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ORIGINI                                                            ARTE                                                                    LA GRANDE MADRE

1/20/2025

 
Foto
Venere di Fels, 40.000 - 31. 000 a.c.

LA MADRE
​

Ogni civiltà, sin dagli albori, ha conosciuto il culto di una Dea Madre. La signora onnipotente della natura che governa il ciclo di nascita, morte e rigenerazione di tutti gli esseri viventi. L’immagine della Grande Madre ha attraversato la storia dell'arte con molteplici identità, cambiando nomi e attributi, ma senza mai estinguersi del tutto.
​
​
L'arte è impregnata di queste immagini, e in tutte le culture arcaiche ed in quasi tutte le religioni antiche - ma anche nelle moderne - troviamo figure o divinità femminili legate al culto della fecondità, o connesse con il senso del materno.

Per millenni oscurate e non sempre decifrabili per l'uomo contemporaneo, queste immagini, tradotte in simboli dagli artisti di ieri e di oggi, fungono da testimoni dell’invisibile.

In epoca preistorica, e agli albori di quella storica, esistevano, dunque, culti che veneravano una creatrice femminile. E a ben vedere La Dea è stata celebrata in modo esclusivo da 25.000 anni prima di Cristo al 500 d.C.,
epoca della chiusura degli ultimi templi a lei dedicati.
​

la donna 
​

L'archeologa lituana Maria Gimbutas, esperta di culti preistorici (mesolitici e neolitici) collegati alla terra e fondati su divinità femminili, nel suo famoso libro Il linguaggio della Dea, sostiene che in Europa ed in Asia Minore (Antica Anatolia) tra il 7.000 e il 3.000 a.C. sarebbe esistita una società caratterizzata dall'uguaglianza tra i due sessi. Dove le donne avrebbero ricoperto il ruolo importante di sacerdotesse (vedi anche Il sesso sacro) o addirittura di capi clan, e la vita comunitaria era guidata da una Grande Dea, che governava i cicli di nascita, morte e rinnovamento. Uno dei simboli più antichi della Grande Madre è, infatti, l'Uroboro, il serpente che si morde la coda, che divorandosi e nello stesso tempo rigenerandosi, forma un ciclo continuo di nascita, morte e ri-nascita.
​
Con un approccio interdisciplinare, facendo dialogare linguistica, religioni, mitologia e folklore, Gimbutas riesce a tracciare i tratti salienti della civiltà che ha vissuto nell'Europa mediterranea prima dell'arrivo degli Indoeuropei. Si trattava di una società in cui predominava la figura della Grande Dea partenogenetica (che si autogenera) e la celebrazione della vita era il motivo dominante dell'arte e delle incisioni rupestri del tempo. Questa civiltà non conosceva l'uso delle armi, pur avendo già sviluppato la metallurgia, e aveva una concezione del tempo ciclica. La forma femminile, così diffusamente rappresentata, non rifletteva altro che la centralità delle donne nella cultura religiosa.
​

matrifocale e matrilineare
​

Nel primo Paleolitico, cioè fino a circa 120.000 anni fa, non c'era ancora la consapevolezza del ruolo dell'uomo nella riproduzione, e la donna era ammirata e celebrata come donatrice di vita in assoluto, poiché si riteneva che da sola avesse la possibilità di procreare.

Per questo motivo le prime società erano matrifocali, con la donna al centro della comunità, e matrilineari, in quanto i beni posseduti venivano passati dalla madre alle figlie. La vita si svolgeva in piccole comunità, le donne officiavano i riti sacri ed erano tenute in gran considerazione, soprattutto se anziane. Non esistevano né una vita di coppia, né una famiglia intesa come nucleo separato dal resto della comunità.
​

matriarcato
​

I dati raccolti dagli studiosi attestano che fin dalla comparsa dell'Homo sapiens, l'umanità abbia fatto ricorso ad un'unica divinità femminile, alla "Dea Unica" e che, nel corso dei millenni, il culto della Grande Madre si sia sviluppato in territori lontani fra loro.

Cambiando nome e attributi, però, il significato simbolico rimaneva lo stesso. Eccone alcuni nomi: Tanit, Ishtar, Inanna, Astarte in ambito semita, Ninhursag, nell'area mesopotamica (V millennio a.c.), Ashtoreth, era il suo nome in Fenicia. In Arabia era conosciuta come Atar, dagli Egizi come Hathor. In area anatolica (II millennio a.C.) come Cibele, nell'area greca come Gea e Rea. Mater Matuta in area etrusca, Bona Dea o Magna Mater nell'area romana. Nella mitologia andina è conosciuta come Pachamama e tra gli aborigeni australiani come Kunapipi
.
​

patriarcato
​

Solamente dal 3.000 a.C. ad oggi si è sostituito nell'immaginario collettivo la figura del Dio maschio. Attraverso il mascheramento, ha assorbito qualità del tutto femminili, come quella della creazione e del dare la vita, mentre la Dea è stata relegata al ruolo di madre, sposa o sorella del Dio; oppure, come nella religione cattolica, al ruolo di Madre vergine.

La cultura patriarcale ha ri-elaborato, quindi, i miti della creazione ponendo al vertice del pantheon un Dio maschio: An per la mitologia sumera, Zeus per la quella greca, Brahma per la tradizione induista. Successivamente, anche nelle religioni monoteiste, Dio è sempre stato inteso al maschile, in contraddizione con l'evidente realtà che ogni essere vivente della Terra è partorito dalla femmina: origine di tutte le cose, grande utero che tutto genera.



gb
​


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ORIGINI | ARTE | LA DEA. UNA E TRINA
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