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QUEER E DANZA                                                      ANNI NOVANTA                                                      VOGUE | COSA RESTA?

1/3/2021

 


SFILATA DELLE FATE
IL RINASCIMENTO DI HARLEM

La cultura delle drag ball e il voguing possono essere fatte risalire al Rinascimento di Harlem, quando la Hamilton Lodge organizzò la sua prima queer masquerade nel 1869. "Mascherate" era, infatti, il nome con cui venivano pubblicizzate sui giornali, mentre per i partecipanti, grazie al passa parola, divennero noti come balli di froci o sfilata delle fate (utile a questo proposito la visione del film Il Ballo dei 41 del regista David Pablos, 2020).
​
Questi eventi, fin dalla seconda meta del XIX secolo, fecero subire ai loro partecipanti intimidazioni, arresti, persecuzioni, da parte della polizia durante la depressione, il proibizionismo e la criminalizzazione delle relazioni omosessuali nella la prima metà del XX secolo. All'inizio degli anni Sessanta, la scena drag ball inizia a frammentarsi lungo linee razziali, in coincidenza con l'intensificarsi del movimento per i diritti civili. Anche se frequentate da bianchi e neri, ci si aspettava che le regine nere "sbiancassero" i loro volti se volevano vincere un titolo.


​HOUSES & BLACK QUEEN

Frustrate dai pregiudizi razziali, le regine nere iniziarono, così, a mettere in scena i propri eventi. La formazione della struttura delle Houses, come già detto, ha dato vita ad una famiglia sociale estesa. Ha aiutato i partecipanti a navigare attraverso il razzismo, l'omofobia, la transfobia e l'oppressione di classe. Ma con il passare degli anni, le Houses partecipavano attivamente contro le politiche di abbandono e le ingiustizie razziali ed economiche, come nella New York negli anni Ottanta. Decade in cui la City registra un calo del benessere e dei servizi sociali e una precoce gentrificazione dei quartieri urbani. Una diminuzione dei finanziamenti per case famiglia e rifugi per giovani senzatetto. Un forte aumento dei tassi di disoccupazione tra gli uomini neri e latini e, soprattutto, la mancanza di fondi durante l'era Reagan per le persone sfollate o senzatetto a causa dell'HIV/AIDS. ​

Queste «minoranze all'interno delle minoranze all'interno delle minoranze» hanno dovuto affrontare una potenziale e completa esclusione dalla società del tempo. La tensione per emergere e sfuggire alla minaccia dell'oblio, veniva superata, o mitigata, imitando e ribaltando gli standard di bellezza degli Uptown. Principalmente​ quelli promossi dalla popolare rivista «Vogue» considerata, a partire da questi anni, la «Bibbia della moda».


​CULTURA POP E GLOBALIZZAZIONE

I voguers arrivavano dalle periferie delle grandi città con il desiderio di esprimere sè stessi, mostrando apertamente la loro identità sessuale indossando piume e paillettes. Si incontravano in locali e discoteche, luoghi che presto sarebbero diventati il centro principale di quella filosofia neonata, che di li a poco si sarebbe trasformata in uno stile di vita. Vent'anni dopo, alla fine degli anni Ottanta, purtroppo o per fortuna, il voguing inizia ad essere commercializzato e questo processo, aiutato dalla globalizzazione ancora agli inizi, è stato accelerato dallo sviluppo della musica pop.

Se alla fine degli anni Sessanta l'obiettivo principale era quello di costruire un'identità attraverso cui riconoscersi e farsi conoscere dalla società, vent'anni dopo, si manterranno le stesse caratteristiche ma con un obiettivo completamente diverso. Lo scopo originale del fenomeno, il bisogno primordiale e soggettivo di esprimere la propria identità, a partire dall'entrata nella cultura di massa, si è trasformato, camuffato dietro strategie utili a esternare la propria appartenenza a un genere.


​NON PIù RITUALE

​Non si vuole più creare o espandere una comunità, ma si risponde piuttosto ad un bisogno narcisistico di mostrare sé stessi all'interno di qualcosa di strutturato. E all'interno delle ball, vera e propria parodia e capovolgimento del mondo della moda, la passerella rappresentava certo un palcoscenico in cui mostrarsi, raccontando, però, la propria storia e la lotta per i propri diritti allo stesso tempo. Apparenza ed essenza hanno perso il loro equilibrio e indossare i tacchi è tutto ciò che serve per essere un voguer.

Tutto è focalizzato sull'atteggiamento e sulla postura, e non vi è alcun riferimento all'ambiguità e all'alterità delle dive del passato, e le pop star - ben consapevoli dell'uso di un artificio - si concentrano sull'imitazione, spesso al limite del grottesco. Non si può più parlare di rituale o partecipazione collettiva, e voguing ha completamente perso i tratti tipici del cosiddetto "mondo queer" per diffondersi solo nel campo della danza.

​

L'oBBiettivo è Posare


​
​La fotocamera prima di tutto. Devi tradurre il tuo corpo nel modo in cui la fotocamera vedrà le tue linee migliori. La fotocamera non può vedere la profondità; può vedere solo la lunghezza e la larghezza. Non sprechi mai un'opportunità per una buona linea.
Archie Burnett

​​​
Una posa, per definizione, è un gesto deliberato, artificioso, eccessivo.  Il sé, come direbbe il teorico culturale Dick Hebdige, diventa il feticcio, e tantissimi giovani, ieri come oggi, vivono ossessionati dalla costruzione della propria immagine. Orgogliosi e contro la logica carceraria della modernità coloniale, quei ragazzi diedero vita a culture giovanili urbane. Gruppi di emarginati che iniziarono a organizzarsi attorno a stili subculturali: vestiti, sguardi, suoni, gesti, atteggiamenti. ​

Riunendosi alle ball, nei locali gay o sul lungomare del fiume Hudson, le bande di ragazzini del centro città ora aspiravano all'immortalità di una fotografia. Questi ragazzi sanno che mettersi in posa significa rappresentare una minaccia. I voguers si sono riappropriati dello sguardo voyeuristico della telecamera, dando deliberatamente spettacolo di sè. Hanno imparato a incorporare la meccanica dell'occhio della macchina fotografica e il suo imperativo di auto-visualizzazione. Ogni singola posa apre nuove possibilità di soggettivazione contro il filo della cultura dominante e, come ha scritto Hebdige, una posa è innegabilmente autoerotica, un segno di auto-ossessione.

Imitando le pose delle donne bianche nelle riviste di moda i soggetti minoritari sono continuamente impegnati nella produzione di forme dissenzienti di bellezza, soggettività e desiderio. Il voguing è (era?) una forma altamente condensata al confine tra opacità e leggibilità. Ogni frase coreografica sfida le aspettative con un arabesco di movimenti delle mani. Ogni scatto dei polsi produce vuoti di significato che superano la norma. La performance queer è intrecciata nella dialettica dell'assimilazione e della resistenza. È l'arte di usare gli strumenti del padrone per smantellarne le fondamenta. E sebbene considerate una minaccia per il mondo normativo, queste poetiche subculturali rischiano, come purtroppo sta accadendo, di essere incorporate nella cultura dominante.


​L'APPROPRIAZIONE

ONORE ALLE TRANS
​

L'uso di pronomi femminili e termini di indirizzo (she, gurl, miss) tra i membri delle ball è tanto un segno di riconoscimento quanto un'espressione di identità collettiva. Questo non è privo di ironia, in quanto contrasta con i dati demografici di una comunità fondata da donne trans nere e marroni, ma incentrata su una stragrande maggioranza di uomini gay cisgender.

Negli anni Ottanta, anche in risposta alla crisi dell'HIV/AIDS, l'attenzione si è spostata sul mondo dei ragazzi, privilegiando le loro forme di espressione e competizione, spesso a rischio di rendere invisibili le persone transgender di colore che hanno fondato la scena in primis.

Negoziando le proprie identità di genere in una “zona di contatto” tra soggetti minoritari, i ragazzi cis hanno finito per prendere in prestito (alcuni direbbero rubato) codici performativi che un tempo appartenevano a persone transfemminili, per poi reinscriverli in uno spazio omosociale di privilegio maschile. Con il cambio di decennio, vogue dalla sua forma originale (old school) inizia a competere per le luci della ribalta con uno stile di danza ancora più ginnico (il nuovo modo), le cui contorsioni degli arti saranno eclissate dall'arrivo di vogue femme. Mentre oggi è lo stile voguing più popolare ed emblematico, negli anni Novanta questa categoria ha fatto la sua comparsa con un titolo rivelatore: butch queen voguing like a femme queen.

I ragazzi hanno preso nota e hanno imparato a vogare sui tacchi alti. Col tempo avrebbero battuto le loro coetanee transfemme al loro stesso gioco, diventando l'indiscusso centro dell'attenzione alle ball, rischiando di cancellare la complessa storia di questo stile di danza.

Pioniere furono, quindi, le donne trans di colore, e il nome stesso, vogue femme, è la testimonianza di questa appropriazione. E questa rapida progressione di stili coreografici nasconde più di una semplice tendenza o un cambiamento di gusti. Le spettacolari battaglie non sarebbero altro che una trascrizione di lotte culturali che si svolgono su scala più ampia e in un campo di potere asimmetrico. Un'espressione codificata delle tensioni, delle controversie e dei negoziati, ancora in corso, sulla presenza e la visibilità del corpo nero transfemminile nella scena delle ball e non solo.


SVUOTAMENTO
NEL SISTEMA

Nel giro di pochi anni il voguing si stravolge e questo cambiamento avviene grazie a nomi del calibro di Alyssa LaPerla, Sinia Ebony e Ashley Icon che rinnovano il linguaggio coreografico. Digerita  l'eredità transfemminile nera con la loro geometria pulita,  le nuove leve sposano transizioni più fluide, unendo spavalderia e grazia selvaggia. Il loro stile, saturo di genere e ferocemente ipersessualizzato, risulta più drammatico, con movimenti femminili spasmodici che si concludono con cadute impossibili. Le femme queen, sono più forti, più veloci e più cattive, rendendo la danza sempre più difficile da insegnare, imitare o persino apprezzare per il pubblico bianco.

Mentre la musica elettronica diventava mainstream negli anni Novanta, anche i suoni delle ball, con la nuova decade, mutavano per incanalare l'energia frenetica del vogue femme. Proprio come ha perso interesse per le linee e gli angoli retti della old school, la nuova generazione era stanca di ballare sugli stessi vecchi dischi di Salsoul e sulle tracce house con le voci gospel tagliate. I ritmi tribali, sincopati e ossessivi della ghetto house e del breakbeat erano più adatti per le loro danze feline.


​FAGOCITARE STORIE E CONTESTI

​Il nuovo millennio, con l'accelerazione tecnologica e la diminuzione delle barriere, ha condotto all'esportazione della cultura delle ball (dei suoi aspetti più spettacolari in realtà) non solo in Europa. Tuttavia, questo traffico di codici subculturali, nato dalla sopravvivenza delle minoranze, non è esente da rischi, dal momento che spesso sfrutta e conduce alla cancellazione di contesti e storie specifiche.​

Perchè se è vero che il voguing ha avuto un ruolo importante nel processo di asserzione subìto dalle minoranze nell'America degli anni Sessanta, è fondamentale sottolineare anche come, attraverso la sua diffusione, si sia svuotato delle caratteristiche originali. Ieri Voguing era una danza che teneva conto della soggettività dell'individuo così come la cultura della minoranza che rappresentava; oggi, dopo cinquant'anni, vogue è diventato, suo malgrado, all'interno della pop culture, più un'espressione artistica che culturale.


​ANCORA VOGUE?

Oggi, insomma, sarebbe possibile “ripristinare” il vogue nella sua forma originale, affermando i diritti di una minoranza - quella formata da omosessuali, lesbiche, bisessuali e transessuali?

La risposta, in questi ultimi anni, non riguarderebbe più l'osservazione della società. Ma un'analisi approfondita dell'identità e dello stile gay dal punto di vista della cultura, della politica e dell'estetica. Lontano dalle rivendicazioni soggettive di ieri, oggi l'omosessuale esprime una sessualità super strutturata, o meglio una sessualità «performativa» decodificata dal camp, dal drag, da Lady Gaga, Rihanna e Britney Spears. E mentre alle origini, i voguers volevano essere sé stessi, oggi, nella febbre voguish, si vuole essere come x. E nel confronto con l'establishment culturale, non si arriva più al conflitto, ma ad una stagnante, infruttuosa, affluenza all'interno degli argini creati dallo status quo.  ​

gb 
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