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ORIGINI                                                                    ARTE                                                                      I SIMBOLI DELLA DEA #1

2/13/2025

 
Foto
Dea dei serpenti, Micene 1600 - 1500 a.c.
La Dea Madre è stata la prima divinità immaginata dallo spirito umano e il suo simbolismo è, indubbiamente, una caratteristica predominante nei reperti archeologici del mondo antico: dalle Veneri, alle immagini stilizzate nel Paleolitico e oltre.

Concentrato, agli albori, sul mistero della nascita, il culto della Dea metteva in risalto le funzioni materne della donna, come rivelano le Veneri con gli attributi sessuali esagerati suggerendo l'idea della gravidanza e talvolta anche del parto. Il loro scopo era di stimolare la vita con un'abbondanza sempre maggiore, sia nel genere umano che negli animali e nella natura.

UROBORO

Uno dei simboli più antichi che prefigura l'Archetipo della Grande Madre è quello dell'Uroboro, il serpente che si morde la coda, che divorandosi e nello stesso tempo rigenerandosi forma un ciclo continuo di nascita, morte e rinascita. E' uno dei simboli più noti di quella perduta unità con il tutto che è il ricordo dell'utero materno.

SPIGHE DI GRANO

Tra gli attributi della Grande Madre predomina, universalmente, la presenza di spighe di grano. Come il grano era destinato ad essere sepolto nella terra per poter germogliare in primavera, così la Grande Dea, quale si ritrova nel mito di Cerere, sarebbe dovuta morire come vergine per diventare madre. Il grano poteva allora essere assimilato al figlio da lei generato, come avveniva nei misteri eleusini durante l'iniziazione da parte dello ierofante.

L'UVA E IL VINO

Un altro attributo era quello dell'uva e del vino, proprio della Dea della Vite venerata dai Sumeri, dai popoli dell'Asia minore, e soprattutto a Creta, dove divenne una personificazione classica della Grande Madre collegata al toro. Il ciclo della vendemmia era infatti ulteriore simbolo di quello vita-morte-rinascita.

VENERE E IL TORO

Simboli astrologici della Grande Madre rimandavano al pianeta Venere e al segno zodiacale del Toro che ne è il domicilio notturno, la cui energia, particolarmente legata alla terra, all'agricoltura e alla fertilità, connotava l'atmosfera materna e protettiva di maggio.

Ma vediamone meglio alcuni nello specifico.
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​Il Vaso, l'Acqua e il Seno

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​Legato al carattere di grembo del femminile, il vaso corrisponde alla più elementare esperienza del femminile da parte dell’umanità. È il corpo, il contenitore, l’utero, la caverna, la terra, la tomba. Il vaso però non è solo un involucro, ma anche ciò che sta al suo interno e per questo diventa anche simbolo del buio, della notte, dell’acqua. Come un vaso divino d’acqua, la Grande Madre nutre la terra ed è signora dell’acqua superiore, la pioggia, e dell’acqua inferiore, che scorre nelle viscere della terra. 


EGITTO

Questa simbologia era ben presente presso gli egizi. Il geroglifico del vaso dell’acqua è il simbolo della dea celeste Nut, e allo stesso tempo dei genitali femminili e del principio femminile. La dea Nut nutre la terra e le sue rappresentazioni la ritraggono con il seno e il ventre scoperto. Il sue seno (mammelle meglio in questo contesto) ed il suo ventre non sono solo la forma di organi fisici, ma simboli della vita. Per questo il seno resterà nei secoli una forma di rappresentazione della Grande Dea, così come il tema della madre che allatta il bambino, rappresentazione del mistero della trasformazione del sangue in latte.

CRETA

Spostandoci a Creta e osservando gli affreschi e gli artefatti di questa civiltà, notiamo come le donne mostravano i seni. Scoprire i seni, nella società cretese di allora, rappresentava un atto sacro che rientrava nel culto della Dea. E le sacerdotesse che si identificano con la Madre, mostravano il seno, a simboleggiare il flusso vitale che nutre. Il collegamento seno-madre compare nell’Orestea di Eschilo, nel momento in cui Clitemnestra, nell’attimo che precede l’omicidio da parte del figlio Oreste, scopre il seno e lo mostra al figlio come un monito, ricordandogli che il matricidio che sta per commettere, scatenerà l’ira delle antiche dee. (Vedi Origini | Teatro).

​​L'albero cosmico


​Esistono anche rappresentazioni cretesi di vasi con molti seni o raffigurazioni di vasi da cui fuoriescono rami di piante. Il vaso che germoglia rimanda ad un altro simbolo della Grande Madre: l’albero cosmico. 

Presente in numerose mitologie, da quella norrena con lo Yggdrasil, all’albero sefirotico della cabala ebraica, l’albero cosmico, ancorato alle viscere della terra, sale fino al cielo e La dea-albero rappresenta la generazione, la trasformazione come presso i più antichi culti egizi, in cui Hathor, madre di Horo, è la Signora del sicomoro, o della palma da dattero. Dall’albero del sicomoro nasce il sole, il maschile, il figlio. 

La simbolica unione della dea con il figlio-paredro divino, mistico evento comune a molti antichi culti agrari, rappresenta il ciclo di morte e rinascita della vita. Il figlio-paredro deve necessariamente morire, fecondando la terra col suo sangue, per poi rinascere, riportato in vita la Dea. Ne sono esempio le coppie divine di Cibele-Attis, Demetra-Giasone, Afrodite-Adone, Inanna-Tammuz, Ashtarth-Baal.
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Il serpente


​Riguardo ai simboli del mondo animale, l'animale per eccellenza legato alla Dea, nonché suo simbolo antichissimo, è il serpente. Non era il suo corpo ad essere considerato sacro, ma l'energia trasudata dal rettile. Il suo rinnovarsi stagionale, col mutare della pelle ed il cadere in letargo, ne ha fatto il simbolo dell'energia vitale in costante movimento, ma anche del legame con gli Inferi.
 
Il serpente ha una valenza magica presso tutte le antiche popolazioni della terra. Il suo influsso vitale, unito alle piante, poteva curare e ricreare la vita. Vi è infatti un serpente attorcigliato attorno al bastone di Asclepio, dio greco della medicina, e due serpenti gemelli si intrecciano sulla bacchetta di Hermes, che nelle sue remote origini nell’Arcadia, era una divinità legata alla fertilità e alle mandrie.

 
LA DEA SERPENTE


La Dea Serpente è, quindi, una divinità primordiale, il cui culto si sviluppò soprattutto nell’area egea, tra i popoli pelasgici pregreci, almeno dall'inizio del VI millennio a.C., per poi diffondersi attraverso la venerazione di Demetra-Cerere e i culti eleusini. Il rapporto tra il serpente e il potere generatore della Dea è quindi continuato nel tempo, manifestandosi al suo apice nella cultura cretese, ed è tutt'ora evidente in figure femminili come quella di Atena, Hera e Hathor. Negli affreschi di Pompei che illustrano il culto di Demetra-Cerere, i serpenti decorano la stanza.
 
A Creta - dove si venerava Potnia, identificata con La dea dei serpenti - all'interno d
el palazzo di Cnosso furono ritrovate diverse statue di ceramica rappresentanti dee con serpenti attorcigliati in vita, sugli abiti, sul copricapo. La statua della Dea dei Serpenti (foto in alto) mostra una donna vestita con un corpetto slacciato che le scopre i seni, e la gonna a campana tipica delle pitture cretesi, stringendo nelle mani alzate due serpenti.
 
LE PIZIE
 

Nella cultura greca permane testimonianza del legame tra la donna e il serpente nella figura della Pizia, sacerdotessa che pronunciava gli oracoli in nome di Apollo nel santuario di Delfi al cui interno venivano offerte statuette votive a forma di serpente.
 
Il nome Pizia ha il significato di Pitonessa, e il mito racconta che l'oracolo di Delfi fosse in precedenza custodito dal Pitone, un enorme serpente nato dal fango della terra dopo il Diluvio Universale, e che Apollo lo abbia ucciso, impossessandosi dell'oracolo e delle sue sacerdotesse. Per circa duemila anni, dal 1400 a.C. fino circa al 400 d.C., la Pizia ha dato i suoi responsi, un solo giorno al mese, raggiungendo uno stato di eccitazione profetica, grazie all'aspirazione di particolari vapori che fuoriuscivano dal suolo, e dopo aver masticato foglie di alloro. Questa pratica fu in seguito proibita nel 392 d.C. quando l'imperatore romano Teodosio soppresse i culti pagani rendendo il Cristianesimo la religione di Stato.

CRISTIANESIMO

 
Con il Cristianesimo il legame tra la donna e il serpente fu associato al Male e alla tentazione di Satana, in seguito alle interpretazione fuorvianti del racconto della Genesi. Il serpente, come narra il mito, aveva suggerito a Eva di mangiare, convincendo anche Adamo, il frutto dell'albero della conoscenza del Bene e del Male. Questa interpretazione, come tutti sappiamo, nei secoli ha sviluppato la convinzione che la donna sia connessa al peccato, e ha reso la sessualità e la nudità un tabù nella società occidentale.


GB


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ORIGINI                                                                    ARTE                                                                    LA DEA | UNA E TRINA

2/4/2025

 
Foto
Statua di Ecate, III secolo d.c.
La forma femminile, così diffusamente rappresentata, rifletteva la centralità delle donne nelle culture antiche. Le immagini della Dea, come si è cercato di spiegare fin ora, esprimevano i tratti salienti dei cicli naturali: la nascita, la morte e la rigenerazione. Questi erano associati alle tre fasi della Luna e le dee lunari anche se molteplici, in realtà sono sempre una.

Una e trina a formare l'originaria triade sacra. La storia della loro vita, i loro attributi e le loro caratteristiche variano pochissimo, infatti, di civiltà in civiltà e rappresentano sempre l'ideale della Grande Madre che regna suprema insieme a suo figlio, il quale era anche il suo amante. Non a caso la Dea col bambino è una delle immagine più inflazionate della storia dell'arte, nei secoli ha sempre rappresentato simbolicamente il grembo, Madre Terra, che genere e accoglie la vita. Che la nutre e protegge anche dopo la nascita.

Esaminiamo adesso i tre aspetti della Dea e il loro significati legati al femminile.
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La Dea della Nascita
​LUNA CRESCENTE


Raffigurata mettendo in risalto le parti del corpo connesse con la fertilità, in questa versione la Dea portava le mani poggiate sui seni o sul ventre, proprio a mettere in evidenza la parte che nutre e accoglie la vita durante i primi mesi. Considerata portatrice di vita, di fertilità e di prosperità per le persone, gli animali e la vegetazione, la Dea giovane era protettrice del parto e degli infanti. I simboli che le venivano associati in questa versione, sono quelli propri della datrice di vita: reti, labirinti, spirali e triangoli, rappresentano i suoi seni, gli occhi, la bocca, la vulva (il triangolo è un chiaro riferimento al pube). Tutti elementi che gli uomini antichi conoscevano e riconoscevano e immediatamente collegavano alla fase di luna crescente.

Rappresentata come una giovane donna che si muove nel mondo senza ancora una meta precisa, incarna il principio della potenzialità di qualcosa che ancora non si è manifestato nella sua pienezza. Prediligendo la natura selvaggia e i luoghi incontaminati questa la Dea giovane è la personificazione dello spirito femminile indipendente, un modello di donna che vive a stretto contatto con la natura e i suoi ritmi.

Nel periodo in cui Matriarcato e Patriarcato convivevano, La Dea giovane, ancora nella società greca e poi romana, era rappresentata da Artemide, chiamata poi Diana dai romani. Dea vergine (senza marito) che vive con le ninfe nel bosco, a caccia della propria identità. Come Dea vergine, Artemide era immune dall'innamoramento, e nel racconto simbolico della sua vita, non venne rapita o violentata, come altre sue sorelle, e non fu mai parte della coppia marito/moglie. La Dea giovane è "una in sé stessa" e, in quanto essere completo, non apparterà mai a nessun uomo.

la dea della morte
​luna piena


​Raffigurata dal colore bianco e il più delle volte scolpita nell'osso o nell'avorio, la Dea della Morte era rappresentata con una postura rigida e con gli occhi grandi e rotondi, a ricordare gli uccelli rapaci. E per questo disponeva di ali, aperte, con al loro interno i simboli del movimento, come il labirinto o la spirale, ma anche, in accordo con la prima versione della Dea, triangoli, forme a clessidra o a rete. Il volto veniva rappresentato di solito con la testa della civetta, uccello che accompagnerà nel tempo alcune delle più rilevanti Dee oscure e, inseguito, le streghe delle culture europee: Morrigan, Regana, Baba Yaga, Lamia, Ana e Anat.

Selene è la divinità lunare che meglio di ogni altra rappresenta la fase della luna piena, il momento in cui l'astro culmina la luminosità lunare iniziando il suo percorso di riduzione. In questo caso il rapporto col Sole inizia ad essere più significativo che in quello di Artemide. Elios, il dio del sole, è simbolo, infatti, sia di fratellanza (è suo fratello) che dell'amore sensuale (è anche il suo amante) e Selene, vivendo adesso questo aspetto della vita, a simboleggia la donna adulta.

Secondo il mito, Elios, il sole, ogni sera aspettava Selene, la Luna per giacere con lei sull'Oceano. Per venticinque giorni, i due fratelli amanti, si univano, mentre negli ultimi tre giorni, quelli del novilunio, quando la Luna non è visibile, Selene, all'insaputa di Elios, lo 'tradisce' col suo amante Endimione. Il termine Endimione significa colui che dimora dentro e Selene, sopraffatta dal desiderio di scoprire l'altro, se ne innamora. ​

Qui la Dea è adulta ma non dimentica la sua parte giovane e indipendente. Il suo essere completa la spinge in questo momento della sua esistenza ad interessarsi all'alterità, magari a volere un rapporto di coppia, ma senza mai perdere la sua passionalità nei confronti della vita, il suo lato selvaggio. Ecco perché pur riuscendo ad amare non smette di amare ciò che dimora al suo interno, non cadendo vittima dell'annientamento personale insito, spesso, in una coppia uomo/donna.
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La Dea della Rigenerazione
​luna calante


Gli Antichi pensavano che ogni volta che la Luna diventava invisibile in realtà stesse attraversando il mondo degli Inferi. Soggiogata o inghiottita da una potenza oscura ed invisibile, per loro, questa fase lunare rappresentava la potenza della distruzione e della morte. La vita, secondo le civiltà antiche, era un'energia in continuo movimento e trasformazione, e alla nascita e alla morte aggiungevano una terza tappa nel ciclo vitale: la rigenerazione.

Qui la Dea rappresenta la donna anziana, la vegliarda e i simboli associati sono l'uovo - che ancora oggi viene associato al momento della rinascita – le spirali, i serpenti, le mezzelune e motivi vegetali. L'uovo inoltre svolgeva un ruolo importante anche nella festività dei morti ed era inserito come offerta nelle tombe per stimolarne la rigenerazione.
 
Ecate è la divinità lunare che da sempre rappresenta la fase di Luna calante, e suo era il compito di prendersi cura di coloro che dovevano affrontare il rito di passaggio tra il mondo supero e il mondo infero per facilitarne la rinascita in un mondo nuovo. I riti della Dea della rigenerazione avvenivano di notte e come Regina dei fantasmi, la vegliarda si muoveva nell'oscurità seguita da spiriti e cani latranti, e come Dea Triforme del Crocicchio si divertiva a mandare i viandanti fuori strada.

Creatrice di tempeste e capace di intervenire sul mondo esterno quanto su quello interno, il questa versione, di donna ormai divenuta consapevole della natura umana, la Dea era ritenuta la responsabile della pazzia, delle visioni, delle ispirazioni e della magia. A lei appartenevano in modo particolare la magia connessa con l'amore, la metamorfosi, e i pharmaka, la medicina primitiva fatta di sostanze "magiche", potentemente guaritrici o distruttrici a seconda della loro intima conoscenza.

gb


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1/30/2025

 


​​"La magica autorità del femminile, la saggezza e l'elevatezza spirituale che trascende i limiti dell'intelletto; ciò che è benevolo, protettivo, tollerante; ciò che favorisce la crescita, la fecondità, la nutrizione; i luoghi della magica trasformazione, della rinascita; l'istinto o l'impulso soccorrevole; ciò che è segreto, occulto, tenebroso; l'abisso, il mondo dei morti; ciò che divora, seduce, intossica, ciò che genera angoscia, l'ineluttabile".


​ G. Jung, L’Archetipo della Madre, 1981 


​L' ARCHETIPO DELLA MADRE

Da Platone agli alchimisti, l’archetipo è qualcosa di intangibile ed irraggiungibile per l’uomo, eppure, in qualche modo, l’umanità è in grado di esperirlo e riconoscerlo.

È con la psicologia analitica di Carl Gustav Jung che il concetto di archetipo trova una giustificazione psichica, quando lo studioso svizzero trasferisce le rappresentazioni archetipiche in ciò che chiama inconscio collettivo.

L’inconscio collettivo è lo stato più profondo della psiche, una psiche impersonale comune a tutti gli uomini, anche se si manifesta tramite una coscienza personale. La psiche contiene quindi tutte le immagini da cui tutti i miti sono sorti, e quando l'inconscio rende visibili le immagini primordiali, a queste si da il nome di archetipi.

immagini e simboli
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Gli archetipi mediano tra la coscienza e l’oscura materia divina e Jung definendoli complessi d’esperienza che sopravvengono fatalmente e il cui effetto si fa sentire nella vita, ci dice che le immagini interiori agiscono sulla psiche umana ed influenzano di conseguenza anche la vita cosciente: in ogni psiche sono presenti ed attive forme, disposizioni, idee in senso platonico, le quali istintivamente preformano ed influenzano i nostri pensieri, sentimenti, azioni.
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Gli archetipi sono, quindi, immagini interiori che agiscono sulla psiche. Queste immagini sono connotate da simboli e attraverso questi, l’archetipo diventa visibile alla coscienza. In questo senso, i simboli hanno formato la nostra coscienza e l’espressione simbolica ha permesso all’umanità di dare forma alla figura della Grande Madre tramite miti e creazioni artistiche.
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gli opposti


​L’archetipo della Grande Madre possiede molte forme, e come ogni archetipo contiene polarità opposte. Infatti, all’interno del femminile agiscono due aspetti contraddittori e complementari. Questa dicotomia dà origine ad immagini opposte all’interno dell’archetipo stesso: per esempio, le figure della Madre Amorosa e della Madre Terribile, della maga e della coscienza, della donna e della fanciulla.
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la madre amorosa


​Le caratteristiche principali dell’archetipo della Grande Madre sono innanzitutto da ricercare in tutti quegli aspetti legati al materno: ciò che è benevolo, protettivo, tollerante, fecondo. Ciò che nutre e protegge. Ma anche una magica autorità del femminile, saggezza ed elevazione spirituale. La poesia e la màntica sono le caratteristiche di questo aspetto della dea. Tutti questi elementi appartengono al polo positivo dell’archetipo. La Madre Amorosa, la terra che nutre e protegge, custodisce ed accoglie. A questo aspetto dell’archetipo possono essere associate le immagini delle vergini divine come le Muse o Sophia. O andando ancora in dietro, a Demetra o Iside, madri antichissime, padrone dei misteri della vegetazione e conservatrici dell’equilibrio della natura. 

Percepita come fonte di vita e di nutrimento, che prodiga accudimento e protezione fisica, la madre amorosa diventa metafora dell'Utero buono. Uno spazio pronto ad accogliere, un recipiente contenitivo e protettivo. In questa accezione, la Madre Buona è rappresentata o come Vacca Sacra, dalle multiple mammelle o come Vaso, ponendosi al servizio totale del contenuto, il figlio.

Infatti le raffigurazioni del
la donna come vaso, appaiano prive della bocca, come a voler significare che qui l'archetipo del femminile si presenta ancora muto, un femminile che, nella sua totalità fisica e psichica, è intento solo a dare senza la pretesa di ricevere.


la madre terribile


La Grande Madre amministra non solo il ciclo della vita, ma anche quello della morte e della rigenerazione. La Terra, il grande ventre simbolo della Madre che tutto genera, diviene anche il simbolo del ventre che inghiotte. Il suo grembo diventa, così, il simbolo del mondo sotterraneo, e l'Utero percepito come tomba. Qui la madre si fa tiranna ed esige sangue per essere fecondata e donare nuova vita.

In questo caso le caratteristiche dell’archetipo racchiudono tutto ciò che è segreto, occulto, tenebroso, ciò che seduce ed intossica. La Madre Amorosa diventa Madre Terribile, la divoratrice, perfettamente incarnata dalla temibile dea indiana Kali. Ma anche da Ereshkigal, regina degli inferi nella mitologia sumera, e da Ishtar, dea babilonese dell’amore ma anche della guerra e della devastazione.

Le Madri terribili mostrano il legame del femminile col mondo ctonio (sotterraneo). Con le loro incursioni nell’Ade, non rappresentano altro che l’alternarsi delle stagioni, ovvero il ciclo di morte e rinascita della natura. Una di queste è Persefone, Kore, figlia di Demetra rapita da Ade, regina degli inferi per sei mesi all’anno, i mesi in cui la terra è fredda e sterile.

Vecchie o giovani, a secondo degli attributi e dei simboli, le Madri Terribili dall’aspetto mostruoso, perché notturne, sono rappresentate accompagnate da serpenti e belve feroci. In questo caso si avranno le figure solitarie di Ecate, la gorgone Medusa, le Erinni: patrone dei misteri della morte, e del mondo ctonio.

Quando invece l
a propensione poetica, profetica e spirituale, sfuma verso l’occulto, si accede nel mondo delle maghe, delle incantatrici e della follia. Si delinea, così, il regno delle streghe, espresse nella femminilità di Circe, Medea, Lilith. Donne enigmatiche e seducenti che presiedono ai misteri dell’ebbrezza, sono patrone delle arti oscure e dei veleni. 



gb

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1/20/2025

 
Foto
Venere di Fels, 40.000 - 31. 000 a.c.

LA MADRE
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Ogni civiltà, sin dagli albori, ha conosciuto il culto di una Dea Madre. La signora onnipotente della natura che governa il ciclo di nascita, morte e rigenerazione di tutti gli esseri viventi. L’immagine della Grande Madre ha attraversato la storia dell'arte con molteplici identità, cambiando nomi e attributi, ma senza mai estinguersi del tutto.
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​
L'arte è impregnata di queste immagini, e in tutte le culture arcaiche ed in quasi tutte le religioni antiche - ma anche nelle moderne - troviamo figure o divinità femminili legate al culto della fecondità, o connesse con il senso del materno.

Per millenni oscurate e non sempre decifrabili per l'uomo contemporaneo, queste immagini, tradotte in simboli dagli artisti di ieri e di oggi, fungono da testimoni dell’invisibile.

In epoca preistorica, e agli albori di quella storica, esistevano, dunque, culti che veneravano una creatrice femminile. E a ben vedere La Dea è stata celebrata in modo esclusivo da 25.000 anni prima di Cristo al 500 d.C.,
epoca della chiusura degli ultimi templi a lei dedicati.
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la donna 
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L'archeologa lituana Maria Gimbutas, esperta di culti preistorici (mesolitici e neolitici) collegati alla terra e fondati su divinità femminili, nel suo famoso libro Il linguaggio della Dea, sostiene che in Europa ed in Asia Minore (Antica Anatolia) tra il 7.000 e il 3.000 a.C. sarebbe esistita una società caratterizzata dall'uguaglianza tra i due sessi. Dove le donne avrebbero ricoperto il ruolo importante di sacerdotesse (vedi anche Il sesso sacro) o addirittura di capi clan, e la vita comunitaria era guidata da una Grande Dea, che governava i cicli di nascita, morte e rinnovamento. Uno dei simboli più antichi della Grande Madre è, infatti, l'Uroboro, il serpente che si morde la coda, che divorandosi e nello stesso tempo rigenerandosi, forma un ciclo continuo di nascita, morte e ri-nascita.
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Con un approccio interdisciplinare, facendo dialogare linguistica, religioni, mitologia e folklore, Gimbutas riesce a tracciare i tratti salienti della civiltà che ha vissuto nell'Europa mediterranea prima dell'arrivo degli Indoeuropei. Si trattava di una società in cui predominava la figura della Grande Dea partenogenetica (che si autogenera) e la celebrazione della vita era il motivo dominante dell'arte e delle incisioni rupestri del tempo. Questa civiltà non conosceva l'uso delle armi, pur avendo già sviluppato la metallurgia, e aveva una concezione del tempo ciclica. La forma femminile, così diffusamente rappresentata, non rifletteva altro che la centralità delle donne nella cultura religiosa.
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matrifocale e matrilineare
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Nel primo Paleolitico, cioè fino a circa 120.000 anni fa, non c'era ancora la consapevolezza del ruolo dell'uomo nella riproduzione, e la donna era ammirata e celebrata come donatrice di vita in assoluto, poiché si riteneva che da sola avesse la possibilità di procreare.

Per questo motivo le prime società erano matrifocali, con la donna al centro della comunità, e matrilineari, in quanto i beni posseduti venivano passati dalla madre alle figlie. La vita si svolgeva in piccole comunità, le donne officiavano i riti sacri ed erano tenute in gran considerazione, soprattutto se anziane. Non esistevano né una vita di coppia, né una famiglia intesa come nucleo separato dal resto della comunità.
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matriarcato
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I dati raccolti dagli studiosi attestano che fin dalla comparsa dell'Homo sapiens, l'umanità abbia fatto ricorso ad un'unica divinità femminile, alla "Dea Unica" e che, nel corso dei millenni, il culto della Grande Madre si sia sviluppato in territori lontani fra loro.

Cambiando nome e attributi, però, il significato simbolico rimaneva lo stesso. Eccone alcuni nomi: Tanit, Ishtar, Inanna, Astarte in ambito semita, Ninhursag, nell'area mesopotamica (V millennio a.c.), Ashtoreth, era il suo nome in Fenicia. In Arabia era conosciuta come Atar, dagli Egizi come Hathor. In area anatolica (II millennio a.C.) come Cibele, nell'area greca come Gea e Rea. Mater Matuta in area etrusca, Bona Dea o Magna Mater nell'area romana. Nella mitologia andina è conosciuta come Pachamama e tra gli aborigeni australiani come Kunapipi
.
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patriarcato
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Solamente dal 3.000 a.C. ad oggi si è sostituito nell'immaginario collettivo la figura del Dio maschio. Attraverso il mascheramento, ha assorbito qualità del tutto femminili, come quella della creazione e del dare la vita, mentre la Dea è stata relegata al ruolo di madre, sposa o sorella del Dio; oppure, come nella religione cattolica, al ruolo di Madre vergine.

La cultura patriarcale ha ri-elaborato, quindi, i miti della creazione ponendo al vertice del pantheon un Dio maschio: An per la mitologia sumera, Zeus per la quella greca, Brahma per la tradizione induista. Successivamente, anche nelle religioni monoteiste, Dio è sempre stato inteso al maschile, in contraddizione con l'evidente realtà che ogni essere vivente della Terra è partorito dalla femmina: origine di tutte le cose, grande utero che tutto genera.



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    Autore

    Giovanni Bertuccio

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Magazine d'Arte e Cultura
​Teatro e Danza. Queer

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Direttore Giovanni Bertuccio
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