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Arte e Tecnologia | New Media Art

7/17/2017

 
FotoLaptop Orchestra | Installazione interattiva, 2004
Data la progressiva identificazione dell'espressione new media con media digitali, il termine New Media Art può fare riferimento, in un senso più ristretto, a tutta l'arte computer-based, a partire dalle prime sperimentazioni negli anni Settanta fino ai più recenti sviluppi. 

In New Media Art (2006), Tribe & Jana definiscono la New Media Art un sottoinsieme di due categorie più ampie: Arte e Tecnologie e Media Art. La New Media Art affianca quindi l'uso dei media digitali e le istanze comunicative proprie di chi si appropria dei mass media, e descrive “progetti che si servono delle tecnologie mediali emergenti e sviluppano le possibilità culturali, politiche e estetiche di questi strumenti”. In questo senso, il termine fa riferimento ad un movimento artistico che esplode nel corso degli anni Novanta.

FotoGianni Colombo | Spazio elastico, 1967
​NEW MEDIA
In The Language of New Media, Lev Manovich nel 2001 scriveva che i NEW MEDIA sono i media basati sul computer e sulle tecnologie digitali e sono rivoluzionari in quanto la rivoluzione dei media computerizzati investe tutte le fasi della comunicazione - acquisizione, manipolazione, archiviazione e distribuzione - e anche tutti i tipi di media - testi, immagini statiche e in movimento, suono e costruzione spaziale.  Ed in fatti, alcune caratteristiche dei new media differenziano radicalmente la fruizione dell'opera rispetto ad altre forme d'arte. Ecco le tre:
* MULTIMEDIALITA': i new media riqualificano ogni media preesistente, digitalizzandoli (riconducendoli, cioè, ad una rappresentazione numerica) e convogliandoli in un unico meta-medium, il computer.
* INTERATTIVITA': l'opera d'arte che utilizza i new media è naturalmente aperta e naturalmente interattiva, in quanto richiede la collaborazione attiva dell'utente. Esistono ovviamente diversi livelli di interattività (e anche forme di falsa interattività), ma quello che importa è che con i nuovi media non esiste una fruizione passiva, e che diversamente da molta arte qui è VIETATO NON TOCCARE.
* VARIABILITA': la New Media Art è continuamente ri-configurabile, in quanto gli strumenti che usa sono variabili e  allo stesso codice possono corrispondere diverse interfacce.

FotoDavid Rokeby | Very Nervous System, 1986-1990
​New Media Art | Le forme
Molto difficile, nella new media art, individuare delle precise categorie formali, anche perché la combinazione di elementi diversi è praticamente la norma. Questa categorizzazione segue quelle già proposte da Christiane Paul in Digital Art, 2003 e da Bruce Wands in Art of the Digital Age, 2006.

​
--> Immagine digitale
--> Scultura digitale
--> Installazione digitale interattiva
--> Film, video & animazione
--> Performance
--> Internet Art
--> Software art
--> Virtual Reality e Augmented Reality
--> Sound Art


gb


Arte e Tecnologia | Net Art

7/17/2017

 
Foto
Per Net art si intende la pratica contemporanea volta a creare opere d'arte con, per e nella rete Internet. In questo modo, la Net Art ha aggirato il tradizionale dominio del circuito di Gallerie e Musei, demandando il ruolo principale dell'esperienza della fruizione estetica ad internet o ad altre reti telematiche. Esistono però diverse tipologie di lavori digitali che seppur creati per la rete non possono essere definiti opere di net art. Per questo motivo bisogna sottolineare le ideosincrasie:

* creati con linguaggio di programmazione e software
* l'intenzione artistica/estetica e di connessione fra più contenuti multimediali
* l'interattività come elemento essenziale ma non sempre necessario
* la fruibilità globale. L'accesso ad un'opera di Net.Art deve essere possibile da qualsiasi connessione ad Internet
* l'essere open source. Modificabile da chiunque (in alcuni casi)

FotoSamuel F. B. Morse | Portrait in Morse code symbols, 1999
Lev Manovich, teorico della net.art dice che è "la materializzazione dei social networks sulla comunicazione su internet". Infatti il gruppo precursore di questo movimento artistico è stato in grado di creare un genere artistico soprattutto attraverso la sua capacità di fare network e di connettere programmatori di tutto il mondo intorno ad una pratica creativa ma anche ironica. La net.art infatti ha giocato molto con la parodia, con l'errore e con la destrutturazione delle pagine web, imponendosi nelle principali rassegne internazionali, con spazi dedicati alla Biennali di Montreal, dal 1998, e al Whitney museum of American art di New York, dal 2000.

Oggi possiamo affermare che il movimento artistico della net.art come movimento e non come forma artistica, si va raffreddando. Negli anni che vanno dal 94 al 2004 circa - anni in cui il Web entrava per la prima volta nell'uso comune di milioni di persone che iniziavano a sperimentare il nuovo medium -  si è avuto un gran fermento, interesse che ha prodotto quella che è divenuta. oggi, una delle forma di arte.

FotoThe Wrong | Peter Burr
Net Art | Italia

In Italia la Net.Art inizia a diffondersi alla fine degli anni '90, ma molte sono le opere di net art realizzate prima di allora. Tra queste:
* Nel 1986 alla Biennale di Venezia sono esposti diversi lavori di artisti internazionali che fanno uso delle reti telematiche.
* Nel 1989 l'artista fiorentino Tommaso Tozzi realizza come opera d'arte il virus informatico subliminale "Rebel! Virus". Un anno dopo, realizza la banca dati telematica Hacker Art BBS e la espone nel 1991 alla mostra Anni 90 alla Galleria d'Arte Moderna di Bologna.
* A gennaio del 1995 il gruppo Strano Network organizza al Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato il primo grande evento internazionale "Diritto alla comunicazione nello scenario di fine millennio".
* Nel 1995 il poeta e teorico dell'arte Francesco Saverio Dòdaro fonda e dirige, la collana "Internet Poetry", prima esperienza italiana di net poetry. 
* Nel maggio 1996 a Trieste ha luogo il primo evento internazionale dedicato all'arte in rete: Net Art Per Se organizzata dallo sloveno Vuk Cosic.
* Nel 1997, nasce netOper@: prima opera italiana multimediale aperta alla partecipazione online di designer, artisti e musicisti nel ruolo di autori ed esecutori.
* Nel 1997, il critico d'arte e giornalista Fortunato Orazio Signorello promuove nella sede dell'Accademia Federiciana (Catania) la mostra "Originalità autonome", con 25 netartisti.
* Nel 1999 nasce il gruppo 80/81 con il progetto Island.8081.
* Nel settembre del 2000 si svolge a Bologna il D.I.N.A digital_is_not_analog, un meeting che vuole far conoscere i principali esponenti della net art.
* Nel 2001 nasce il gruppo EpidemiC che alla Biennale di Venezia insieme agli 1100101110101101.ORG espongono il virus informatico: Biennale.py
* Nel settembre del 2002 ad Ancona viene organizzato BananaRAM a cui partecipano Maciej Wisniewski, Epidemic, 1100101110101101, Limiteazero, Nicola Tosic e Joey Krebs.


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Arte e Tecnologia | Computer Art

7/17/2017

 
FotoRiccardo Muroni | LIMIT, 2011
Con il nome computer art si indicano le forme d'arte elaborate in forma digitale. Il termine viene usualmente riservato per l'arte che è stata modificata in maniera non banale attraverso un computer. Non sono considerati computer art testi, registrazioni audio e video, in quanto il computer serve solo come mezzo di immagazzinamento.

La computer art nasce nel 1950 grazie alla sperimentazione di due matematici/programmatori con sensibilità artistico-grafiche: Ben Laposky (USA) e  Manfred Frank  (Germania). Rifacendosi al costruttivismo e al razionalismo del Bauhaus, Laposky nel 1950 realizza l'“oscillogramma”. Scrive una funzione matematica, quindi non un'immagine, nel processore ed ottiene la base per una proiezione grafica. Successivamente, attraverso l'uso de l'oscilloscopio varia la lunghezza d'onda dei raggi luminosi del tubo catodico e creando delle distorsioni, che chiama "oscillogramma".

I grafici prodotti dal computer sono i mezzi con cui possono concretizzarsi le astrazioni delle idee programmate. Ad ogni formula algebrica corrisponde una diversa forma grafica, l'artista ha quindi la possibilità di ottenere infinite variazioni che possono ispirarlo in un universo contemplativo totalmente nuovo, in continua, stimolante, comunicazione con la macchina.

Foto Tu.ukz | Mercurial | virtual installation
Dall'America, pioniera, altri gruppi di ricerca sono sorti in Giappone, Gran Bretagna, Germania, Italia, a Vienna, Madrid e Buenos Aires, tanto che il movimento ha avito sempre più importanza, sancita in due grandi mostre, la Cybernetic Serendipity, tenutasi nel 1968 a Londra, e la Computer art, On the eve of tomorrow, esposizione itinerante del 1969 dalla Germania al Giappone. Queste mostre, veri e propri eventi, hanno portato al grande pubblico un'arte che prima era rimasta quasi un esperimento privato. 

​Tuttavia, la digital art deve ancora guadagnarsi il riguardo concessi a forme d'arte storicamente consolidate come scultura, pittura e disegno, forse a causa dell'erronea impressione da parte di molti che "a farla sia il computer". L'uso del nuovo medium rappresenta sì una rottura rispetto alla tradizione, ma può condurre ad una nuova apertura nell'arte e ad una migliore comprensione dei fenomeni artistici.


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Arte e Tecnologia | Settanta - Ottonta

7/3/2017

 
Foto
Gli anni Settanta si caratterizzano come un decennio di grande creatività tanto che, come prefigurato da Benjamin, la massa dei fruitori si trasforma da passiva in attiva integrandosi nel momento produttivo, facendo dello spettatore un  operatore culturale. Il cinema d’avanguardia influenzerà sicuramente molta della sperimentazione video, ma rispetto al cinema che richiede una sala di proiezione, il monitor video è più facilmente collocabile in una qualsiasi sala o installazione. Il videotape si conferma così come mezzo poco ingombrante capace di penetrare nella realtà con spirito critico. Dalla diffusione degli strumenti adatti alla realizzazione di video, lo sviluppo parallelo della videoarte. Di pari importanza è l’apporto di quei laboratori, come l’Art/Tapes/22 di Firenze, interessati a scoprire le possibilità del mezzo. Proprio con l’Art/Tapes/22 collaborò, dal 74 al 76, una figura centrale per la videoarte, Bill Viola.
Esaurito il fenomeno avanguardistico, a metà degli anni Settanta andò sviluppandosi un approccio meno soggettivo. Significativo passaggio verso un uso più professionale del medium
 elettronico, espressione del tentativo di realizzare opere video autonome, svincolate da ogni funzione socializzante. Il video, così, reinventa un nuovo modo di raccontare, libero da funzioni descrittive e narrative. ​

FotoStudio Azzurro | Il nuotatore, 1985 | videoinstallazione
Tuttavia, all’inizio degli anni Ottanta, gradualmente, va sviluppandosi un interesse per la narrazione, seppur rivisitata in virtù del medium stesso; probabilmente, l'esaurirsi della fase metalinguistica ha portato alla necessità di sperimentare le articolazioni del nuovo linguaggio, interagendo con altri medium come il cinema e la televisione. Infatti è negli anni Ottanta e poi nei Novanta che gli artisti che utilizzano il video si moltiplicano parallelamente allo sviluppo delle nuove tecnologie. Queste ultime, che inglobano il video, si sono sempre più imposte come il terreno sperimentale prioritario di tutte le arti. 
E se si è ritrovata l'esigenza narrativa nei decenni, è tornata la denucia ai rischi di una perdita di tatto e di con-tatto con un mondo sempre più virtualizzato, argomento cardine delle opere di Studio Azzurro, delle opere cinematografiche di Spike Jonze, regista di Being John Malkovich
, e delle opere di artisti totali come Peter Greenaway che ha coniugato, più di altri, cinema, letteratura, teatro, danza, musica e videoarte.


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Approfondimenti


Il 4 maggio 2017 nella sala Altana di Palazzo Strozzi si è tenuto l’incontro con art/tapes/22. L'evento fa parte del ciclo incontri “Firenze Settanta”.
Una panoramica, in lingua spagnola, della nascita e dello sviluppo della Videoarte. Critica alla società contemporanea?

Arte e Tecnologia | Un po' di Storia

7/3/2017

 
FotoArte rupestre del paleolitico superiore. Ricostruzione grafica. Museo Archeologico Nazionale di Santa Maria delle Monache, Isernia.
Da sempre gli artisti si sono basati sulle conoscenze tecnologiche e sull’ingegno per trovare i materiali e gli strumenti adatti per esprimere al meglio i propri sogni, pensieri, visioni o credenze, e ogni opera d’arte si determinata in primo luogo dai materiali a disposizione dell’artista e dall’abilità di questi nel manipolarli. La tecnologia non solo influenza la creazione artistica stabilendo le possibilità di espressione degli artisti, ma determina il passaggio a funzioni diverse dell’arte, cambiandone anche le modalità di fruizione. La parola tecnologia deriva dal greco “techne” arte intesa come il saper fare, e “logia”, discorso, trattato.
Già 30.000 anni fa i cacciatori del Paleolitico superiore erano in grado di lavorare la pietra così da renderla affilata o di utilizzare i pigmenti naturali per decorare le pareti delle caverne o per scolpire statuette femminili simboleggianti la fecondità. Scoperte per la prima volta, sulle pareti delle grotte in Spagna e nella Francia meridionale, figure di bisonte, mammut o cervo hanno confermato che gli uomini preistorici credevano già nel potere dell’influenza delle rappresentazioni: una volta fissata l’immagine, l’animale avrebbe ceduto al potere del cacciatore, come scrive Gombrich in La storia dell’arte.


FotoSchema esplicativo di come Brunelleschi “scoprì” la prospettiva
Rinascimento: Brunelleschi e Leonardo 
Fin dall’età della pietra, quindi, il rapporto fra arte e tecnologia ha avuto un ruolo importantissimo nello sviluppo dell’attività artistica, fino a confondersi, in maniera evidente, nel Rinascimento. In quell’epoca, scrive Massironi in L’Osteria dei Dadi Truccati, l’arte intesa come techne coltivava interessi per la scienza dei numeri, per le proporzioni e i rapporti e si dedicava alla progettazione di macchine ed edifici destinati a scopi sia civili che militari. L’artista era un po’ tecnico, scienziato, filosofo naturale e inventore. All’inizio del Quattrocento Filippo Brunelleschi, architetto fiorentino, aveva dipinto, nel corso di un esperimento, due tavolette che hanno segnato la nascita della prospettiva intesa come insieme di procedure e proposizioni di carattere geometrico-matematico dei passaggi che consentono di costruire l’immagine di una figura nello spazio su un piano, proiettando questa figura da un centro di proiezione posto a una certa distanza ben definita. Brunelleschi è l’artista-scienziato che ha segnato il passaggio dal Medioevo al Rinascimento ed è con lui che il progetto inizia ad avere il primato sulla realizzazione. Tutta la sua opera artistica, architettonica, teorica può essere letta come una ricerca matematica, una ricerca delle relazioni geometriche, delle leggi fisiche e meccaniche. Con la prospettiva è stato inaugurato un nuovo atteggiamento nell’osservazione della natura e si andava preparando il terreno per la rivoluzione scientifica del diciassettesimo secolo.
​

Dopo Brunelleschi è la volta di Leonardo, la cui intera opera è un fitto intreccio di arte, scienza e tecnologia al servizio della conoscenza e della rappresentazione. Leonardo è stato il primo a ipotizzare l’esistenza di due prospettive: quella lineare di Brunelleschi e quella aerea con la quale intendeva il meccanismo della messa a fuoco: se si guardano nitidamente le figure in primo piano, l’occhio non può contemporaneamente mettere a fuoco anche le figure sullo sfondo. Quindi, se il pittore sfoca le immagini in lontananza, riesce a creare un effetto di tridimensionalità che non fa ricorso alle linee geometriche dell’architettura. Inoltre, a Leonardo si devono i primi studi in Europa sulla possibilità di proiettare immagini dal vero su un foglio dove potevano essere facilmente ricopiate, con la cosiddetta camera oscura leonardiana. Con la camera oscura l’inventore intendeva dimostrare che le immagini hanno una natura puntiforme e si propagano in modo rettilineo venendo poi invertite da un foro strettissimo che fungeva da obiettivo, arrivando persino a ipotizzare che anche all’interno dell’occhio umano avvenisse un capovolgimento analogo.
La camera ottica risultava ancora utilizzata nel XVIII secolo da pittori come Canaletto e Bellotto che, grazie a quella, hanno acquisito precisione fotografica nel dipingere i paesaggi veneziani per i quali continuano ancora oggi a essere celebri.  


FotoClaude Monet | La stazione di Saint Lazare, 1877
#Fotografia
Nel 1800 si pensò alla possibilità di combinare le proprietà creatrici della camera ottica con la possibilità di registrare le immagini ottenute sfruttando le caratteristiche dei sali d’argento sensibili alla luce. Così negli anni trenta dell’800 nasce la fotografia, e molti pensarono, come il pittore Paul Delaroche, che avrebbe decretato la morte della pittura. In realtà la fotografia determina solo il passaggio a forme pittoriche diverse. Grazie alla fotografia, cui spetta il compito di imprigionare e documentare la realtà, il pittore può permettersi di andare oltre quello che l’occhio vede, esplorando il territorio della percezione, abolendo le regole prospettiche. Gli impressionisti infatti, accogliendo le teorie ondulatorie e corpuscolari sulla luce, ne studiano il movimento, le vibrazioni e i cambiamenti di colore. Inoltre, la rivoluzionaria invenzione industriale dei colori in tubetto consente al pittore di abbandonare l’atelier per riprendere en plein air i caffè parigini, i cabaret e la vita dell’epoca, cogliendo l’impressione del momento come Renoir con il Ballo al Moulin de la Galette o Monet ne La stazione di Saint-Lazare, dove ciò che interessa al pittore, come dice Gombrich ne La storia dell’arte, non è la stazione in quanto soggetto ma l’effetto della luce che entra dalla tettoia di vetro per investire le nuvole di vapore e la forma delle locomotive e dei vagoni che emergono dalla confusione.
​

Con la fotografia prima e il cinema poi, ma più in generale con l’avvento della società industriale, l’opera d’arte entra, come afferma Benjamin, nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Lo sviluppo tecnologico investe i mezzi di produzione e di riproduzione della comunicazione e della rappresentazione, dando vita a nuove forme di produzione e di diffusione del lavoro artistico e a nuove concezioni rispetto alla funzione sociale dell’arte e dell’artista. Queste innovazioni, come sempre per quelle di grandi portate, ebbero risposte contrastanti. Da un lato, soprattutto a partire dal primo decennio del XX secolo, gli artisti sono affascinati dalla tecnologia, la assimilano o addirittura la utilizzano nella sperimentazione di nuove forme di espressione.

​Il futurismo è manifestazione del dinamismo del mondo moderno, vuole cantare la civiltà della macchina e della tecnica anche attraverso l’esaltazione della guerra che, come scriveva Marinetti nel 
Manifesto per la Guerra Coloniale in Etiopia, “grazie alle maschere antigas, ai terrificanti megafoni, ai lanciafiamme e ai piccoli carri armati fonda il dominio dell’uomo sulla macchina soggiogata”. Dall’altro lato, alcuni artisti rifiutano sdegnosamente la tecnologia e la modernità scegliendo la strada dell’idealismo o dell’irrazionalismo. Baudelaire afferma: “se alla fotografia si permetterà di integrare l’arte in alcune sue funzioni, quest’ultima verrà ben presto soppiantata e rovinata da essa, grazie alla sua naturale alleanza con la moltitudine”. Per il poeta, il fare artistico è un’attività creativa, opera di un individuo eccezionale e l’opera è un oggetto unico e irripetibile. Nel momento in cui la macchina fotografica si sostituisce alla mano dell’artista nella produzione di immagini, questa unicità e irripetibilità viene meno.


gb


Approfondimenti


Brunelleschi | La cupola del Duomo di Firenze e la prospettiva. L'Umanesimo.
In questo video alcuni dei passaggi importanti nella storia della fotografia dalla prima metà del XIX secolo agli inizi del Novecento.
I pittori, l'arte, la politica, l'architettura. Commenti di Federico Zeri, Claudio Strinati, Franco Cardini, Antonio Paolucci.
In questo video i più importanti prototipi degli oggetti e strumenti ideati dal suo genio.

Arte e Tecnologia | László Moholy-Nagy

7/3/2017

 
FotoLászló Moholy-Nagy | Fotogramm 1926
Fra i maggiori teorici del Bauhaus, László Moholy-Nagy fin da subito cerca di scindere l'apparato produttivo dall’apparato riproduttivo. Nel suo saggio Pittura, fotografia, film, scriveva: “Poiché la produzione serve soprattutto allo sviluppo dell’uomo, noi dobbiamo cercare di estendere a scopi produttivi quegli apparati finora usati solo a fini riproduttivi”. Produzione qui intesa come creatività produttiva atta allo sviluppo dell’uomo. Un invito ad usare i mezzi finora adoperati a fini riproduttivi per la creazione di cose e mondi nuovi, la poiesis insomma. E Moholy Nagy, per spiegarsi meglio ricorre all'esempio del grammofono. Questo, dice il teorico, “ha avuto sinora il compito di riprodurre effetti acustici preesistenti […]. Un’estensione dell’apparecchio a scopi produttivi potrebbe avvenire in questo modo, che le scalfitture vengano praticate nel disco di cera dall’uomo stesso, senza l’intervento di una azione meccanica esterna, e producano, all’atto della riproduzione, un effetto sonoro, così da rendere possibile, senza nuovi strumenti e senza orchestra, un rinnovamento nella produzione sonora e con ciò contribuire alla trasformazione delle concezioni musicali e delle possibilità compositive”. Ma per rovesciare l’impiego degli “apparati tecnici”, portarli cioè dal semplice utilizzo ri-produttivo a quello produttivo, bisogna piegare il medium verso l’elaborazione di “nuovi esperimenti creativi”, di nuovi linguaggi, lontani da ogni orizzonte mimetico o rappresentativo. In questo contesto, fondamentale risulta l’apporto tecnologico. Non è un caso che la videocamera è messa in commercio proprio nel momento in cui andavano affermandosi happening e performances.


gb


Approfondimenti


A screentalk following the screening of László Moholy-Nagy's Shorts with Hattula Moholy-Nagy, Aura Satz and professor Ian Christie.
Un nuovo metodo educativo in grado di superare l’antinomia arte-artigianato, finalizzato all’integrazione tra arte e industria: Bauhaus!
Extended Modulator - Sound, Light and Space performance with the "Licht- Raum Modulator" | László Moholy-Nagy.
Ciclo di conferenze Un año de fotografía con José Benito Ruíz | Sesión 31.2 dedicata alla Fotografía Clásica | Laszlo Moholy Nagy

Arte e Tecnologia | Cinquanta - Sassanta

7/3/2017

 
Foto
Gli anni Cinquanta sono il decennio delle performances, degli happenings, anni in cui si esplora lo spazio della comunicazione e si mettono in discussione i codici tradizionali con nuove proposte di comportamenti non finalizzati e liberatori. Le neoavanguardie, non identificando più l’opera d’arte con il manufatto artistico, sperimentano nuovi modelli espressivi e spostano il proprio campo d'azione verso il corpo, conquistando spazio e tempo, coinvolgendo in maniera attiva lo spettatore mettendo in discussione le abituali categorie di percezione.​

Sviluppatasi in questo clima di apertura verso l’extra-artistico, l'avvento della videoarte muta radicalmente il panorama artistico internazionale. I primi esperimenti di videoarte furono inaugurati dai membri del Fluxus, un movimento che coinvolse nuclei d’artisti in diversi paesi, a cominciare da Stati Uniti e Germania. Una dimensione complessa, non formalistica, che recuperando lo spirito dadaista, esige un nuovo scambio sociale. Membri del Fluxus e pionieri indiscussi della videoarte sono Wolf Vostell e Nam June Paik, che utilizzavano il proprio corpo come mezzo di espressione, oppure inscenavano e documentavano, mediante video e filmati, spettacoli temporanei in cui confluivano il teatro, la musica, la danza e la partecipazione del pubblico, influenzando molti dei più autorevoli rappresentanti dell’arte concettuale.

Foto Angelo Picozzi | MMIV | TV as a Creative Medium
​La ricerca artistica degli anni Sessanta, figlia di quanto detto sopra, genera forme ibride e nuovi linguaggi a seconda della derivazione culturale e del territorio di appartenenza. L’aspetto più generale di questa ricerca artistica consiste nella ricerca di una dimensione temporale che permetta all’opera di avere una durata, uno sviluppo nel tempo, cercando di "immettersi" nella contemporaneità sfruttando il potere comunicativo del mediumo prescelto: l’happening è infatti per definizione l’arte che accade. L’opera non è più un oggetto immodificabile, ma un’azione compiuta nello spazio e nel tempo.
Il video, in questa fase originaria, svolge la funzione elementare di riprendere le performances ideate ed eseguite appositamente per la ripresa. Si dimostra, però immediatamente un mezzo espressivo estremamente poetico, se inteso come mezzo di comunicazione di massa.

​Questa ricerca dei primi anni Sessanta, esamina le possibilità di stabilire un originale linguaggio espressivo utilizzando il nuovo 
medium elettronico. Ma è nel decennio successivo che il video si rivolge alla complessa dimensione temporale del mezzo televisivo analizzandone criticamente l’ambigua verità.

A metà degli anni Sessanta la Sony mette in commercio una videocamera portatile: il port-pack con cui lavorò lo stesso Paik. La videocamera di massa apre agli artisti prospettive inedite, e furono in molti ad esplorarne le potenzialità. Dal 1969 il video comincia ad ancorarsi all’universo delle gallerie d’arte grazie, soprattutto, alla Howard Wise Gallery di New York che organizzò la prima mostra interamente dedicata, TV as Creative Medium. L’anno successivo anche i musei iniziarono ad interessarsi alla videoarte e ad acquisirne le opere. Oltre a New York, Colonia e Wuppertal vanno ricordate come le prime città ad avere ospitato opere in video.


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Arte e Tecnologia | Video

7/3/2017

 
Foto
Steina Vasulka | Violin Power, 1978
​Il videotape da un punto di vista tecnico, non ha nulla di nuovo rispetto alla sua antenata, la Tv. Se la televisione appariva agli occhi degli artisti legata al potere economico e politico, il video si apriva a possibilità culturali e artistiche sperimentali, volte allo scambio comunicativo. Il video si dimostra quindi, immediatamente, un mezzo potente, in grado di stimolare la creatività e l’espressione. 

La concomitanza tra l'avvento del video e il clima di attivismo e agitazione sociale assicura al mezzo un inizio esplosivo. Negli anni sessanta, il video mette in discussione l'oggetto artistico ancora più drasticamente di quanto facciano forme d'arte come l'happening o la performance. Un percorso che conduce alla dematerializzazione dell'oggetto artistico, ovvero la possibilità di un'arte fondata sul tempo anziché sullo spazio, presagio delle Avanguardie Storiche, pensiamo alla quarta dimensione di Picasso o all'attenzione dei Futuristi per la radio e il cinematografo.

​Rapporto ambiguo intrattiene invece la videoarte con la televisione, alla quale è legata dalla medesima tecnologia. VT is not TV, il videotape non è televisione, si rimarcava negli anni sessanta e pian piano i videoartisti cominciano a diffondere le proprie ricerche sul mezzo di comunicazione di massa per eccellenza. Allo stesso tempo, le forme televisive entrano nella videoarte attraverso la pratica del Found footage (letteralmente, "pellicola ritrovata"). La ristrutturazione delle immagini televisive crea dei messaggi divertenti e sovversivi, come dimostra l'esempio italiano di Blob.
FotoWolf Vostell | E.D.H.R. Elektronischer Happening Raum, 1968
​​​Del film d'artista, la videoarte rappresenta l'erede ideale. La maggiore accessibilità - tecnica ed economica - del video rispetto alla tecnologia cinematografica lo ha reso il mezzo privilegiato per la sperimentazione. Caratteristica fondamentale è il rapporto del video con la dimensione sonora. A differenza del cinema, nato muto e accompagnato da un'orchestra, nel video i suoni provengono dalla stessa sorgente: sono entrambi tensioni e frequenze. Particolarità che i primi videoartisti, provenienti in larga parte dal mondo della musica - pensiamo a Paik, Vostell, Viola - non hanno mancato di sottolineare nelle loro opere. In Violin Power opera del 1978, ad esempio, Steina Vasulka genera con la sua musica distorsioni nell'immagine trasformando, come scrive Marco Maria Gazzano - Videomodernità. Eredità avanguardistiche e visioni ultracontemporanee tra video e arte - il suo violino «in una macchina per la ri-presa e la trasformazione - emotiva e fisica - della realtà».

* Attualmente lo sviluppo della tecnologia, cui è legata questa forma di espressione, rende particolarmente vivace il campo della videoarte, che in modo esteso si avvale di ogni tipo di piattaforma e di supporto disponibile. Pensiamo all'utilizzo di schermi al plasma e LCD, di proiezioni sempre più luminose e di supporti digitali, del personal computer, del web, dei minischermi LCD di cui sono muniti gli smartphones, fino alle possibilità date dalle nuove tecnologie HD, con evoluzioni in direzione di una qualità sempre maggiore.


La stretta interazione tra arte e scienza/tecnologia ha imposto nel tempo specifici parametri di fruizione rispetto all'arte tradizionale, ed ha riaperto la riflessione sull'incontro tra produzione creativa e processo tecnologico, che Walter Benjamin aveva iniziato riferendosi alla fotografia e ponendo la questione sull'originalità delle opere fotografiche, prodotte in più esemplari. Oggi, la problematica si è talmente dilatata e complessa a causa della riproducibilità totale dell'opera digitale, in cui le copie sono identiche all'originale e possono essere modificate.


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Arte e Tecnologia | Televisione

7/3/2017

 
FotoTrasmissione di Lascia o raddoppia in un cinema | Anni Cinquanta | ph Giancolombo
“Troppo spesso, ci dice Sandra Lischi - in  Cinema e Video: compenetrazioni, Cine ma video, 1996 - si dimentica che il registratore video, la conservazione su nastro magnetico, è un’invenzione assai tarda (1960), di molto posteriore a quella della telecamera (1936); e che da allora, prima cioè di tale invenzione, la Tv riprendeva e trasmetteva solo in diretta, senza però serbare alcuna traccia delle proprie immagini". 

Impostasi agli inizi degli anni Cinquanta, caratteristica della televisione, che la distingue dal cinema, è la diretta. Si trasmette simultaneamente allo svolgersi dell’evento, grazie ad un rapidissimo processo di trasformazione elettronica. La diretta, quindi, apparenta tecnicamente la televisione alla famiglia dei media della simultaneità e della distanza come il telefono e la radio.

​* L’interesse del mondo dell’arte per la televisione è immediato: il Manifesto del Movimento Spaziale per la televisione scritto nel 1952 da Lucio Fontana, in collaborazione con esponenti dello Spazialismo, teorizza un’arte capace di rinnovarsi e proiettarsi nello spazio attraverso i nuovi mezzi tecnologici fra i quali la televisione. Cosi Lo Spazialismo di Lucio Fontana rappresenta uno squarcio di consapevolezza scientifico-tecnologica all’interno di una congiuntura artistica motivata da spinte irrazionalistiche e da un’aperta sfiducia nei confronti delle nuove tecnologie. 

Foto Wolf Vostell | Dé​-​coll​/​age Musik, 1982, "
Per capire appieno il rapporto fra televisione e arti visive dovremo distinguere fra televisione come mezzo di comunicazione di massa e televisione come supporto video. Risultata inadeguata nella prima accezione, la Tv, non aveva voluto perseguire quella comunicazione in senso proprio - in cui il fruitore non è un mero ricettore di messaggi - ancorandosi ai vecchi media, come la radio, già usurati dalla logica dell’intrattenimento e dal profitto. Non a caso le prime sperimentazioni artistiche sono caratterizzate da un’attitudine critica ai modelli culturali che presiedono all’uso massificante della televisione. La televisione diventa così per l’artista un elemento scultoreo, destinato a denunciarsi all’interno di installazioni che sono manifestazioni di una critica sociale più ampia. Nel 1958, ad esempio, Wolf Vostell inserisce il televisore fra i suoi dé-coll/ages con l’intento, esplicito, di denunciare l’ottusità ipocrita e condizionante dell’uso omologante del mezzo televisivo da parte della struttura sociale contemporanea.


gb


Arte e Tecnologia | Scienze Umane

7/3/2017

 
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Come la tecnologia possa sovvertire il tradizionale approccio artista/opera è ben definito dall’antropologia filosofica di Arnold Gehlen. Nel suo L’uomo nell’era della tecnica, Gehlen afferma, in maniera non poco ottimista, che la tecnica, nei confronti dell'arte, ha solo la funzione di "supplenza". L’oggetto tecnico, scrive, sostituisce organi che l’uomo non possiede, potenzia ed amplifica facoltà esistenti. La tecnica è dunque un’integrazione dell’inorganico nell’organico, un’integrazione subordinata, però, alla progettualità dell’uomo. E per quanto possa essere il movente di trasformazioni decisive nel mondo, la tecnica è comunque riconducibile a un fondamento antropologico, in quanto è tratto distintivo dell’Uomo la volontà di farsi surrogare o supplire da qualcos’altro.

Al contrario, filosofi come Max Horkheimer e Theodor Wiesengrund Adorno, che condividono molte delle riflessioni di Benjamin, nella loro Dialettica dell’Illuminismo, del mondo tecnologico hanno un’immagine meno utopica, anzi fortemente critica. Nel modello di riferimento creativo che per molti artisti era stata la razionalità tecnica, i filosofi hanno individuato, in questa razionalità, il co-responsabile di ogni sistema totalitario del Novecento e quindi alla base di ogni meccanismo di oppressione. “La razionalità tecnica, oggi, è la razionalità del dominio stesso, scrivono. È il carattere coatto della società estraniata a sé stessa. Automobili, bombe e film tengono insieme il tutto finché il loro elemento livellatore si ripercuote sull’ingiustizia stessa a cui serviva”. ​

Secondo Adorno, in Dialettica e positivismo in Sociologia, la struttura, servendosi proprio delle scoperte tecnologiche si è trasformata in un sistema vero e proprio. In un aggregato, cioè, che offre tutti i beni necessari e tutte le superficialità, salvo arrogarsi il diritto di determinare tali beni. Ognuno è racchiuso fin dall’inizio in un sistema di istituzioni e relazioni, scrive, che formano uno strumento ipersensibile di controllo sociale. E il sistema ha dovuto indebolire l’individuo per svuotarlo della sua capacità di giudizio e di critica, soggiogandolo a quella che Adorno chiama Industria culturale.

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Adorno e Horkheimer in Dialettica dell’Illuminismo intendono per industria culturale quegli strumenti con i quali il sistema inganna l’individuo inondandolo di futili valori e modelli di comportamento prestabiliti. Tali strumenti sono essenzialmente i mass media, tra i quali il mezzo televisivo è quello più capillare ed invasivo. La riproduzione meccanica dell’esistente, la ripetizione sempre più standardizzata delle proprie creazioni, l’esaltazione del sempre più perfezionato efficientismo tecnico sono elementi costitutivi dei mass media, strutture che, secondo Adorno, esercitano una potente e nefasta influenza sull’individuo. L’industria culturale abitua l’individuo ad una ricezione passiva, introiettando un’immagine univoca e asettica della realtà, lo persuadono ad adottare costumi e comportamenti stereotipati inibendo le funzioni immaginative e critico riflessive.

L’industria culturale, strettamente intrecciata con l’industria produttiva, nutre la pubblicità che, nella visione adorniana, è probabilmente l’aspetto più inquietante della comunicazione di massa: l’individuo crede di poter scegliere liberamente e di riflettere su prodotti reali, ma non si accorge di essere davanti a meri simulacri. L’immaginario acquista nel simulacro una dimensione sociale, non perché i suoi contenuti ricevano l’adesione, l’approvazione, il consenso dei soggetti, ma perché la società stessa si è de-realizzata, ha acquistato, cioè, una dimensione immaginaria. “Nel simulacro, spiega Mario Perniola in La società dei simulacri, la dimensione immaginaria non sta dalla parte dei soggetti, ma al contrario dalla parte della società: il simulacro è una effettività sociale, il cui statuto è quello di un’immagine priva di originale. L’immagine sociale non è il prodotto dell’iniziativa dell’individuo, ma qualcosa che è già data in partenza e a cui è impossibile sottrarsi, se non ricadendo nella marginalità, nel periferico, nel resto”.

La televisione, insomma, non ha voluto scoprire la “dinamite” per riutilizzare l’espressione usata da Benjamin a proposito del cinema. Tutt’oggi i contributi diretti e creativi degli artisti al mezzo televisivo vengono esclusi perché considerati incapaci di sostenere la larga udienza televisiva.


gb


Arte e Tecnologia | Nam June Paik

7/3/2017

 
FotoNam Jum Paik / Charlotte Moorman | Performance
Laureatosi a Tokyo con una tesi su Arnold Schönberg. Nam June Paik tra il 1958 e 1963 partecipa alle manifestazioni Fluxus a Düsseldorf, ed è in contatto con artisti come John Cage e Wolf Vostell, Merce Cunningham, Joseph Beuys o Charlotte Moorman.
Interessato al disturbo, Paik impara a provocarlo distorcendo l'immagine elettronica, mettendo in discussione la capacità stessa della televisione di poter riprodurre la realtà con creazioni spiazzanti. Nel 1963 presentò all’Exposition of Music Electronic Television di Wuppertal, considerata la prima esposizione di videoarte, Tredici distorsioni per televisioni elettroniche, un assemblaggio di media diversi con 13 televisori, 3 pianoforti e altre fonti sonore. Paik fu uno dei primi artisti a lavorare sul mezzo in sé e non soltanto con esso: manipola il tubo catodico o, più semplicemente, aggiunge calamite e materiale elettrico atto a produrre campi magnetici che confondono le immagini trasmesse dallo schermo.

La televisione non è più soltanto un oggetto, ma diventa un nuovo medium per produrre immagini eccentriche e depistanti. Altri tentativi concreti di utilizzare in modo artistico il mezzo televisivo risalgono alla seconda metà degli anni Sessanta intrapresi con il giapponese Shuya Abe, esperto di elettronica, e con la violoncellista Charlotte Moorman. Con il primo realizza k546: un robot ispirato al tema dell’uomo-macchina; con la Moorman, invece, l’artista mette in scena alcune performances in cui la musicista indossa un corpetto composto da due monitor televisivi collegati ad un violoncello, dove i monitor trasmettono l’immagine della donna deformata dall’interferenza elettrica provocata dal suono dello strumento. Anticipando cosi alcune tematiche fondamentali per l'arte contemporanea, come la contaminazione corpo-metallo, che diventeranno parte integrante dell’immaginario collettivo, e la denuncia al narcisismo e al nichilismo dello spettatore che si annulla davanti ad un monitor, come in Tv Buddha del 1989.


gb


Approfondimenti


"Good Morning, Mr. Orwell" was the first international satellite installation by Video Art pioneer Nam June Paik initially broadcast on New Year's Day, 1984.
* Video Tape Study No. 3» |1967—1969 
* Beatles Electroniques» | 1966—1969
* Electronic Moon No. 2» | 1969
* Electronic Fables» | 1965/71-1992
* Waiting for Commercials». 1972
* Electronic Yoga»| 1972—1992

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    Giovanni Bertuccio

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