![]() L’immagine video in scena, elemento caratterizzante la ricerca teatrale degli anni Ottanta, è entrata molto più facilmente del cinema nel codice teatrale, anche per maggior economicità e flessibilità del medium. In funzione prevalentemente scenografica o alla ricerca del puro effetto spettacolare, questo uso del video, in molti casi, rifletteva una concezione riduttiva del rapporto fra scena reale e scena virtuale, in alcuni casi rievocando, addirittura, i fondali ottocenteschi. Infatti, sostituire l’architettura scenografica o integrare schermi con immagini animate, non costituisce, necessariamente, l’apertura verso una nuova ed espressiva comunicazione per il teatro, ma rischia, piuttosto, di omologarlo ad un modello di fruizione televisiva. * Robert Wilson e Robert Lepage negli anni Ottanta, sono forse fra i più significativi esploratori teatrali di una nuova poetica tecnologica. Wilson, poliedrico e onnipresente in questa numero, cerca il superamento dei vincoli spazio-temporali con due grandiosi progetti teatrali, The Civil Wars, 1982 e Die Goldenen Fenster - The Golden Windows 1982 - la cui idea fondante è l’allestimento in cinque nazioni diverse delle cinque parti di cui si compone ciascuno spettacolo e la loro ricomposizione televisiva, da trasmettere via satellite in tutto il mondo. ![]() * Lepage invece, sperimenta la scena come un montaggio di visioni tecno-teatrali, tramite specchi, diapositive, film e soprattutto video, registrati e in diretta. Ma il suo progetto nasce sempre a partire dalla costruzione del testo drammaturgico, per lui, sempre in progress. Attraverso questo modo di intendere la scena, chiamiamola pure drammaturgia multimediale, si assiste, in quegli anni, al cosiddetto “ritorno” al testo e alla rivalutazione degli ambienti specifici dell’arte scenica. Lepage, mette, infatti, lo stupore e le emozioni delle magie visive, al servizio del racconto scenico e non a compensazione del vuoto narrativo. Nei suoi lavori non è il teatro che si meccanizza ma è la tecnica che si teatralizza. Ne è un esempio è I sette rami del fiume Ota del 1995, commissionato dal governo giapponese per commemorare il bombardamento atomico americano su Hiroshima. Qui, Lepage unisce tradizione del Teatro delle ombre giapponese alla tecnologia video e produce un dialogo affascinante tra corpi e luce, sovrapponendo sette pannelli trasparenti di spandex sui quali vengono proiettate contemporaneamente immagini video e ombre. Un dialogo che comunica, in modo chiaro ed emozionante, il legame indissolubile tra Oriente e Occidente e l’impossibilità di cancellare dalla memoria collettiva l’Hiroshima della bomba atomica. ![]() * In Italia, la rassegna Paesaggio metropolitano/Teatro-Nuova Performance/Nuova Spettacolarità nel 1981, inaugura un nuovo modo di fare teatro. Che esplora i media e si ispira al panorama della metropoli e dell’immaginario cinematografico e videografico. Krypton, Falso movimento di Mario Martone, la compagnia di Giorgio Barberio Corsetti con Studio Azzurro, con modalità profondamente diverse, definiranno con alcuni spettacoli-manifesto, le idiosincrasie di una stagione teatrale innovativa definita video teatrale. Prologo a diario segreto contraffatto del 1985 e Camera astratta del 1987 di Giorgio Barberio Corsetti e Studio Azzurro sono gli spettacoli più emblematici di questo periodo in cui andava introducendosi una dialogo nuovo tra corpo e ambiente, tra luce e spazio, tra immagine video e presenza attoriale. In Prologo si allestisce una doppia scena: una materiale e una immateriale, una visibile e una invisibile. Il palco di fronte al pubblico diviene un retroset dove gli attori vengono ripresi mentre la loro figura intera è riproposta al pubblico in diretta, ricomposta su quattro file di tre monitor sovrapposti. In Camera astratta invece un’architettura geometrica mobile attraversava il palco con monitor posti su binari o montati su assi oscillanti e sospesi come un pendolo. In una perfetta sincronia di movimenti, incorporano e scompongono il corpo dell’attore con un passaggio continuo e fluido della narrazione dal video al teatro. Trovate tecnologiche per rendere visibile la mente del personaggio attraverso gli eventi dello spettacolo, pensati come emanazioni del pensiero che attraversa, anche solo per un istante, il mondo interiore del protagonista. gb![]() Il video, inteso non solo come immagine ma come dispositivo multiplo, innesca un processo di “esplosione” verso l’esterno, verso il contesto spaziale insomma. Con l'abolizione del punto di vista unico e l’apertura ad una temporalità plurima, lo spettatore partecipa, così, ad un evento reale, fisico. E il suo mondo emotivo e percettivo, che si confronta o interagisce con l'opera, diventa necessario per lo svolgersi della narrazione. Infatti le opere interattive hanno la capacità di modificarsi grazie alla presenza e all’azione degli spettatori, diventati veri coautori dell’opera. Da un’opera chiusa e strutturata, grazie alla navigazione ipertestuale, agli ambienti virtuali 3D, alle immagini di sintesi e alle installazioni interattive, si passa ad un’opera-sorgente che contiene nella sua attualizzazione ed esecuzione infinite variabili. * A partire dal 1987, lo scenografo M.Reaney inizia ad utilizzare la computer grafica per l’allestimento scenografico, fino a giungere alla programmazione di ambienti virtuali per la fase illustrativa con il regista e nel 1993 arriva ad un primo esperimento di simulazione proiettando il modello scenografico digitale direttamente all'interno della cornice del boccascena e immaginando poi una scenografia virtuale tridimensionale direttamente sul palcoscenico. Paolo Aztori, invece, rigoroso nell'articolazione di scenografie elettroniche e nelle concezione di uno spazio scenico integrato nel processo creativo della messa in scena, intende la scenografia come dotata di infrastrutture proprie, adatte al nuovo linguaggio della rappresentazione, attraverso cui l’orizzonte percettivo sfonda la prospettiva ordinaria oltre il boccascena, per affermare la simultaneità delle diverse percezioni, tra reale e virtuale. ![]() La coincidenza fra reale e virtuale è ciò che interessa a Marcel•lí Antúnez Roca, fondatore della compagnia catalana Fura dels Baus. Antúnez Roca si fa portavoce di un nuovo cyberteatro o teatro tecno-biologico in cui l’ibridazione e lo scambio non avvengono solo tra macchine e dispositivi, ma tra corpo e tecnica, tra organico e inorganico, tra robotica e biologia, operando al confine tra “corpi in-macchinati e macchine in-corporate” come dirà lui stesso. Il performer incarna l’utopia post-umana della tecno-mutazione, dell’ampliamento della struttura biologica verso nuove sensibilità extratattili diventando, attraverso innesti temporanei di dispositivi elettronici ed elettromagnetici, cybermarionetta e robot cibernetico, potente metafora della liberazione del corpo verso nuovi e inesplorati spazi di sensorialità. Pensiamo a Epizoo del 1994 - dove il corpo-macchina del performer si fa appendice digitale sottoposto alle "molestie" telematiche da parte degli spettatori attraverso un touch screen - o a Requiem del 2000 in cui dei robot pneumatici reagiscono alla presenza del pubblico. In Transpermia. Panspermia inversa (2003) Antùnez, come già in Afasia nel 1998, sostituisce il keyboard con il dressskeletron o esoscheletro, una protesi elettromeccanica, vero prolungamento protesico della sua corporeità recuperando grazie al programma Midi Reactor, funzioni organiche non più limitate alla vista e al tatto. Suona con il corpo e modula la voce, anima immagini e disegni che mostrano ipotesi di interfacce e robot da usare nel quotidiano per identità sempre mutanti. Il performer riesce così controllare tutto lo svolgersi della performance, dal momento che il suo esoscheletro è diventato la piattaforma che gli permette di connettere e gestire una molteplicità di programmi, facendo di sé stesso, un’interfaccia delle interfacce. ![]() Motus, Fanny e Alexander, Teatrino Clandestino e Masque Teatro, sono quattro gruppi romagnoli cresciuti sulla scia di Socìetas Raffaello Sanzio* e Albe-Ravenna Teatro. Motus è uno dei gruppi di punta della cosidetta generazione Novanta, o terza ondata, fenomeno esploso agli inizi degli anni Novanta in spazi underground, extrateatrali decentrati in centri sociali o spazi occupati. I Motus si impongono per il forte impatto visivo e la carica trasgressiva e il loro teatro legato al culto dell’immagine, si esprime in una poetica dall’eccesso di visione. Con le loro installazioni, performance e spettacoli, i Motus richiamano Warhol, Bacon, DeLillo, Cocteau, Abel Ferrara, Gus Van Sant e le loro strutture sceniche sono territori di confine in cui la visione mediatizzata si accompagna ad un ossessiva indagine del corpo mostrato, violato, nei suoi aspetti estremi di violenza e di sesso. In Catrame, 1996, il suono e la musica sono fra gli elementi più importanti. Assieme alla luce, sembra siano loro a scolpire il corpo, a deformarlo, inseguirlo. Il corpo trasgredito rimane oltre il plexiglas e lo spettatore è coinvolto in quello spazio chiuso proprio attraverso il dilatarsi dei suoni e delle luci, guardando un corpo nudo che, disgregandosi, viene completamente rimodellato. Immagini psichedeliche, luci forti e cromie acide fanno emerge l’ambiente in cui si svolgono le azioni. Scatola-gabbia costruita da tubi metallici e chiusa dal plexiglas trasparente in cui il corpo in movimento diventa sfocato, sofferente, seguendo le suggestioni delle opere di Bacon. ![]() L'Orlando Furioso diviene oggetto d’analisi in O.F. ovvero Orlando Furioso, 1998/99. Presentato in vari modi: spettacolo teatrale, video e performance - tanto da formare una vera e propria opera multimediale, l'opera passata al bisturi dei Motus, viene sventrata e rivista, non in termini di rappresentazione ma di esecuzione. L’ossessione di ricostruire continuamente le scene, i “quadri” del poema, diviene l’unica vera messa in scena e l'apparato tecno-scenografico si fa elemento drammaturgico. Una grande, vorticosa piattaforma rotante: circo, giostra d’esposizione atroce degli eroi/eroine del poema. Luogo di vertiginose battaglie e patetiche relazioni amorose, enorme lanterna magica posta al centro di una Croce di passerelle sopra elevate, complessa “meccanica del desiderio” del poema. Rooms, confluito nella versione definitiva dal titolo Twin Rooms (2000-2003) si ispira al romanzo Rumore bianco di De Lillo. Attraverso un particolare dispositivo visivo e sonoro, l’azione teatrale, che procede per riquadri e close up, ricostruisce un vero e proprio set cinematografico. La regia teatrale diventa regia di montaggio. La camera d’albergo, la struttura scenica si raddoppia generando una “digital room” con due retroproiezioni affiancate da immagini pre-registrate o provenienti da telecamere a circuito chiuso e mixate live con quelle girate in diretta dagli stessi attori in scena. La cornice scenografica di questo expanded live cinema invade tutto lo spazio del palco e le immagini riempiono ogni interstizio possibile, generando un sovraccarico di immagini. Presenza inquietante, il video, in un eccesso di visibilità e una morbosità dell’occhio della telecamera che sorveglia e si sofferma sui corpi, drammatizza il totalitarismo consumistico narrato cinicamente da De Lillo: lo shock dell’immediatezza, il senso di alienazione e di perdita di identità nel flusso della rappresentazione del sé. ![]() * Tragedia Endogonidia di Romeo Castellucci (2002-2004) è un’opera unica formata da undici episodi. Sviluppata in tre anni, ognuno degli 11 video fa capo ad una città di cui prende il nome. L’idea, che alimenta Tragedia Endogonidia è quella di un'opera in continuo cambiamento. Un sistema di rappresentazione che, come un organismo, si trasforma nel tempo e nella geografia dei propri spostamenti. Lo spettacolo che ne emerge non è un’opera chiusa, in quanto gli episodi si auto generano e i filmati non sono da considerarsi “documentazione” di un fatto accaduto ma come parte integrante di ciò che, è accaduto e, continua ad accadere ogni volta che qualcuno guarda il video. Ci si trova, così, di fronte a quadri inediti, che stuzzicano la nostra immaginazione senza fornirci chiavi di lettura sicure. Indubbiamente la storia e il passato di chi guarda plasma la ricezione dell'opera, ma si tratta di connessioni nuove, in cui ci si trova in un nuovo inizio, dove ancora tutto deve essere inventato coerentemente. gbApprofondimenti
![]() In Belgio, la videodanza nasce intorno alla nuova danza fiamminga, caratterizzata da una ricerca analitica quasi ossessiva del movimento. Jean Fabre ad esempio, in opere come What a Pleasent Madness del 1988; Tivoli del 1993, Questa pazzia è fantastica; paysages fabriens, del 1993, fa della ripetizione, dell'attenzione al particolare e dell'osservazione della realtà come qualunque altro organismo, la sua cifra stilistica. Anne Teresa de Keesmaeker, fondatrice del gruppo Rosas, che rielabora spesso, per la telecamera i suoi lavori teatrali, in video come Achterland del 1994 - da un balletto del 1990 -, in Rosas danst Rosas, con Thierry De Mey, del 1997, in Fase, sempre con Thierry De Mey, del 2002, mette in video la sua danza minimale, ripetitiva e strettamente legata alle suggestioni musicali che tanto caratterizzano la sua produzione. Meno astratte e più emotivamente oniriche le produzioni anche fictional dei belgi di lingua francese. La coreografa Nicole Mossoux, In Scelsi suites, del 1990, mette in scena la storia di una coppia come tante, che danza e vive nello stesso spazio, affrontando, tuttavia, l'esperienza della solitudine e l'impossibilità dell'incontro. Face à Face del 1988 di Michèle Anne De May, racconta, una volta di più, storie di coppia attraverso la ricerca analitica dei movimenti del corpo, unita ad un uso espressivo delle tecnologie della ripresa. ![]() Wim Vandekeybus, direttore della compagnia Ultima Vez, nella sua cararriera ha sempre alternato il suo essere coreografo, fotografo e regista. Il film Roseland del 1990, con la regia tripartita fra Walter Verdin, Octavio Iturbe e Wim Vandekeybus, è tratto dal materiale delle prime tre coreografie di Vandekeybus: What The Body Does Not Remember (1987), Les porteuses de mauvaises nouvelles (1989) e The Weight of a man (1990). E per "aver trasformato l'energia teatrale della coreografia in un'esperienza di schermo dinamica, utilizzando una gamma completa di tecniche cinematografiche", Roseland si aggiudica, nello stesso anno, il Dance Screen Award. Video di danza basato sull'omonimo spettacolo del 1999, In Spite of Wishing and Wanting è girato nel suggestivo ambiente di un'ippodromo di Bruxelles,ne la bellissima sala da ballo-sala da concerto del Vooruit Arts Centre di Gand (BE), ne le strade di Ferrara (IT) e a Singapore. Con i ritmi del co-fondatore di Talking Heads, David Byrne e con l'eclettismo scenografico di Wim Vandekeybus, In Spite of Wishing and Wanting si trovano sequenze teatrali umoristiche, danza energica e potente e una varietà di corpi all'interno di un cast tutto maschile. Lo stesso Wim Vandekeybus in persona trotta come un cavallo selvaggio tra i dieci ballerini-attori, devastati dai loro desideri appassionati. Perché è nelle sequenze danzate di attrazione, confronto e repulsione, che i danzatori assumono sembianze animali. Nel 2005 Wim Vandekeybus gira Blush, trasposizione video della performance teatrale dell'anno prima. Con le musiche di David Eugene Edwards e Woven Hand e con testi dell'autore fiammingo Peter Verhelst, Blush è un viaggio onirico che oscilla tra i paesaggi paradisiaci della Corsica e le profondità più slanciate di Bruxelles. Un'esplorazione del selvaggio subconscio, delle foreste mitiche, degli istinti conflittuali, dell'immaginazione, dove il corpo ha ragioni che la mente s-conosce. ![]() La videodanza in Italia è neonata. La svolta, si ha a partire dagli anni Novanta. A Napoli, nel 1991,l’Associazione Culturale Napolidanza promuove la prima edizione del festival di videodanza Il Coreografo Elettronico, ideato da Marilena Riccio, chiuso dopo qualche hanno di pausa, riaperto nel 2016 con la presidenza di Laura Valente. Con l’avvio del festival si cominciarono a raccogliere opere provenienti da tutto il mondo e attraverso le varie edizioni il festival ha premiato, monitorato e catalogato il variegato mondo della videodanza internazionale e l’ultima edizione – firmata Riccio – nel 2011, contava ben centotrenta video in concorso, e l'edizione nel 2016, più di centocinquanta. Vale la pena ricordare la prima vincitrice della rassegna, Cinzia Romiti, autrice delle coreografie insieme a Laura Balis Giambracono, di Tuffo nell'acqua e tonfi del cuore, un video di 10’ nato come promovideo per presentare l’omonimo spettacolo teatrale. A Milano, nel 1990, nasce IN VIDEO con lo scopo di creare uno spazio che permetta di conoscere quanto di meglio si produce in ambito di ricerca e sperimentazione video. Un ambito la cui dimensione, poetica, antitelevisiva - benché comune sia la radice tecnologico/elettronica - svolge, proprio per questo, anche il ruolo di coscienza critica. Questa realtà, interessata alle nuove direzioni della danza legata al video, non ha avuto un riscontro effettivo e potente, rispetto la realtà europea degli stessi anni, nella produzione di videodanza. Infatti se guardiamo le manifestazioni internazionali del decennio novanta sono pochissime le opere italiane. Ad esempio nel 1994 a Dance Screen presenziavano solo tre video italiani fra i quali Guardiano di coccodrilli di Corte Sconta, diretto da Kiko Stella; al Gran Prix Video Danse solamente quattro. ![]() Tuttavia festival e competizioni internazionali fungono da principali catalizzatori del pubblico favorendo anche gli scambi con gli artisti. A cominciare da Danza&Video tenutesi a Milano nel 1994, la Rassegna di Videodanza di Genova nel settembre del 1995. Nel 1997 è la volta di Videodanzando movimenti tra corpo e monitor a Palermo nello Spazio Blu Cobalto. Alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma con Frammenti di danza – Rassegna di video danza, nel 2001. * Espressioni. I volti della video-danza, organizzato da Perypezie Urbane nasce nel 2006 e vede la collaborazione di diverse realtà italiane ed europee attive nel mondo della videodanza, che portano a Milano materiali provenienti dall'Europa centro-orientale e occidentale. Inoltre, la collaborazione a partire dal 2011 con Coreografo Elettronico di Napoli fa di Espressioni un luogo di distribuzione di alcuni dei video più interessanti proiettati nell’ultima edizione del festival napoletano. * Nato nel 2010 Digitalife in questi ultimi anni si è configurato come il vero e proprio cuore tecnologico del Romaeuropa Festival. I linguaggi della creatività digitale, le sue fertili connessioni con le tecnologie più avanzate, le relazioni fra spazio, tecnologia ed arte sono i grandi temi di riflessione di questo progetto aperto e visionario in cui arte visiva, arte digitale, performing arts e fotografia, superano i rispettivi confini per fondersi nella quarta dimensione della creazione. ![]() * BREAKING 8 è rottura e creazione. Nato nel 2010 come appendice del FIND - Festival Internazionale Nuova Danza a Cagliari, 1983, Breaking 8 è un festival di videodanza in cui la danza, il ritmo e il movimento si prestano allo sguardo della macchina da presa, lasciandosi trasformare dall’incontro delle due arti. * Negli ultimi anni invece la diversa modalità di fruizione in rete ha sollecitato la nascita di nuovi formati, come il concorso One minute dance film, ideato da Cinedans e importato in Italia, a partire dal 2010, dalla rete COORPI - COORdinamento danza Piemonte. Il contest La danza in 1 minuto è il primo esperimento di Social Contest on line di videodanza. Un’esplorazione su come il digitale intervenga in termini di low production e fruibilità delle opere video, intercettando le tecniche e i linguaggi dei giovani artisti. Coorpi, inoltre, fa parte di R.I.Si.Co – Rete Interattiva per Sistemi Coreografici, all'interno della quale, a Scenario Pubblico di Roberto Zappalà a Catania, ha organizzato The Risico Screening – Rassegna multischermo della danza in video, in collaborazione con l'associazione Cro.Me. * Live Arts Cultures nasce nel gennaio 2014 come associazione culturale curatrice di C32 performing art work space, spazio di produzione e formazione per artisti nell'ambito delle arti dal vivo. Live Arts Cultures si occupa di accogliere produzioni locali e internazionali, di proporre un calendario di appuntamenti formativi, dell'organizzazione di un festival nonché dell'organizzazione di altri eventi dedicati alla formazione del pubblico, proponendosi anche in altri spazi della città. * Giovanissimo, nato nel 2016 il T*DANSE festival, organizzato da TiDA Théâtre Danse si propone di portare in Valle d'Aosta uno sguardo sulla scena contemporanea con una programmazione di artisti legati ai nuovi linguaggi, alle nuove tecnologie, con un'attenzione speciale per le nuove generazioni di artisti. gbApprofondimenti
![]() In Gran Bretagna, la televisione ha svolto un ruolo fondamentale per lo sviluppo, la diffusione, la promozione e la produzione della danza prima, e della videodanza poi. Intenti educativi, divulgativi e di informazione che rendono difficile una distinzione netta fra televisione e videodanza, dal momento che il fenomeno di broadcasting e quello creativo-artistico sono due sistemi integrati, anche dal punto di vista economico. I paesi anglosassoni hanno un modo particolare di produrre danza in video, un metodo che unisce allestimenti live a valori propriamente coreografici, come nel caso della ripresa di uno spettacolo esistente, un esempio potrebbe essere Eight Jelly Rolls di Trisha Brown per la regia di Dereck Bailey. Negli anni Ottanta, in concomitanza con l'esplosione della danza, si intensificano le produzioni, facendo emergere le nuove generazioni di coreografi come Richard Alston, Karol Armitage, l'italiana Adriana Boriello. I provocatori DV8 con Never Again; Dead Dreams of monochrome men del 1989; l'atletico Mark Murphy - vimeo.com/mrmarkmurphy - con Two Falling Too Far, la politicizzata Rosemary Butcher con Body as Sight, del 1993. Negli anni Novanta, grazie al progetto Dance for Camera, vengono prodotti alcuni video shot format, fra i quali vale la pena ricordare Never Say Die di Nigel Charnock, Dwell Time di Siobhan Davis, entrambi del 1995. Fra le produzioni indipendenti e fra quelle ibride, un capolavoro è Enter Achilles, dall'omonimo lavoro teatrale coreografato da Lloyd Newson, del 1996, preceduto da Strange Fish. La cifra visionaria degli esponenti di DV8 oscilla fra proiezione onirica e desiderio, in una carrellata di personaggi di grande energia, ma anche di forte impatto visivo, in qualche caso al limite dell'erotismo. Fra le realizzazioni inglese più recenti presentati alla rassegna milanese Teatri90 nell'edizione del 2000, il video The Reunion del 1997 con la coreografia di Ian Spink è incentrato sul nuovo incontro fra un uomo e una donna; sempre del 1997, Exit, coreografia di Jamie Walton, racconta con ritmi martellanti il viaggio nella memoria di cinque danzatori nel Greenwich Foot Tunnel che passa sotto il Tamigi. Nel recente The Link, 2000, il performance artist Glyn Davis Marshall traccia il breve ritratto di un proprio antenato morto cinquant'anni prima in circostanze misteriose. ![]() In Germania, già da molti anni vi era la buona abitudine di riprendere per la telecamera balletti e produzioni di teatrodanza. Grazie a questo, ad esempio oggi possiamo vedere le riprese delle opere originali del tempo, pensiamo a Barbe Bleue del 1977 di Pina Bausch, che oggi possiamo vedere con i danzatori di allora, o Café Müller del 1985, dove a danzare è la stessa coreografa. Ma aldilà delle riprese, per una vera e propria produzione di videodanza, come prodotto autonomo, bisogna aspettare gli anni Novanta. E ancora una volta torna la firma Baush con Der Klager Der Kaiserin, Il lamento dell'Imperatrice, alla quale si accompagnano, da un lato, opere visive dalla forte concentrazione narrativa come quelle di Lutz Gregor, pensiamo ad Angelus Novus del 1991 o a Kontakt Triptychon del 1992; dall'altro video produzioni più sperimentali come nel caso dell'artista Tamara Stuart Ewing, pensiamo ad esempio alla sua opera del 2000, Mile “0”, sul tema della gravità della caduta. gbApprofondimenti
![]() Il genere che ha più influenzato la videodanza è sicuramente il videoclip musicale. Nato inizialmente come promo di un altro prodotto dell'industria culturale, il disco, è divenuto, presto, un genere a sé. Caratterizzato da elementi musicali e visionarietà post-moderna, la fortuna del videoclip è stata possibile grazie al progresso della computer grafhic. Negli anni Ottanta non è difficile sorprendere intrecci fra queste forme videoartistiche, soprattutto quando alcuni coreografi vengono coinvolti nella realizzazione di videomusicali e di spot pubblicitari. Si tratta, come scrive Elisa Vaccarino, in La Musa dello schermo freddo, di “un cortocircuito di creatività, che passa agilmente da un settore all'altro.” E la genesi di questo coinvolgimento, può essere rintracciata nel recupero, da parte delle generazioni degli anni Settanta e Ottanta, della dimensione del corpo in movimento. Fenomeno ben testimoniato dall'ondata di musical o film incentrati sul tema della danza di quegl'anni, pensiamo a Saturday night fever, a Grease, ancora Footloose, Due vite, una svolta, e All that jazz. ![]() Pensiamo in oltre ai coreografi che in quegli anni collaborano con le grandi star della musica pop. Vincent Paterson, ad esempio, che ha ideato le coreografie del video di Smooth Criminal di Michael Jackson e l'intero Blond Ambition Tour di Madonna - che si vale, tra l'altro e in altre occasioni, della collaborazione di Karole Armitage. «L'intenzione di Madonna», dice Paterson, «è di infrangere ogni regola possibile, unendo Broadway, rock, moda e spettacolo, in una rappresentazione teatrale, facendo rivivere allo spettatore un vero e proprio video musicale». O a coreografi come Daniel Ezralow, che ha creato coreografie per video musicali di U2, Pat Metheny, Andrea Bocelli, Ricky Martin, Josh Groban e Faith Hill. Ha curato, inoltre, le coreografie del The Glass Spider Tour di David Bowie, e le azioni danzate di They dance alone di Sting. Ancora, Prilippe Decouflé che ha collaborato con i New Order in True Faith del 1987, o alle sue produzioni video, short format, che in quegli anni gettavano le basi per il un gusto che oggi caratterizza le sue creazioni. Caramba del 1986, ad esempio, o Codex del 1987, e il capolavoro Le p'tit bal del 1994. E per l'accuratezza e la grande qualità dei video, bisogna ricordare, un'altra autrice francese, Régine Chopinot, e i suoi “corti”, fra i più importanti, Le defilé 1986 e Kok del 1988. * Anche in italia gli Ottanta sono gli anni delle intersezioni fra video, danza, teatro e videoarte. Vale la pena ricordare alcuni gruppi di artisti, come Magazzini Tiezzi e Lombardi, Falso movimento di Mario Martone, il collettivo Studio Azzurro nel periodo di collaborazione con Giorgio Barbiero Corsetti, che in quel decennio cominciano a lavorare sul concetto di enviroment producendo ibridazioni artistico-comunicative che trasmigrano da un linguaggio all'altro e si basano sull'interazione fra performer e scena tecnologica, tra corpo reale e tecnologie del suono e dell'immagine. gbApprofondimenti
![]() La videodanse in Francia, grazie ad una politica del sostegno da parte del governo, è diventata, soprattutto negli anni Ottanta, una produzione artistica di grande rilievo. La creazione video e lo spettacolo dal vivo sono, per la generazione della nouvelle danse, percorsi paralleli e convergenti, stretti in un clima culturale di massiccio consumo di immagini. Gli esponenti della nouvelle danse sono figli delle correnti del nuovo cinema francese, sono cinefili - pensiamo al successo dell pellicole di Jean-Luc Godard - alimentatisi del flusso di immagini, fatto di frequenti, rapide e massive informazioni sensoriali che hanno da tempo plasmato il nostro modo di sentire il mondo. Un isterismo convulso di corpi e una frammentarietà del gesto, che si riflette anche nella performance dal vivo, dove espedienti come la pausa, la ripetizione o l'accostamento casuale non sono, in questo caso, frutto del montaggio elettronico, ma la traduzione corporea di un sentire comune. La nouvelle danse ha trasferito, quindi, inizialmente i ritmi e i modi dell'immagine cinematografica e videografica sul palcoscenico, con spettacoli di danza caratterizzati della commistione di codici, linguaggi e nuove tecnologie. Solo in un secondo momento ha portato i linguaggi della danza all'interno della produzione video, a volte divenendo, i coreografi, registi o videomaker delle loro opere. Caratteristica, quindi, della videodanse è quella di essere videografia d'autore riconoscibile nello stile, e nasce dall'incontro fra una visione registica e una visione coreografica. ![]() Fra le opere della prima fase della produzione, quella della stretta collaborazione fra un videomaker e un coreografo, troviamo lavori caratterizzati dalla brevità e dall'incisività dell'immagine, come La voix des legumes del 1982, girato da Marc Guérini con Philippe Decouflé, o come Incandescence (1985), dello stesso regista, per Karin Saporta. Dall'unione artistica fra Claude Mourieras e Jean-Claude Gallotta si hanno, invece, video di respiro più ampio, anche perché tratti spesso, dalla rielaborazione di spettacoli nati per il palcoscenico, ad esempio Daphinis et Cloé, les bergers qui s'attrappent del 1983, o Montalvo et L'enfant del 1988. Verso la fine degli anni Ottanta, si entra nella seconda fase della videodanse, segnata dal passaggio dietro la videocamera degli stessi coreografi, che, anche registi, si cimentano nella creazione di opere dall'altissima tenuta artistica. Fra le opere più interessanti, il lavoro di Angelin Preljocaj. Lui si muove senza soluzione di continuità fra lo spazio scenico tradizionale e il video, passando senza difficoltà dalla produzione specifica per la telecamera - collaborando con il regista Cyril Collard, pensiamo a Les raboteurs del 1988 - alla rielaborazione per il video o alla prosecuzione ideale in video di opere già realizzate per la scena. Questo è il caso di Noces del 1990 su musiche di Stravinskij, di Le postier del 1991 o ancora di Idées noires, continuazione ideale del balletto Amer America sempre del 1991. Del 1993 è il capolavoro Un Trait d'union, versione videografica dell'omonimo duo creato nel 1989 che gli fa vincere, lo stesso anno, il Gran Prix Video Danse di Parigi. Si spinge oltre Jean-Claude Gallotta che passa addirittura a una produzione cinematografica vera e propria con opere quali Rei Dom del 1990 e L'amour en deux del 1991, nelle quali la dimensione narrativa passa attraverso gesti che risentono della vocazione coreografica dell'artista francese. gbApprofondimenti
![]() La videodanza, forma particolare di videoarte, nasce verso la fine degli anni Settanta come possibilità di produzione creativa, attiva e democratica, contro la fruizione passiva della comunicazione di massa e contro il tipo di produzione dirigistica propria dei grandi network radio-televisivi. Nel corso degli anni, una sempre maggior diffusione degli strumenti tecnici per la creazione di video personali incrementa l'uso libero, immediato e non manipolabile da terzi della videocamera. La sostituzione più recente della tecnologia analogica con quella digitale, sia del suono che dell'immagine, ha allargato enormemente le possibilità di intervento artistico sulla ripresa video e sulla post-produzione, spesso integrate con la computer graphic e con le tecniche avanzate di animazione e simulazione. La videodanza nasce negli anni Settanta negli Stati Uniti, dove lavorano in modo sperimentale autori come Maja Deren e Alwin Nikolais. La prima, può essere annoverata fra i primi videoartisti per la scelta ante litteram di creare, in pellicola, danza per lo schermo. I suoi film, ai quali collaborò anche John Cage - pensiamo a Ritual in Transfigured Time del 1945-46 con coreografie di Frank WestBrook, e a The Very eye Of Night del 1959 - sono il prodotto di una profetica composizione dell'immagine, all'interno della quale fluiscono forme, figure plastiche e danzatori. Il secondo, Alwin Nikolais, nel 1964 realizza su pellicola Totem, The World Of Alwin Nikolais, vero e proprio film di danza, in cui i danzatori, su sfondo monocolore, sembrano fluttuare in uno spazio illusorio privo gravità. Nel 1968 in Limbo, Nikolais, va oltre e alle figure dei danzatori vengono sovrapposte immagini di pesci colorati. Relay del 1970, è già un'opera di videodanza a tutti gli effetti. Realizzata con tecnologie più avanzate, Nikolais, in Relay, sintetizza in immagini a metà fra fantasia e sogno, tutto il suo visionario universo. In questo lavoro di grande importanza storica, il corpo danzante si smaterializza progressivamente divenendo una particella infinentesimale della vastità infinità dell'universo. ![]() La prima vera e propria videoartista americana è comunque Doris Chase, per la quale già nel 1977 il critico Peter Grossman utilizzava esplicitamente il termine di videodance. Dopo Moving Forme del 1974, composizione astratta di forme in movimento, grazie alla collaborazione con danzatori delle più importanti compagnie realizza i suoi lavori più significativi, tutti intitolati Dance, cui segue a ogni nuova creazione un numero progressivo. In questi video la Chase dimostra una predilezione per il copro del danzatore solista, colto nei particolari e nei dettagli del movimento. L'opera simbolo che può essere considerata il manifesto della videodanza, è Merce by Merce by Paik di Nam June Paik e Merce Cunningham del 1978, nella quale vengono composti artisticamente elementi di una coreografia espressamente creata per la telecamera insieme ad altri materiali video preesistenti. L'uso di espedienti videografici - l'incrostazione, lo sdoppiamento, la moltiplicazione dei corpi sullo schermo, la loro decentralizzazione, procedimenti analoghi a quelli che Cunningham sfrutta sulla scena - creano le basi per una composizione in cui la danza investe l'arte nella sua totalità, facendone un prodotto particolare di videoarte, appunto uno dei primi e più significativi esemplari di videodanza. In questo clima socio-culturale particolare, sono cresciuti i danzatori e i coreografi della generazione degli Ottanta. Artisti sensibili ai fermenti di cambiamento della loro epoca e disponibili al dialogo con le nuove tecnologiche. Loro sono gli esponenti della post-modern dance, fra i quali alcuni si sono cimentati con il film e la videodanza. Ad esempio, la poliedica Meredith Monk con Quarry nel 1978 che rievoca la tragedia dell'Olocausto, Trisha Brown in Set and Reset del 1985, che realizza una composizione di materiali artistici autonomi e differenti, con le musiche di Laurie Anderson, le scene, i costumi e le visioni filmiche di Robert Rauschemberg. O Anna Halprin che esplora il rapporto fra corpo e natura nel suggestivo Embracing Earth: Dances with Nature del 1995. gbApprofondimenti
![]() All'inizio del nuovo millennio, i mezzi di comunicazione e gli apparati di calcolo diventano complementari. La digitalizzazione dei media analogici ha portato alla creazione di un unico grande medium. Immagine, suono, grafica, forme, spazi, testi, generazione di sensazioni artificiali tramite stimolatori meccanici, guanto o tuta della realtà virtuale e quant'altro da noi immaginato, sono trasformati in dati numerici, diventano oggetti calcolabili, un insieme di dati informatici facilmente manipolabili. I nuovi media, infatti, non esistono più come oggetti materiali, ma nella forma di dati che viaggiano nello spazio alla velocità della luce, condizione che permette la realizzazione del sogno novecentesco dell'unità fra le arti, della loro conversione una nell'altra. Diventa chiaro che all'oggetto viene oggi a sostituirsi l'ambiente, l'enviroment, e alla fruizione contemplativa la partecipazione diretta dello spettatore. Le nuove tecnologie sono, quindi, centri di creazione di enviroment, il più delle volte virtuali, che necessitano, tuttavia, della presenza del corpo che interagisca e occupi il nuovo habitat. Diventato quasi un apparato semiartificiale, biotecnologico, il copro si confronta con un mondo altro creato dal computer. Al centro di uno spazio nuovo da costruire nella dimensione intermedia fra arte e tecnologia, e il copro tecnologico è un corpo esteso, connettivo, dotato di una nuova potenziata sensibilità. L'ambiente è dunque lo spazio della nuova arte. ![]() In La scena Digitale, Armando Meniacci ed Emanule Quinz, individuano varie tipologie di enviroment:* Video Dècor. Situazione ibrida, a cavallo fra scenografia della contemporaneità e enviroment, che accentua la compresenza di danza dal vivo e videoproiezioni contribuendo alla creazione di un ambiente di fruizione spettacolare nuovo dal punto di vista estetico. In questa categoria possono rientrare lavori del coreografo Roberto Castello come Il Fuoco, Lacqua, l'ombra, in collaborazione con Studio Azzurro, 1998, e Le avventure del Sig. Quixana, con Paolo Atzori del 1999. * Interattività. Lo sviluppo dei sistemi di sonorizzazione corporea e di interazione/creazione ambientale a partire dal movimento, dà vita, a partire dalla fine degli anni Ottanta, ad una serie di performances che vanno da un uso prevalentemente scenografico dell'immagine/sfondo, alla messa in opera di sofisticati stages interattivi. Al primo dei due sistemi di sperimentazione, appartengono le opere di Ariella Vidach e dell'artista multimediale Claudio Prati, che valendosi del Mandala System attivano in lavori come eXp Interactive Dance Performance, 1996- 1997, una serie di suggestioni, grazie alla relazione continua che sulla scena viene a instaurarsi fra corpo live e al sua immagine video, rielaborata in real time e rimandata ad uno schermo fondale, allo scopo di alterare la percezione dello spettatore. Sviluppato all'interno del Laboratorio SIST di Informatica Musicale dell'Università di Genova, Eyes Web è, sul versante opposto, un sistema basato sull'intelligenza artificiale, in grado di entrare in contatto interattivo con una utente, ad esempio un danzatore in scena, di riconoscere in termini gestaltici movimento e suono e di produrre a sua volta suoni a partire dall'individuazione e dalla rielaborazione attiva delle caratteristiche della motion del danzatore. Utilizzato, fra glia altri, da Luciano Berio e dalla Compagnia di Danza Virgilio Sieni. * Sistemi analitici. Una delle ricerche più interessanti per il rapporto fra danza e tecnologie è quella legata ai sitemi di Motion Capture. Una delle sua applicazioni più affascinanti e Biped, recente capolavoro di Merce Cunningham, che rende vive le proiezioni interagenti sul palco con la live performance. Linee e punti sullo schermo, che hanno origine corporea, si umanizzano nella riproduzione visiva di un movimento virtuale. Altrettanto interessante è l'ideazione coreografica al computer, possibile grazie a un softwer rivoluzionario, Life Form, sviluppato da Thecla Schiphorst a partire dagli anni Novanta. Creato per facilitare il compito al coreografo, il sistema è istruito sui principi fisici del movimento umano e questo gli permette di automatizzare alcune procedure inventive con l'integrazione di determinati passaggi coreografici. Grazie a questo strumento Merce Cunningham, nel 1991, ha realizzato la prima coreografia direttamente al computer, Trackers, per poi insegnarla alla compagnia. Fra i sistemi analitici per la didattica va ricordato CD-Rom Improvisation Technology, realizzato da Volker Kuchelmeister e Christian Ziegler per William Forsythe e pubblicato nel 1999. Si tratta di uno strumento utilizzato dal coreografo per l'istruzione di base dei danzatori della sua compagnia, che vengono iniziati in modo ipertestuale e multimediale ai principi del movimento e alla concezione coreografia di Forsythe.
mezzo dell'interazione con oggetti virtuali, animazioni, immagini, suoni. I Performance Systems del gruppo Palindrome permettono ai nuovi mezzi di controllare in tempo reale musica, suoni, immagini, luci, che vengono in tal modo a dipendere dal movimento del danzatore. In questi ambienti interattivi la tecnologia estende le percezioni umane, potenzia l'immaginario e aiuta lo sguardo a compiere una lettura più profonda della creazione coreografica. * Digital dance. Sul versante opposto, esistono esperimenti di utilizzo totale dei media, da parte di chi evita la performane dal vivo. La web dance ne è un esempio, e l'energia fisica del corpo in moviemnto è ridotta a sapienti giochi audiovisivi interattivi, che hanno più affinità con la computer graphic e l'animazione che con la danza. Fra le opere di web-dance vale la pena citare gli esperimenti di Richard Lord, come Rpgressive 2 del 1993, e Burnt Cinders del 1999. gb![]() Televisione e video non sono lo stesso medium. Pertanto bisogna individuare le caratteristiche proprie delle opere incrociate fra danza e televisione e fra danza e video. Si tratta di incontri diversi, come abbiamo accennato, in quanto il mezzo non si è limitato, nel corso del tempo, a essere solo uno strumento di diffusione e di amplificazione, ma è diventato per la danza un elemento strettamente connesso sotto varie forme. Fruizione dal vivo e fruizione televisiva sono molto diverse. La performance è un qualcosa che accade nello spazio e nel tempo, creando una nuova unità di spazio e tempo. La danza alla televisione, invece, non ha alcuna caratteristica di evento e si contestualizza in un flusso continuo di immagini e di informazioni. Mentre il pubblico live può intervenire con una risposta implicita o esplicita a quanto vede rappresentato, provocando una modificazione sul palcoscenico, nel caso della televisione il flusso comunicativo è inalterabile dallo spettatore sia dal punto di vista del tempo che della significazione. ![]() La Tv quando media un testo coreografico produce un nuovo testo, diverso da quello di partenza, ovvero svolge un'attività informativa e di diffusione culturale nei confronti della danza, anche con la messa in onda di opere di videodanza, facendo della relazione fra i due media, un matrimonio proficuo, ed in questo caso la televisione parla di danza senza rinunciare alle proprie caratteristiche. In Italia, l'esempio più significativo, da questo punto di vista, è quello di Maratona d'estate, storico programma ideato e condotto da Vittoria Ottolenghi, nato nel 1978 e proseguito fino agli anni Novanta. Altrettanto noto è il caso della televisione del Regno Unito che ha avuto un ruolo fondamentale nei confronti della danza britannica e non solo, al servizio della quale svolge ormai da molti anni un'opera capillare di divulgazione, documentazione, informazione ed educazione del gusto. Questi esempi ci permettono di parlare di videomemoria, vale a dire della possibilità che il mezzo televisivo ha di documentare e conservare gli eventi importanti della danza, mantenendo in vita, anche per le generazioni future, le tracce di alcuni particolari momenti creativi. ![]() Il mezzo video ha come elemento strutturale e formale l'inquadratura, che è costruita a partire da una serie di variabili peculiari, come la scala dei piani e le diverse angolazioni di ripresa; i movimenti della macchina; la disposizione degli elementi visuali sul piano spaziale dell'inquadratura stessa; i tagli e i passaggi da un'inquadratura all'altra. Entro l'inquadratura si dispone poi l'universo pro-filmico dato dalla posizione, dal movimento e dall'azione dei corpi e degli oggetti in relazione agli spostamenti della macchina da presa: è questo, il punto di incontro fra le due realtà: quella del corpo reale in movimento e dello strumento che ne fisserà le informazioni audiovisive analogiche o digitali sul supporto riproducibile. Il montaggio, terzo elemento tecnico-strutturale, pur comune a tutta la produzione audiovisiva, nella videodanza assume un particolare significato, in quanto è produttore di ritmo, non sempre in totale autonomia, ma in relazione, confronto e scontro con quello del movimento dei corpi nello spazio e degli elementi sonori e musicali compresenti. Il montaggio, imprescindibile componente tecnico-artistica del video, diviene importante elemento compositivo della danza contemporanea, come in Pina Bausch, dove assume la fisionomia di un tratto stilistico forte del suo Tanztheater: la grande musa tedesca del teatrodanza sembra, sin dai primi lavori, operare con le procedure tipiche del video-collage. Nella videodanza, il danzatore e il suo movimento, fissati sulla banda magnetica o masterizzati nelle informazioni digitali di un CD-Rom o Dvd, sono riproducibili all'infinito. E questa traccia, costituisce una fondamentale alternativa al destino di morte e di oblio che attraversa ogni performance dal vivo. E' anche vero, però, che la comunicazione mediale avanzata come quella di oggi, ha influenzato la modalità di concepire anche la performance coreica dal vivo. Parametri quali velocità, ritmo convulso e simultaneità, propri delle estetiche del videoclip o di certo cinema contemporaneo sono divenuti elementi stilistici anche della danza del nostro tempo, come testimoniano i lavori di William Forsythe, Enzo Cosimi, Molissa Fenley, Karole Armitage. gb![]() All'interno dell'universo dei media, parlare di danza in video, ovvero di videodanza, e di danza digitale vuol dire fare riferimento a categorie differenti, disposte secondo un ordine cronologico, in cui prima si schiera la videodanza, e poi, tutte le nuove "categorie" dovute ai nuovi supporti: l'ambiente coreografico interattivo, la web-dance, l'interfaccia-mondo della realtà virtuale. La danza, che è l'arte del movimento formale del corpo nello spazio e nel tempo, proprio per queste sue caratteristiche, è stata un'interlocutrice privilegiata per le nuove tecnologie. Il cinema prima, la televisione poi, i media informatici oggi si sono relazionati con le idiosincrasie della danza, quali il dinamismo, la velocità, il ritmo. Il video di danza, attraverso la visione e l'ascolto, per mezzo dei normali mezzi di riproduzione - videoregistratore, lettore Dvd - impone una fruizione di tipo frontale e passivo, simile, in apparenza, allo stare seduti a teatro, in realtà assai distante dall'esperienza live. Infatti, quando la danza è parte dell'ambiente teatrale, in cui interagiscono immagini, realtà virtuale, suoni sintetizzati, rielaborazioni digitali del movimento - in differita o in tempo reale - ci troviamo all'interno di un'esperienza percettiva che mette in gioco la corporeità dello spettatore, che in questo contesto specifico, diventa protagonista e parte in causa del processo artistico e creativo. ![]() Se la videodanza, ha proposto e continua a proporre, una nuova creatività nell'ambito della ricerca coreografica, il computer ha contribuito alla smaterializzazione della danza e del danzatore. Nella danza in video necessita della presenza, per quanto differita nel passato, del corpo del danzatore, che anche se sottoposto a ripresa ed eventualmente a post-produzione, resta una corporeità reale. Nel caso invece, della danza digitale - come nel caso della web-dance - la presenza diviene virtuale e il corpo non è più quello di un essere biologico, ma un insieme di sistemi e protesi, che assumono senso, solo se il corpo è “connesso” alle nuove tecnologie. La danza, l'arte del corpo in movimento nella spazio e nel tempo, fin dalle origini del cinema, è stata, quindi, oggetto dello sguardo della macchina da presa e, a partire dall'invenzione della televisione, anche dell'obbiettivo della telecamera. E questo, per la produzione coreografica e della sua conservazione, ha interessato gli artisti sia per la persistenza nel tempo delle loro opere, sia per la divulgazione delle stesse come opere d'arte. gb |
AutoreGiovanni Bertuccio Archivi
Gennaio 2020
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