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QUEER E DANZA                                                      ANNI SESSANTA                                                        I POPESCU E IL POTERE

1/3/2021

 
Foto
Stere Popescu (1920 - 1968)


​COREOGRAFO D'AVANGUARDIA

Stere Popescu (Galați 1920, Londra 1968) fu un coreografo d'avanguardia rumeno. Formadosi nella tecnica classica con Floria Capsali, studiò parallelamente architettura. A soli vent'anni, negli anni Quaranta, divenne il primo solista dell'Opera di Bucarest. Si interessò, scrivendone, di teoria della danza in Contemporarul e Luceafărul e si confrontò con la poesia, componendone per il Journal of Royal Foundations.

Nel 1947, come scrive Federico Donatiello in Le persecuzioni contro gli omosessuali e l’esilio della danza romena (East Journal, 30 Giugno 2017), in seguito all'avvio del processo di purificazione istituzionale avviato dal regime comunista, Stere Popescu rifiutandosi di unirsi al partito, viene espulso dall'Opera e finisce in prigione calunniato pubblicamente come omosessuale, nonostante sposato (pare senza vizietto) con la critica d'arte Sanda Agalides.


​ZITTIRE L'OPPOSIZIONE

Negli anni Cinquanta, in Romania, si ebbe, poi, la prima ondata di omofobia di stato e l’attacco verso la sfera intima e personale costituiva, per il proletcultism - variante nazionale del realismo socialista - uno dei modi migliori per mettere a tacere l’opposizione intellettuale. Capro espiatorio di queste persecuzioni fu il primo ballerino dell'Opera in quegli anni, Gabriel Popescu (medaglia d'oro a Mosca) che, nel 1959, venne condannato con un processo farsa. Il critico Liana Tugearu ricorda che «venne rinchiuso e percosso ai menischi» e «una volta rilasciato, non era in grado di ballare». I suoi amici, uno ad uno, portati davanti agli organi repressivi, minacciati e perfino imprigionati.


​SPERIMENTAZIONE E SCANDALI

Negli anni Sessanta, invece, quando ebbe luogo la cosiddetta liberalizzazione del regime comunista, Stere Popescu riacquista la sua posizione all'Opera e lavora anche per la televisione rumena. Il nuovo governo voleva dimostrare quanto la Nazione fosse in linea con l’Occidente, cercando di accreditarsi a livello internazionale grazie all'apertura verso la sperimentazione artistica. L'occasione avvenne nel 1965 con il Festival Internazionale della Danza a Parigi, quando per la prima volta una compagnia di balletto nazionale poté esibirsi al di fuori della Romania.

La scelta dell'allora direttore artistico,
Mihai Brediceanu – le cui capacità artistiche avevano portato a una vera e propria età dell’oro dell’Opera, espressa nel sodalizio artistico tra i ballerini Gabriel Popescu e Silvia Liciu – cadde su Il martello senza padrone di Pierre Boulez, del cui autore, fino a quel momento, non si era coreografata nessuna opera. Come coreografo responsabile, Popescu in questa occasione, per la sua scrittura di danza, si ispirò alle esperienze coreografiche espressioniste del periodo interbellico. Questa coreografia, in patria, provocò uno scandalo notevole.


​CONTRO IL COSMOPOLITISMO E L'AVANGUARDIA

​​In assenza di qualcuno da punire, una volta in patria, la responsabilità dello “scandalo” si scaricò su Brediceanu, che non solo perse la sua posizione di regista, ma fu sottoposto a processo con l'accusa di cosmopolitismo e avanguardia. Dimostrato, secondo gli accusatori, dalla decisione di aver portato a Parigi uno spettacolo “catastrofico”. Come ebbero a scrivere molti giornali dimenticando, però, di sottolinearne le critiche positive.

Questi eventi con la dipartita dell'intellighentia romena impoverirono di molto la scena culturale nazionale e rimasta solo Silvia Liciu all'Opera, anche lei decise di ritirarsi dalle scene. Gabriel Popescu, invece, avendo come allieva e partner Carla Fracci, si legò all’Italia.


​IL SUICIDIO

Rimasto in Occidente, Stere Popescu crea altri due spettacoli e, trasferendosi a Londra, insegna alla Central School of Art. Ma nonostante gli inizi promettenti e la possibilità di una nuova vita in Occidente, due giorni dopo la prima di uno spettacolo, si tolse la vita nel 1968. Monica Lovinescu, illustre rappresentante dell’esilio romeno, scrive:
​

Perché si è ucciso Stere Popescu? […] Era sulla soglia dell’esasperazione. Non si permetteva un attimo di respiro. Aveva già sofferto abbastanza per poter aspettare che un simile regime evolvesse verso una libertà reale. Sentiva che la “liberalizzazione” – così si chiamava allora – non sarebbe durata, che era una trappola e chissà quale sadico esperimento. […] In un simile stato di ansia e saturazione, il gesto di rottura viene da sé, non hai nemmeno il tempo di chiederti dove ti porta. […] Non è a causa della non realizzazione artistica che si è suicidato Stere Popescu nel marzo 1968”.

gb 
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