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PER UN TEATRO CONTEMPORANEO                          COMPAGNIE                                                              CUORI RIVELATI | CATANIA                                        I

12/6/2016

 
Foto
I Negri | Cuori Rivelati, 2016


​RECENSIONE

Una delle cinque compagnie emergenti presentate a Per un Teatro Contemporaneo, alle Officine Caos, per la direzione di Stalker Teatro. Loro sono Cuori Rivelati, la compagnia catanese che sul palco delle Officine porta I negri di J. Genet. Svuotato delle parole nè restano le suggestini. Estetiche e poetiche che conducono alla ricerca di una bellezza reale ed autentica. Quella nascosta e che va ricercata. Contemplata perchè è nel suo silenzio che noi tutti possiamo provare ad imparare. 

​Il suo Negri si compone di immagini, di ombre e di luce. Di esperienze vissute che si condividono. Di arte che si fa scambio perchè è nella relazione che trova il suo scopo. Arte teatrale che giocando sui contrasti vince, I Negri di Elena Rosa "ribatte, citando le sue parole, il valore dell’individuo, singolare e unico che di per sè si fa metafora di anti-colonialismo". Con queste parole, non resta che invitarvi a Catania, domenica 29 gennaio allo Zo Centro Culture Contemporanee, in cui I Negri andrà in scena, e vi lasciamo alle parole, sensibili e resistenti, della regista Elena Rosa. Conosciamola meglio e nella conoscenza, il suo universo artistico.


​intervista

D. Da scienze della formazione al Teatro sociale. Quale esigenza ha mosso la scelta?

R. Studiavo pedagogia ma praticavo danza. Frequentavo il teatro e realizzavo performance. Successivamente ho incontrato gli esclusi della società e ho iniziato, con loro, a condurre un laboratorio di teatro danza mettendo insieme l’aspetto pedagogico ed estetico. Non so se definirlo teatro sociale, io vorrei chiamarlo nudamente teatro che, per me, è anche incontro, relazione. Un teatro che accoglie individui isolati, ai margini, ma che sul palco diventano performer, cancellando il ruolo sociale precedente, assunto in una società finta, perchè questi corpi che non esistono per la società e soprattutto li si rendono come fantasmi, nella nostra difficile isola. Comunque c’è stato un profondo spostamento del punto di vista, a distanza di anni, sia nelle scienze della formazione che nel teatro sociale e, oggi, so di avere scelto di lavorare con dei performer con disagio per fame di poesia. Gli esseri poetici sono rari e chi vive in una extra-ordinarietà, quella in cui vivono, è vicino allo stato dell’arte, lì dove io voglio stare.


D. Nel 2012, insieme a Benedetto Cardarella fondate Cuori Rivelati, progetto composito che unisce arti sceniche, disagio mentale e disabilità. Cosa, attraverso l'arte, secondo te, deve essere rivelato ai cuori contemporanei?


R. Ciò che deve essere rivelato è il mistero, il miracolo, l’errore. La rivelazione non come svelamento di una verità tangibile bensì come visione misterica. Un performer con disagio mentale non può che rivelare un mistero sulla natura umana: il suo corpo non è come se fosse (come il corpo di una persona che recita o come il corpo che ricopre un ruolo sociale) ma è corpo natura. Essere in natura come ready made, quindi già opera d’arte. E quando questo corpo appare come rivelazione ci mette in relazione con la parte mancante, fragile e diversa di noi stessi. In scena tutto questo viene rivelato come mistero che ci pone domande su qualcosa di incomprensibile e oscuro. Nella nostra vita quotidiana non c’è spazio per l’oscurità, tutto è illuminato, visibile, con parvenza di efficienza e perfezione. L’errore, il differente, non è contemplato. In scena ci auguriamo che emerga l’errore perché da slancio alla vitalità di questa rivelazione scenica, e spesso un errore diventa un miracolo, esprime l’istante, il qui e ora della performance. Il rischio e l’imprevedibile mobilità della vita.


D. Teatro e Territorio. Come ha reagito la comunità catanese al progetto?


O meglio, come abbiamo reagito noi alla comunità catanese?! Catania è una città teatrale che storicamente ha partorito tanti teatranti. E noi siamo giovani, ancora, forse incompresi, incatalogabili. Qui fare arte è dura, farlo con persone con disagio è impossibile. Parlare di territorio, ahimè, significa parlare di problemi: non ci sono interlocutori nè nel sistema culturale che è paralizzato, né tantomeno nei servizi sociali. e questa impossibilità per noi si fa linfa, motivo di rivolta, desiderio di autogestione. Sguardo verso la trasformazione, libertà e ricerca di un proprio intimo percorso, difesa di una zona poetica intoccabile. Significa non lasciarsi sedurre dal fascino delle compiacenze, restare con un uno spirito felicemente underground.


D. Il testo. I Negri di J. Genet nel tuo spettacolo si fa metafora di che tipo di colonialismo?

​
R. Del testo di Genet non rimane praticamente nulla, restono visioni, immagini. Tutto è scarnificato. E la stessa metafora di colonialismo è cancellata. Non bianchi che colonizzano negri, nessuno contro nessuno. Ma esistenze che appaiono, differenze che si svelano. La questione sul colonialismo è posta a priori, e riguarda lo sfruttamento che operiamo sui diversi, sulla loro condizione e sulle loro culture, coniando nuove e sempre più attente parole per definire il disagio, la paura e la voglia di annullare, rendendola così simile a noi fino a nobilitarla, la diversità. E questo tentativo di normalizzare, non può che farci ribattere il valore dell’individuo, singolare e unico che di per sè si fa metafora di anti-colonialismo.


​
D. La regia. Nel tuo spettacolo opponi due figure femminili, l'una bianca e l'altra nera, e al centro, una zona "grigia" in cui presenti corpi altri, lontani dalla quotidianità televisiva. Chi sono oggi i nuovi negri? Forse che la diversità oggi, rispetto a ieri, è qualcosa di più sottile? E come si rende sulla scena un confine labile come la diversità?
​

R. Chi sono oggi i nuovi negri? Rispondo alla domanda con la domanda di Genet..e per prima cosa di che colore sono i negri? Quella zona grigia è la cenere a cui tutti torneremo. Nè negri, nè bianchi, ma cenere. Siamo tutti destinati alla cenere. Sulla scena non si lavora sull’esaltazione della diversità nel senso di esaltazione della disabilità o di condizione di disagio sociale, ma rivelazione delle singolarità, di esseri poetici. In scena vedere questi corpi altri, lontani ci fa vedere la nostra di lontananza, quella lontananza da noi stessi, perduti in una società ugualizzante, normalizzante. In fondo in teatro si manifesta il desiderio del performer di dire “io esisto, sono qui singolare, unico, guardatemi”. Qui c’è desiderio di esistere in un mondo e in un destino che ha escluso. Questo urgenza, questa motivazione, non fa altro che mostrarci un processo di trasformazione, ovvero un atto che scuote un’immobilità da cui si desidera liberare. Tutto questo come non può mostrarci la diversità?


D. La bellezza. Negri mostra l'esigenza di scovare il bello, di ritrovare la poesia dell'ascolto, l'esigenza della condivisione che sulla scena si traducono con la sensibilità per la musica e la creazioni di forme estetizzate, in cui non mancano le ombre. Quale ideale di bellezza, può salvare oggi? Etico, estetico o tutt'e due?

​
R. Etica, estetica e aggiungo relazione insieme. L’ideale di bellezza? Non esite. Vogliamo opporci a qualsiasi ideale, sarebbe imporre un punto di vista. Vorrei concentrarmi sulle infinite bellezze da scoprire, mai uguali e in ombra. Quelle bellezze in ombra mi affascinano e in scena quando la luce svela è perché l’ombra ha preso il suo tempo, il suo respiro. E il corpo in luce deve farsi abbagliante, lacerante, stridente e percuotente di bellezza.


www.cuoririvelati.it

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