A partire dal diciottesimo secolo, per Michel Foucault le relazioni sessuali cominciarono a essere organizzate in un “dispositivo” basato sulla proliferazione e sulla produzione di discorsi disciplinanti sul sesso. La nuova scientia sexualis voleva spiegare, descrivere, ma soprattutto “normalizzare” la sessualità per sostituirsi al sistema di controllo e di potere dell’era pre-moderna. Secondo Foucault tutto questo non aveva a che fare con una strategia di controllo sulla sessualità, ma al contrario con una strategia di controllo generale messa in pratica attraverso la sessualità. Il progetto borghese di costruire a propria immagine e somiglianza un mondo moderno e un nuovo ordine sociale si saldò con la scientia sexualis del tempo e con la necessità di fondare una nuova disciplina dei corpi e dei piaceri. La borghesia – che si distingueva attraverso il lavoro e l’autodisciplina – aveva bisogno di imporsi sulla dissolutezza dell’aristocrazia decadente e sull’anarchia sessuale delle classi povere. La borghesia cominciò dunque a costruire la propria differenza su precisi modelli di comportamento attraverso un sistema riproducibile e applicabile universalmente. ![]() I nuovi ideali di virilità del maschio borghese, fatto per produrre, agire, conquistare e sacrificarsi, divennero l’autocontrollo delle passioni, la moderazione, la decenza e il vigore. E nel frattempo i saperi medici fissavano i confini da cui il modello del maschio borghese doveva tenersi lontano: per esempio dalla masturbazione, considerata causa di perdita di vigore, e dall’omoerotismo. Se il sesso procreativo era fondamentale per la continua evoluzione e difesa della specie, deviando in qualsiasi modo da quella norma si creava una minaccia per l’intera società. A quel punto la devianza non poteva più essere semplicemente un atto che violava la legge divina e che poteva appartenere a chiunque, ma doveva essere ben riconoscibile, fissarsi, incarnarsi in un determinato individuo da punire o da curare. Quando nel 1889 lo psichiatra e neurologo Richard von Krafft-Ebing scrisse Psychopathia sexualis, primo tentativo di studio sistematico dei comportamenti sessuali cosiddetti devianti, pur descrivendo centinaia di casi clinici usò la parola eterosessualità solo poche decine di volte, scegliendo anche di non indicizzarla. Krafft-Ebing, più interessato agli istinti sessuali contrari che all’utilità procreativa dell’atto sessuale, scrisse: «nell’amore sessuale il genuino scopo finale dell’impulso, che è la propagazione della specie, non affiora alla coscienza». ![]() La questione riproduttiva si posizionava, così, direttamente all’interno dell’inconscio e l’istinto sessuale era atto solo allo scopo procreativo. Definire che cosa fosse un istinto sessuale normale secondo il desiderio erotico fu fondamentale e il lavoro di Krafft-Ebing pose le basi per il cambiamento culturale che avvenne tra il 1923 e il 1934: dalla definizione di eterosessualità come morbosa a quella di condizione normale. In più, al passaggio dai comportamenti alle identità contribuirono, purtroppo, proprio i precursori delle contemporanee politiche della liberazione omosessuale. I termini eterosessuale e omosessuale, utilizzati prima nella sessuologia tedesca e poi in quella internazionale, furono inventati e usati per la prima volta da una serie di studiosi dell’Ottocento allo scopo di superare la visione della colpa e del vizio tipica del mondo cristiano, per arrivare alla depenalizzazione, negli statuti nazionali di alcuni comportamenti sessuali. Dall’altra dettero, però, sostanza alla classificazione di una serie di individui più o meno lontani dalla norma, tracciandone i confini. Pensiamo all'odierna comunità Lbgtq*. gbApprofondisci
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AutoreGiovanni Bertuccio Archivi
Gennaio 2020
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