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Queer e Danza | Anni 00 | Il secondo percorso

1/3/2021

 

​In origine era Uno

​Cosa ha perduto l'uomo nella sua anima e nella sua carne nella nostra società? Con questa domanda Brumachon metteva in danza il suo d'indicibles violences e a questo interrogativo proviamo a rispondere attraverso 5 coreografie. 

Dall'America all'Europa, dall'Oriente all'Occidente passando per Sodoma torneremo indietro fino a riscoprire Sigfried. Un percorso che riflette sulla stasi intellettuale per suscitare il risveglio emotivo. Dalla dualità odierna alla complementarietà originaria. Dalla Storia alla Preistoria e dalla Letteratura al Mito.

Cipriota, newyorkese d'adozione, Maria Hassabi è artista poliedrica. La sua è una danza interdisciplinare non legata solo alla scatola nera del teatro ma le sue creazioni invadono lo spazio di gallerie d'arte, musei e cinema. In questo modo l'azione coreutica esce fuori da sé e si inserisce nel fluire continuo della vita stessa, attraverso un percorso in cui la Motion si mischia all'Emotion e le sensazioni sono tradotte in forme esteticamente ricercate.
Foto
Solo | Maria Hassabi, 2009 | ph Paula Court
​In Solo, prima parte di un dittico nato nel 2009, al centro c'è ovviamente il corpo, che soggetto e/o oggetto, è portatore di istanze sue proprie. Esiste infatti un linguaggio verbale e uno non verbale, dove l'ultimo rimanda a quell'insieme di segni che trasformandosi in movimenti, diventano leggibili per chi guarda. Ed è qui che l'arte funge da specchio e il pubblico può riconoscersi. Vedere trasformare l'alterità del singolo artista, in identità collettiva.

In una danza, quella dell'Hassabi, in cui le sensazioni di gioia, euforia, felicità lasciano il posto alla noia, all'incapacità di agire financo l'assenza di desiderio, tutto è demandato a ciò che in realtà si vede poco: a quegli spasmi nevrotico nervosi che il corpo emette inconsapevolmente. E' la vita interiore di quel corpo che l'artista vuole mostrare o meglio la rappresentazione visiva della stasi intellettuale. 

Tratto da:
 Una donna e il suo tappeto persino. Maria Hassabi a Collegno, Bertuccio, 2013

Ma cosa vorrà mai dire stasi intellettuale? E cosa serve, per il movimento o la vita di questo intelletto? Dall'America all'Europa le considerazioni sembrano essere le medesime. E due anni dopo, nel 2011, Miguel Moreira, per la compagnia belga Les Ballets C de la B, crea The Old King. Dal solo femminile si passa al solo maschile, e al corpo della Hassabi si sostituisce il corpo di Romeu Runa.

All'interno di una scenografia apocalittica, a metà strada fra costruzione e demolizione, Moreira presenta un uomo seduto dando le spalle al pubblico. Soffre credendosi abbandonato da Dio e dagli uomini. Il tormento interiore si manifesta, man mano, negli spasmi del corpo e il dolore esplode, poi, nell'irrequietezza dell'azione coreutica. Il corpo esposto è anarmonico e privo di centro: incapace di un equilibrio sano, lotta fra i propri desideri e le consuetudini sociali. Ed è una lotta vera e propria quella che Runa, intraprende sul palco. Prima contro sé stesso e poi, moderno Don Chisciotte, contro il nero delle nostre società.
FotoThe Old King | Les Ballets C de la B | ph C Renaud De Lage, 2012
Studiata appositamente per le linee e l'impatto scenico del ballerino, la pièce, come la danza pretende, si focalizza su ossa e pelle, scrivendo nello spazio una poesia maledetta. Fra infanzia e follia, il corpo retrocede ad uno stato primigenio per rivendicare la sua giusta collocazione nel mondo. Prima curvo e incompreso, man mano più consapevole, ma sempre più sgraziato. Striscia, trema, si contorce ricercando una propria, autentica, identità.

Non resta, a questo corpo, che urlare con Munch sia lo sfacelo, sia la voglia di stare qui ed ora. Urlare la ricerca del senso che si fa istinto di sopravvivenza. E se Moreira crede nel potere che ognuno, come individuo, ha nella scelta della propria vita, crede meno nella capacità che gli uomini hanno di raccontarsi e di relazionarsi, forse. L'uomo di Moreira non riesce a comunicare nulla del suo mondo interiore, sembra aver dimenticato la strada per la via regia. Ma è la parola (la comunicazione) che realmente è sminuita nel su valore o sono gli uomini incapaci di fermarsi e trovare il giusto codice? 
​
Tratto da: The Old King: il folle con la piantina negli slip, Bertuccio 2012

I codici, oggi più che mai, sembrano gestire le nostre esistenze. Al lavoro, nella vita privata, e soprattutto di notte, esistono tutta una serie di prassi e consuetudini che ognuno segue più o meno consapevolmente. La sessualità è uno dei tanti codici che le società usano (vedi Foucault. Corpo, Sesso e Diritto) per controllare, dividere e uniformare. Il binarismo uomo-donna, ancora oggi, spiegato e narrato come si è fatto in Queer. Teorie, tarda a superarsi. E quella che è stata una vera e propria invenzione, in questi secoli è arrivata fino a noi come verità naturale, dogmatica meglio. La donna e il femminile dovevano sottostare ai dettami del patriarcato e oltre il confine della famiglia borghese niente aveva diritto di esistere. ​

FotoAutour de Madame Butterfly | Balestra/Takei, 2014
Su questo e sul suo superamento riflettono Ornella Balestra e Yutaka Takei nel 2014 con il loro Autour de Madame Butterfly. L'opera, così come Puccini l'aveva ideata, era portatrice delle istanze della propria epoca. Un tempo non lontano in cui chiari e definiti erano i ruoli: quello della donna rispetto all'uomo, dell'Oriente in rapporto all'Occidente, dell'onore e anche dell'amore extra-coniugale. Oggi, più di un secolo dopo, tutto risulta ambiguo e talvolta ribaltato. Si è perso, insomma, il senso dell'onore e delle regole che ne permettevano la stessa trasgressione. Permangono, però nei decenni, l'amore e la passione insieme ad un'atroce sofferenza dovuta al senso di abbandono che, in Autour de Madame Butterfly dà origine a un altro dramma, più profondo, esistenziale. L'uomo contemporaneo, soprattutto occidentale, vivendo in un dualismo perenne, fatica a sentirsi completo. 

Attrazione e diffidenza, forma e sostanza, maschile e femminile, abbandono e attesa, tradimento e amore. La vita e la morte, nelle diverse tradizioni, con il duo si fanno carne, sangue, sudore. Generando un universo incantato, talvolta ironico, pieno di leggerezza. Perché è nel gioco dei ruoli che l'ambiguità regna assoluta, tanto che l'uomo può farsi donna e la donna uomo. Nello stesso modo in cui l'Oriente può apparire occidentale più dell'Occidente stesso.

Tratto da: Balestra e Takei fanno incontrare Oriente e Occidente Bertuccio 2014  

Ed è proprio nell'oltrepassare il filo spinato che la vita si fa gioco e l'amore in-condizionato. Proprio come hanno scoperto tutti quegli uomini e quelle donne, che fuori dai confini, hanno ri-scoperto la libertà di amare. La tenerezza, la compassione, l'empatia, la complicità, la condivisione, la gioia, il dolore. Tutte sensazioni vitali prive di qualsiasi connotazione di genere e se proprio le si vuole indirizzare, dovrebbero rientrare nelle esigenze primarie di tutto il genere umano. Dalle sensazioni alle emozioni il passo è breve, e il voler desiderare il corpo che le provoca è una conseguenza – questa si – naturale. Istintiva, umana.

FotoUsdum | Cie As Palvras, 1991 | Ph Jean Luc Tanghe
Usdum coreografia fortunata di Claudio Bernardo, arrivata a Torino nel 2013 - creata però nel 1991 - trae ispirazione da riferimenti sociali e letterari - la miniera d’oro brasiliana (Serra Pelada) e la montagna di sale di Sodoma di cui parla Michel Tournier - per scrivere col corpo un inno all’Amore. 

Un ambiente monosesso che lascia trapelare sentimenti omofili, che qui diventano simbolo dell'amore libero, lontano cioè da qualsiasi condizionamento sociale. Se Freud aveva teorizzato l'inversione occasionale che avviene in ambienti dello stesso sesso -  palestre, piscine, miniere, prigioni - in Usdum diventa desiderio, il diritto, d'amare hic et nunc, senza curarsi del dopo.

Piccoli gesti, che si ripetono fino alla perdita del loro significante, costituiscono il pentagramma di un'esistenza pesante, chiusa, omofobica, che ha per colonna sonora i canti indiani e le musiche di Bach. Suggestioni caotiche che unite alle armonie creano quello straniamento emotivo che permette ai corpi di Mattéo Moles e Claudio Bernardo di tornare bambini, liberi adesso di giocare e innamorarsi senza alcuna costrizione sociale e culturale. 

Ma cosa viene prima della Cultura? E prima della Storia? E quale società esisteva prima di quella che conosciamo? In soldoni: la Natura precede la Cultura, il Mito la Storia e il Matriarcato il Patriarcato. Con una storia datata a partire da circa 4000 anni fa, il patriarcato sembra ancora oggi, visto la sua reiterazione nei secoli, l'unico sistema sociale e politico che conosciamo. La piramide gerarchica nella vita pubblica, la famiglia patriarcale nella vita privata.

FotoAstarte Syriaca | Gabriel Dante Rossetti, 1877
E nonostante a partire dagli anni Settanta si è cercato di mettere in discussione la naturalità di tale sistema, e nonostante i costumi siano cambiati, tutti, ammettendolo o meno, abbiamo interiorizzato la “veridicità” di questa invenzione. Uomini e Donne (aldilà delle preferenze sessuali) vivono il maschile ed il femminile come due poli opposti - se non gerarchicamente subordinati. E questa dualità, il binarismo di genere insieme a tutte le conseguenze che porta, con il frazionamento dell'essere umano (pensiamo alla sigla LGBTQI+) alimenta e nutre il senso di incompletezza di cui sopra. Perché se esiste un vuoto  la sovrastruttura può illuderci di colmarlo!

In più, il maschile ed il femminile, che sono energie ancestrali, nei secoli sono stati così fraintesi che oggi si usano come sinonimi di mascolinità e femminilità. E nell'apparenza la perdita dell'essenza originaria. 

Ma esiste un periodo della storia in cui la dualità era unicità? 
A partire dalle ipotesi avanzate da Johann Jakob Bachofen nel suo saggio del 1861, il matriarcato fu l'organizzazione originale dell'umanità, e solo successivamente sostituita dal patriarcato. Recentemente, le scienze sociali, comparando tutte le religioni antecedenti il monoteismo, hanno sostenuto che tutte condividevano culti offerti a divinità femminili. Il culto delle Dee Madri (identificate con la terra che porta frutti), personalizzate in dee conosciute come Astarte, Tanit, Cibele, ecc., confermando l'ipotesi del matriarcato come reale forma di governo delle comunità umane primitive.

Nel matriarcato, nonostante al potere (funzione interna) ci fossero le donne, gli uomini (con funzioni esterne) non erano a loro subordinate, ma tutti e due insieme, e unite le loro funzioni, collaboravano al buon funzionamento della società. Questo era il tempo, secondo ciò che ci hanno fatto credere, del Mito, una età dell'oro in cui non esisteva dualismo e l'uomo viveva in armonia con la natura, la Dea Madre. In questo periodo, abitato da civiltà che oggi, rivalutandole, scopriamo essere più evolute, non c'era supremazia: dell'uomo sulla donna, degli adulti sui bambini, dell'uomo sulla natura. Tutti erano creature e tutti erano soggetti al medesimo destino. Il Mito era il tempo degli eroi. Ma chi erano gli eroi? E cosa rappresentano ieri come oggi?

FotoSiegfried | Francesco Marilungo, 2014
Giungiamo così al nostro ultimo spettacolo e per la prima volta, in questi due percorsi, è l'artista stesso a rispondere e spiegare meglio quanto sopra. Lui è Francesco Marilungo, e con la sua seconda creazione, nel 2014, portava sulla scena il suo Siegfried. Quando a Torino, per Interplay festival, lo abbiamo intervistato e alla domanda Perché raccontare di eroi?, cosi rispondeva:
  
L'eroe costituisce una figura archetipica, una "forma a priori" dell'inconscio collettivo che possiamo ritrovare nei miti, nelle leggende, nelle fiabe, nei sogni, nelle visioni e nelle espressioni religiose e artistiche di tutti i popoli della terra. Quella dell'eroe è una figura universale che rappresenta l'uomo in quanto entità. In particolare, la figura dell'eroe è caratterizzata da una vicenda che ricorre costantemente con poche varianti: il viaggio iniziatico che porta alla conquista di uno stato superiore dell'essere. L'eroe che deve superare prove e ostacoli rappresenta la condizione umana del vivere.

Siegfried, continua Marilungo, nasce dall'analisi delle figure archetipiche presenti nel mito nordico a cui si ispira il noto balletto di Ivanov/Petipas. L'intera vicenda può essere considerata un viaggio iniziatico dell'eroe verso la perfezione, intesa come unione dei contrari, e che si esplicita in senso metaforico con lo stato originario di androginia. La performance, infatti, si presenta con un rituale costruito secondo norme codificate. Una "cerimonia religiosa" che nasce come sacrificio e che svolge una funzione catartica, così come accadeva alle origini. ​

FotoSiegfried | Francesco Marilungo, 2014 | ph Dario Bonazza
​Siegfried in questo viaggio si ritroverà ad agire all'interno di un campo di forze generato da tre poli: il lago, il trono e la "sposa laida". Tutto è una metafora: il lago rappresenta l'inconscio, ciò che giace sotto la coscienza; il trono raffigura il potere, il ruolo a cui l'eroe è destinato per nascita e al quale fugge; la "sposa laida" identifica la donna-cigno, quella entità che avvince l'uomo col suo fascino soprannaturale.

La discesa nel lago permetterà al principe di incontrare la sua parte complementare. Per far sì che gli opposti si incontrino il principe deve infrangere lo stagno, lo specchio – la discesa nel lago (entrare in sé stessi) elude il ristagno (caratteristica del lago e dell'essere umano). Il trono, declinazione indiretta della figura archetipica del regno, è la nostra vita, qualunque essa sia, e noi ne dobbiamo diventare re, padroni, gestori, assumendocene tutta la responsabilità. Proprio grazie alla componente insondabile, irrazionale e animale, il cavaliere assimilerà la Dama diventando un solo essere le cui parti si sono separate "all'inizio dei tempi". 

Queste due parti sono i due "Sé" che coabitano in noi: il "Sé" immortale e il "Sé" mortale, ovvero, rispettivamente, da un lato lo Spirito immanente, l'Anima Immortale, la Personalità, incarnata della Dama, e, dall'altro, l'anima individuale operante e dotata di volontà propria, l'individualità, simbolizzata dal cavaliere. L'iniziazione cavalleresca ha per fine la reintegrazione dello stato edenico primitivo, stato che si può qualificare come androgino, corrispondente alla "Unione delle due Nature": il maschile (l'Uomo), la natura celeste (o solare) e il femminile (la Donna) la natura terreste (o lunare).

Estratti da L'intervista. Il Siegfried di Francesco Marilungo, Bertuccio 2015


gb


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INRI, Zerogrammi, 2009
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La Sottise, 2019

Queer e Danza | Anni 00

Femminismo


Dall'Infinitamente piccolo della siciliana Megakles Ballet inizia un percorso ideale che parla del Corpo. Delle sue restrizioni e compressioni. Della sua educazione e costrizione in ruoli e modelli. Se Zerogrammi con Inri ironizzano su ruoli e religione, Astolfi coi suoi Carmina Burana vuole ridare al suo corpo una dimensione pagana: la libertà di riscoprirsi.

​​Il Movimento di liberazione della donna si opponeva all'idea degli uomini come classe sessuale dominante, alla violenza sessuale come affermazione del potere maschile sulle donne, e alle immagini mediatiche che dipingono la donna come passiva, frivola e sciocca. E la divisione del lavoro è solo una parte di un processo più generale..
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La Sottise, 2019
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Genere. NEUTRO

Il Corpo


Presupponendo che esista una netta linea di demarcazione biologica tra il maschile e il femminile, si definisce il genere come la differenza sociale o psicologica che corrisponde a questa demarcazione. Con lo sviluppo delle scienze sociali, si è spostato l'obiettivo dalla differenza alle relazioni.

​L'idea che il corpo umano si dividesse in due categorie opposte divenne generale soltanto nel XIX secolo. Le differenze tra maschi e femmine, nelle prime fasi dello sviluppo, sono relative. Persino gli organi riproduttivi che sono ovviamente diversi si sviluppano a partire da un medesimo organo.
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    Autore

    Giovanni Bertuccio

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Magazine d'Arte e Cultura. Teatro e Danza. Queer

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