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Queer. Teorie | Omosessualità

1/7/2019

 
Nell'Europa medievale e all'inizio dell'epoca moderna, l'omosessualità era spesso definita come disonorevole o concepita come un atto criminale al pari della blasfemia, perché accomunata a pratiche che andavano contro la religione o l'ordine sociale. Fino a questo periodo, l'omosessualità era pensata, quindi, come una caratteristica particolare: un peccato che chiunque, trascinato nella lussuria e nella superbia, avrebbe potuto commettere .

A partire dal XVIII secolo però, col fiorire delle città commerciali dell'Europa occidentale, l'omosessualità iniziò ad essere vista come pratica di parte di un gruppo distinto di uomini e, alla fine del secolo, nuove leggi, condussero alla sua criminalizzazione, con frequenti controlli e arresti
da parte della polizia.
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​Il termine omosessuale compare per la prima volta nel 1869 in un pamphlet dello scrittore ungherese Karoly Maria Kertbeny, scritto contro l’introduzione da parte del governo prussiano di una legge che puniva gli atti omosessuali. Nel codice prussiano del 14 aprile 1851 c’era un paragrafo che puniva gli atti contro natura commessi tra uomini e con gli animali. Temendone un’estensione anche al nuovo codice unitario, Kertbeny scrisse al ministro per sostenere che lo Stato non aveva diritto di intromettersi nel comportamento sessuale delle persone.

Nello stesso periodo invece Magnus Hirshfeld coniò i termini di uranismo, travestitismo, transessualità. A suo avviso, queste tre condizioni erano gradazioni di quello che lui chiamava terzo sesso o condizione sessuale intermedia. Gli uranisti erano quindi per lui, come i transessuali, degli “invertiti”: anime di donna in corpi maschili. Il loro desiderio per gli uomini era quindi un desiderio che oggi definiremmo eterosessuale.

Parallelamente, l'omosessualità veniva definita nei termini di una condizione medica: un'espansione dell'idea di patologia che ora includeva anche il comportamento sessuale. Psikopatja sexualis del 1886 - uno dei testi fondanti della sessuologia moderna e della riforma giuridica sul sesso - del medico austriaco Riccardo von Krafft-ebing, rappresenta il caso di diversificazione più importante sul piano medico legale, divenendo la base delle teorie che hanno dato forma all'odierna figura dell'omosessuale.

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​Nel 1905 nei Tre saggi sulla teoria sessuale, anche Freud comincia a delineare sfumature diverse all'interno dell'omosessualità. 
​
La preferenza nei confronti di una persona dello stesso sesso può essere, dice il viennese, assoluta o anfigena, bisessuale in altre parole. Può verificarsi in maniera occasionale o in condizioni quali l’assenza prolungata di un oggetto eterosessuale e può essere presente fin dall’inizio e persistere per tutta la vita oppure può comparire o ricomparire anche dopo lunghi matrimoni eterosessuali da cui sono nati dei figli. Alcuni omosessuali, inoltre, riscontrava Freud, vivevoano la loro tendenza come qualcosa di ovvio, volendo riconosciuti i loro diritti, altri invece ne entrano in conflitto.

Nel 1910, in  Osservazioni cliniche, Freud esamina la storia di una malattia psichica raccontata in prima persona dal paziente, in questo caso l'autorevole Presidente di Corte d’Appello di Dresda. Le sedute rilevavano, da parte del presidente l’inaccettabilità della pulsione omosessuale passiva nei confronti del padre. In questo rifiuto, Freud ipotizzava l'inizio di un processo psicotico che avrebbe potuto condurre ad una grave malattia mentale.

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​Ma nonostante le innovazioni e le intuizioni rispetto alle teorie del tempo, la psicoanalisi continuò a presupporre una sessualità biologicamente orientata verso un esito innato, maturo, normale: l’eterosessualità riproduttiva. E col prevalere del moderno ideale di salute su quello medievale di salvezza (concepita come pratica deviante), l’omosessualità, non fu più una pratica immorale, ma una condizione psicopatologica oggetto di studio e, se possibile, di cura.
All'indomani della secondo conflitto mondiale, all’interno della letteratura psicoanalitica anglosassone, si iniziò ad intendere l’omosessualità come una patologia simile alla nevrosi, alla perversione o ad un disturbo nell’area del narcisismo. Tuttavia nel 1948 Alfred Kinsey scopriva che gran parte della popolazione maschile aveva avuto una qualche esperienza omosessuale tra l’adolescenza e la vecchiaia. La sua misurazione in scala – che andava da zero (esclusivamente eterosessuali) a sei (esclusivamente omosessuali) – non fece altro, però, che ribadire l’idea di una sessualità rigidamente organizzata e negli anni Cinquanta cominciarono a consolidarsi quei criteri, che ancora oggi, definiscono le identità sessuali su una rigida dualità e su precise “specie”.

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​Nel corso degli anni Sessanta, autori come Bieber, Ovesey, Socarides, Hatterer, i capostipiti del movimento delle terapie riparative, consideravano l’omosessualità una patologia grave, un sintomo poliderminato, e in quanto tale, curabile e convertibile in eterosessualità attraverso un approccio direttivo-suggestivo. Nell’autobiografia Public Faces, Hidden Lives del 1976, H. Brown un omosessuale sottoposto a questo tipo di trattamento, testimonia che non soltanto non è riuscito a guarire dall’omosessualità, ma ha avvertito vergogna, isolamento e disperazione per il suo persistere. Numerose altre testimonianze, riferiscono di sospensioni temporanee con adesioni a una sessualità etero, con inevitabili ricadute.

Alla fine degli anni Sessanta le cose cominciano a cambiare. Con la rivolta di Stonewall, avvenuta a New York nella notte tra il 27 ed il 28 giugno 1969, si affermò il Movimento di liberazione per i diritti degli omosessuali e nel 1973 la comunità psichiatrica americana, dopo una lunga “guerra civile” (documentata in Lingiardi, 1996), decise l’eliminazione dal terzo Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM) dell’omosessualità egosintonica, a cui seguirà poi anche quella egodistonica. 

A partire da questi aggiustamenti, la Psicologia riconobbe gli stati di acquisizione di una identità omosessuale, presentandola come una tra le possibili identità sessuali assunte all'interno della società contemporanea, così come trattata da Troiden in Model of Sexual Identity nel 1989.


gb


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La Sottise, 2019
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Eterosessualità

Il Corpo


​Nei primi anni del Ventesimo secolo eterosessualità e omosessualità non erano ancora termini medici e nessuno dei due godeva dello status di sessualità normale. Solo nel 1934 l’eterosessualità assunse la definizione che conosciamo ancora oggi: manifestazione di passione sessuale per una persona di sesso opposto; sessualità normale..

Storicamente l'idea che il corpo umano si dividesse in due categorie opposte, divenne generale soltanto nel XIX secolo. Le differenze nelle prime fasi dello sviluppo, sono relative. Persino gli organi riproduttivi esterni che sono ovviamente diversi, pene, clitoride, scroto e labbra, si sviluppano a partire da un medesimo organo.
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Corpo. Assoggettamento

Lesbismo


​​Per Foucault, come per Nietzsche, i valori culturali emergono come risultato di un’iscrizione sul corpo, considerato come una pagina bianca. E per assumere significato, il corpo deve essere “distrutto”. Devastazione necessaria per produrre il soggetto che parla e le sue significazioni. In Purezza e pericolo
Mary Douglas, il corpo
viene descritto come modellato attraverso marcature che instaurano codici..

​La lesbica, afferma Wittig, si pone aldilà dell’opposizione binaria tra donna e uomo: non è né una donna, né un uomo.  La lesbica non ha sesso. Il sesso è qualcosa che viene prodotto e fatto circolare attraverso significazioni oppressive nei confronti di donne, gay e lesbiche. Il compito della politica dovrebbe essere il rovesciamento di tutto il discorso su cui si istituisce il genere..
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    Giovanni Bertuccio

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