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Queer e Danza | Anni 00

1/3/2021

 

L'Inghilterra di ieri vs Italia di oggi
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Nel Duemila molte delle tematiche che in passato venivano affrontate e agite in luoghi altri rispetto la cultura dominante emergono più liberamente. I dettami europei impongono che sessualità e diversità siano i protagonisti sulle scene e così molte compagnie affrontano l'argomento dai propri punti di vista e dalle proprie esperienze. Anche in Italia, con il nuovo secolo, le tematiche queer investono la danza in maniera esplicita. O meglio, alla maniera italiana.

Dopo aver viaggiato per l'America e l'Inghilterra, dagli anni Sessanta fino agli anni Novanta, sembra naturale, arrivati fin qui, comparare l'Italia di oggi con le esperienze vissute nei paesi di ieri. E il confronto, nonostante i quarant'anni trascorsi, vede il bel paese affrontare l'argomento con molta più diplomazia di quanto in realtà ne occorra.

Interessante, più che con le esperienze americane, è il paragone con l'Inghilterra degli anni Ottanta. Mentre negli stessi anni in Italia tutta una serie di donne della danza, sparse in diverse regioni, cercava di svecchiare la danza accademica, ufficialmente Carolin Carson formava i componenti delle future compagnie. Sosta palmizi, Enzo Cosimi, Virgilio Sieni e gran parte dei coreografi che rientrano, oggi, nel progetto Ric.ci di Marinella Guatterini, animavano la danza di quegl'anni. 

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Ma a ben vedere, forse nessuno dei nomi che possono farsi, ha trattato la tematica queer in maniera esplicita. Sicuramente l'argomento lo si esponeva in sordina ma nessuna di queste personalità sembra avere lo spessore umano dei Dv8, l'ironia di genere di Lea Anderson e la volontà di attualizzare le tematiche di Mattew Bourne. L'Italia si avvicina più alle “rivoluzioni” di Michael Clark, per la volontà di unire virtuosismo tecnico e cultura pop, nel migliore dei casi. Un esperimento ben riuscito è sicuramente, in questo secolo, quello del coreografo Matteo Levaggi.

Se Michael Clark cercava, però e a ragione, di svecchiare la danza includendo elementi della sua quotidianità di teenager, Newson, forse più maturo, aspirava ad una rivoluzione antropologica. Quella che manca ancora in Italia e che, in passato, ha provato a fare, in determinate decadi, un certo teatro (vedi → Queer e teatro).

Il merito dei DV8 è di aver dato voce ad una parte di popolazione stanca di indossare occhiali da sole, pronta a portare luce dove si volevano solo ombre. E parlando di Aids, morte, sesso occasionale, cottage (i nostri battuage), privè e latrine, indagavano la natura “maschile”. Quella istintiva e lontana dalle costrizioni. Ma riflettevano, anche, sulla natura "femminile", sul subire e sulla vocazione sadomasochista. Questi e molti altri argomenti, muti nella danza italiana di oggi, prendevano voce nelle coreografie dei DV8 negli anni Ottanta e Novanta. Il ritardo è disarmante. E come dicevamo prima è di natura antropologica.
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Torino 
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Il microcosmo torinese si presta bene a dare un'idea del macrocosmo Italiano. Di quella italianità interpellata nell'esordio e che tanto limita l'Arte e l'evoluzione del pubblico. Pensiamo ad esempio a due dei coreografi che operano nella capitale sabauda: Raphael Bianco e Paolo Mohovich. Il primo della Compagnia EgriBianco, il secondo ex coreografo del Balletto dell'Esperia e oggi direttore della rassegna Palcoscenicodanza. Certo esistono altre compagnie, ma data la loro esperienza e longevità professionale, ben si prestano a fungere da campioni.

Di loro si è seguito il lavoro fatto negli ultimi 10 anni circa, e rivedendo le recensioni fatte, nessuna delle loro coreografie pone l'argomento in maniera esplicita. Certo lo si può evincere nell'ombra, sia nelle opere riflessive di Bianco, sia nell'esplosione corporea di un certo Mohovich, ma mai l'argomento è protagonista. Ed è strano, non solo per il tempo in cui operano gli italiani, ma soprattutto se si confrontano le loro età, con quelle dei predecessori inglesi negli anni Ottanta. Questi ultimi avevano vent'anni e rivoluzionavano le loro vite cercando di comunicare le loro scoperte. I nostri, fingendosi ermetici per "pudore", a più di quaranta decidono di non parlare della vera natura umana, e soprattutto di non comunicare la loro esperienza. Ma è proprio l'esposizione personale che fa di un mestierante un artista. Cosi come è lo spessore umano che denota la qualità e la sensibilità artistica nell'individuo. Qui sta tutto il nostro ritardo!

​Ma non è solo questo. E' anche e soprattutto la politica interna a decidere che temperatura dare alla società cittadina, così come le politiche comunitarie decidono quelle nazionali ed internazionali con la ripartizione dei fondi.

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A questo proposito vale la pena riflettere sul perché, proprio quando fuori dai confini nazionali si mette in discussione la teoria del genere, in Italia inizia a parlarsene. Citiamo ad esempio alcuni degli spettacoli più o meno espliciti della penisola, datati tutti a partire dagli anni dieci del nostro secolo. Dei Fattoria Vittadini possiamo citare I Love (2012) e Omosessuale (2017); di Enzo Cosimi, Corpus Hominis (2016) e I love my sisters (2018), spettacolo dedicato alla transessualità. ​

Torniamo a Torino e prendiamo in considerazione, adesso, alcuni degli spettacoli che sono passati per i teatri cittadini. Opere non tutte nazionali che idealmente tracciano due percorsi differenti. Uno che riguarda la liberazione del corpo partendo dalle sue costrizioni (vedi in approfondimenti Corpo e Danza), l'altro che, osservando la natura umana, vuole conoscerne le origini. Quando in principio era l'Uno (vedi anche Queer. Teorie). Di questo percorso tratteremo in un secondo articolo.

Dall'Infinitamente piccolo della siciliana Megakles Ballet inizia, così, un percorso ideale che parla del Corpo. Delle sue restrizioni e compressioni. Della sua educazione e costrizione in ruoli e modelli. Se Zerogrammi con Inri ironizzano su ruoli e religione, Astolfi coi suoi Carmina Burana vuole ridare al corpo una dimensione pagana: la libertà di riscoprirsi. E cosa mai ri-scopriremo? Claud Brumanchon con Indicibles violences ci riporta alla nostra natura animale, aprendo, così, le porte al secondo percorso. Quello mitico e naturale, lontano dalle elucubrazioni della mente e dalle sue istituzioni. 
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Il primo dei percorsi
La liberazione del corpo
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FotoInri | Zerogrammi, 2009
Produzione 2010/2011, Infinitamente piccolo dei Megakles guarda da vicino una delle peggiori istituzioni umane. I totalitarismi, pagine nere della nostra storia recente, in cui l'uomo è lupo a l'uomo e il branco riconosce solo se stesso. Momenti in cui si alimentano odio e disprezzo con emarginazione e paura. Anni in cui la violenza si fa mezzo perché il potere si auto giustifica. Il Nazismo, ma tutti gli ismi che abbiamo imparato a conoscere, impongono (agli altri) un unico corpo (il corpo della nazione) ed un'unica sessualità (quella eteronormata con funzione riproduttiva) e quanti non corrispondono a questo ideale rappresentano un anomalia, una defezione, un errore, un abominio. Si marchiano con delle moderne lettere scarlatte per rendere riconoscibile quali siano i colpevoli del ritardo per una società "sana" e "pulita". E se i corpi "difettosi" sono costretti in movenze composte, il "corpo del potere" si costringe in automatismi dal sapore metallico. 

La recensione: Infinitamente piccolo. Megakles a Ipuntidanza, Bertuccio 2012

Quale altra istituzione impone al corpo una disciplina tutta votata al trascendente se non la Religione?
Con Inri, produzione Zerogrammi 2009, si mette in scena una sorta di liturgia raccontata attraverso il linguaggio eloquente del corpo che ne diviene il perno centrale. Il soggetto e l'oggetto. Attraverso il corpo si affronta il tema della religione - la stessa che da sempre cerca di rintanare i desideri di questa corporeità al limite - scegliendo di far interpretare il ruoli femminili a due corpi maschili. Movimenti estetici e vitali introducono la ribellione ad un modo di vivere la fede e di rapportarsi a Dio. Non a caso si sceglie come titolo Inri, pensando subito alla crocifissione, forse ad una seconda, quella che adoperiamo noi stessi quando decidiamo di essere vittime dei molti condizionamenti, non ultima l'educa(stra)zione ricevuta.


Tratto da: INRI: Quando la danza è intrisa di fede, Bertuccio 2009 

Di natura meno rituale ma più spirituale è la religiosità espressa nell'opera del 2006 da Mauro Astolfi. Se Zerogrammi ci suggerivano come un certo tipo di religiosità possa comprimere e reprimere il corpo, Spellbound ci invita a considerare una religiosità più pagana. Più legata alla terra che alle sfere celesti. Più umanamente zozza che moralisticamente pulita.

FotoD'indicibles violences | C. Brumachon, 2014 | ph @Laurent
​A partire dai Carmina Burana di Carl Orff, insieme di scurrilità plebea e raffinatezza cortigiana, Astolfi, in maniera ironica ed irriverente, grottesca e godereccia mette in danza il senso vero dei Carmina. Il momento in cui la ragione lascia il suo trono, e nell'abbandono, audace si fa la visione del divino. Parodia degli evangeli, delle formule di confessione e delle litanie che sotto l'estro creativo di Astolfi si fanno caos dionisiaco, orgia di corpi, istinto primordiale. Baccanali raffinatissimi, creative masse corporee dalla qualità eccellente, in cui Eros non lotta con Thanatos e l'homo faber si trasforma in homo ludens. 

Tratto da: I Carmina Burana di Mauro Astolfi, Bertuccio 2016

E forse è proprio di questo tipo di uomo di cui parla il coreografo francese, attraverso le suggestioni musicali di Christophe Zurfluh, e mettendolo in scena con Indicibles Violences (2013). L'opera "tocca nell'intimo, dentro e prima del desiderio", tocca nel profondo suggerendo l'introspezione di sé. Mettendo a nudo impietosamente il corpo e l'anima, Brumachon fa emergere, violentemente, ciò che brucia in ciascuno di noi, ricordandoci ciò che siamo: esseri vivi nell'istante, amati e amanti, desiderati e desideranti.
Una danza selvaggiamente potente, maschia, in cui la ricerca di sé parte dal riconoscimento delle nevrosi del corpo: carne irrigidita da esigenze sorde, dalle consuetudini, dalle regole non dette che ogni società porta con sé. Per iniziare un percorso che da "dentro" conduce "fuori" e poi di nuovo "dentro". Ribadendo così come la danza sia un ottimo metodo per conoscersi ed educarsi. Per estasi-arsi. 


Tratto da: D'indicibles Violences. Brumanchon alla ricerca del corpo originario, Bertuccio 2014

Temi cari al coreografo che, attraverso una danza eccessiva, a volte cruda, pone un quesito umanissimo: cos'ha perduto l'uomo nella sua anima e nella sua carne, nella nostra società? 

Scopriamolo con il prossimo articolo!


gb


    Approfondimenti
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Michael Clark

Lloyd Newson. DV8

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​Acclamato come "il vero iconoclasta della danza britannica", fin dall'inizio, le sue esibizioni sono state  un mix di rigore tecnico e sperimentazione, con coreografie intense unite ad elementi della cultura punk, dada, pop e rock. Le sue produzioni aprono  nuove strade, provocando  il pubblico.

​Diritti umani, multiculturalismo, ruoli di genere, identità sessuale, classe sociale rappresentano per i Dv8 la sfida a superare i confini fra le arti. Elementi di teatro, danza, e testo, vanno sovrapponendosi o dialogando in funzione di una chiara trasmissione del messaggio.
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La Sottise, particolare 2016
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La Sottise, 2019

Corpo e Danza

Teorie 1980-2000


Il movimento americano della Post-modern dance, rifiuta ogni tipo di tecnicismo, privilegiando corpi non addestrati, movimenti 'inventati', l'improvvisazione e la casualità. Si esplorano spazi inusuali e si evidenzia il corpo nella sua fisicità ordinaria, sia statica sia dinamica. 

Il tradizionale concetto di ruolo sessuale ora viene considerato come una spiegazione del controllo sociale. L'idea stessa che il genere consistesse in un insieme di norme sociali diventò un programma d'azione, nella misura in cui le norme potrebbero cambiare attraverso uno sforzo collettivo.. 
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    Autore

    Giovanni Bertuccio

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