnock, Dwell Time di Siobhan Davis, entrambi del 1995. Fra le produzioni indipendenti e fra quelle ibride, un capolavoro è Enter Achilles, dall'omonimo lavoro teatrale coreografato da Lloyd Newson, del 1996, preceduto da Strange Fish. La cifra visionaria degli esponenti di DV8 oscilla fra proiezione onirica e desiderio, in una carrellata di personaggi di grande energia, ma anche di forte impatto visivo, in qualche caso al limite dell'erotismo. Fra le realizzazioni inglese più recenti presentati alla rassegna milanese Teatri90 nell'edizione del 2000, il video The Reunion del 1997 con la coreografia di Ian Spink è incentrato sul nuovo incontro fra un uomo e una donna; sempre del 1997, Exit, coreografia di Jamie Walton, racconta con ritmi martellanti il viaggio nella memoria di cinque danzatori nel Greenwich Foot Tunnel che passa sotto il Tamigi. Nel recente The Link, 2000, il performance artist Glyn Davis Marshall traccia il breve ritratto di un proprio antenato morto cinquant'anni prima in circostanze misteriose.

FotoLutz Gregor | Kontakt Triptychon, 1992
In Germania, già da molti anni vi era la buona abitudine di riprendere per la telecamera balletti e produzioni di teatrodanza. Grazie a questo, ad esempio oggi possiamo vedere le riprese delle opere originali del tempo, pensiamo a Barbe Bleue del 1977 di Pina Bausch, che oggi possiamo vedere con i danzatori di allora, o Café Müller del 1985, dove a danzare è la stessa coreografa. Ma aldilà delle riprese, per una vera e propria produzione di videodanza, come prodotto autonomo, bisogna aspettare gli anni Novanta. E ancora una volta torna la firma Baush con Der Klager Der Kaiserin, Il lamento dell'Imperatrice, alla quale si accompagnano, da un lato, opere visive dalla forte concentrazione narrativa come quelle di Lutz Gregor, pensiamo ad Angelus Novus del 1991 o a Kontakt Triptychon del 1992; dall'altro video produzioni più sperimentali come nel caso dell'artista Tamara Stuart Ewing, pensiamo ad esempio alla sua opera del 2000, Mile “0”, sul tema della gravità della caduta.


gb


Approfondimenti


DV8  | Dead Dreams of monochrome men, 1989
​​Pina Bausch | Der Klager Der Kaiserin, 1990
Pina Bausch  | Café Müller, 1985
Rosemary Butcher | Body as Sight, 1993
Pina Bausch | Barbe Bleue, 1977
Lutz Gregor | Kontakt Triptychon, 1992

    Autore

    Giovanni Bertuccio

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Direttore Giovanni Bertuccio



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