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Queer e Arte | 900. Il brutto e le Avanguardie

4/4/2022

 
Foto Umberto Boccioni, Antigrazioso, scultura, 1912
Per Carl Gustav Jung, nel suo saggio sull'Ulysses di Joyce, il brutto di oggi è segno e avvisaglia di grandi trasformazioni a venire.

Ciò significa che quello che sarà apprezzato domani come grande arte, potrà apparire sgradevole oggi e che il gusto è in ritardo sull'apparizione del nuovo. Idea che vale per ogni epoca, ma che sembra singolarmente adatta a caratterizzare le opere prodotte dai movimenti dell'avanguardia detta “storica” dei primi decenni del Novecento.

Le Avanguardie si rifacevano agli ideali di sdregolamento dei sensi già propugnati da
Rimbaud o da Lautréamont. In particolare si pronunciavano contro l'arte naturalista e “consolatoria “ dei loro tempi. Agli inizi, coi Manifesti futuristi, si elogiano la velocità, le macchine da corsa (a loro dire) più belle della Vittoria di Samotracia, la guerra, lo schiaffo e il pugno. Ci si batte contro il “chiaro di luna”, i musei e le biblioteche, ci si propone di fare “coraggiosamente il brutto”; Palazzeschi sostiene un'educazione delle giovani generazioni al disgusto, e nel 1913 Boccioni intitola Antigrazioso sia una scultura che un quadro.

FotoEgon Schiele | Grimassierendes Aktselbstbildnis, 1910
Se quello dei futuristi era un brutto di provocazione, quello dell'espressionismo tedesco sarà un brutto di denuncia sociale. Dal 1906, anno di fondazione del gruppo Die Bruke, sino agli anni dell'ascesa del Nazismo, artisti come Kirchner, Nolde, Kokoschka, Schiele, Grosz, Dix e altri rappresenteranno con sistematica insistenza volti sfatti e ripugnanti che esprimono lo squallore, la corruzione, la soddisfatta carnalità del mondo borghese.

Cubisti come 
Braque e Picasso, nel proseguire una decostruzione delle forme, cercavano sorgenti d'ispirazione nelle arti extraeuropee, nelle maschere africane che l'opinione corrente considerava mostruose e repellenti. Nel movimento Dada, invece, il richiamo al brutto emerge con decisione attraverso l'appello al grottesco; mentre una particolare propensione per situazioni conturbanti e immagini mostruose si ha con il Manifesto Surrealista del 1924.

​L'artista surrealista è chiamato a riprodurre situazioni oniriche che aprono spiragli sull'inconscio attraverso operazioni come la scrittura automatica, per liberare la mente da ogni freno inibitorio e lasciarla vagare secondo libere associazioni di immagini e di idee.

FotoM. Duchamp, Fonatana | Opera originale, ph Alfred Stieglitz, 1917
​La natura viene trasfigurata per dare via libera a situazioni incubatiche e inquietanti in artisti come Ernst, Dalì, Magritte. Cosi facendo le Avanguardie perseguivano la rottura di ogni ordine e di ogni schema percettivo istituzionalizzato, la ricerca di nuove forme di conoscenza capaci di penetrare sia nei recessi dell'inconscio che in quelli della materia allo stato brado. Il brutto dell'Avanguardia è stato accettato come nuovo modello di bellezza.

​Nello stesso anno in cui, il 1917, Marcel Duchamp tentava di far esporre in un museo la sua donna-pisciatoio, e Rudolf Otto, storico delle religioni della Scuola di Marburgo, pubblicava un libro destinato a esercitare un'influenza considerevole, Il Sacro (Das Heilige).

La sacratio, secondo Otto, è la figura archetipica del sacro in quanto consacrazione agli dei infernali, analoga nella sua ambiguità alla nozione etnologica di tabù, augusto e maledetto, allo stesso tempo degno di venerazione e suscitatore di orrore. È sacer ciò che, in un essere vivente o in un oggetto, appartiene simultaneamente al campo del sacro e della lordura, del tabù e dell'intoccabile, della consacrazione e della messa al bando, del segreto da serbare e dell'osceno da rifiutare.
​

Fonti

1. C.G. Jung, Ulysses: a monologue, Folcroft Library Editions, s.l.,1976
2. U. Eco, Storia della Bruttezza, 2007
​3. 
Rudolf Otto, Il Sacro. L'irrazionale nell'idea del divino e la sua relazione al razionale, a cura di E. Buonaiuti, Feltrinelli, Milano 1966

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MC | Mmm...1992 | ph. H. Glendinning
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Battuage, VucciriaTeatro, 2014

Queer e Danza

Queer e Teatro


​Un viaggio per l'America e l'Inghilterra, dagli anni Sessanta fino agli anni Novanta, per poi soffermarsi sul presente. Quello italiano e torinese. Interessante, più che con le esperienze americane, è il paragone fra L'Italia di oggi e l'Inghilterra degli anni Ottanta. Due percorsi tematici, fra liberazione del corpo e ritorno all'Uno.

Esiste un teatro queer? Fra rivendicazione omofile e camp, dagli anni Sessanta fino ai nostri giorni, i protagonisti e le opere che hanno scelto di percorrere la strada meno battuta. Poli, Mieli, Cohen, Ruccello, Pasolini, Fo, Moscato, Emma Dante, Vucciria Teatro. Femminismo a teatro e la perdita di memoria contemporanea.
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La Sottise, 2019
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La Sottise, 2019

Queer. Teorie

Queer. Art is present


​Dal 1850 fino ai nostri giorni,
le teorie che hanno giustificato e perpetrato la "naturalità"  dei comportamenti di genere. Patriarcato, Potere, Femminismo, Il Corpo, Il Drag, L'ideale borghese, Nascita dell'omosessualità, Nascita dell'eterosessualità, Il genere, Le emozioni. Infanzia e Adolescenza. Lesbismo. 

​La pagina di Art is present dedicata alla tematiche queer. Esogamia e patriarcato, Donne e teatro, Donne e Arte. Il corpo e il suo assoggettamento, Il gene Master, Il corpo lesbico. Donne contro Uomini, Lacan: il simbolico e il maschile. Rivièr e Foucault. Interviste: Tre personalità queer della Torino nostrana e tanto altro...
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Queer e Arte | 900. Art chez les fous

4/4/2022

 
FotoVictor Hugo | Justitia, 1857
Non poche collezioni, a partire dalla fine del XIX secolo, hanno raccolto le produzioni plastiche e letterarie degli alienati. La psichiatria era una disciplina ancora giovane, e l'arte dei folli suscitava l'interesse dei medici.

Marcel Réja, ad esempio, pubblicò L'art chez les fous. L'intento del libro, come è chiaramente indicato nell'introduzione, è quello di studiare un'“arte” specifica, o, più precisamente, un'infanzia dell'arte, per riuscire a illuminare i meccanismi del genio. A tale scopo l'autore esamina anche i “disegni dei bambini e dei primitivi”, ne rileva le differenze e constata che hanno in comune un certo “disprezzo” della realtà: non mirano a “evocare le forme in sé, ma solamente la loro idea”.

Hans Prinzhorn, che lavorava presso la clinica universitaria di Heidelberg, scrisse un testo dal titolo Espressioni della follia pubblicato nel 1922.
Prinzhorn apprezzava l'arte del suo tempo e incoraggiava i malati a esprimere sé stessi mediante la pittura e la scultura. Dalle sue analisi emersero temi comuni:
​

E' assai proficuo rilevare i tratti comuni alla sensibilità artistica contemporanea. Constatiamo infatti che l'avversione a un'idea semplicistica del mondo, un disconoscimento sistematico delle apparenze esteriori alle quali l'arte occidentale era rimasta da sempre fedele, in definitiva un deciso ritorno all'Io, sono i tratti fondamentali della nuova ricerca artistica. Ebbene, tali termini ci sono stati resi familiari grazie agli sforzi dello schizofrenico per descrivere il suo sentimento del mondo.

FotoAdolphe Julien Fouéré | Rothéneuf, 1910
​Il libro e i lavori di Prinzhorn testimoniano sia una approccio nuovo alla creatività, destinato a propiziare sia una maggiore comprensione dell'arte moderna, sia un mutato atteggiamento nei confronti della follia. Ne seguirono mostre, attentamente visitate dagli artisti, in particolare gli espressionisti tedeschi. E ne seguì un maggiore interesse per l'arte dei malati di mente.

Dai folli ai marginali, ai balzani, agli ostinati, ritenuti un po' 
fissati che s'intestano a produrre disegni, dipinti, mosaici, oggetti o costruzioni più o meno strane, il passo è breve. La fama del Palais Idéal edificato tra il 1879 e il 1912 da Ferdinand Cheval, detto Le Facteurs, aveva presto scavalcato i confini della Drome, anche se nel suo paese Cheval fu a lungo considerato un povero pazzo che riempie di pietre il suo giardino.


Artisti e poeti hanno sempre manifestato, dunque, interesse per le opere prodotte da una creatività sregolata, ma nessuno è mai sembrato preoccuparsi della loro conservazione. Possiamo vedere ancora oggi i disegni spiritici di Victor Hugo o le figure scolpite nel granito dall'abate Adolphe-Julien Fourè sulla scogliera di Rothéneuf perché molto resistenti, ma la maggior parte delle opere marginali è scomparsa. Le collezioni psichiatriche, in questo senso, hanno avuto un ruolo determinante.

FotoJean Dubuffet | Autoritratto II, 1966
​Jean Dubuffet ne visitò parecchie quando pensava di scrivere un'opera sulle creazioni degli irregolari. Dopodiché il suo progetto iniziale si modificò. E il pittore decise di farsi promotore di una collezione che consentisse la conservazione e lo studio dell'art brut, che egli definì questi termini:

Noi intendiamo con ciò opere eseguite da persone prive di cultura artistica, nelle quali il mimetismo, contrariamente a quanto accade negli intellettuali, ha dunque scarsa o nessuna importanza, dal momento che i loro autori attingono tutto quanto (soggetti, scelta dei materiali adoperati, mezzi di trasposizione, ritmi, modelli di scrittura, ecc.) dal fondo di se stessi e non dagli stereotipi dell'arte classica o dell'arte alla moda. Noi assistiamo qui all'atto artistico assolutamente puro, bruto, reinventato dall'autore nella totalità delle sue fasi, muovendo unicamente dai propri impulsi. Arte, dunque, dove si manifesta la sola funzione dell'invenzione e non quella, costante nell'arte colta, del camaleonte e della scimmia.

L'arte accademica, in quanto tecnica, veniva messa al bando. Si favorivano al contrario, quei gesti artistici scaturiti da nessuna mediazione, dove erano gli impulsi ad essere il motore scatenante, divenendone cosi sia il punto da cui si originava certa arte, sia il significante dell'arte stessa. Si parte dagli istinti per spiegarli e conoscerli.​​

Fonti

1 M. Réja, L'art chez les fous (1907), Z' éditions, Nice 1994
2 H. Prinzhorn, Expressions de la folie (1922), Gallimard, Paris 1984
3 Cfr. D. Riout, in Riferimenti e modelli, in L'arte del Ventesimo secolo. Protagonisti, temi, correnti, Einaudi, Torino 2002
4 J. Dubuffet, L'art brut préféré aux arts culturels (1949), in L'homme du commun, Museum of Fine Arts, Montreal, 1970

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J.D. | Dhôtel nuancé d’abricot, 1947
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J. Dubuffet | Paolo Monti, Italia 1960

900. Il brutto e le Avanguardie

Jean Dubuffet e
​l'Art brut


Per Carl Gustav Jung, nel suo saggio sull'Ulysses di Joyce, il brutto di oggi è segno e avvisaglia di grandi trasformazioni a venire. Le Avanguardie si rifacevano agli ideali di sdregolamento dei sensi, in particolare si pronunciavano contro l'arte naturalista e “consolatoria “ dei loro tempi.

Dubuffet è interessato ad un tipo di creazione anonima. Senza una denominazione precisa e per la quale, ancora, non aveva trovato una definizione. Sarà nel luglio dello stesso anno, nel corso dei suoi viaggi che Dubuffet codificherà le sue ricerche coniando il termine Art Brut.
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Ted Gordon, 1981
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Friedrich Nietzsche, 1882

Art brut

Il dolore che sublima


L'Art Brut costituì il primo segno di una rottura nell'ambito culturale occidentale. Non poche collezioni, a partire dalla fine del XIX secolo, hanno raccolto le produzioni plastiche e letterarie degli alienati. La psichiatria era una disciplina ancora giovane, e l'arte dei folli suscitava interesse.

Il “dire si” alla vita è un'arte suprema e va accettata in tutti i suoi aspetti, compresi quelli aspri e amari. Nietzsche spoglia il significato della tragedia da ogni residuo morale e religioso, rovescia l'interpretazione romantica per ricondurlo ad una sfera meramente estetica.

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Queer e Arte | 900. Art Brut

4/4/2022

 
FotoAdolf Wolfli | Musicisti, 1913
​La riflessione sul brutto si sviluppa quando il concetto di bello e la sua definizione vengono messe in discussione e al brutto è riconosciuto un “significato estetico”. Si rivendica, dunque, la positività di determinati valori che fanno capo al brutto acquisendo lentamente una propria autonomia, fino ad essere inserito a pieno titolo in un sistema pluricategoriale.

In effetti dopo il Romanticismo - a cavallo fra Ottocento e Novecento – l'arte non può più venire equiparata all'inestetico o all'extra estetico (vedi Il brutto e le avanguardie). Come ricorda Dessoir “nella violenta rottura delle norme di ogni grandevolezza e di ogni superficiale appagamento formale si svela “un regno che non è di questo mondo”. Il brutto prende il significato di “espressivo”, come positivo valore estetico, contro un bello che nell'armonia delle sue forme e nell'equilibrio dell'apparenza, si fa superficiale conciliazione e non permette di guardare in faccia alle cose”.

Il brutto diventa, per usare un'espressione di Feldman, “una vera struttura del mondo” e l'arte che non fa consistere la propria dignità nella cesura o nella neutralizzazione del brutto o del negativo in generale, recupera la propria vitalità proprio attraverso un confronto costante e proficuo con le tematiche del deforme, del mostruoso e della caricatura.

FotoAloise Corbaz | Napoleone III a Cherbourg, 1952
Non l'esorcizzazione del brutto, ma una sua attenta analisi mette in discussione i limiti e il significato dell'arte e il ruolo del bello. A partire dal Romanticismo l'arte ha ricercato una molteplicità di strade possibili in una continua messa in discussione del proprio statuto. Dunque l'oggetto artistico si vanifica perdendo la propria identità categoriale e il suo ordine antico. All'interno dei suoi eterogenei sviluppi, l'arte accoglie la vita, ma nello stesso tempo disgrega fino a invadere campi che non le appartengono. Anche i contenuti perdono il loro riferimento a valori universali e rimandano l'arte nella causalità del quotidiano, nella soggettività delle singole passioni ed emozioni.

Per questo, concettualmente, all'interno dell'Art Brut rientrano un variegato gruppo di opere, espressioni di propri, autonomi, criteri estetici, e non è possibile paragonare l'Art Brut a un movimento o a una corrente artistica. Il creatore d'Art Brut, per definizione marginale e autodidatta, elabora una sintassi tematica, iconografica, stilistica e tecnica, che testimonia una peculiare inventiva e uno spirito indipendente. Lavora in solitudine e nell'anonimato, come se stesse compilando le pagine di un personale diario intimo. Idealmente ignora l'esistenza di un potenziale destinatario ed è totalmente svincolato dall'aspettativa di un riconoscimento sociale. Non è neppure consapevole di operare nel contesto della creazione e la sua produzione si compie al di fuori di un qualsiasi ambito istituzionale. Potremmo dire che il suo operare non è mediato, se pur non totalmente, dalla cultura.

FotoHeinrich Anton Müller | Hermine, 1917
Proprio questa assenza di informazioni permette loro di sperimentare tutte le potenzialità espressive del proprio processo creativo. La creazione, nell'Art Brut, raggiunge la sua massima intensità generando un'“esteriorizzazione dei moti d'umore più intimi e più profondi dell'artista”. L'indagine rivolta all'essenza “degli strati più nascosti” della personalità, impegna Wolfli o Jeanne Tripier a confrontarsi con le sfere più oscure dello stato selvaggio e della violenza.

Descritti come autori o persone, le produzioni di Art brut sono qualificate come opere o come lavori. Questo vocabolario si differenzia, volutamente, dalla terminologia tradizionale che mette in primo piano i maitre (maestri) e i loro chefs-d'oeuvres (capolavori).

I principali protagonisti dell'Art Brut saranno Adolf Wolfli, Heinrich Anton Muller e Aloise e le loro opere costituiranno il nucleo fondamentale delle collezioni di Dubuffet. L'eclettismo che caratterizza tali collezioni dimostra quanto le “direttive” dell'Art Brut non fossero ancora definite. Inizialmente le sue scelte riflettono ancora i gusti e gli interessi degli intellettuali dell'avanguardia europea. Tuttavia è già possibile scorgervi una chiara predilezione per le creazioni di carattere deviante ed estranee alle norme dettate dalla tradizione estetica occidentale.

L'
Art Brut precedeva, dunque, il concetto stesso e la sua definizione e la nascita della nozione fu postuma all'esistenza delle opere. Questo duplice paradosso era intrinsecamente legato al particolare concetto dell'Art Brut e, in sostanza, costituì il primo segno di una rottura nell'ambito culturale occidentale.

Foto Josef Hofer | Untitled, 2014
Adolf Wolfli, Aloise o Podestà, ci informa Lucienne Peyri, non rappresentano soltanto le loro biografie o le loro memorie, anche se lavorano in uno stato di assoluto ripiegamento su se stessi. Essi danno anche prova di un vero superamento e di una sublimazione della loro personalità, realizzando una produzione tutta visionaria.


Per questo, continua Peyri a proposito della Art Brut di oggi: “La crociata che aveva condannato tutta l'arte moderna e contemporanea a favore dell'Art Brut non avrebbe più senso oggi. La tendenza dualistica e ieratica, che considerava la prima come espressione di una creazione intellettuale e sofisticata e la seconda come espressione della purezza emozionale e primitività naturale, non si rivela soltanto non pertinente, ma totalmente sbagliata. Le produzioni dell'Art Brut sono certamente cariche di emozione ma scaturiscono anche da una elaborato sistema espressivo.”

L'autore di Art Brut, oggi, si situa dunque a mille miglia dall'innocenza e dall'inesperienza che si ricercavano alle origini del movimento. Il suo impegno personale – spesso le opere vengono realizzate nel corso di molti anni – così come il suo spirito contestatario, umoristico, che sfocia nella parodia, ne sono una prova evidente. Infatti le opere di Hofer, Mets o Santoro si rivolgono allo sguardo dello spettatore stimolandolo tanto sul piano emozionale quanto su quello intellettuale.
​

Fonti

1 Cfr. E. Franzini, M. Mazzacoult-Mis, in Brutto. Un valore estetico positivo, 2010
2 M. Dessoir, Estetica e scienza dell'arte, L. Pennecchi, G. Scaramuzza (a cura di) , Unicopli, Milano 1986
3 V. Feldman, Estetica francese contemporanea, a c. e trad. it. di D.Formaggio, Minuziano, Milano 1945
4 K. Rosenkraz, Estetica del brutto, Aesthetica, Palermo 2004, p. 36; si veda anche T.W. Adorno, Teoria estetica, a cura di G. Adorno e R. Tiedemann, trd. it. di E. De Angeli, Einaudi, Torino 1981
5 L. Peiry, in L'art brut, in Arte, genio Follia. Il giorno e la notte dell'artista, catalogo alla mostra allestita al complesso museale Santa Maria della scala (31 gennaio-25 maggio), Mazzota, Siena, 2009
6 J. Dubuffet, Honneur aux valeurs sauvants, in Prospectus et tous écrits suivants, 1967
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J.D. | Dhôtel nuancé d’abricot, 1947
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Ted Gordon, 1981

900. Il brutto e le 
Avanguardie

900. Art chez le fous


​Per Carl Gustav Jung, nel suo saggio sull'Ulysses di Joyce, il brutto di oggi è segno e avvisaglia di grandi trasformazioni a venire. Le Avanguardie si rifacevano agli ideali di sdregolamento dei sensi, in particolare si pronunciavano contro l'arte naturalista e “consolatoria “ dei loro tempi.

L'Art Brut costituì il primo segno di una rottura nell'ambito culturale occidentale. Non poche collezioni, a partire dalla fine del XIX secolo, hanno raccolto le produzioni plastiche e letterarie degli alienati. La psichiatria era una disciplina ancora giovane, e l'arte dei folli suscitava interesse.
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J. Dubuffet | Paolo Monti, Italia 1960
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Jean Dubuffet e
​l'Art brut

Il corpo e il suo Assoggettamento


​L'Art Brut costituì il primo segno di una rottura nell'ambito culturale occidentale. Non poche collezioni, a partire dalla fine del XIX secolo, hanno raccolto le produzioni plastiche e letterarie degli alienati. La psichiatria era una disciplina ancora giovane, e l'arte dei folli suscitava interesse.

Nel sessismo, nell’omofobia e nel razzismo, il ripudio dei corpi rappresenta un’«espulsione» seguita da una «repulsione». Tale repulsione fonda le identità culturalmente egemoniche. Quando la disorganizzazione dei corpi rompe la finzione regolativa eterosessuale, il modello perde forza descrittiva. 
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    Autore

    Giovanni Bertuccio

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Direttore Giovanni Bertuccio



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