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PER UN TEATRO CONTEMPORANEO                          LE COMPAGNIE                                                    C&C COMPANY | MILANO                                      ANNA CAPPELLI

12/13/2016

 
Foto
Anna Cappelli | C&C Company, 2016


​RECENSIONE

Il più breve degli spettacoli proposti a Per un Teatro Contemporaneo - simposio laboratoriale che Stalker Teatro ha organizzato alle Officine Caos, come restituzione pubblica delle cinque residenze del progetto multidisciplinare Arte Transitiva - Anna Cappelli torna a teatro. Nell'interpretazione di Carlo Massari, della C&C Company, il testo di Annibale Ruccello, straoridinario commediografo che scrisse a soli trent'anni la vita di Anna, rivive forse, della sua intenzione originaria.

Ruccello aveva tret'anni quando scrisse il testo, trent'anni sono passati dal 1986 al 2016; chi scrive e chi interpreta sono entrati nella trentina. Questo, che sembra irrilevante pone subito tre considerazioni. Anzittuto che parte dell'arte italiana degli anni Ottanta e certa arte attuale, denunciano un benessere finto, povero delle idiosincrasie dell'uomo e iniziato negli anni Sessanta. In secondo luogo che, ieri come oggi, sono i giovani con una mente fresca e poco corrotta dai giochi sociali, a cogliere meglio lo zeitgeist del loro tempo. Non ultimo che l'arte, quando vera arte, in accordo con Massari, può "identificare e sviluppare una nostra personale visione sul mondo". A personale visione, aggingerei oggettiva e critica, perchè riesce ad andare oltre la patina pubblicitaria, riesce a defecare frullati di immagini e bombardamenti commerciali, provocando una strappo, una lacerazione nel percepire il quotidiano.

Ecco l'Anna Cappelli della C&C Company racchiude questo e molto altro: la continuità con una tradizione che esprime il meglio dell'arte italiana, la sensibilità nel percepire il cuore di un testo importante e renderlo attraverso i linguaggi contemporanei. La personalizzazione - che si fa marchio di fabbrica - del testo, aggiungendo un sottotesto corporale e fisico, danzante, segno e metafora della parte oscura: l'anima nera e della potragonista e dell'uomo tutto. Perchè nell'interpretazione maschile di ruoli femminili, come soleva fare spesso Ruccello, esalta sul palcoscenico la fragilità dell'essere umano al di là delle differenze di genere, puntando l'attenzione sul risvolto della medaglia.

​Sulle finzini reali che viviamo tutti, sul nostro desiderio indotto di posseso, sul nostro fraintendimento del fonema amore sempre più spesso filtrato dal cinema e dall'industria del porno. Sul nostro essere soli pur se in masse ben addomesticate. Sul notro desiderio di spiritualità e trascendenza sempre più pressante ma combattuto da un pragmatismo fintamente globale. Insomma se il vino buono sta nella botte piccola, negli spettacoli brevi, se fortunati come l'Anna Cappelli della C&C, si nasconde la concentracione delle caratteristiche formanti il concetto di Arte. Scoprimo adesso cosa sta dietro "
una sorta di eroina (negativa) che conduce una battaglia solitaria di conquista e protezione dei propri possedimenti, una belva feroce in un corpicino di impiegata del Comune di Latina". 


​INTERVISTA

D. Corpo e Cultura, 012 United Colors of the End e la Trilogia del dolore, come si legano nella vostra ricerca con il testo di Annibale Ruccello?
​


R. Rispetto agli altri lavori C&C, Anna Cappelli vive di un testo già forte e solido che diviene quindi basamento di un lavoro di ricerca fisica rispetto ad un immaginario indotto dalla poetica di Ruccello e dall'ambientazione suggerita. Difficoltà è stata, quind, ascoltare parole e lasciare, che queste, suggerissero il movimento e non viceversa, come invece succede solitamente nelle creazioni di danza e teatro fisico. Il legame tra questo e gli altri lavori sta nella drammaturgia fisica. Infatti la nostra chiave di lavoro è servirci dello strumento danza per portare avanti un discorso drammaturgico, quindi il servirsi di un testo è più che mai funzionale al nostro lavoro di ricerca scenica. Diciamo che la macro area tematica di riflessione della creazione Anna Cappelli è legata, come poi sottolinea il testo stesso, da un'ossessione rispetto al desiderio di possesso (di oggetti, cose, case e persone...) come affermazione di identità personale, come se l'individuo fosse nulla in assenza di ciò che lo circonda e gli appartiene. Tematica più che mai attuale rispetto ad un discorso legato al valore dell'essere umano e ad una perdita di SPIRITUALITA' (non religiosità) che accompagna l'uomo moderno. Eccoci quindi, come nelle altre creazioni di C&C, ad affrontare, a nostro modo, la contemporaneità tentando di farci portatori di messaggi universali, come credo la danza debba sapere fare.
​
D. Casalinghe perfette e steccati bianchi. La metafora degli anni 60 - attraverso le musiche e le pubblicità del tempo - con la sponsorizzazione di una vita perfetta, quanto incide oggi, nonostante l’emancipazione e l’indipendenza, nell’immaginario delle donne e non solo?
​


R. Io eviterei anzitutto la focalizzazione sul genere, dal momento che tutti siamo coinvolti in un'idea di massificazione dilagante, allora come oggi. Mondi perfetti, vite perfette e un senso dell'idea di Bellezza che esclude una visione soggettiva e impone stereotipi falsi e intangibili. Credo fermamente che in questo l'Arte, quella vera, e gli Artisti, quelli veri, da sempre possano aiutarci ancora a identificare e sviluppare una nostra personale visione sul mondo, fatti, persone... Credo sia questo a renderla scomoda ai "piani alti"


D. La scacchiera. Quali sono in Anna gli opposti che si scontrano?

​
R. Beh, dal testo si evince facilmente una forza di contrapposizione interiore della protagonista, una schizofrenia tra un'ossessionante ricerca di normalità: il "fare come tutti" e il desiderio di possessione di tutto e tutti: "mio, mio, mio...". Ripeto: tema più che mai attuale e condiviso.
​
D. Il Corpo inverso. Nella tua versione di Anna il corpo in scena produce un corto circuito doppio: Un maschio che interpreta un ruolo femminile e un corpo che quando smette di parlare, dalla statura eretta, si incurva, perde sicurezza e forza. Le parole in Anna sono inversamente proporzionali al linguaggio muto del corpo? E il desiderio di un corpo altro “solo mio” può essere prerogativa anche della natura maschile, per demagogia considerata cacciatrice?


R. L'idea, molto dibattuta in fase creativa, è di affidare (non senza rischi) una psicologia e movenze femminili ad un corpo maschile, questo non per andare a ridicolizzare un personaggio o voler giocare sul travestitismo, ma per incidere ulteriormente sull'universalità della tematica e lavorare con una forza e corporatura fisica che si contrapponga fortemente al testo brillante e fintamente superficiale di Ruccello; al corpo viene affidata la responsabilità di raccontare l'interiore, il marcio, il tumore, la nube nera che lentamente si propaga in Anna, fino a rendercela temibile Mostro. In netta contrapposizione è invece l'esposizione testuale, giocata su una ritmica vivace, brillante, quotidiana, ma a tratti infestata e posseduta da quest'anima nera ogni qualvolta si senta minacciata o defraudata da qualcuno/qualcosa. Ricordiamo che nei capolavori Ruccelliani vediamo spesso figure en travestì e che lui per primo trovava le stesse a cardine delle sue storie come se questa femminilità in un corpo di uomo potesse acquisire maggiore forza espressiva proprio per il punto di vista che l'attore può esprimere analizzando dall'esterno una psicologia a lui lontana. Come già citato, credo comunque che l'istinto di possessione sia una prerogativa che accompagna l'essere umano indifferentemente dalla sua natura, sessualità, appartenenza...e purtroppo ci viene quotidianamente dimostrato da atti di abusi, violenze, guerre...


​D. Mangiare l’amore, in Anna è dolore o possessione?

​
R. Mi fa piacere che tu me lo chieda, ci rifletto costantemente. Credo riguardi entrambe: il desiderio di possessione e l'insoddisfazione nel non poterlo realizzare fino in fondo, come si desidera, provoca dolore e l'ultimo tentativo disperato di riconquista di ciò che si sta perdendo è mangiarselo. Ricordiamo sempre che la realtà della natura umana può essere molto più allucinante dell'immaginazione di un drammaturgo..
​
D. La voce. Le sfumature tonali che usi mirano a sottolineare un desiderio d’amore legittimo che si fa patologia, segnando anche i movimenti del corpo. Perché pur inseguendo la normalità, Anna e molti come lei, oggi devono essere anticonformisti per definizione?


R. Quando si comincia ad affrontare un testo del genere, a prima lettura si tende a non dare troppa importanza alle sfumature, tutto ci riporta a frivolezze del boom degli anni '60, salvo poi accorgerci che dentro il monologo troviamo tematiche universali e senza tempo, e ci sentiamo chiamati in causa da un vecchio testo che, in teoria, parla del tempo che fu. Credo che l'Amore non possa sfociare in patologia, se chi ne è portatore possa definirsi una persona mentalmente stabile. Credo invece che purtroppo siano tanti i casi in cui soggetti con forti psicosi (magari taciute) si affidino alla parola Amore per colmare loro disturbi, ne va di conseguenza tutto il male fisico e mentale che essi possono perpetrare e di cui tristemente siamo testimoni quotidianamente. Anna vuole possedere, non fa distinzione tra il cosa o il chi, questo è il vero problema; siamo difronte a un personaggio estremamente conformista perché ciò che cerca Anna è una vita "come tutti gli altri", con una casa, un uomo, un lavoro, una quotidianità, nulla di speciale
se non fosse che è disposta a tutto, anche ad ammazzare per averlo, una sorta di eroina (negativa) che conduce una battaglia solitaria di conquista e protezione dei propri possedimenti, una belva feroce in un corpicino di impiegata del Comune di Latina.

​
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gb 
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