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Riconoscersi oltre i propri “filtri”

4/9/2018

 
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“QUEER STREET. Wrong. Improper. Contrary to one’s wish. It is queer street, a cant phrase, to signify that it is wrong or different to our wishes”


Parte della nostra vita è decisa da passi codificati dalla società in cui viviamo: la scuola, il lavoro, le relazioni famigliari sono tutti ambienti entro cui le nostre esperienze sedimentano andando a formare i mattoni della nostra identità. Siamo parte di un processo di accumulazione di cui pensiamo di essere il centro ma di cui siamo soltanto una parte fra tante altre che ci condizionano. Ci illudiamo di essere i protagonisti di una vita interiore che col tempo si arricchisce in complessità, che si ramifica silenziosamente, formando e modificando col tempo il nostro modo di pensare. Via via cambiano le forme di un futuro che percepiamo inavvicinabile ma che vezzeggiamo e desideriamo. Credo che la giovinezza consista nel farci plasmare da una serie di esperienze che, mentre ci passano attraverso, riponiamo disordinatamente, quasi sovrappensiero, oltre una porta chiusa. In una stanza via via più ampia che, una volta abitata, costituirà la vita adulta, il momento in cui il futuro immaginato diventerà un presente vissuto. Per molte persone questa rivoluzione avviene a cavallo dei trent’anni. 

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Io, come molti miei amici, sono esposto a ciò che la mia individualità mi pone di fronte, e all’ansia che provo rendendomi conto di quanto io sia lontano da un me stesso che inevitabilmente avevo idealizzato. Perché questa età è quella del disorientamento, della frustrazione. Arrivati a cavallo dei fatidici trenta, ci rendiamo conto che siamo cambiati noi ed è cambiato il nostro punto di vista. Ci ritroviamo fra le mani esperienze che avevamo filtrato attraverso l’aspettativa del ricordo che ne avremmo avuto, o dell’utilità che ci è stato suggerito potessero avere. Prima o poi, volente o nolente, voluto o temuto questo futuro si avvicina, e noi ci disponiamo finalmente a prenderne possesso. Varchiamo quella porta che avevamo chiusa e percorriamo a tentoni i confini di questo luogo caotico. Cerchiamo di organizzare ciò che ci è utile e riponiamo quello che può essere messo da parte, scoprendo che non siamo in grado di farlo.

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Ci sentiamo diversi rispetto alla persona che, da giovani, pensavamo di essere. Ci sentiamo privati del nostro potere su noi stessi. Viviamo con sofferenza lo scollamento fra ciò che è diventata la nostra vita e le aspettative su noi, imposte dalla società e dalla cultura che ne è l’immaginario. Viviamo urgenze, desideri, sensi di colpa “altri” rispetto a noi. Siamo abitati, in ogni fase della nostra vita, da attori con cui interagiamo senza che la loro presenza ci sia palese. Ci scopriamo in una realtà sospesa, vischiosa; una nebbia in cui molte energie girano a vuoto e si disperdono. Il presente è privato di prospettive: il futuro immaginario che prima popolavamo di sogni e progetti è desertico. Al contempo scopriamo una vita interiore molto più affollata e caotica di quanto potessimo mai aspettarci. C’è un popolo sotterraneo che si muove e mormora sotto ciò che ci illudevamo di essere. Ci vediamo finalmente come delle goffe creature piene di malfunzionamenti; strani mostri: Queers. Scegliere per noi la nostra identità implica il ragionare sulla distanza fra ciò che realmente ci rende felici e i modi di vivere messi a disposizione dal mondo in cui viviamo.


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→ I miei coetanei, almeno quelli con cui parlo, raccontano di una lenta transizione di fase, in cui diventano spettatori giudicanti del proprio presente e del proprio passato. Difficile riuscire a passarne attraverso senza rimanerne almeno in parte disorientati o peggio traumatizzati. Molti si ritrovano di fronte ad un presente cresciuto in forme e direzioni inaspettate. Si aspettavano che, gettando radici sulle cose che più sentivamo proprie, crescesse e si irrobustisse un presente stabile. Fatto di un lavoro, una serie di passioni, una vita di relazione, magari di famiglia. La maggior parte dei trentenni, oggi si ritrova invischiata nella sterpaglia, persa in una macchia dura e ostile, o assiste impotente al lento avvizzirsi di un presente tanto agognato, ma che non viene nutrito a sufficienza.


Davide Monetto


    Autore

    Giovanni Bertuccio

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Magazine d'Arte e Cultura. Teatro e Danza. Queer

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Testata giornalistica registrata al Tribunale di Torino n. 439 del 07 novembre 2016
Direttore Giovanni Bertuccio



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